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Autore: Najara    03/01/2017    1 recensioni
“Sono uscita a guardare le stelle e ti ho vista qua, sola a fissare le torce…”
“Guardavo le ombre, non le torce.”
“Sarebbe come dire che si guarda il cielo per fissare lo spazio tra le stelle e non le stelle.”
“Perché?”
“Perché le ombre sono solo ombre… un riflesso vuoto di ciò che invece è vero e vivo.”
“Non è vero.”
Storia scritta per il contest: "Fantastic Beasts-Non siamo solo mostri" indetto da onlyfanfiction e ripreso dal giudice sostitutivo Haykaleen.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pergamena

 

Non amava l’alba, il sole mattutino era sempre riuscito a metterle inquietudine, come se nascondesse un potenziale pericolo. Quella mattina però si alzò presto e raggiunse la sala mensa, luogo in cui non si recava quasi mai, consapevole che non vi era bene accetta. Infatti, non appena vi mise piede, su di lei caddero numerose occhiate ostili. Le Guardie, persino quelle ancora troppo giovani per essere assegnate ad una squadra, non la volevano in mezzo a loro, la chiamavano strana, quando erano gentili, mostro quando erano cattivi. Era sempre stato così quando era piccola e ora, malgrado il loro odio fosse celato meglio, nessuno si sarebbe sognato di volerla a tavola.

Eppure era lì, questo perché sperava di incrociare Ileana.

“Cosa ci fai qui? Credevo che mangiassi assieme agli sguatteri, in cucina.” Gheorghe le si parò davanti, grande e imponente anche senza la corazza da battaglia.

“Ciao, Bianca.” Ileana le fece un cenno con la mano e lei passò accanto all’uomo per raggiungerla. Sentiva sulle labbra un sorriso che cercò di contenere. Aveva temuto che la ragazza avesse deciso che era troppo strana per il modo in cui era fuggita la sera prima, ma ora era lì e le sorrideva. “Dormito bene?” Le chiese mentre si sedeva con uno sbadiglio ad un tavolo indicandole il posto di fronte al suo.

“Sì.” Rispose, anche se aveva passato la notte in agitata tensione. “E tu?”

“Fa troppo caldo, da noi la notte la temperatura scende sotto zero e bisogna nascondersi sotto tonnellate di coperte.” Le sorrise, aveva spalmato del burro su una fetta di pane e ora chiese: “Marmellata o miele?”

“Miele.” Rispose sorpresa e perplessa Bianca.

“Avrei dovuto immaginarlo.” Disse la giovane sorridendo mentre spalmava il miele e poi le tendeva la tartina.

“Per me?”

“Per chi se no? Sei uno scricciolo, devi mangiare se vuoi imparare a reggere una naginata.” Bianca fissò la donna che stava preparando una seconda tartina, ignara del suo sguardo.

“No.”

“Come?” La giovane alzò lo sguardo e lei arrossì di rabbia.

“Non ci riesco e non voglio provarci ancora. L’umiliazione di decine di prove fallite mi è bastata.” Davanti al viso sorpreso di Ilena si alzò dal tavolo e se ne andò.

Uscì dal castello ancora furiosa, avrebbe dovuto immaginarlo, Ileana come tutti gli altri voleva solo umiliarla.

Un gruppo di servitori stava uscendo dal castello e lei li seguì, uno di loro la urtò e non si scusò. Con un'altra guardia si sarebbe scusato, chinando la testa in segno di rispetto, ma non con lei. Lei era solo Bianca l’Inetta, colei che nessuno amava.

Lanciò uno sguardo verso il villaggio che si stendeva ai piedi del castello, solo due volte aveva abbandonato l’ombra del castello per andarci, non lo avrebbe più fatto, i popolani non trattenevano il disprezzo per una Guardia che non sapeva lottare, ma che occupava un letto al castello al posto dei loro figli. Prese lo stretto sentiero che correva ai piedi delle alte mura e raggiunse il cimitero dei Signori del castello. Attorno ai grandi mausolei dei Duchi vi erano le lapidi delle Guardie morte per proteggerli. Senza esitazione raggiunse quelle dei suoi genitori e vi si sedette accanto.

Era stata una sciocca, Cornel le aveva detto di stare lontana da Ileana e lei non lo aveva ascoltato. Un’ombra scura cadde su di lei che si voltò stupita.

“Ti muovi veloce per essere uno scricciolo.” Ileana alzò la mano nel vedere il suo volto imporporarsi di rabbia. “Aspetta, non volevo offenderti prima e non voglio offenderti neppure adesso. A casa mia è un complimento preparare il cibo per un compagno o una compagna… volevo solo…” Fu il suo turno arrossire. “Corteggiarti, ecco.” Bianca sbatté le palpebre, mentre il rossore sulle sue guance non fu più dovuto alla rabbia. Ileana sorrise, stringendosi nelle spalle. “Non so come funzioni qui e di certo ammetto che la mia battuta sulla naginata era fuori luogo. Non mi importa se impari o no a reggerne una, non tutti siamo adatti a fare i soldati.” Bianca abbassò lo sguardo.

“Vorrei che tutti la pensassero come te, sto coprendo di vergogna i miei genitori.” Indicò le lapidi e Ileana sbatté le palpebre sorpresa.

“Ariana dy Proteya è tua madre?”

“Sì…” La ragazza si illuminò.

“Io ho conosciuto tua madre!” Esclamò allora entusiasta. “Dovevo avere tre anni, tu probabilmente eri appena nata.” Passò con affetto la mano sulla lapide gli occhi persi nel passato. “Ricordo che stavo cercando di spostare una naginata appoggiata ad un muro da una Guardia distratta. L’arma, ovviamente troppo pesante, a causa delle mie spinte era scivolata a terra e io nel tentare di trattenerla ero caduta con lei. Piangevo perché mi ero sbucciata un ginocchio. Dovevo essere ridicola.” Sorrise, quasi vergognosa per quella debolezza. “Lei mi ha sollevato, ha guardato il mio ginocchio e ha detto che ero fortunata, non avrebbe dovuto tagliarlo via.” Bianca sgranò gli occhi e Ileana rise di gusto. “Credo di aver fatto la stessa faccia anche io, ma ho smesso di piangere e allora, tua madre, mi ha messo a terra e mi ha detto di riprovarci.” La risata che aveva echeggiato nel cimitero si trasformò in un sorriso che increspava appena le sue labbra. “E ci ho riprovato, con lo stesso risultato fino a quando non ce l’ho fatta.”

Bianca abbassò la testa, ma Ileana le si avvicinò e con la mano le sollevò il mento fino a quando i loro occhi non si incontrarono. Con un brivido si rese conto di essere completamente nascosta al sole, avvolta nell’alta ombra della donna.

“Non l’ho detto per abbatterti, tutto il contrario: se tua madre fosse ancora qui non ti lascerebbe cedere, prova e un giorno ce la farai.”

“Perché dovrei provare? Non cambierà nulla, anche se un giorno il mio corpo mi permettesse di impugnare degnamente una naginata non sarò mai veramente parte della Guardia. Non mi vogliono qui, nessuno mi vuole.” I loro occhi erano allacciati, Bianca non sapeva come mai le era sfuggita quell’ammissione. Eppure quell’avvolgente ombra sembrava spingerla ad aprirsi, a fidarsi. La ragazza scosse la testa delicatamente, la mano le scivolò lungo il viso accarezzandone la pelle bianchissima, raccolse tra le dita i suoi capelli, neri come la più profonda delle ombre, e Bianca rabbrividì. Ileana si piegò dolcemente su di lei e le depose un delicato bacio sulle labbra. Fu un leggero sfiorarsi, una promessa per il futuro.

“Non devi ascoltare Gheorghe e gli altri, sono solo degli idioti, credono di sapere tutto e di poter fare tutto, ma non è vero. Tu sei speciale, guardi il mondo con occhi differenti e mi piaci per questo, non lasciarti abbattere, un giorno potrai fare tutto quello che desideri.” Le parole mormorate a pochi centimetri dalle sue labbra le scivolarono sulla pelle scaldandole il cuore.

Un brivido però interruppe il momento, un’ombra scura e fredda, piena di rabbia era calata su di loro. Ileana sembrò percepire qualcosa perché si scostò da lei e si voltò, come se avesse avuto l’impressione di avere degli occhi fissati addosso. Bianca invece non aveva dubbi, i suo sguardo si alzò verso le imponenti mura del castello e vi scorse una figura. Una Guardia: Gheorghe.

Il sole superò una nuvola e brillò su di loro, Ileana voltò lo sguardo dimenticando la sua perplessità e sorrise.

“Devo andare, altrimenti faccio tardi all’addestramento.” Con la mano le sfiorò il viso, il sorriso che si addolciva ancora. “Ci vediamo dopo.” Lasciò che i capelli neri le scivolassero tra le dita poi si voltò e corse via. Bianca sentiva il cuore battere veloce, ma percepì anche un brivido, come se l’ombra del castello tentasse di avvisarla di un pericolo. Cornel era stato chiaro, per una volta: stai lontana da Ileana, aveva detto. Gheorghe la vuole. Bianca si morse il labbro e poi sorrise perché Ileana aveva scelto lei.

 

***

 

Rimase un lungo momento accanto alle lapidi dei suoi genitori, se chiudeva gli occhi le sembrava che la loro ombra la sfiorasse portandole calma, poi rientrò nel castello. Per la prima volta il maestoso edificio non la accolse con gioia, sembrava pervaso da una strana tensione, come se volesse avvisarla di un imminente pericolo. Scacciandosi quella sensazione di dosso raggiunse la biblioteca e si immersa nella lettura. Non era un’attività consona alla sua uniforme, ma aveva smesso da tempo di dedicarsi alle corvées delle Guardie ancora in addestramento per dedicarsi alle cose che preferiva, come leggere o ascoltare di nascosto i musici dei Signori del castello.

“Cosa ti avevo detto?” Il coboldo spuntò dagli scafali con aria più tesa del solito.

“Pergamena al sicuro.” Disse lei battendosi la mano sul petto, conscia che Cornel non si riferiva affatto all’incantesimo.

“Parlo della ragazza! Stai creando dei gorghi che ti porteranno al disastro!”

“Ileana non è come gli altri, lei è… speciale e mi piace, non mi farà del male.”

“Sciocca bambina!” Esclamò arrabbiato il coboldo. “Sciocca, sciocca, sciocca!”

“Ho capito!” Lo fermò lei, il coboldo che si era messo a saltellare avanti e indietro si bloccò e la fissò con occhi torvi.

“Sciocca. Smetti subito o non potrò più proteggerti.”

“No.”

“Cosa?”

“Ho detto: no. Non smetterò, Ileana mi piace e io piaccio a lei. È la prima persona che mi guarda e mi vede, mi vede davvero e quello che vede le piace! Non permetterò che un vecchio coboldo mi impedisca di stare con lei.”

“Vecchio coboldo? Vecchio sì: vecchissimo e saggio; sì. Tu invece giochi con il fuoco, farfalla. Ti brucerai, ascolta il vecchio coboldo.” L’essere si tirò la barba con forza, quasi con disperazione poi sparì tra i libri.

“Maledizione!”

“Con chi stai parlando?” Ileana apparve tra gli scafali, un pacchetto tra le mani.

“Nessuno…”

“Anche io parlo da sola a volte e, quando cavalco, parlo al mio cavallo.” Sulle labbra le apparve un sorriso divertito. Con un gesto deciso spostò il libro dal tavolo e appoggiò il fagotto aprendolo e mostrandone il contenuto, soddisfatta. “Non sei venuta a pranzo e ho dovuto portare il pranzo da te. Mi hanno detto che passi del tempo qui, quindi… eccomi.” Sorrise e le si sedette affianco. Bianca pensò alla tensione del castello, alle parole del coboldo e poi guardò gli occhi di Ileana, con un sorriso accantonò tutto e pensò solo alla gioia che le dava passare del tempo con la giovane Guardia.

 

***

 

Coricata sul letto pensò che quella era stata la più bella giornata della sua vita e non era finita. Arrossì nel pensare allo sguardo con cui Ileana le aveva chiesto di vedersi quella notte, da sole, nella biblioteca.

Tese le orecchie sperando di cogliere solo il silenzio, ma vi erano ancora delle Guardie che si aggiravano nei corridoi dei dormitori ridendo e scherzando, un tempo essere esclusa da quel caldo cameratismo l’aveva fatta soffrire, ma ormai si era abituata e il dolore che le procurava era soffocato e distante. Quel giorno poi, l’unica cosa che voleva era che smettessero in fretta.

Passarono i minuti e Bianca si alzò, decidendo che non poteva presentarsi con l’uniforme delle guardie, scelse un vestito verde che era appartenuto a sua madre, fu sul punto di sfilare il bracciale di erba fatto dal coboldo, poi in un ripensamento lo tenne, infine si affacciò alla porta ascoltando. Il corridoio sembrava vuoto. Attese ancora alcuni minuti poi uscì.

Il cuore le batteva veloce, mentre attraversava le stanze del castello diretta verso la biblioteca e Ileana.

“Bianca.” La voce del coboldo la fece sussultare.

“Non importa cosa dirai, ci vado lo stesso.”

“La pergamena!” Il coboldo sputò la parola sibilando. “Hai dimenticato la pergamena!” Bianca sgranò gli occhi rendendosi conto dell’errore, nello svestirsi, tesa per l’appuntamento, aveva dimenticato di spostare di tasca l’incantesimo.

“È al sicuro…” Azzardò, non voleva tornare indietro, Ileana poteva già essere lì ad aspettarla. Il coboldo iniziò a saltellare agitato.

“Non capisci? Se venisse distrutta tu… tu…”

“Cosa?” Chiese lei, arrabbiata.

“Due mondi che collidono, ombra, luce… saresti presa tra due fuochi e lui saprebbe.”

“Non capisco un accidente di quello che dici, mi dispiace Cornel, ma ti assicuro che nessuno la toccherà, non è permesso entrare nelle stanze altrui e nessuno vorrà entrare nella mia…” Si bloccò perché il coboldo sembrava essere raddoppiato di dimensioni o forse era solo la sua ombra che si era increspata attorno a lui addensandosi e crescendo.

“Ora! La stanno prendendo ora!” L’urgenza della sua voce la fece voltare e correre, mentre l’ombra del coboldo sembrava spingerla e pressarla.

Attraversò i corridoi appena percorsi con il cuore che batteva veloce, l’ansia che aumentava a ogni passo, non aveva idea di quello che avrebbe trovato. Svoltò l’ultimo angolo e si bloccò, la porta della sua stanza era aperta, all’interno una luce si spostava veloce e numerosi voci ridacchiavano e mormoravano tra di loro. Bianca rimase immobile, chiedendosi cosa dovesse fare, voleva fermarli, ma al contempo ne temeva la reazione, non si era mai davvero opposta a qualcuno, se avessero semplicemente deciso di ignorarla o peggio, se ciò li avesse spinti oltre i soliti motteggi e le normali occhiatacce?

“Fermali! Se la pergamena viene distrutta cadrai nell’incertezza delle due nature!” Bianca fissò interdetta il coboldo, ancora una volta parlava per enigmi, eppure la sua voce era febbrile e la tensione evidente in tutto il suo corpo. Fece un passo avanti e si affacciò alla porta. Un gruppo di Guardie stava rovistando tra le sue cose, tra tutti spiccava l’alta figura di Gheorghe.

“Cosa state…” Si bloccò quando si voltarono, redendosi conto di aver fatto un errore. I loro occhi erano lucidi, i loro aliti puzzavano di birra anche a quella distanza, ma Bianca notò solo le loro ombre nere e liquide come pozze di pece. Quella di Gheorghe si proiettava su tutte: aggressiva, violenta e rabbiosa.

“Eccoti, finalmente! Abbiamo deciso che oggi era il giorno giusto: oggi ti assegneremo il Nome, ogni Guardia ne deve avere uno, giusto?” La sua voce era sferzante e i ghigni dei suoi compagni facevano da contrappunto. Bianca fece un passo indietro, gli occhi sgranati. “Cosa c’è? Non sei contenta? Sarai una di noi finalmente.” Ridacchiò, ma in lui non vi era nessuna gioia. Bianca si voltò per fuggire, ma due braccia robuste la afferrarono bloccandola e spingendola contro il muro. “Dove vai?” Chiese Gheorghe, sogghignate.

“Ti prego, lasciami andare…”

“Ti prego, ti prego…” Ripeté lui, facendo ridere tutti. “Non vogliamo farti del male, vogliamo solo farti un favore. Allora, come possiamo chiamarti? Bianca l’Impavida?” Chiese tra i sogghigni degli altri. “Bianca la Forte? Bianca la Possente? Bianca la…” Si fermò pensieroso, le sue braccia la trattenevano con forza e la sua ombra sembrava soffocarla cercando di entrarle nella gola. Il suo respiro era mozzato non solo dalla paura, ma anche dalla pesantezza di quell’ombra. “Ci sono! Questo ti piacerà: Bianca Niente!” Ci fu un coro di evviva. “Nell’antica lingua verrebbe…” L’uomo si soffermò a pensare poi sogghignò, sapeva che pronunciando quel nome vi avrebbe legato il suo destino. La cerimonia del nome era qualcosa di speciale, qualcosa che rendeva una Guardia parte del gruppo, per sempre. A pronunciare il nome era un genitore, un tutore o un amico, a volte il comandante, ma Gheorghe si stava prendendo quel diritto togliendole quel poco di dignità che le rimaneva.

“Per favore, no!” Supplicò, ma vide negli occhi della Guardia che quelle parole aumentavano solo il suo godimento.

“Bianca dy Nimic! Sorgi come Guardia, vivi come Guardia e muori come Guardia!” Rise mentre le Guardie ripetevano il suo nome forgiandolo nella memoria del corpo e legandolo a lei per sempre.

Gheorghe dy Puternic! Cosa stai facendo?” Ileana entrò nel corridoio con aria furiosa, l’uomo lasciò andare Bianca che si accasciò a terra, sentiva le lacrime bruciarle gli occhi mentre quel nulla, Nimic, le entrava nella pelle.

“Nulla di importante, solo una piccola cerimonia del Nome.” Osservò i suoi compagni e allargò le braccia. “Cerimonia privata, come noterai.”

“Sei…” Ileana era rossa in volto, sembrava trattenere a stento la rabbia eppure Bianca vedeva la sua ombra tendersi verso di lei, in un tentativo di protezione. Si alzò, non voleva apparire debole e sciocca anche davanti alla ragazza.

“Non importa. Ormai è fatta. Bianca dy Nimic sia.”

Nimic?” Ileana sembrò sputare il nome in faccia a Gheorghe che ridacchiò.

“Non ti piace?”

“La pagherai, farò rapporto al comandante!”

“A mio padre?” Chiese lui ironico e alcune risatine sfuggirono al gruppo di pecore che si era portato dietro, ad un solo furente sguardo di Ileana si zittirono.

“Sì, a tuo padre. Dirò che sei entrato nella stanza di una Guardia non invitato e che, senza nessun diritto, le hai imposto il Nome. Vedremo se riderai ancora.” L’uomo strinse i denti, rendendosi conto solo in quel momento della fermezza di Ileana.

“Non oserai tanto.”

“Certo che oserò.” I due si fronteggiavano viso a viso, Bianca poteva vedere con facilità le due ombre tentare di sovrastarsi.

“Non ce ne sarà bisogno. Ileana, vorrei che non lo facessi.” Gli occhi della donna si voltarono fissandosi su di lei. Vi era delusione in quei bei occhi verdi. Delusione nel vedere una debolezza di carattere là dove aveva perdonato una debolezze del fisico.

“Ecco: ascolta l’inetta.” Disse allora Gheorghe poi fece un passo indietro e con un gesto ai suoi amici se ne andò. Bianca abbassò la testa, non riusciva a sostenere lo sguardo di Ileana e non riusciva a osservarne l’ombra che si agitava attorno ai suoi piedi come mossa dal vento o da emozioni contrastanti.

“Oh… dimenticavo…” Gheorghe si voltò e lei alzò gli occhi per guardarlo, tra le mani teneva la sua pergamena, l’aveva aperta e ora mostrò i segni arcano tracciati su di essa. “Non credo che ti servirà ancora, giusto? Ora sei nelle Guardie, niente sciocchezze da bambini per noi.”  Con deliberata lentezza la strappò in due.

“No!” Bianca fece un passo verso di lui alzando il braccio, ma il suo corpo si bloccò irrigidendosi. Gheorghe strappò la pergamena in quattro pezzi poi otto e dodici, infine la lasciò cadere a terra in piccoli coriandoli.

“Bianca…” Sentì mormorare, ma il suo corpo non rispondeva più, tutti suoi muscoli si tesero per poi rilassarsi all’improvviso. Dita leggere le sfiorarono la spalla e lei si voltò, non si era mai sentita così forte, così piena di… fame. Guardò Ileana fare un passo indietro nel vedere il suo volto e sorrise, nel farlo si ferì le labbra. Alzò le dita sfiorandosi la bocca e osservando la piccola goccia di sangue che le macchiava. Passò la lingua sui denti sentendoli aguzzi, poi sulle labbra assaporando il gusto ferroso del suo sangue. Passandosi una mano tra i capelli diventati bianchi notò per la prima volta un dettaglio, sul muro c’era la sua ombra. Bella, nitida, forte. Sorrise sentendosi completa per la prima volta in vita sua.

Ileana fece un secondo passo indietro, Bianca poteva sentire il cuore della donna batterle con forza nel petto: paura. Ispirò con il naso, conscia che non era un vero odore quello che sentiva e che la inebriava, ma volendo averne di più.

“Ileana, vieni da me…” Mormorò piano e quando vide gli occhi della donna sgranarsi e il suo corpo tendersi per fuggire afferrò la sua ombra. O meglio, inchiodò l’ombra della donna con la sua. Si morse un labbro nel vedere la ragazza tentare inutilmente di liberarsi, tanta forza, tanta agilità, tanto coraggio, erano niente davanti a lei, al suo potere. Si avvicinò lentamente, poi alzò la mano sfiorando con le dita il viso della giovane.

“Bianca!” Chiamò lei, come a volerla scuotere, ma la Bianca che aveva conosciuto non c’era più. Con deliberata lentezza avvicinò le labbra al suo collo che baciò.

“Hai un sapore inebriante…” Mormorò e poi morse. Ileana si agitò sotto di lei gemendo, ma non riuscì a liberarsi mentre lei assaggiava per la prima volta il sangue pieno di paura di una vittima.

Completamente persa il quel piacere che le inebriava i sensi, non notò Gheorghe arrivarle alle spalle. Un colpo violento la portò nel buio.

 

“Chi sei?”

“Non lo so…”

“Figlia?” Il tono proveniva da lontano eppure era estremamente vicino, sembrava sussurrarle all’orecchio.

“No.” Protestò, ma percepì il sorriso dell’essere, come una carezza che la sfiorava appena.

“Verrò da te…”

 

  
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