Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    20/01/2017    3 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Emilia, che cosa ci fai qui in giardino? Torna a studiare, non è ancora l’ora della pausa. –

- Ma, mamma, ho finito di studiare tutti i verbi deponenti e anche gli irregolari per la prossima lezione di latino, ho ripassato gli esercizi di violino, posso stare a giocare un po’ adesso? –

- No, non è ancora il momento, ritorna sui libri! Non è così che si comporta una fanciulla del tuo rango! Ruzzolarsi nel fango! Imparerai mai le buone maniere? -

- Ma io volevo solo…-

- Niente da fare. Ti concedo di stare in giardino, a patto che ti metta sotto il gazebo a leggere un libro fino all’ora di pranzo, intesi? –

- Grazie, mamma, grazie! – esclamò Emilia, baciando la guancia della madre e correndo verso le scale per rientrare a prendere un libro.

La marchesa era potuta finalmente uscire, quella mattina. Il marito si era recato in città per chissà quali affari: per mandare del tutto in rovina le finanze di famiglia, pensava Anna tra sé, impensierita dalle difficoltà economiche in cui versavano, mentre si godeva la brezza fresca di quel limpido mattino di fine estate. Tutto sembrava tranquillo, dopo il trambusto dei giorni precedenti e le strane voci in cortile che avevano impensierito la marchesa durante la precedente notte insonne. Anna passeggiava sola lungo i vialetti del cortile, come spesso le accadeva. Non era una donna mondana, non aveva mai amato la frivola compagnia delle nobildonne torinesi con cui il suo rango le imponeva di intrattenersi, almeno ogni tanto: era certamente diversa da loro, orgogliosa sì del suo titolo, del suo status, e soprattutto della sua famiglia, ma non salottiera né mondana.  

L’aria frizzante e il sole splendente invitavano la marchesa ad attardarsi tra i vialetti dei giardini, persa nei suoi pensieri e nei suoi ricordi. In particolare quel mattino le ricordava un mattino di tanti anni prima, quando aspettava fremente l’arrivo di colui che avrebbe dovuto chiedere la sua mano a suo padre: si trattava di un giovane trasognato, dagli occhi azzurri, limpidi e sinceri, e dai capelli corvini, slanciato ed elegante, dai modi gentili ma non affettati, che al tempo studiava medicina a Torino.

Erano mesi che non si vedevano, ma si scrivevano in continuazione lettere appassionate: Antonio, questo era il nome dell’aspirante medico, sarebbe tornato quell’estate nella contea per chiedere la sua mano al conte Ristori. Le rispettive famiglie avrebbero certamente dato il proprio assenso a quel matrimonio, in quanto entrambi di sangue nobile e di rango elevato: Antonio proveniva infatti da una delle casate più antiche di Piemonte, padrona di vasti terreni nel Canavese e nelle Langhe, a quel tempo ricca e potente. Il conte Ristori non avrebbe mai negato la mano di sua figlia, che ne pareva follemente innamorata, a quel giovane così titolato, anche se così stravagante. Aveva infatti certe strane idee, in merito alla società del tempo ,al rango, al rapporto con i dipendenti: non gliele aveva certo instillate suo padre, arcigno duca tutto preso dall’amministrazione dei suoi terreni, né sua madre, donna intellettuale, raffinata ed affabile ma al contempo troppo distante dalla realtà della gente comune, costretta da una malattia sempre più invalidante alle gambe a chiudersi tra le mura del suo splendido palazzo, in cui si dedicava a moderne letture e alla musica. Antonio era cresciuto divorando i testi degli illuministi francesi che la sua colta madre aveva fatto giungere da Parigi, avida com’era di novità letterarie e filosofiche. La duchessa si era procurata quei testi più per curiosità che per reale interesse, ma il suo unico figlio, ragazzo mite, studioso e schivo, ne aveva fatto la sua religione: per lui, che non amava intrattenersi con i coetanei tra battute di caccia, danze e vita di società, l’unica ragione di vita era quella di aiutare il prossimo, soprattutto se povero, derelitto ed emarginato. Così aveva preso a seguire il padre nelle sue visite alle diverse tenute sparse per il regno, ma, lungi dall’interessarsi a raccolti, rendite e riscossioni di imposte, si intratteneva con i contadini suoi dipendenti, si interessava alle loro condizioni, alla loro salute, ai loro problemi quotidiani. Quando qualcuno dei servitori stava male, di nascosto dal padre cercava una soluzione per aiutarlo, procurandogli il denaro necessario per curarsi. E fu così che decise che avrebbe studiato la medicina, sarebbe diventato medico per prendersi cura lui stesso chi ne aveva bisogno. Inutile dire che la sua decisione non risultò gradita a suo padre, che aveva già previsto per lui l’iscrizione alla regia accademia militare, nonostante il parere contrario della madre che non vedeva in quel ragazzo timido, dolce e solitario un buon militare. Alla fine riuscì a spuntarla su suo padre, si trasferì a Torino e la medicina divenne la sua unica ragione di vita, almeno fino al giorno in cui non mise piede nel palazzo dei conti Ristori, buoni amici di suo padre, in una gelida serata d’inverno…

Il dottor Ceppi fermò il suo calesse davanti all’entrata posteriore del palazzo. Era stata Elisa a mandarlo a chiamare: Angelo si era ferito nel ferrare un cavallo e lei non era riuscita a fermargli l’emorragia, così aveva pensato di rivolgersi al suo amico Antonio, senza avvisare nessuno, tantomeno la contessa Anna, poiché sapeva quanto le fosse sgradita la vista del medico. Antonio smontò dal calesse, afferrò la borsa e si diresse senza indugio verso le stanze della servitù, tuttavia, senza farlo apposta, alzando lo sguardo verso il palazzo dei Ristori, alla sua mente si affacciò per un attimo il ricordo di quel ballo di carnevale di tanti anni prima, in una fredda serata di febbraio.

Non aveva mai potuto dimenticare, ogni dettaglio era rimasto indelebile nella sua memoria. Antonio non aveva mai amato le serate mondane, tantomeno le danze e le conversazioni con le gran dame che volevano a tutti i costi presentargli le figlie; quando poteva si risparmiava queste uscite, adducendo diversi pretesti nonostante i rimproveri dei genitori. Quella sera, però, non aveva potuto esimersi. I conti Ristori, grandi amici della sua famiglia, davano un ballo per l’ultima sera di Carnevale, nella loro tenuta di Rivombrosa: si era dovuto piegare alle insistenze di suo padre, che aveva acconsentito in cambio di accordargli il permesso di far visita al suo posto ai fittavoli della loro tenuta nelle Langhe la settimana successiva. Ed eccolo lì, ben vestito, ben pettinato, elegante nei modi quanto riservato nella conversazione, se ne stava in disparte, senza dar troppa corda alle giovani che civettando con lui, cercavano di intrattenerlo con discorsi frivoli. Quand’ecco arrivare la figlia dei padroni di casa, la contessa Anna. Incedeva con passo signorile, elargendo timidi sorrisi agli invitati, salutando i presenti con rispettosi inchini ma fuggendone per lo più gli sguardi di interesse. Una volta che si fu venuta a trovare vicino a loro, la madre di Antonio le si fece incontro: - Mia carissima Anna! Come siete splendida questa sera! –

-Vi ringrazio, duchessa, vedo che anche voi sfoggiate la vostra forma migliore – rispose Anna con un inchino.

- Oh suvvia, Anna, si fa quel che si può. Ringrazio il Signore che per questa serata le mie gambe mi hanno consentito di camminare e venire qui, è sempre bello intrattenersi con la vostra famiglia, a cui siamo legati da lunga amicizia. Ma ecco, forse non vi siete riconosciuti, eravate ragazzini l’ultima volta che vi siete incontrati: questo è mio figlio Antonio – disse la duchessa, invitando Antonio ad avvicinarsi. Al giovane sembrò che gli mancasse il respiro, di fronte alla bellezza e alla grazia di Anna era restato come incantato. Le prese con delicatezza la mano inguantata e gliela baciò – Incantato – riuscì a dire con voce roca, rosso in volto, fissandola con gli occhi azzurri ancor più scintillanti. Ma subito si riscosse, si disse che doveva essere anche lei come tutte le altre, una creatura leggera, frivola e vanitosa e perciò ritrasse lo sguardo e fissò gli occhi a terra. Eppure, come per una forza magnetica, fu costretto a rialzare la testa e a fissare il suo sguardo in quello di lei, in quegli occhi scuri, tanto intensi e lucenti, che parlavano di una profondità d’animo e di una forza che mai nessuna sofferenza, mai nessun dolore sarebbe riuscito a spezzare: riflettevano il suo orgoglio, il suo rigore morale, la sua assoluta fedeltà ai propri principi, ma anche la timidezza, l’acuta sensibilità e il bisogno d’affetto che la contraddistinguevano. No, non era come nessun’altra. E, da quella serata, Antonio ebbe un’altra ragione di vita, oltre alla medicina.

 

La ferita di Angelo non era poi così grave come Elisa gli aveva prospettato, Antonio riuscì rapidamente a tamponargli l’emorragia e a risolvere la faccenda. Dopo salutato Angelo ed Elisa, afferrò la borsa con i ferri e si diresse svelto verso l’uscita: doveva al più presto tornare a casa per sincerarsi che i due feriti stessero ancora lì e che nessuno si fosse accorto della loro presenza. Uno dei due pareva molto grave e Antonio si faceva poche illusioni sulla sua guarigione, tuttavia era suo dovere morale fare qualsiasi cosa perché l’uomo si salvasse. Fuggendo le ulteriori domande di Elisa e ignorando i suoi tentativi di far conversazione, il medico si apprestava ad uscire dalla porta sul retro della tenuta, quando si imbatté nella marchesa, che rincasava in quel momento dal giardino e, per evitare che qualcuno della servitù riferisse al marito il fatto che era uscita dalla sua stanza, aveva preferito passare dal retro. Quando vide Antonio si irrigidì:

- Che ci fate qui, dottore? Non mi sembra di avervi mandato a chiamare – chiese in tono algido, muovendo nervosamente gli occhi per sfuggire lo sguardo di lui. -

- Buongiorno, Anna, no, sono stato chiamato da Elisa. Angelo si è procurato una ferita, ma non è nulla di grave – rispose Antonio, calmo

- E’ possibile che qui sia sempre l’ultima ad essere informata di quello che avviene? Ancora una volta si prendono il permesso di chiamare qualcuno senza dirmi nulla! –  così dicendo faceva trasparire tutto il suo nervosismo. Non era certo rivolta verso Elisa la sua indignazione, né verso Antonio, ma verso sé stessa, per il fatto di non riuscire neppure a guardarlo serenamente negli occhi, per non riuscire a parlargli, se non per aggredirlo. Anna  si tormentava ora le mani, ora il crocifisso che portava al collo, vagando qua e là con lo sguardo, come un cardellino in gabbia che non trova requie.   

- Scusatemi, so bene che la mia presenza non vi è gradita. Se non vi dispiace, ora tolgo il disturbo. – ribatté il dottore, senza perdere la sua serafica calma, cosa che faceva ancor più imbestialire la contessa. Così dicendo si avviò verso il calesse, si voltò e – Arrivedervi, Anna – salutò mettendosi il cappello, senza lasciare il tempo ad Anna di controbattere alcunché, lasciandola ad osservarlo mentre si allontanava.

 

 

   
 
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