La pergamena
Non
amava l’alba, il sole mattutino era sempre riuscito a metterle inquietudine,
come se nascondesse un potenziale pericolo. Quella mattina però si alzò presto
e raggiunse la sala mensa, luogo in cui non si recava quasi mai, consapevole
che non vi era bene accetta. Infatti, non appena vi mise piede, su di lei
caddero numerose occhiate ostili. Le Guardie, persino quelle ancora troppo
giovani per essere assegnate ad una squadra, non la volevano in mezzo a loro,
la chiamavano strana, quando erano gentili, mostro quando erano cattivi. Era
sempre stato così quando era piccola e ora, malgrado il loro odio fosse celato
meglio, nessuno si sarebbe sognato di volerla a tavola.
Eppure
era lì, questo perché sperava di incrociare Ileana.
“Cosa
ci fai qui? Credevo che mangiassi assieme agli sguatteri, in cucina.” Gheorghe le si parò davanti, grande e imponente anche senza
la corazza da battaglia.
“Ciao,
Bianca.” Ileana le fece un cenno con la mano e lei passò accanto all’uomo per
raggiungerla. Sentiva sulle labbra un sorriso che cercò di contenere. Aveva
temuto che la ragazza avesse deciso che era troppo strana per il modo in cui
era fuggita la sera prima, ma ora era lì e le sorrideva. “Dormito bene?” Le
chiese mentre si sedeva con uno sbadiglio ad un tavolo indicandole il posto di
fronte al suo.
“Sì.”
Rispose, anche se aveva passato la notte in agitata tensione. “E tu?”
“Fa
troppo caldo, da noi la notte la temperatura scende sotto zero e bisogna nascondersi
sotto tonnellate di coperte.” Le sorrise, aveva spalmato del burro su una fetta
di pane e ora chiese: “Marmellata o miele?”
“Miele.”
Rispose sorpresa e perplessa Bianca.
“Avrei
dovuto immaginarlo.” Disse la giovane sorridendo mentre spalmava il miele e poi
le tendeva la tartina.
“Per
me?”
“Per
chi se no? Sei uno scricciolo, devi mangiare se vuoi imparare a reggere una naginata.” Bianca fissò la donna che stava preparando una
seconda tartina, ignara del suo sguardo.
“No.”
“Come?”
La giovane alzò lo sguardo e lei arrossì di rabbia.
“Non
ci riesco e non voglio provarci ancora. L’umiliazione di decine di prove
fallite mi è bastata.” Davanti al viso sorpreso di Ilena si alzò dal tavolo e
se ne andò.
Uscì
dal castello ancora furiosa, avrebbe dovuto immaginarlo, Ileana come tutti gli
altri voleva solo umiliarla.
Un
gruppo di servitori stava uscendo dal castello e lei li seguì, uno di loro la
urtò e non si scusò. Con un'altra guardia si sarebbe scusato, chinando la testa
in segno di rispetto, ma non con lei. Lei era solo Bianca l’Inetta, colei che
nessuno amava.
Lanciò
uno sguardo verso il villaggio che si stendeva ai piedi del castello, solo due
volte aveva abbandonato l’ombra del castello per andarci, non lo avrebbe più
fatto, i popolani non trattenevano il disprezzo per una Guardia che non sapeva
lottare, ma che occupava un letto al castello al posto dei loro figli. Prese lo
stretto sentiero che correva ai piedi delle alte mura e raggiunse il cimitero dei
Signori del castello. Attorno ai grandi mausolei dei Duchi vi erano le lapidi
delle Guardie morte per proteggerli. Senza esitazione raggiunse quelle dei suoi
genitori e vi si sedette accanto.
Era
stata una sciocca, Cornel le aveva detto di stare
lontana da Ileana e lei non lo aveva ascoltato. Un’ombra scura cadde su di lei
che si voltò stupita.
“Ti
muovi veloce per essere uno scricciolo.” Ileana alzò la mano nel vedere il suo
volto imporporarsi di rabbia. “Aspetta, non volevo offenderti prima e non voglio
offenderti neppure adesso. A casa mia è un complimento preparare il cibo per un
compagno o una compagna… volevo solo…” Fu il suo turno arrossire.
“Corteggiarti, ecco.” Bianca sbatté le palpebre, mentre il rossore sulle sue
guance non fu più dovuto alla rabbia. Ileana sorrise, stringendosi nelle
spalle. “Non so come funzioni qui e di certo ammetto che la mia battuta sulla naginata era fuori luogo. Non mi importa se impari o no a
reggerne una, non tutti siamo adatti a fare i soldati.” Bianca abbassò lo
sguardo.
“Vorrei
che tutti la pensassero come te, sto coprendo di vergogna i miei genitori.”
Indicò le lapidi e Ileana sbatté le palpebre sorpresa.
“Ariana
dy Proteya è tua madre?”
“Sì…”
La ragazza si illuminò.
“Io
ho conosciuto tua madre!” Esclamò allora entusiasta. “Dovevo avere tre anni, tu
probabilmente eri appena nata.” Passò con affetto la mano sulla lapide gli
occhi persi nel passato. “Ricordo che stavo cercando di spostare una naginata appoggiata ad un muro da una Guardia distratta.
L’arma, ovviamente troppo pesante, a causa delle mie spinte era scivolata a
terra e io nel tentare di trattenerla ero caduta con lei. Piangevo perché mi
ero sbucciata un ginocchio. Dovevo essere ridicola.” Sorrise, quasi vergognosa
per quella debolezza. “Lei mi ha sollevato, ha guardato il mio ginocchio e ha
detto che ero fortunata, non avrebbe dovuto tagliarlo via.” Bianca sgranò gli
occhi e Ileana rise di gusto. “Credo di aver fatto la stessa faccia anche io,
ma ho smesso di piangere e allora, tua madre, mi ha messo a terra e mi ha detto
di riprovarci.” La risata che aveva echeggiato nel cimitero si trasformò in un
sorriso che increspava appena le sue labbra. “E ci ho riprovato, con lo stesso
risultato fino a quando non ce l’ho fatta.”
Bianca
abbassò la testa, ma Ileana le si avvicinò e con la mano le sollevò il mento
fino a quando i loro occhi non si incontrarono. Con un brivido si rese conto di
essere completamente nascosta al sole, avvolta nell’alta ombra della donna.
“Non
l’ho detto per abbatterti, tutto il contrario: se tua madre fosse ancora qui
non ti lascerebbe cedere, prova e un giorno ce la farai.”
“Perché
dovrei provare? Non cambierà nulla, anche se un giorno il mio corpo mi
permettesse di impugnare degnamente una naginata non
sarò mai veramente parte della Guardia. Non mi vogliono qui, nessuno mi vuole.”
I loro occhi erano allacciati, Bianca non sapeva come mai le era sfuggita
quell’ammissione. Eppure quell’avvolgente ombra sembrava spingerla ad aprirsi,
a fidarsi. La ragazza scosse la testa delicatamente, la mano le scivolò lungo
il viso accarezzandone la pelle bianchissima, raccolse tra le dita i suoi
capelli, neri come la più profonda delle ombre, e Bianca rabbrividì. Ileana si
piegò dolcemente su di lei e le depose un delicato bacio sulle labbra. Fu un
leggero sfiorarsi, una promessa per il futuro.
“Non
devi ascoltare Gheorghe e gli altri, sono solo degli
idioti, credono di sapere tutto e di poter fare tutto, ma non è vero. Tu sei
speciale, guardi il mondo con occhi differenti e mi piaci per questo, non
lasciarti abbattere, un giorno potrai fare tutto quello che desideri.” Le
parole mormorate a pochi centimetri dalle sue labbra le scivolarono sulla pelle
scaldandole il cuore.
Un
brivido però interruppe il momento, un’ombra scura e fredda, piena di rabbia
era calata su di loro. Ileana sembrò percepire qualcosa perché si scostò da lei
e si voltò, come se avesse avuto l’impressione di avere degli occhi fissati
addosso. Bianca invece non aveva dubbi, i suo sguardo si alzò verso le
imponenti mura del castello e vi scorse una figura. Una Guardia: Gheorghe.
Il
sole superò una nuvola e brillò su di loro, Ileana voltò lo sguardo
dimenticando la sua perplessità e sorrise.
“Devo
andare, altrimenti faccio tardi all’addestramento.” Con la mano le sfiorò il
viso, il sorriso che si addolciva ancora. “Ci vediamo dopo.” Lasciò che i
capelli neri le scivolassero tra le dita poi si voltò e corse via. Bianca
sentiva il cuore battere veloce, ma percepì anche un brivido, come se l’ombra
del castello tentasse di avvisarla di un pericolo. Cornel
era stato chiaro, per una volta: stai lontana da Ileana, aveva detto. Gheorghe la vuole. Bianca si morse il labbro e poi sorrise
perché Ileana aveva scelto lei.
***
Rimase
un lungo momento accanto alle lapidi dei suoi genitori, se chiudeva gli occhi
le sembrava che la loro ombra la sfiorasse portandole calma, poi rientrò nel
castello. Per la prima volta il maestoso edificio non la accolse con gioia,
sembrava pervaso da una strana tensione, come se volesse avvisarla di un
imminente pericolo. Scacciandosi quella sensazione di dosso raggiunse la
biblioteca e si immersa nella lettura. Non era un’attività consona alla sua
uniforme, ma aveva smesso da tempo di dedicarsi alle corvées
delle Guardie ancora in addestramento per dedicarsi alle cose che preferiva,
come leggere o ascoltare di nascosto i musici dei Signori del castello.
“Cosa
ti avevo detto?” Il coboldo spuntò dagli scafali con aria più tesa del solito.
“Pergamena
al sicuro.” Disse lei battendosi la mano sul petto, conscia che Cornel non si riferiva affatto all’incantesimo.
“Parlo
della ragazza! Stai creando dei gorghi che ti porteranno al disastro!”
“Ileana
non è come gli altri, lei è… speciale e mi piace, non mi farà del male.”
“Sciocca
bambina!” Esclamò arrabbiato il coboldo. “Sciocca, sciocca, sciocca!”
“Ho
capito!” Lo fermò lei, il coboldo che si era messo a saltellare avanti e
indietro si bloccò e la fissò con occhi torvi.
“Sciocca.
Smetti subito o non potrò più proteggerti.”
“No.”
“Cosa?”
“Ho
detto: no. Non smetterò, Ileana mi piace e io piaccio a lei. È la prima persona
che mi guarda e mi vede, mi vede davvero e quello che vede le piace! Non
permetterò che un vecchio coboldo mi impedisca di stare con lei.”
“Vecchio
coboldo? Vecchio sì: vecchissimo e saggio; sì. Tu invece giochi con il fuoco,
farfalla. Ti brucerai, ascolta il vecchio coboldo.” L’essere si tirò la barba
con forza, quasi con disperazione poi sparì tra i libri.
“Maledizione!”
“Con
chi stai parlando?” Ileana apparve tra gli scafali, un pacchetto tra le mani.
“Nessuno…”
“Anche
io parlo da sola a volte e, quando cavalco, parlo al mio cavallo.” Sulle labbra
le apparve un sorriso divertito. Con un gesto deciso spostò il libro dal tavolo
e appoggiò il fagotto aprendolo e mostrandone il contenuto, soddisfatta. “Non
sei venuta a pranzo e ho dovuto portare il pranzo da te. Mi hanno detto che
passi del tempo qui, quindi… eccomi.” Sorrise e le si sedette affianco. Bianca
pensò alla tensione del castello, alle parole del coboldo e poi guardò gli
occhi di Ileana, con un sorriso accantonò tutto e pensò solo alla gioia che le
dava passare del tempo con la giovane Guardia.
***
Coricata
sul letto pensò che quella era stata la più bella giornata della sua vita e non
era finita. Arrossì nel pensare allo sguardo con cui Ileana le aveva chiesto di
vedersi quella notte, da sole, nella biblioteca.
Tese
le orecchie sperando di cogliere solo il silenzio, ma vi erano ancora delle
Guardie che si aggiravano nei corridoi dei dormitori ridendo e scherzando, un
tempo essere esclusa da quel caldo cameratismo l’aveva fatta soffrire, ma ormai
si era abituata e il dolore che le procurava era soffocato e distante. Quel
giorno poi, l’unica cosa che voleva era che smettessero in fretta.
Passarono
i minuti e Bianca si alzò, decidendo che non poteva presentarsi con l’uniforme
delle guardie, scelse un vestito verde che era appartenuto a sua madre, fu sul
punto di sfilare il bracciale di erba fatto dal coboldo, poi in un ripensamento
lo tenne, infine si affacciò alla porta ascoltando. Il corridoio sembrava
vuoto. Attese ancora alcuni minuti poi uscì.
Il
cuore le batteva veloce, mentre attraversava le stanze del castello diretta
verso la biblioteca e Ileana.
“Bianca.”
La voce del coboldo la fece sussultare.
“Non
importa cosa dirai, ci vado lo stesso.”
“La
pergamena!” Il coboldo sputò la parola sibilando. “Hai dimenticato la
pergamena!” Bianca sgranò gli occhi rendendosi conto dell’errore, nello
svestirsi, tesa per l’appuntamento, aveva dimenticato di spostare di tasca
l’incantesimo.
“È
al sicuro…” Azzardò, non voleva tornare indietro, Ileana poteva già essere lì
ad aspettarla. Il coboldo iniziò a saltellare agitato.
“Non
capisci? Se venisse distrutta tu… tu…”
“Cosa?”
Chiese lei, arrabbiata.
“Due
mondi che collidono, ombra, luce… saresti presa tra due fuochi e lui saprebbe.”
“Non
capisco un accidente di quello che dici, mi dispiace Cornel,
ma ti assicuro che nessuno la toccherà, non è permesso entrare nelle stanze
altrui e nessuno vorrà entrare nella mia…” Si bloccò perché il coboldo sembrava
essere raddoppiato di dimensioni o forse era solo la sua ombra che si era
increspata attorno a lui addensandosi e crescendo.
“Ora!
La stanno prendendo ora!” L’urgenza della sua voce la fece voltare e correre,
mentre l’ombra del coboldo sembrava spingerla e pressarla.
Attraversò
i corridoi appena percorsi con il cuore che batteva veloce, l’ansia che
aumentava a ogni passo, non aveva idea di quello che avrebbe trovato. Svoltò
l’ultimo angolo e si bloccò, la porta della sua stanza era aperta, all’interno
una luce si spostava veloce e numerosi voci ridacchiavano e mormoravano tra di
loro. Bianca rimase immobile, chiedendosi cosa dovesse fare, voleva fermarli,
ma al contempo ne temeva la reazione, non si era mai davvero opposta a
qualcuno, se avessero semplicemente deciso di ignorarla o peggio, se ciò li
avesse spinti oltre i soliti motteggi e le normali occhiatacce?
“Fermali!
Se la pergamena viene distrutta cadrai nell’incertezza delle due nature!”
Bianca fissò interdetta il coboldo, ancora una volta parlava per enigmi, eppure
la sua voce era febbrile e la tensione evidente in tutto il suo corpo. Fece un
passo avanti e si affacciò alla porta. Un gruppo di Guardie stava rovistando
tra le sue cose, tra tutti spiccava l’alta figura di Gheorghe.
“Cosa
state…” Si bloccò quando si voltarono, redendosi conto di aver fatto un errore.
I loro occhi erano lucidi, i loro aliti puzzavano di birra anche a quella
distanza, ma Bianca notò solo le loro ombre nere e liquide come pozze di pece.
Quella di Gheorghe si proiettava su tutte:
aggressiva, violenta e rabbiosa.
“Eccoti,
finalmente! Abbiamo deciso che oggi era il giorno giusto: oggi ti assegneremo
il Nome, ogni Guardia ne deve avere uno, giusto?” La sua voce era sferzante e i
ghigni dei suoi compagni facevano da contrappunto. Bianca fece un passo
indietro, gli occhi sgranati. “Cosa c’è? Non sei contenta? Sarai una di noi
finalmente.” Ridacchiò, ma in lui non vi era nessuna gioia. Bianca si voltò per
fuggire, ma due braccia robuste la afferrarono bloccandola e spingendola contro
il muro. “Dove vai?” Chiese Gheorghe, sogghignate.
“Ti
prego, lasciami andare…”
“Ti
prego, ti prego…” Ripeté lui, facendo ridere tutti. “Non vogliamo farti del
male, vogliamo solo farti un favore. Allora, come possiamo chiamarti? Bianca
l’Impavida?” Chiese tra i sogghigni degli altri. “Bianca la Forte? Bianca la
Possente? Bianca la…” Si fermò pensieroso, le sue braccia la trattenevano con
forza e la sua ombra sembrava soffocarla cercando di entrarle nella gola. Il
suo respiro era mozzato non solo dalla paura, ma anche dalla pesantezza di
quell’ombra. “Ci sono! Questo ti piacerà: Bianca Niente!” Ci fu un coro di
evviva. “Nell’antica lingua verrebbe…” L’uomo si soffermò a pensare poi
sogghignò, sapeva che pronunciando quel nome vi avrebbe legato il suo destino.
La cerimonia del nome era qualcosa di speciale, qualcosa che rendeva una
Guardia parte del gruppo, per sempre. A pronunciare il nome era un genitore, un
tutore o un amico, a volte il comandante, ma Gheorghe
si stava prendendo quel diritto togliendole quel poco di dignità che le
rimaneva.
“Per
favore, no!” Supplicò, ma vide negli occhi della Guardia che quelle parole
aumentavano solo il suo godimento.
“Bianca
dy Nimic! Sorgi come
Guardia, vivi come Guardia e muori come Guardia!” Rise mentre le Guardie
ripetevano il suo nome forgiandolo nella memoria del corpo e legandolo a lei
per sempre.
“Gheorghe dy Puternic!
Cosa stai facendo?” Ileana entrò nel corridoio con aria furiosa, l’uomo lasciò
andare Bianca che si accasciò a terra, sentiva le lacrime bruciarle gli occhi
mentre quel nulla, Nimic, le entrava nella pelle.
“Nulla
di importante, solo una piccola cerimonia del Nome.” Osservò i suoi compagni e
allargò le braccia. “Cerimonia privata, come noterai.”
“Sei…”
Ileana era rossa in volto, sembrava trattenere a stento la rabbia eppure Bianca
vedeva la sua ombra tendersi verso di lei, in un tentativo di protezione. Si
alzò, non voleva apparire debole e sciocca anche davanti alla ragazza.
“Non
importa. Ormai è fatta. Bianca dy Nimic
sia.”
“Nimic?” Ileana sembrò sputare il nome in faccia a Gheorghe che ridacchiò.
“Non
ti piace?”
“La
pagherai, farò rapporto al comandante!”
“A
mio padre?” Chiese lui ironico e alcune risatine sfuggirono al gruppo di pecore
che si era portato dietro, ad un solo furente sguardo di Ileana si zittirono.
“Sì,
a tuo padre. Dirò che sei entrato nella stanza di una Guardia non invitato e
che, senza nessun diritto, le hai imposto il Nome. Vedremo se riderai ancora.”
L’uomo strinse i denti, rendendosi conto solo in quel momento della fermezza di
Ileana.
“Non
oserai tanto.”
“Certo
che oserò.” I due si fronteggiavano viso a viso, Bianca poteva vedere con
facilità le due ombre tentare di sovrastarsi.
“Non
ce ne sarà bisogno. Ileana, vorrei che non lo facessi.” Gli occhi della donna
si voltarono fissandosi su di lei. Vi era delusione in quei bei occhi verdi.
Delusione nel vedere una debolezza di carattere là dove aveva perdonato una
debolezze del fisico.
“Ecco:
ascolta l’inetta.” Disse allora Gheorghe poi fece un
passo indietro e con un gesto ai suoi amici se ne andò. Bianca abbassò la
testa, non riusciva a sostenere lo sguardo di Ileana e non riusciva a osservarne
l’ombra che si agitava attorno ai suoi piedi come mossa dal vento o da emozioni
contrastanti.
“Oh…
dimenticavo…” Gheorghe si voltò e lei alzò gli occhi
per guardarlo, tra le mani teneva la sua pergamena, l’aveva aperta e ora mostrò
i segni arcano tracciati su di essa. “Non credo che ti servirà ancora, giusto?
Ora sei nelle Guardie, niente sciocchezze da bambini per noi.” Con deliberata lentezza la strappò in due.
“No!”
Bianca fece un passo verso di lui alzando il braccio, ma il suo corpo si bloccò
irrigidendosi. Gheorghe strappò la pergamena in
quattro pezzi poi otto e dodici, infine la lasciò cadere a terra in piccoli
coriandoli.
“Bianca…”
Sentì mormorare, ma il suo corpo non rispondeva più, tutti suoi muscoli si
tesero per poi rilassarsi all’improvviso. Dita leggere le sfiorarono la spalla
e lei si voltò, non si era mai sentita così forte, così piena di… fame. Guardò
Ileana fare un passo indietro nel vedere il suo volto e sorrise, nel farlo si
ferì le labbra. Alzò le dita sfiorandosi la bocca e osservando la piccola goccia
di sangue che le macchiava. Passò la lingua sui denti sentendoli aguzzi, poi
sulle labbra assaporando il gusto ferroso del suo sangue. Passandosi una mano
tra i capelli diventati bianchi notò per la prima volta un dettaglio, sul muro
c’era la sua ombra. Bella, nitida, forte. Sorrise sentendosi completa per la
prima volta in vita sua.
Ileana
fece un secondo passo indietro, Bianca poteva sentire il cuore della donna
batterle con forza nel petto: paura. Ispirò con il naso, conscia che non era un
vero odore quello che sentiva e che la inebriava, ma volendo averne di più.
“Ileana,
vieni da me…” Mormorò piano e quando vide gli occhi della donna sgranarsi e il
suo corpo tendersi per fuggire afferrò la sua ombra. O meglio, inchiodò l’ombra
della donna con la sua. Si morse un labbro nel vedere la ragazza tentare inutilmente
di liberarsi, tanta forza, tanta agilità, tanto coraggio, erano niente davanti
a lei, al suo potere. Si avvicinò lentamente, poi alzò la mano sfiorando con le
dita il viso della giovane.
“Bianca!”
Chiamò lei, come a volerla scuotere, ma la Bianca che aveva conosciuto non
c’era più. Con deliberata lentezza avvicinò le labbra al suo collo che baciò.
“Hai
un sapore inebriante…” Mormorò e poi morse. Ileana si agitò sotto di lei
gemendo, ma non riuscì a liberarsi mentre lei assaggiava per la prima volta il
sangue pieno di paura di una vittima.
Completamente
persa il quel piacere che le inebriava i sensi, non notò Gheorghe
arrivarle alle spalle. Un colpo violento la portò nel buio.
“Chi sei?”
“Non lo so…”
“Figlia?” Il tono proveniva da
lontano eppure era estremamente vicino, sembrava sussurrarle all’orecchio.
“No.” Protestò, ma percepì il
sorriso dell’essere, come una carezza che la sfiorava appena.
“Verrò da te…”