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Autore: Tielyannawen    20/01/2017    1 recensioni
Caradoc Dearborn, scomparso sei mesi dopo, non abbiamo mai ritrovato il corpo…
Cosa è accaduto realmente a Caradoc Dearborn? Questa è la sua storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caradoc Dearborn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAPITOLO 2: Orizzonte


Faro di Capo Lizard, Cornovaglia - 24 giugno 1981

La luce lampeggiante del faro illuminava la notte, perdendosi tra le scure acque del mare in burrasca.
Un uomo si avvicinava a passo svelto, diretto verso la torre ovest, il punto più buio dell’intero edificio da quando quasi ottant’anni prima era stata rimossa una delle due lanterne.
«Mio buon Rosier temevo ti fossi dimenticato del nostro appuntamento».
Una voce sibilante e melliflua uscì dall’oscurità, nonostante il luogo sembrasse del tutto deserto.
«Mai mio signore», esclamò Evan Rosier, inginocchiandosi con il capo rivolto verso terra. «Ho preso la via più lunga per essere certo che nessuno mi avesse seguito».
Lentamente un’ombra strisciò verso di lui ed egli avvertì l’aria farsi sempre più gelida.
«Quanta preziosa solerzia», disse Voldemort con una risata aspra, «tuo padre sarebbe stato davvero fiero di vedere lo zelo con cui difendi la nostra causa. Ed ora dimmi, hai scovato quel lurido ficcanaso?».
Evan strinse i pugni, desiderando avere notizie migliori. «Non ancora. Di certo è stato ben istruito da Silente e da quell’Auror, Alastor Moody. Non ha usato la magia e non ha contattato né la sua famiglia né i suoi compagni. Le sue tracce si perdono nei sobborghi di Southampton, per cui ritengo che abbia lasciato il paese per entrare in clandestinità. Ma è ferito, solo e spaventato. Presto farà un errore e allora non potrà sfuggirmi. Lo troverò e il segreto sarà salvo».
Voldemort, il mago il cui nome faceva tremare le bacchette di mezza Europa, inaspettatamente sorrise. «So che non mi deluderai, hai già dimostrato la tua fedeltà in passato. In fondo dovremmo essere grati a Caradoc Dearborn: è giusto rendere omaggio ad avversari degni di questo nome. Forse è giunta l’ora di contattare la nostra piccola spia».


Oceano Atlantico - 5 luglio 1981

Codardo.
Quella parola gli rimbalzava nella mente in continuazione, notte e giorno, cullata dal rollio della nave e dal frastuono dei motori.
Codardo.
Nei momenti peggiori, quando la lucidità lo abbandonava per lasciare il posto al delirio della febbre, gli pareva di vedere Alastor Moody, in piedi di fronte a lui, con la bacchetta levata e un’espressione di disgusto dipinta sul volto.
Codardo.
I suoi amici erano morti con onore, si erano spesi per la salvezza degli ideali in cui credevano, dimostrando coraggio e tenacia. Lui invece aveva avuto paura. Paura di morire, paura di affrontare la sofferenza della fine che gli spettava. Ed era fuggito.
Codardo.
Non era degno di rappresentare la nobile casa di Godric Grifondoro, nulla in lui ricordava lo spirito di un audace cavaliere. Forse non era mai stato degno nemmeno di Hogwarts. Tutti avevano sbagliato sul suo conto, ma ormai era troppo tardi per rimediare. All’Ordine della Fenice servivano eroi. Lui invece era un codardo, buono nemmeno per morire in battaglia.
«Ehi! Dove ti sei nascosto? Non sarai morto vero? Sarebbe proprio un bell’impiccio dovermi liberare del tuo corpo senza farmi scoprire».
La voce di Ezra Seemann si fece strada nella stiva. Il pover’uomo camminava trascinando faticosamente la gamba destra ed era cieco da un occhio, eppure Caradoc gli doveva la vita. Lo aveva trovato nascosto tra le casse dopo cinque giorni di navigazione, stremato e disidratato, e da quel momento si era preso cura di lui meglio che poteva. Salvato da un Babbano, chi l’avrebbe mai detto.
Udì qualche altro passo strascicato, poi fu colpito dalla luce tremolante di una torcia. Il viso del vecchio macchinista era chino su di lui, la fronte aggrottata e una candida zazzera di capelli arruffati che gli conferiva un aspetto bislacco.
«Eccoti qui», disse aiutandolo a mettersi seduto e allungandogli una fiaschetta d’acqua. «Piccoli sorsi, mi raccomando, o vomiterai tutto quanto. Devi rimetterti in forze giovanotto, altrimenti la tua carriera come clandestino finirà prima d’essere iniziata».
Caradoc tossì e si tirò indietro, rifiutando il pane che l’altro gli offriva. Aveva la vista appannata e il dolore alla spalla era sempre meno sopportabile. Cercò di parlare e, dopo un paio di tentativi gracchianti, finalmente ci riuscì. «Forse sarebbe giusto così», mormorò, «perché non merito nulla di meglio».
Il signor Seemann bofonchiò qualche parola e gli voltò le spalle, dirigendosi ad un sudicio oblò. Provò a guardarci attraverso e, quando non ci riuscì, iniziò a strofinarlo con una manica della giacca, imperterrito, finché polvere e ragnatele non rimasero attaccate alla stoffa, permettendogli di scorgere il mare luccicante. A quel punto si girò con un largo sorriso. «Il problema dei giovani è che attraversano la vita con veemenza: amano, combattono e soffrono con passione, come se non esistessero sfumature o compromessi. Io stesso l’ho vissuto e so che c’è bellezza in tanta stoica testardaggine. Ma», aggiunse picchiettando sul vetro per indicare l’ampia distesa azzurra, «l’orizzonte è troppo vasto per perdere la speranza».


Campo del Fiume Lucente, Montana - 5 luglio 1981

Nitriti festosi la accolsero quando entrò nel recinto e subito un gruppetto di puledri le si strinse attorno, nella speranza di ricevere qualche frutto oppure una carota. I più coraggiosi spingevano i musi verso le sue tasche con golosità.
Macawi rise e li premiò con dei pezzi di mela.
Era stato un anno fortunato: quella primavera erano nati nove puledri, di cui una coppia di gemelli, un evento assai raro che era stato interpretato come simbolo di buon auspicio.
La famiglia di Macawi gestiva l’Allevamento Atwater da generazioni, curando una piccola mandria di cavalli alati di pura razza Granio, i migliori di tutto il continente americano a detta di molti: Dardi Argentati li chiamavano, dal manto lucente e veloci come il vento. Era un lavoro duro, che richiedeva pazienza e non poche rinunce, ma l’amore per gli animali e la natura scorreva impetuoso nel loro sangue. D'altronde erano Lakota.
La giovane si sedette sulla staccionata, scaldandosi sotto i raggi del sole estivo. Il ricordo delle cupe parole di Nonna Ka non si era ancora allontanato, anche se cercava di soffocarlo buttandosi a capofitto nello studio e nel lavoro. Aveva fatto alcune ricerche, ma non aveva trovato particolari riferimenti a falchi o allodole nei suoi libri; quanto al marchio, ne esistevano semplicemente troppi. Forse la biblioteca di Ilvermorny l’avrebbe aiutata a scovare qualche risposta. Parlarne in casa era del tutto fuori questione: gli uomini della sua famiglia erano già abbastanza protettivi nei suoi confronti e una profezia così enigmatica non poteva che peggiorare la situazione.
Uno sbuffo l’avvertì che non era più sola e vedendo due cavallini che trotterellavano verso di lei non tardò a riconoscerli. Erano i gemelli, Tifone e Tornado, e mai nomi si erano dimostrati più azzeccati. Ovunque fossero creavano scompiglio. A quanto pareva avevano trovato un pezzo di corda, che ora si contendevano saltando e agitando le ali, finché non finirono entrambi zampe all’aria in una nuvola di polvere e lei dovette aiutarli a rimettersi in piedi.
«Il tuo aiuto ci farebbe comodo in autunno».
Suo padre la guardava dallo steccato, serio e austero come lo ricordava fin dall’infanzia. «Potresti anche non frequentare il settimo anno. In fondo non hai bisogno di un diploma per lavorare qui, sei già una strega abile e puoi imparare ciò che non sai da me o dai tuoi fratelli».
Con un sospiro Macawi si rialzò. Sospettava da tempo che glielo avrebbe chiesto, ma non era ancora pronta a dargli una risposta. O forse non era ancora pronta a rinunciare alla libertà. «Ti prometto che ci penserò Ate», mormorò infine, gli occhi fissi sul fiume che brillava all’orizzonte.


Sede Segreta dell’Ordine della Fenice, Inghilterra - 14 luglio 1981

La porta si aprì delicatamente, rivelando una piccola stanza illuminata dal sole.
Fabian si voltò verso suo fratello Gideon, che gli rivolse un lieve cenno d’assenso. Senza permettersi troppi ripensamenti, i due gemelli entrarono e subito richiusero l’uscio dietro di loro, restando immobili, spalla contro spalla, in attesa.
Davanti alla finestra spalancata sedeva una giovane donna vestita di verde, con la schiena ritta e le mani strette in grembo. I lunghi capelli corvini erano chiusi in una treccia elegante che le ricadeva lungo la schiena e il viso affilato era ostinatamente rivolto alle vivaci campagne all’orizzonte. Era bella, chiunque l’avrebbe detto, ma di una bellezza dura, che si rifletteva nel ghiaccio severo dei suoi occhi grigi.
«Non lo avete cercato abbastanza», disse all’improvviso.
«Dorcas…», iniziò Gideon esitante, «Dorcas devi uscire. Non puoi restare ancora rintanata qui».
«Non lo avete cercato abbastanza», ripeté lei, senza alcuna traccia d’emozione nella voce, quasi stesse parlando con se stessa.
Fabian fece un passo avanti, facendo scricchiolare alcune assi del pavimento. «Dorcas, sai anche tu che non è vero. Non abbiamo lasciato nulla di intentato per un mese intero, ma non c’è alcuna traccia di lui, niente a cui potersi aggrappare».
I vetri tintinnarono leggermente, come scossi da una forza invisibile.
«Potrebbe essere ovunque. Ferito o imprigionato, persino sotto tortura nelle mani di quei folli. E la vostra vile decisione è di sospendere le ricerche», sibilò la giovane.
Gideon soffocò un gemito, ma Fabian si avvicinò ancora, posando una mano sul bracciolo della poltrona. Era stanco di quella guerra, che aveva oscurato i volti dei suoi amici e spezzato troppe vite. «Non meritiamo simili accuse, ma comprendo che è il dolore a parlare al posto tuo. Sei una strega eccezionale e conosci la verità, anche se non vuoi accettarla. Se fosse ancora vivo, Caradoc avrebbe trovato il modo per contattarci. Era il migliore tra noi e questo silenzio è il suo ultimo messaggio».
«Lui non ci avrebbe mai abbandonato!», gridò Dorcas alzandosi in piedi e fronteggiando Fabian con la bacchetta in pugno. Aveva lo sguardo infuocato e le guance paonazze rigate dalle lacrime. Alle sue spalle i vetri tremarono ed esplosero in uno stridio straziante, disperdendosi in migliaia di schegge che i due gemelli tramutarono prontamente in una pioggia di sabbia.
Dorcas fissò i granelli che mulinavano attorno a lei, poi si accasciò e fu sorretta dalle braccia di Gideon prima che toccasse terra. «Lo abbiamo lasciato solo», balbettò, incapace di trattenere il pianto.
Il ragazzo la tenne stretta, cullandola e accarezzandole i capelli con dolcezza. «Non temere, noi resteremo al tuo fianco. Non sarai mai sola».






NOTE:
* Date. Non so quanto durassero i viaggi di trasporto merci transoceanici negli anni Ottanta, perciò ho deciso che la traversata di Caradoc sarà lunga 40 giorni; mi è sembrato un lasso di tempo verosimile.
* Luoghi. Il faro di Capo Lizard fu costruito nel 1752 e si trova nella regione più meridionale della Gran Bretagna; il tratto di mare ad esso antistante è particolarmente pericoloso per la navigazione e anticamente era conosciuto come “Cimitero delle imbarcazioni”.
* Il nome Ezra in Ebraico significa “aiuto”, mentre il cognome Seemann è di origine germanica e in Tedesco significa “marinaio”.
* I cavalli alati di razza Granio sono grigi e particolarmente veloci; date queste caratteristiche, mi è venuta l’idea di soprannominarli Dardi Argentati.
* Nonostante la storia sia incentrata sulla figura di Caradoc Dearborn, nel corso della vicenda compariranno anche altri personaggi secondari, appartenenti ad entrambi gli schieramenti. Evan Rosier, i gemelli Prewett e Dorcas Meadowes ne sono un esempio; ho scelto personaggi poco noti perché mi permettono di lavorare di più con la fantasia, ma cercherò comunque di attenermi a quanto viene scritto nei libri.

   
 
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