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Autore: carlottad87    11/02/2017    1 recensioni
Sullo sfondo di una Bologna segnata da una serie di omicidi di irrisolti, Teodora scopre dentro di sè un potere unico che le aprirà le porte di un mondo completamente nuovo e fantastico, ma anche pericoloso e fatto di violenza.
Teodora, giovane universitaria ventenne, imparerà presto che tutto quello che ha sempre saputo su sé stessa non è altro che una bugia e che dovrà trovare il coraggio di portare a termine il compito che una forza superiore le ha affidato.
L'amore impossibile per un uomo tanto più grande di lei, così attraente e al tempo stesso così spaventoso, sarà l'unico mezzo per scoprire sé stessa o non farà che allontanarla dal suo destino?
"Il terzo cadavere che la donna vedeva in vita sua, dopo quello di suo nonno morto per un cancro al colon e di suo marito che aveva avuto un infarto qualche anno prima, le sembrò molto più spaventoso dei primi due. La ragazza, che dimostrava poco più di vent’anni, non aveva addosso la bruttezza della malattia, del dolore e della vecchiaia; la sua vita era stata spezzata senza preavviso, e la sua bellezza era abominevole e contro natura."
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2.
 
Le due amiche camminavano tranquille per Via Indipendenza, Marta voleva un nuovo paio di jeans e Teodora guardava distrattamente le vetrine senza un idea chiara di cosa comprare.
Teodora si era fatta convincere che aveva assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo nel suo guardaroba, e che se si sentiva tanto giù di morale in quel periodo fare shopping avrebbe di certo aiutato.
La ragazza dubitava caldamente che comprare vestiti avrebbe migliorato la situazione, si sarebbe solo vista goffa e grassa con un vestito che non le stava bene, nello specchio di un negozio invece che in quello di casa sua.
Non si era levata di dosso il malumore dal litigio con la zia del giorno prima, provava a non pensarci ed era sicura che uscire con Marta per lo meno l’avrebbe distratta.
“Ieri ha chiamato mio padre …” sospirò Teodora con tono rassegnato “ed io e la tata abbiamo finito per litigare”
Marta la guardò sollevando un sopracciglio e contraendo un po’ le labbra. A Marta non piaceva per niente il padre di Teodora e, pur non avendolo mai visto, provava per lui il risentimento genuino di chi odia veder soffrire periodicamente la propria migliore amica.
“Che cosa voleva?”
Teodora si strinse nelle spalle.
“A dire il vero io non ci ho parlato, ha chiamato mia zia per chiederle come stavo e se avevo bisogno di soldi. Come se io non avessi un cellulare…”
“tesoro mi dispiace, ma dovresti aspettartelo, non è la prima volta…”
Marta non si preoccupava di risultare dura con l’amica, il loro rapporto era talmente forte da poter essere totalmente oneste l’una con l’altra.
“Già, è la stessa cosa che ha detto mia zia …”
Il viso della ragazza si rabbuiò di colpo, Marta se ne rese conto e con un braccio le strinse la vita e le diede un rumoroso bacio sulla guancia.
“Dai lascia stare, è la cosa più normale del mondo che tu sia arrabbiata, devi solo imparare a farti scivolare le cose addosso,,,”
Teo sospirò sconsolata .
“ Lo so, ma è difficile, tutte le volte che chiama mi sento male per giorni, sono così arrabbiata con lui…”
“Appunto per questo dovresti far finta di niente, chi se ne importa se è uno stronzo!”         
Si strinse nelle spalle senza perdere però l’aria seria che aveva negli occhi.
“Fidati Teddi, è solo una persona, che sia tuo padre non fa differenza …”
Marta era l’unica che ancora la chiamava in quel modo, ricordava che un tempo l’avevano fatto sua madre e anche sua zia, l’amica però non lo sapeva e a Teodora non dispiaceva sentirglielo dire. Quella parola le dava sempre una bella sensazione.
“Dai andiamo da Zara, ho assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo!”
Teodora sorrise e si perse con l’amica nei pois della collezione primavera-estate, decisamente deliziosi.
Il caldo del locale faceva contrasto con l'aria pungente della strada, ma dopo poco era piacevole potersi togliere il cappotto.
Il negozio era pieno di persone, soprattutto giovani donne, qualche coppietta, ma per lo più tante ragazze con le proprie madri.
Teo faceva spesso compere con sua zia oltre che con Marta e con le altre loro amiche, e, senza una ragione, in quel momento si chiese se farlo con sua madre sarebbe stato diverso. Come si sarebbe sentita se fosse stata lei ad accompagnarla e a darle consigli? Si sentì a disagio e le venne voglia di tornarsene a casa.
“Tesoro, andiamo al secondo piano che qui ci sono solo vestiti da quarantenne?"
Marta si mise in testa che voleva farla felice ed una cosa in cui era davvero brava era scegliere vestiti, afferrò due paia di jeans, tre gonne e due top, convinta che avrebbe finalmente trovato qualcosa che all’amica  sarebbe stato alla perfezione.
Teo temeva che l’altra l’avrebbe costretta come tutte le volte a sfilare per lei, imitando le movenze delle modelle professioniste, o “grucce con le gambe” come amava definirle.
Quella di solito era la parte migliore e divertente delle loro incursioni di shopping pomeridiano, quel giorno però non si sentiva tanto in vena di divertirsi.
Si stava dirigendo verso i camerini quando una piccola scintilla rossa riflessa su uno specchio alla sua destra attirò la sua attenzione.
Si voltò istintivamente e vide che a venti centimetri dalla testa di una ragazza che teneva in mano un paio di jeans color melanzana, svolazzava una piccola farfalla rosso fuoco, uguale a quella che aveva già visto in Archiginnasio il giorno prima.
La donna parlava in maniera concitata al cellulare e sembrava non essersi accorta dell'animale, che invece pareva seguirla in ogni suo movimento.
“Lo so che cosa ha detto! Ma no credo proprio che la situazione cambi a starcene rintanate in casa, dobbiamo fare qualcosa!”
Teodora la guardava incantata, il suo modo di camminare e di muoversi pareva quello di una ballerina classica su un palcoscenico che solo lei poteva vedere.
Le sue gambe erano lunghe e slanciate, il viso, incorniciato da capelli corti di un rosso acceso, era incredibilmente armonioso, dai tratti proporzionati e perfetti.
“dille che non mi importa… non ho voglia di discutere. Questa volta non ho intenzione di cedere a compromessi” diceva lei al telefono, regolando il tono della voce in modo che le persone che aveva intorno non sentissero.
La farfalla intanto non si allontanava da lei, e le era talmente vicina da confondersi a tratti con il colore dei suoi capelli: nel momento i cui le volò vicino all’orecchio destro la ragazza si girò e increspando le labbra la soffiò via.
Teodora era sbalordita. Non era l’unica a vederla, almeno non stava impazzendo.
I loro sguardi si incrociarono. La donna strinse gli occhi, aggrottò le sopracciglia e la guardò per qualche secondo. Tutt’attorno il mondo rallentò il suo corso e le voci divennero ovattate.
La ragazza si voltò di scatto, posò i jeans sullo scaffale più vicino e scese le scale di corsa scomparendo dalla sua vista.
Teodora si avvicinò alla rampa e guardò giù, ma lei era già sparita. Rimase li, col le mani appoggiate alla balaustra, per quasi un minuto. Poi si sentì tirare il braccio con forza.
“Allora vuoi collaborare? O devo fare tutta la fatica da sola?”
La sgridò Marta con tono scherzosamente irritato.
“Scusa... solo mi era parso di vedere qualcuno che conoscevo..”
“Chi? Qualcuno che era a scuola con noi?” anche Marta si sporse guardando verso il piano di sotto
“No, solo un amica di mia zia, nessuno di importante”                                                                             si inventò lei, poi, sorridendo, prese parte della montagna di vestiti che l’amica aveva scelto per lei
“Allora? Che cosa mi hai preso?”
“Beh ho pensato che hai pochissima roba da metterti quando usciamo la sera, quindi questi due vestitini mi sembrano adattissimi, questi jeans invece li metti con questo paio di tacchi”
Rispose lei mostrandole tutta orgogliosa un paio di scarpe col tacco nere, forse un pò troppo alte per Teodora, ma che secondo lei erano comode da indossare per via della zeppa. Teodora non ne era affatto convinta ma decise di non controbattere.
“poi ti ho preso questi due top, quello bordeaux secondo me sta benissimo col colore dei tuoi capelli e questo a fiori e carinissimo, vero?”
Teo guardò sopraffatta la montagna di vestiti che avrebbe dovuto provarsi, ma poi pensò che effettivamente aveva bisogno di qualcosa per le loro serate fuori e, armandosi di coraggio, si diresse con l’amica verso i camerini.
Dopo dieci minuti di tentativi falliti, i Jeans erano troppo lunghi e il primo dei vestiti le stava larghissimo all’altezza del seno, Teo si fermò a guardarsi nello specchio confusa.
Il secondo vestito, viola prugna con i brodi in pizzo crema, le stava benissimo.
Non sapeva se fosse per la luce dei camerini o per lo specchio che magari smagriva un po’, i titolari dei negozi ne mettevano spesso aveva sentito dire, ma si vide davvero bella.
Le sembrò di essere più magra del solito, i capelli più gonfi e luminosi, le labbra più grandi e dalla forma più definita.
Marta apri la tenda velocemente
“Allora? Questo come ti sta?” poi sorrise, leggermente stupita.
“E’ perfetto! Dio mio ti fa magrissima! Il colore poi è stupendo”
Teo si osservava interdetta, c’era davvero qualcosa di strano ma non capiva cosa.
Sospirò e decise che a caval donato non si guarda in bocca.
Quel pomeriggio i suoi risparmi subirono una repentina battuta d’arresto, perché sull’onda della sensazione che le aveva dato sentirsi così bella in quel vestito lo comprò, insieme ai due top, quello a fiori era sul serio adorabile, e alle scarpe col tacco.
 
Teodora parcheggiò la vespa verde mela all’inizio di via Zamboni, si tolse il casco e chiamò Marta.
Si erano messe d’accordo per incontrarsi alle panchine vicino alle torri, quelle di fianco alla libreria.
“Ehi dove sei? Pensavo di essere io quella in ritardo” esordì.
“Scusa! Non ti incazzare, ero con Alex e ho perso la cognizione del tempo, sarò li fra esattamente sette minuti, recupero le chiavi della macchina e arrivo”
Teodora sorrise della strana abitudine dell’amica di dare orari così peculiarmente precisi, dieci minuti sembrano troppi, cinque troppo pochi, quindi lei pensava fosse meglio arrotondare.
“Tranquilla, intanto scelgo un posto e ti mando un messaggio per dirti dove sono.”
Rispose, sicura per esperienza che i sette minuti probabilmente sarebbero stati ventisette, ottimisticamente parlando.
“Ok perfetto, io parcheggio in piazza Aldrovandi, tu la susy l’hai lasciata alle torri?”
Susy era il nome della vespa, compagna fedele della sua adolescenza.
“Si, poi al massimo al ritorno mi ci riaccompagni in macchina?”
“Certo figurati, ora, trovo le chiavi, recupero la borsa, mi sistemo il trucco e sono da te ok? Sette minuti esatti!”
Marta riattaccò e Teodora si avviò per via Zamboni. Indossava il top a fiori che aveva comprato quel pomeriggio, stretto sotto il seno e leggermente trasparente scendeva lungo e leggero, si sentiva carina ed era contenta.
Marta aveva categoricamente deciso che l’avrebbe portata fuori e che, terminando l’opera cominciata quel pomeriggio, l’avrebbe fatta divertire, e se questo significava farla ubriacare fino a star male, beh lei di certo non glielo avrebbe impedito.
Teodora scese per via Zamboni e poi svoltò a sinistra in via Marsala, faceva freddo e camminava veloce per scaldarsi. Le piaceva quella via, era tranquilla e c’erano vari locali molto frequentati.
Entrò in un pub dove lei e le sue amiche andavano spesso, il Green Lion, entrò e, felice per il radicale cambio di temperatura, si diresse direttamente al bancone e si sedette su uno degli alti sgabelli che vi si trovavano difronte. Cercò il cellulare nella borsa nera che aveva appoggiato su uno sgabello vicino, per tenerlo occupato per Marta, e le scrisse un messaggio dicendole dove si trovava.                                                                                                                                  
Dopo qualche minuto in cui giocherellò distrattamente con il telefono, Teodora cominciò a sentire una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando. A disagio cominciò a intrecciarsi tra le dita una ciocca di capelli che era sfuggita all'elastico.
I capelli erano l'unica cosa che realmente le piacevano del suo aspetto fisico: tanto lunghi da coprirle quasi tutta la schiena e molto folti, sembrava che un pittore si fosse divertito a usare tutte le tonalità di marrone che aveva per colorarli.
Erano i capelli di sua madre ed era forse anche per questo che le piacevano tanto.
Teodora si guardò attorno per assicurarsi che fosse solo una sua fantasia.
Notò che il pub era più affollato di quanto non le fosse parso entrando; un gruppo di uomini sulla trentina ridevano e commentavano rumorosamente una partita di calcio in TV, mentre il tavolo alla loro destra era occupato da tre coppie di anziani signori che giocavano a carte.
Sul divanetto in fondo alla sala rettangolare una coppia di liceali si scambiava baci sulle labbra e le guance, la maggior parte delle persone però si accalcava al bancone per ordinare da bere.
Un grande specchio poggiato alle spalle del barista rifletteva ogni suo movimento, l’uomo, nonostante la corporatura tozza e sgraziata, serviva i clienti in maniera rapida ed efficace.
Teodora stava controllando per la terza volta il cellulare, chiedendosi come mai Marta ci stesse mettendo tanto, quando non poté fare a meno di notare l'immagine di un uomo riflesso nello specchio.
Era un ragazzo seduto da solo al tavolo più vicino all'uscita, il suo viso era in parte in ombra in parte illuminato dalla luce del televisore.
La cosa che più la impressionò furono i suoi occhi, talmente neri da non distinguere l'iride dalla pupilla, e per un momento Teodora sentì una strana stretta allo stomaco.
Una massa di capelli ondulati color castano scuro incorniciava un viso dai lineamenti forti e maschili. La sua pelle era estremamente chiara, forse a causa della luce azzurrognola del televisore, pensò lei.
Le labbra erano sottili e ben definite, le sopracciglia nere e folte gli davano un’aria molto latina, e il naso, non perfetto come il resto del viso, rendeva il suo volto ancor più affascinante.
Era giovane, ma non nello stesso modo in cui lo era lei, Teodora valutò che avesse tra i trenta e i trentacinque anni, era un uomo e guardarlo le dava una strana sensazione.
La ragazza realizzò da subito che non aveva mai visto nulla che la attraesse così tanto.
L’atmosfera intorno a lei era calda e in qualche modo rilassante, Teodora si accoccolò tranquilla sulla sedia e ordinò un bicchiere di vino rosso.
Si chiese se lui stesse aspettando la fidanzata o se invece solo un amico, senza saperne la ragione però, scopri che la prima alternativa le lasciava una strana e pungente sensazione alla bocca dello stomaco.
Teneva davanti a se un bicchiere di birra che non aveva ancora cominciato, la schiuma si era già consumata ma lui non sembrava decidersi a berla.
Aveva le mani grandi e le dita molto lunghe, senza volerlo Teodora si guardo le sue, proporzionate si, ma davvero troppo piccole, poco più grandi di quelle di un bambino.
Ad interrompere lo stato di torpore nel quale si trovava furono due ragazzi: entrambi abbastanza bassi e tarchiati, portavano i capelli corti e un ghigno beffardo sul viso.
Si avvicinarono a lei e cominciarono a fare apprezzamenti poco garbati a bassa voce, per evitare che chi si trovava al bancone potesse sentire; dall'accento si capiva che i due non erano di Bologna.
Teodora non sapeva bene cosa rispondere ai due che continuavano ad importunarla, chiedendole cosa ci faceva tutta sola e se potevano offrirle qualcosa da bere.
Non era mai stata brava a gestire situazioni del genere, e l'unica cosa che poté fare fu quella di abbassare gli occhi verso le sue mani che poggiavano sul bancone e, senza dire una parola, voltarsi dall'altra parte, maledicendo Marta che tardava tanto a chiamare.
I due ragazzi sembravano invece molto divertiti dall'imbarazzo di Teodora, fecero qualche battuta che lei non riuscì a capire e poi uno dei due le girò attorno, piantandosi proprio davanti a lei.
Da quella distanza poteva sentire l'odore eccessivo di alcool che emanavano, che si intensificava ogni volta che parlavano o ridevano.
Teodora iniziava a preoccuparsi seriamente, quando quello che si era mosso poggiò la mano sulla sua, avvicinò il viso e disse: "Eddai, non fare la difficile e vieni a sederti con noi!"
Non poteva credere a quello che stava succedendo, si sentì le guance diventare bollenti cercando però in tutti i modi di tenerlo nascosto; sempre con lo sguardo basso si alzò velocemente dalla sedia, recuperò le sue cose e si diresse a passo spedito verso l'uscita, sentendo i due che continuavano a ridere dietro di lei.
Passando davanti al tavolo dove sapeva che era seduto il ragazzo dagli occhi neri, vi lanciò uno sguardo rapido, scoprendo però che lui non c'era più e che probabilmente era andato via in quei cinque minuti.
Fuori dal locale l'aria era fredda e pungente, piccole nuvolette di vapore bianco le si formavano ritmicamente davanti alle labbra. Teodora sentiva che il cuore le batteva forte in petto, si appoggiò con la schiena a una colonna e fece due respiri profondi che la tranquillizzarono.
L'unica cosa che voleva adesso era trovare Marta, cambiare locale e recuperare la serata.
Stava cercando il cellulare nella borsa, quando sentì alle sue spalle la porta del locale che si apriva; istintivamente si voltò e vide i due ragazzi di prima che uscivano e la cercavano con lo sguardo.
Birra in mano, si avvicinarono a lei a passo spedito, adesso non sorridevano più, ma sembravano quasi arrabbiati, uno dei due le strinse il braccio tanto da farle male.
Teodora notò con terrore che la strada intorno a loro era stranamente deserta, non riusciva a prendere il telefono perché lui le impediva di muoversi e in quel momento fu presa definitivamente dal panico.
Lui, che sapeva quello che passava per la mente di lei, la guardò dritta negli occhi già lucidi e sussurrò: "Sfortunatamente per te non c’è nessuno, quindi è inutile che ti opponi. Perché non vieni via con noi? Vedrai che ci divertiamo."
A quelle parole le si strinse lo stomaco e le venne la nausea, avrebbe voluto urlare, ma era come se la paura le fermasse tutte le parole in gola. Cominciò a tremare come una foglia.
Si girò di scatto e iniziò a strattonare con tutte le sue forze il braccio che il ragazzo le teneva bloccato, puntò i piedi a terra e si sbilanciò in avanti in modo da liberarsi dalla sua presa.
Un urlo strozzato dietro di loro congelò i movimenti dei due.
Quasi contemporaneamente sentirono il rumore ovattato di qualcosa che veniva sbattuto contro una parete e poi cadeva rovinosamente a terra.
Teodora e il ragazzo si voltarono mentre lui la teneva ancora immobilizzata, il suo amico si
rotolava a terra stringendosi il naso con le mani, dalle fessure tra le dita colava sangue scuro. Sopra di lui, in piedi, immobile, c'era il ragazzo dagli occhi neri: teneva i pugni chiusi e le gambe leggermente divaricate.
Lentamente si girò verso Teodora, lo sguardo fisso sulla mano dell’altro uomo sempre ferma sul suo braccio. Dai suoi occhi traspariva una forza spaventosa ed il silenzio irreale era interrotto solo dai lamenti del ferito. Teodora si accorse che sorrideva, come se fosse estremamente divertito da quello che stava succedendo.
Quello dei due che stringeva Teodora la liberò all’improvviso, corse verso il compagno a terra e lo rimise in piedi a fatica.
“Che cazzo fai stronzo?!”
Il ragazzo sorrideva con gli occhi sgranati, più del normale “Vattene”
C’era una tale convinzione nella sua voce e il tono era talmente perentorio che i due, senza mai dargli le spalle, cominciarono ad indietreggiare.
“Io ti denuncio pezzo di merda!” gli urlò quello che era stato colpito ma, nonostante la minaccia, il ragazzo non si scompose e non cambiò espressione.
“Levatevi dai piedi” continuò, e poi, con un movimento talmente rapido che Teodora fece fatica a seguire, afferrò il bavero del ragazzo che prima la teneva ferma.
“Vi conviene andarvene, o mi divertirò a farvi male.”
Mentre lo diceva continuava a sorridere, e Teodora senti un brivido salirle inaspettato lungo la schiena.
La ragazza si ritrovò a pensare, dimenticandosi per qualche istante della situazione in cui si trovava, che non somigliava né a un uomo né ad un ragazzo.
Tutto di lui, dalla posizione del corpo allo sguardo, era inquietante. Senza sapere perché ricordò la definizione di “sublime” che la sua insegnante di arte del liceo le aveva dato: qualcosa di spaventoso e meraviglioso insieme.
I due, evidentemente presi dal panico, senza farselo ripetere un'altra volta girarono i tacchi e fuggirono nella direzione opposta a quella del pub, verso Via Indipendeza.
Teodora, mentre ancora si riprendeva dallo shock, con una parte della sua testa che si stava lentamente rendendo conto che forse aveva rischiato lo stupro, si ritrovò a di fissare senza parole colui che l’aveva appena salvata.
Prima nel locale non aveva notato quanto fosse alto, forse più di un metro e novanta,
la sua pelle era talmente chiara che dava vita ad un curioso contrasto con il nero profondo dei suoi occhi. Non indossava la giacca ma non sembrava soffrire il freddo in quella sera di fine marzo, in cui le temperature erano ancora troppo basse.
“Grazie” balbettò con voce roca, provando a nascondere le sue mani che non la smettevano di tremare.
Lui finalmente si girò verso di lei e per qualche secondo la squadrò da capo a piedi con una strana espressione sul viso. Le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte lo facevano sembrare stranamente nervoso. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, il suo viso si rilassò e lui le rispose con una voce profonda ma estremamente fredda.
“Di niente”
Teodora cominciava a sentirsi a disagio, voleva ringraziarlo di più per quello che aveva fatto ma non sapeva come comportarsi.
“Se non fossi arrivato tu no so che cosa sarebbe successo, grazie davvero…”
“La prossima volta vedi di non cacciarti in una situazione del genere”
Rispose lui tagliente, poi sorrise un’altra volta nella maniera strana di poco prima e si passò una mano tra i capelli che gli coprivano la fronte. Si voltò e se ne andò senza dire altro, nella stessa direzione che avevano preso gli altri due.
Lei fissò l’angolo dove lui era scomparso per quasi un minuto, con la mente completamente svuotata e senza capire del tutto quello che le era appena successo.
Decise di ritornare al locale dove presumibilmente Marta sarebbe arrivata a minuti, voleva raccontarle tutto, sfogarsi, forse piangere e soprattutto farsi portare a casa. Le avrebbe chiesto di rimanere da lei a dormire e si sarebbe dimenticata il prima possibile di quella brutta avventura. Mentre si ripeteva che tutto sarebbe andato bene e che in fin dei conti non era successo nulla di grave, si rese conto di qualcosa che prima non aveva notato. Una lunga strisciata di sangue luccicava ancora fresca sulla parete, alla luce del lampione, e Teo rivide nella sua mente il ragazzo che veniva colpito ed urlava di dolore.
Marta la trovò dopo poco, chinata dietro ad una colonna mentre vomitava la sua cena e calde lacrime le segnavano le guance.
 
Qualche ora dopo Teodora si alzò senza far rumore, Marta dormiva tranquilla alla sua sinistra e lei non voleva svegliarla. Le aveva raccontato che cosa le era successo quella sera e lei aveva insistito per fermarsi a dormire, senza che lei glielo chiedesse.
Si infilò la felpa azzurra di Paul Frank che l’amica le aveva regalato l’estate precedente, per il suo compleanno, e si avvicinò alla finestra.
Non c’erano più nuvole e le stelle brillavano vivaci, nel cielo sgombro di quei primi giorni di
primavera. Teo respirò a fondo e sentì i polmoni riempirsi dell’acre odore di smog della via inquinata e pensò che, per quanto potesse amare vivere in città, in quel momento avrebbe preferito di gran lunga trovarsi in aperta campagna.
Il gatto grigio era li anche quella notte, tranquillamente acciambellato su uno dei rami più alti dell’albero di fronte al suo balcone.
I due si guardarono per alcuni secondi, poi lui miagolò, inarcò la schiena e si stirò, affondando le unghie nel legno dell’albero. Con un piccolo balzo, saltò su un ramo più in basso, poi su un altro ancora, fino a che non si ritrovò in strada e corse via.
Teodora si chiese che cosa avesse fatto di male per meritarsi tutte quelle stranezze in una volta sola. Sbuffò e decise che per quel giorno ne aveva avuto davvero abbastanza, si girò e tornò a letto. Si tirò le coperte fin sopra la testa e si strinse il più possibile a Marta, che russava leggermente.
Ripensò al ragazzo che l’aveva aiutata, al suo viso e a come stranamente non sembrasse soffrire il freddo, dato che quella sera non c’erano nemmeno dieci gradi e lui indossava solo una t-shirt.
Teodora si chiese perché quando lei aveva provato a ringraziarlo avesse reagito in maniera così scostante, quasi come se fosse arrabbiato con lei che si era cacciata in quella situazione.
Le tornarono in mente i suoi occhi, di un colore così scuro e profondo che non aveva mai visto su nessuno.
Qualcosa nella stanza si mosse.
Un rumore leggero, ritmico, si faceva sempre più nitido da dietro la sua scrivania.
Teodora si sentì sprofondare nel materasso del letto mentre il cuore le batteva rumorosamente in gola, come se nessuna parte del suo corpo potesse più muoversi e tutto fosse focalizzato su quello che stava succedendo nella sua camera.
Qualcuno o qualcosa stava spostando la sua sedia di plastica bianca, quella con le ruote.
Teo si rese chiaramente conto che si stava avvicinando, e che ormai si trovava di fronte al letto, dalla parte in cui dormiva lei.
Quasi involontariamente smise di respirare, concentrò tutta la sua attenzione su quello che si muoveva al di là del piumone, intorno a lei.
Teodora si accorse con estremo terrore che qualcuno, che con certezza non era Marta, emetteva lunghi e irregolari respiri che somigliavano a rantoli dolorosi.
Il corpo della ragazza si mosse quasi senza il suo controllo, e con un coraggio che non avrebbe mai creduto di avere si tolse di scatto le coperte da davanti al viso.
Un ombra dalle fattezze umane sedeva sulla sua poltroncina, Teo non riusciva a distinguerne il viso e non capiva se fosse maschio o femmina.
D’istinto cercò Marta con la mano, senza però voltarsi e dare le spalle a qualunque cosa le si fosse seduta vicino. Provò a svegliarla strattonandole il braccio ma l’amica non si muoveva e Teodora decise allora di accendere la lampada, non troppo sicura di voler scoprire chi aveva davanti ma con il bisogno di porre fine a quella situazione da incubo.
Spinse l’interruttore dell’abat-jour che teneva sul comodino e una debole luce arancione si diffuse per tutta la stanza.
Sua madre la guardava con un espressione serena negli occhi.
Seduta con le gambe leggermente divaricate, aveva lasciato cadere le braccia ai lati della poltroncina come se non avesse le forze per muoverli.
Indossava quella che probabilmente era stata una camicia da notte bianca che, ora, oltre ad essere strappata in molti punti, aveva preso uno strano colore rosato.
Dal collo e le spalle fino alla scollatura del vestito la donna era talmente ricoperta dal suo sangue che la figlia a fatica riuscì a capire che questo sgorgava dal taglio profondo che aveva sulla gola.
Dai polsi ne gocciolava piano dell’altro, cadendo ovattato sul tappeto cobalto, dove veniva lentamente assorbito.
La ragazza senti un aspro sapore di vomito in bocca, la paura le impediva qualsiasi tipo di reazione e movimento.
“Mi sei mancata” disse l’altra Teodora “sono felice che tu finalmente mi veda.”
Alzò la mano destra con lentezza e le accarezzò la guancia. Teodora si senti sporcare del sangue di sua madre e l’ondata di nausea che provò fu quasi soffocante: voleva spostarsi, mandarla via, ma non ci riusciva.
“Devi diventare forte, bambina” continuò la donna “il nostro è un sangue cattivo, non è colpa tua.”
Teodora non era ancora riuscita a riprendersi dallo shock dell’apparizione di sua madre e non riusciva a focalizzarsi sulle sue parole e sul loro significato.
“Io ho visto, Lei mi ha parlato, tutto questo deve finire e tu sarai l’ultima di noi.”
La madre si puntellò con le mani sui braccioli della sedia e si sporse faticosamente in avanti per darle un bacio sulla fronte. Il liquido rosso zampillò dal taglio e lei se lo senti colare sul petto e sul pigiama; era denso, caldo ed emanava un forte odore di rame.
“Mi dispiace che le cose debbano andare in questo modo, ma non si può fare altrimenti.”
Teodora si svegliò di soprassalto. Aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore.
Rimase per quasi cinque minuti a fissare la poltrona che non si era spostata dal suo posto e le sue mani e i suoi vestiti che da macchiati di sangue erano tornati perfettamente puliti.
Non poté evitare di mettersi a piangere.
 
 
 
   
 
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