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Autore: lady igraine    12/02/2017    0 recensioni
Le Terre di Confine, dopo la Caduta del Regno di Neanna, da duecento anni sono governate dal Conclave, una misteriosa congrega di Maghi che stringe nelle proprie mani il destino dei Regni indipendenti.
Ma quando un incubo antico, quello che ormai è solo un racconto per spaventare i bambini, riemerge dall’oscurità, ogni equilibrio è destinato a spezzarsi.
E Sianna, cresciuta nella sicurezza della sua valle isolata, protetta da presenze rassicuranti che la seguono fin dall’infanzia, è l’inizio di quella crepa che incrinerà il suo mondo, e ne ignora la ragione.
Eppure è lei che La Morte sta cercando e, per sopravvivere, Sianna deve presto fare i conti con un passato più complesso di quanto possa anche solo immaginare.
***
«Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA

 

RICORDI PARTE PRIMA

 

 

«Kii ti prego, mi squarti la schiena se continui così!» 

 

È colpa di quel tuo “coso”, guarda come mi guarda. Vuole mangiarmi.

 

Sianna sospirò la sua esasperazione, poi gettò un’occhiata fugace al “coso”, ovvero Gael, che se ne stava docilmente appollaiato come una sentinella diligente sopra ad un ramo sottile, poco più in alto.

Si limitò a constatare un «Sei paranoico», consapevole che non bastasse a definire il momentaneo stato d’animo della kitsune. L’aria attorno a Kii era irrespirabile quel giorno, stranamente elettrica di attesa e nervosismo, e ad attestare quella condizione di allerta costante ci stavano pensando gli artigli della volpe che non accennavano a diminuire la presa ferrea sulla sua schiena, inchiodando Sianna prona nella terra umida.

«Spostati, vorrei davvero potermi alzare»

In risposta, avvertì il nasino umido della volpe odorarle il collo, facendola subito ridere per il solletico.

«Kii scendi! Per tutti i Serafini, sei insopportabile. Non potresti essere umano?»

 

Lo sai che non mi piace

 

I pensieri della volpe rimbombarono come un’eco nella sua testa, anche senza l’inclinazione del suono era percepibile la modulazione lamentosa e infantile di quell’affermazione e per questo Sianna sbuffò ancora, sollevando così un ciuffo di capelli che le ricadeva disordinato sul volto.

«Sarebbe tutto più semplice. Gael ti lascerebbe in pace, tanto per cominciare»

Questa volta non ottenne risposta e sospettò che lo yokai avesse deciso unicamente d’ignorarla. Non sarebbe stato insolito, quando gli dava noia Kii, come un gatto più che come una volpe, si ritirava. Forse perché era il cucciolo del suo branco, o forse semplicemente a causa della sua natura indisponente: la kitsune era viziata, dispotica e dispettosa, e tutto questo si traduceva per Sianna in graffi, vestiti stracciati, o abbandoni improvvisi in mezzo al nulla.

Negli anni queste sue peculiarità avevano finito con il peggiorare e per questa ragione Sianna si mordicchiò il labbro ed esitò a esprimersi ancora. Non aveva la pazienza di sopportare che ancora una volta Kii se ne andasse con quel suo atteggiamento da sovrano del mondo.

Ascoltò il rumore di quel nasino nero che si arricciava e poi inclinò il capo di lato, per poter ammirare il musino tenero e all’apparenza mansueto e i suoi occhioni dorati che osservavano il mondo attorno a loro con circospezione.

«Oggi sei più inquieto del solito. C’è qualcosa che non va?»

Kii soffermò lo sguardo sul suo volto, si sporse lentamente e le leccò una guancia, guadagnandosi una smorfia.

 

È il profumo di fiori marci. Non dovrebbe esserci qui, non più, ma è da giorni che impregna i boschi. Bisogna stare in guardia dall’odore della morte

 

Davanti alle sue considerazioni sibilline, Sianna aggrottò la fronte e storse il naso. Ci provava davvero, a scavare per trovare un senso nei suoi discorsi deliranti da spirito superiore in contatto con gli enti naturali, ma non ci riusciva e sentiva solo un’immensa frustrazione. La volpe piegò dolcemente la sua testolina

 

Non riesci a sentirlo? Mi domando come sia possibile. Non è una cosa buona, tu non sai proteggerti

 

Sianna afferrò il piccolo yokai per la collottola e lo sollevò, portando il muso all’altezza del suo viso. Poteva anche essere una misteriosa creatura, uno spettro di oltre cinquant’anni, ma il suo aspetto le procurava una certa tenerezza, con le zampette raccolte e il corpicino morbido e ancora un po’ goffo. Tenerezza che ingoiò per cercare di trasmettere con tutta la serietà possibile il proprio disappunto.

Scosse piano la testa «Io vorrei davvero che ti entrasse, in quella bella testolina che ti ritrovi, che quando ti comporti in questo modo e dici certe cose io non riesco a seguirti. Di che diamine stiamo parlando?»

La kitsune cercò di morderla, ma Sianna lo aveva già messo in conto. Prima che i suoi dentini aguzzi riuscissero a raggiungerle il naso, la posò a terra bruscamente, non senza sbuffare nuovamente. Allora Kii si stiracchiò, sollevò la coda con fare altezzoso e scrutò ancora la vegetazione senza prendere in considerazione la sua presenza.

Sianna si mise finalmente a sedere e si grattò la radice del naso cercando di inghiottire il desiderio di ricavare da quella bestiola un’ottima e pregiata pelliccia.

«A mia madre piacerebbe», pensò ad alta voce «Chissà che magari è la volta buona che me la ingrazio»

Lo disse per provocarla, che tanto Kii era in grado di percepire anche i pensieri inespressi, ma evidentemente era stata di nuovo dimenticata. Notò che la kitsune era mossa da uno strano sospetto, forse avvertiva qualcosa che a lei stava sfuggendo, non se ne sarebbe per nulla sorpresa. D’altronde Kii aveva un legame diverso con la natura, un rapporto profondo che le permetteva di percepire ogni cosa. I suoi sensi erano sviluppati in maniera differente da qualunque uomo o animale, era uno spettro, Sianna tendeva a dimenticarselo e solo quando le sue stranezze emergevano lo realizzava.

La volpe aveva provato a spiegarsi, le aveva detto che le kitsune erano yokai e messaggeri di entità superiori, tuttavia non era semplice comprendere realmente cosa significasse.

Quando, molti anni prima, la volpe si era definita in quel modo, “spirito messaggero fedele alla sua signora”, Sianna quella signora aveva voluto vederla. Era così che aveva incontrato la sua prima Dama del Lago.

E dopo quell’incontro ne era seguito solo un secondo, ma le era bastato per restare ammaliata da tanta bellezza. Aveva pensato spesso che la misteriosa padrona di Kii avrebbe potuto essere una Gwragedd Annwn, perché era di una purezza astratta e incorporea, leggera come di rugiada all’alba, un incanto creato per irretire i mortali, o almeno lei si era sentita stregata.

Kii la riscosse soffiando un verso strano e ostile.

Il pelo si era drizzato e i muscoli contratti in posizione di difesa trasudavano nervosismo.

 

Devo fare ritorno

 

«Ma Kii! Avevi promesso che mi avresti tenuto compagnia. Lo sai che mi annoio ad aspettare da sola, potrebbero anche non arrivare oggi e io avrò buttato una giornata intera. Non puoi lasciarmi qui!»

Provò a gonfiare le guance in una smorfia capricciosa nella speranza d’intenerire lo yokai, ma l’espressione infantile morì subito sostituita da perplessità quando si accorse, con sgomento, che Kii non stava assecondando la propria natura lunatica, era davvero nervoso per un motivo.

Motivo che Sianna non riusciva a comprendere.

 

Prendi la sfera

 

«Cosa?» spalancò i grandi occhi azzurri, e allo sbigottimento per quel comportamento assurdo si aggiunse una sottile vena d’ansia. Pensò che doveva aver capito male, Kii non avrebbe mai potuto dirle seriamente di toccare la sua sfera stellata, aveva assistito a reazioni bestiali le poche volte in cui aveva avuto l’ardire di provare a sfiorarla. Eppure ora la Kitsune, tesa e stranamente nobile nel portamento, stava sciogliendo la sua coda, sempre arrotolata, per liberare la sua hoshi no tama. La sfera di luce si librò pacatamente nell’aria, mostrando la meraviglia di quella sua luminosità porosa all’apparenza inconsistente.

 

Prendila e portala con te, e non liberartene. Per nessun motivo

 

 

Sianna era empatica, lo era sempre stata. Forse il suo era solo un innato istinto, ma quell’istinto, con un nodo allo stomaco che non le apparteneva, le gridava l’inquietudine dello yokai, e per questo, non senza turbamento, si ritrovò ad annuire alla richiesta dello spettro con insolita mansuetudine.

«Non capisco che ti prende» sussurrò, per rimarcare la propria confusione, ma non voleva protestare.

La volpe sollevò il muso e annusò l’aria

 

Stanno arrivando

 

«Sei sicura? È per questo che te ne vuoi andare? Se anche ti vedessero non sarebbe di certo un problema!» lo disse con un sorriso, aveva intuito però che la causa di quella tensione non erano i suoi amici. Certo, Kii odiava gli umani e non si mostrava a nessuno che non fosse lei o Ynyr. Solo in un’occasione aveva accettato d’incontrare le sue amiche, ma era stata la Dama ad ordinarglielo e quindi in realtà non contava.

Davanti alla reticenza della volpe aggiunse con un sospiro «Se fosse solo per loro non mi lasceresti la tua sfera stellata»

Kii taceva come assente, ed infine soffiò uno strano e ferino ringhio fra le zanne.

 

Prendila.

Portala con te.

E torna con loro, non da sola.

 

Lo proferì con un tono adulto terribilmente in contrasto con quel suo aspetto da cucciolo dispettoso. Non le diede il tempo di ribattere, rapido ed elegante, con uno scatto lo yokai si lanciò in una corsa che lo fece sparire subito nel sottobosco.

Sianna si ritrovò sola e immobile, l’unico rumore oltre al cinguettare rumoroso degli uccelli era il leggero sfrigolare della sfera luminosa sospesa davanti a lei. Pur se confusa, decise di obbedire e, con incertezza, strinse le dita attorno a quella luce dalla consistenza morbida. La osservò ridursi di dimensioni e diventare lentamente più piccola e fioca, fino ad essere completamente contenuta nel palmo della sua mano. Quando Sianna schiuse le dita ritrovò solo una perla grande come un chicco d’uva, agganciata ad una catenina. Se la legò attorno al collo, poi si alzò e riassettò i vestiti malconci di fango e macchie d’erba.

Normalmente, quasi per ripicca, ignorava sfacciatamente le richieste che non comprendeva, l’urgenza con cui l’amico si era espresso però l’aveva presa alla sprovvista e perciò decise di rispettare il suo volere. Abbandonò il suo avamposto, da dove ormai da ore controllava la strada principale che dava accesso e Glenn Dubhar, si aprì un varco tra le sterpaglie e alcune radici e raggiunse la strada di terra battuta. Come a confermare che la volpe non aveva mentito, giunse da lontano un vociare fin troppo rumoroso, un dibattito forse.

Dove la strada svoltava all’orizzonte venendo inghiottita dagli alberi, Sianna vide comparire le familiari figure di Henry, Daniel e Korakas. Si precipitò loro incontro con entusiasmo e prima che i tre potessero anche solo metterla a fuoco, aveva già travolto di peso un Henry inconsapevole trascinandolo a terra con sé.

«Finalmente! Dovevate arrivare due giorni fa, mi stavo annoiando a morte ad aspettarvi!» li sommerse subito di parole, dimenticandosi di salutarli, ma poco importava, la conoscevano abbastanza da non aspettarsi convenevoli, non da lei. Ed infatti, i tre si limitarono a esclamare con basita meraviglia il suo nome in coro, ampliando il sorriso soddisfatto che capeggiava già sulle sue labbra. Henry, sotto di lei, le prese una guancia tra le dita e tirò con forza «Maledizione Sianna, ci hai fatto venire un attacco di cuore!»

«Sianna ma ti sembra il modo di comparire?»

«Bambina mia, che diavolo ci fai in giro adesso? Tua madre ha almeno una vaga idea di dove tu sia?»

I due ragazzi e l’anziana parlarono in contemporanea, li trovava divertenti come sempre, ma non riuscì a riderne perché Henry la sua guancia non l’aveva ancora lasciata e stringeva tanto forte da renderle gli occhi lucidi. Per liberarsi, ricambiò infilando a tradimento due dita nel costato del ragazzo, che sussultò subito liberandola con una smorfia di disappunto e dolore.

«Sei un demonio incarnato» borbottò, e lei sorrise di rimando.

Poi balzò in piedi per abbracciare di slancio Korakas e la sua aria severa da anziana «Ciao nonnina!»

La signora ricambiò scompigliandole affettuosamente i capelli «Sei la solita peste. Diventerai mai una signorina come si deve?» la riprese bonariamente. A Sianna piaceva quell’atteggiamento dolce familiare, come se davvero fossero parenti, perché le permetteva di esprimersi liberamente senza rischiare di sentirsi sgridare per la sua sfacciataggine e il carattere troppo aperto. Rispose con la sua espressione furbetta da bambina impenitente «E toglierti la soddisfazione di ripetermelo ogni volta che mi vedi? Mai!»

Un colpo di tosse li fece voltare quasi contemporaneamente.

Sianna sobbalzò e arrossì quando si accorse che a quel familiare siparietto aveva assistito una quarta persona, un ragazzo che già in passato le era capitato di incontrare ma con cui non aveva mai avuto molta confidenza. Da sotto il suo grande cappellaccio marrone, William la studiava con un sopracciglio leggermente inarcato e un sorriso divertito per cui Sianna avrebbe voluto solo poter essere inghiottita dalla nuda terra. Aveva imparato, nella sua infanzia, a non mostrarsi mai eccessivamente espansiva o spontanea davanti a sconosciuti, per istinto di autoconservazione, perciò quasi involontariamente si acquietò in maniera innaturale e abbozzò un cenno di saluto con la mano.

«Signora» intervenne Daniel dopo aver aiutato Henry a rialzarsi e avergli reso il suo bastone, interrompendo il gelò di imbarazzo che l’aveva colpita. Sianna aggrottò le sopracciglia, perplessa, perché aveva colto una sfumatura grave di preoccupazione.

«Giusto» rispose immediatamente Korakas, leggendo un sottinteso in quel richiamo che Sianna non riuscì a cogliere. L’esclusione palese la irritò più di prima.

 

Come se già non ci fosse quella dannata volpe a fare la sibillina

 

«Sianna che ci fai qui? Non è sicuro eppure ti ostini a girovagare per questi boschi come se niente fosse» la riprese l’anziana, questa volta con una punta di severità che le fece mettere il broncio.

Scrollò le spalle e domando il fastidio disse «Vi aspettavo. Mi sembra ovvio. Il falco è arrivato con la vostra lettera molti notti fa, me lo ha detto la mamma. Sapevo che era questione di poco. E poi non corro alcun pericolo, io qui ci sono cresciuta, che vuoi che mi capiti?»

«è meglio se rientriamo subito» tagliò corto Henry, mettendole una mano sulla schiena per invitarla a procedere.

La confusione crebbe ulteriormente, e Sianna si ritrovò a squadrarli come se non li avesse ma visti, tanto trovava insolito quel loro comportamento. Korakas era sempre stata apprensiva, ma Henry e Daniel l’avevano sempre assecondata nei suoi giochi e nelle sue esplorazioni, e non avevano mai storto la bocca come avesse fatto qualcosa di tremendamente sciocco e irreparabile.

Fu guardandoli con attenzione che notò dettagli che le erano sfuggiti: le vesti inzaccherate in modo indecente, macchiate di fango, stracciate.

«Cosa mai vi è capitato? Persino io fatico a ridurmi in questo stato!» ironizzò, per seppellire lo strano presentimento che Kii le aveva gettato addosso. Henry si appoggiò al quel singolare bastone che si portava sempre appresso, gemello di quello di Daniel: tre spessi rami intrecciati tra loro saldamente che sulla sommità si aprivano per lasciar intravvedere una pietra dai riflessi sanguigni grande come un pugno. La pietra di Daniel era dorata e calda, poteva essere ambra ma non ne era sicura.

Daniel le avvolse le spalle con un braccio e le lasciò un veloce bacio fra i capelli, con la sua familiare e dolce tenerezza da fratello maggiore «Incontri spiacevoli, qualche brigante, nulla di cui preoccuparsi» le spiegò con ostentata tranquillità, ma Sianna le percepiva, le emozioni altrui, come un’increspatura nell’aria, un brivido da pelle d’oca che le risaliva la schiena, e capiva che anche i suoi più cari amici erano inquieti proprio come Kii.

Lo erano abbastanza, di certo, da non aver mostrato entusiasmo nell’incontrarla nonostante non si vedessero ormai da qualche Tempo.

Per poco non le andò la saliva di traverso «Stai scherzando spero! State tutti bene? Vi hanno derubati?»

Henry ridacchiò e ammiccò verso Korakas, elegante persino in quella condizione mentre camminava davanti a loro di pochi passi, dritta come un fuso.

«Sfido chiunque a riuscire a derubare l’incarnazione di un Satana» le bisbigliò complice per non farsi sentire, ma l’anziana lo freddò con una gelida occhiata da sopra la spalla.

«L’incarnazione di un Satana?» ripeté, inarcando un sopracciglio e sfoggiando una piega tagliente che di sorriso aveva gran poco sulla sua bocca rugosa.

Henry impallidì e Sianna ne approfittò per dare di gomito a Daniel, scambiare un’occhiata complice con William e ridere piano di lui.

«Parlo di Daniel, Signora! Lo sa che non oserei mai»

La sacerdotessa fece una smorfia e si limitò a constatare «Saranno le mie guardie del corpo ad assassinarmi nel sonno»

Quel clima così simile alla normalità le permise di accantonare la sensazione inspiegata alla bocca dello stomaco e il bruciore sgradevole che le tormentava la cicatrice della mano sinistra. Era felice, l’arrivo di Korakas e dei suoi adepti era il momento più sereno per lei, e Sianna decise di goderselo senza ombre.

Guardò in alto: Gael, docile, li seguiva.

 

 

 

***

 

Con sua estrema amarezza, non appena raggiunsero casa sua, Marilien e Korakas si lanciarono sguardi carichi di significato e colmi d’apprensione, che non tentarono nemmeno di dissimulare.

«Dobbiamo parlare»

Nemmeno un saluto o la più banale e convenzionale forma di cortesia, la sacerdotessa arrivò dritta al punto e quando sua madre annuì, Sianna si sentì solo più frustrata. Il ciondolo di Kii, attorno al suo collo, pesava come una maledizione, come i silenzi di chi non voleva condividere i propri crucci.

«Due giorni di ritardo» affermò Marilien, con una pacatezza gelida, un tono che Sianna aveva imparato a conoscere bene, perché sua madre in una manciata di parole era sempre stata in grado di nascondere tanto, in quel momento un’inspiegata consapevolezza, come se avesse saputo la ragione degli imprevisti senza bisogno che Korakas si esprimesse.

«Sianna Eilan, ho bisogno che tu esca» aggiunse rivolgendosi a lei, tanto severa e decisa da non ammettere repliche.

Sianna di quella donna dai capelli rossi aveva sempre avuto un po’ paura. A volte si sentiva osservata da lei in modo diverso che nulla aveva di materno, un sottile odio serpeggiava allora tra di loro, e Sianna in lei riusciva a scorgere la strega che tutti paventavano fosse.

Fece per rivolgersi ad Henry e Daniel e William, ma la sacerdotessa la precedette «Voi resterete qui. Ci sono cose importanti di cui dobbiamo discutere»

Rassegnata ad essere esclusa dagli affari “degli adulti”, guardò le loro schiene mentre si ritiravano in cucina, lasciandola sola sulla soglia. Marilien l’aveva liquidata come fosse un omuncolo e non una persona, e per questo sentiva una grande rabbia.

Decise di raggiungere la sua migliore amica e di metterla a parte di quelle stranezze. Kea era più razionale ed intuitiva, forse avrebbe letto tra le righe qualcosa che le era sfuggito.

Da qualche giorno la ragazza non lasciava casa sua e rifiutava di parlarle, ma Sianna confidava che, con l’arrivo di Daniel, ogni malumore le sarebbe passato. Si precipitò fuori e, correndo, superò l’ingresso ad arco del suo cortile per inchiodare davanti alla casetta di pietra accanto alla sua. Tre gradini precedevano la porta di legno massiccio e Sianna li saltò tutti insieme prima di bussare fin troppo animatamente.

«Kea? Guarda che lo so che ci sei!» urlò, bussò ancora e poi urlò di nuovo «Dai, vieni fuori! Ho una buona notizia. Quella cosa non può essere così brutta da negarti una buona notizia!»

Le rispose il silenzio.

«Kea? Ti giuro che ne sarai felice… ti prego!»

Bussò insistentemente e alla fine la porta si spalancò «Se ti maledirei in ogni lingua esistente non basterebbe!»

La sua vicina di casa sembrava l’incarnazione di uno spirito maligno, minuscola e sottile come un giunco, un fisico efebico acerbo e una cascata di capelli corvini calata sul volto come una tenda arruffata. Sianna non poteva vedere il suo sguardo, ma poteva tranquillamente desumerlo dal suo tono di voce alterato.

Era consapevole di non doverlo fare, ma non riuscì a non ridere di gusto «Dimmi che questo tuo aspetto da spaventapasseri non è per ciò che penso» si coprì la bocca con le dita affusolate per limitare il danno, ma non servì perché Kea spostò i capelli di quel minimo indispensabile a rivelare l’occhio destro e la gelò con la sua espressione più truce.

«Proprio tu, che sei la causa fondante di ogni mio male, sei l’unica che non può fare battute!»

Il suo broncio infantile e testardo ricordò a Sianna di quando era bambina, perché Kea non sembrava cambiata in nulla, le sue ridotte dimensioni fisiche la facevano apparire molto più piccola e indifesa della sua età. Mai apparenza fu più ingannatrice.

«Sono passati giorni, sono sicura che ormai neanche c’è più. Stai facendo un dramma per una sciocchezza»

Era fin troppo abituata ai malumori di Kea più che altro perché ne era la causa costante, ed anche quella situazione non era un’eccezione.

«Certo, tu fai i danni poi io esagero. Mi chiedo perché ancora mi meraviglio» con un gesto secco Kea si rimboccò i capelli dietro le orecchie, facendo mostra di un ponfo enorme sulla fronte e di un livido esteso e scuro attorno ad una lacerazione poco profonda, che però le segnava il sopracciglio sottile. Il suo volto ricordava la pelliccia maculata di un qualche animaletto selvatico irritato e Sianna si morse le labbra per bloccarne l’istintivo incurvarsi «Visto, non è così grave» stirò un sorriso finto e proseguì «Daniel e Henry non lo noteranno neppure»

Kea impallidì all’improvviso e Sianna temette che potesse nuovamente svenire a causa sua.

«Sono tornati?»

«Ehm, sì. Volevo avvisarti, ma sai, non mi parli da giorni»

«E chiediti il perché! Giuro su Nehallenia, questi sono i momenti in cui ti odio ti più! Sono impresentabile, non potevi direttamente ammazzarmi e seppellirmi nel tuo giardino?»

Sianna sollevò gli occhi al cielo, spazientita «Come se a loro importasse dell’aspetto della tua faccia»

Kea ringhiò come se davvero lo fosse, un animale selvatico, e assottigliò gli occhi in due spilli di profondo rancore «Importa a me»

Si sentiva un poco in colpa, perché quella deturpazione sull’altrimenti bellissimo viso di Kea era effettivamente sua responsabilità.

Le finestre delle loro camere da letto erano dirimpettaie e avevano preso l’abitudine, negli anni, di chiacchierare per ore appoggiate al davanzale, venendo spesso sgridate perché “urlate come se fossimo al mercato, tutto il vicinato vi sente”, la frase più frequentemente pronunciata da Marilien. Qualche giorno prima, bloccata in camera per l’ennesimo rimprovero di sua madre, Sianna aveva deciso di chiamarla tirando dei sassi contro gli scuri di legno della finestra dell’amica.

Le ante si erano aperte all’improvviso, e la pietra aveva colpito Kea in pieno viso. Era stata ritrovata semisvenuta qualche ora dopo.

«Non preoccuparti, non li vedremo per un po’, era di questo che volevo parlarti»

Le spiegò lo strano comportamento dei sacerdoti e presa dall’aneddoto, Kea dimenticò le sue problematiche estetiche.

Così, confabulando, erano uscite di casa e avevano attraversato le vie gremite di gente e grida chiassose e bancarelle. Era giornata di mercato e Glenn Dubhar pulsava di vita e di colori, dai venditori di stoffe, ai banchi di gioielli e dolci, fino ai contrattatori di bestie e piccoli raduni di scommesse. Alcune galline tagliarono loro la strada e Sianna seguì distrattamente il loro incedere impettito e goffo con lo sguardo, fino a quando i suoi occhi non si posarono, sul ciglio della strada ai piedi di una casa, sulla figura vivace di una ragazza dal volto celato da uno scialle arancio. Il bordo ricoperto di campanelli tintinnava ogni volta che la fanciulla chinava il capo sulla mano grassoccia della donna che si stava facendo leggere il futuro.

Richiamò Kea e indicò la gitana con un gesto del capo.

«Ci risiamo» brontolò l’amica sollevando al cielo gli oscuri occhi neri.

«Allora, vuoi dirmi qualcosa o no?»

«Io vorrei ma…» la voce della zingara, piena d’incertezza, colpì Sianna, che avvicinatasi non aveva potuto non cogliere uno stralcio della conversazione.

«Ma?»

«È una piccola ciarlatana, mia signora, non le presti ascolto»

«Io non sono una ciarlatana! È la linea, è spezzata, non c’è alcun futuro qui!»

Con un gesto di sdegno, la Dama e la sua servitrice si allontanarono irritate, mai però indisposte quanto la ragazzina, che con un movimento stizzito si sfilò dal capo la stoffa vivace per rivelare una folta e spettinata chioma castana screziata di miele.

«Cliente difficile?»

«Giornata difficile!» sbottò Marion senza la minima sorpresa nella voce nonostante non le avesse notate, come si aspettasse la loro comparsa, e Sianna pensò che probabilmente era vero: Mari aveva un dono, una capacità di percepire gli eventi che era davvero al limite della premonizione.

«Perché?»

La gitana gonfiò le guance, frustrata «Perché non posso fare predizioni oggi, o dovrei annunciare morti e catastrofi. Morti e catastrofi non pagano, non ho ricavato niente»

Raccolse le carte, sistemate in ordine per terra, e gli astragali riuniti in una rozza tazza di legno, richiuse i quattro angoli del panno e con un fiocco ne ricavò un pratico sacchetto.

«È insolito» le fece notare Sianna, basita, perché non aveva mai visto quella bambina sbagliare, ed infatti la fronte di Mari si corrugò «Lo so, e non so che pensare. Sai, non stavo mentendo, la linea della vita era spezzata, ma non è possibile che ogni linea che ho visto oggi si perda nel nulla in quel modo»

«Vuoi controllare la mia?» la canzonò dandole una leggera spintarella con il gomito. Marion arricciò le labbra «Prendi pure in giro, lo sai che con te sarebbe inutile. Kea, forse»

«Te lo scordi» Kea si allontanò di qualche passo, come se solo con il pensiero la piccola zingara avesse potuto strappare i suoi segreti «Sapete benissimo cosa penso di queste sciocchezze»

Marion sbuffò «Se me lo dice una vecchia impomatata lo accetto, ma almeno da un’amica mi piacerebbe non essere definita ciarlatana» si volse verso Sianna e attirò la sua attenzione afferrandole la manica celeste del vestito, in un gesto stranamente infantile e incerto.

«Sianna, come stanno?»

«Chi?»

Sianna avvertì un brivido: ecco il dono di Marion che si manifestava.

«Henry e Daniel. Qualcosa non va, non so perché, ma è come una tensione, come se l’aria stesse vibrando»

Kea stese le labbra «Non ti ci mettere anche tu» soffiò, in realtà cercando di celare il proprio turbamento, Sianna lo sapeva che la sua migliore amica temeva tutto ciò che le era incomprensibile razionalmente.

«Cosa senti?» interrogò la più piccola, che si raccolse nelle spalle e le scrollò piano, togliendo importanza alla questione.

«Non lo so nemmeno io. È una sensazione poco chiara. Anzi, più che una sensazione, sembra un odore, puzza come qualcosa che sta marcendo»

 

Il profumo dei fiori marci, l’odore della morte.

 

Per un momento, invece di Marion le parve di trovarsi di fronte a Kii giusto qualche ora prima. Nel mentre avevano raggiunto la piazza e, sotto la grande quercia che ombreggiava con i suoi rami i sampietrini e le panche di pietra, Sianna riconobbe Lisanda e Iris, accomodate placidamente a godere dell’aria tiepida di quella giornata.

 Quando le due gemelle le notarono, si sbracciarono con un grande sorriso sulle guance dorate, per farsi notare.

Sedute a respirare il profumo di dolci, Sianna decise di condividere il comportamento anomalo della Somma sacerdotessa e dei suoi adepti, non lesinando la propria perplessità circa la loro presunta aggressione da parte di briganti. Non disse nulla di Kii, non parlava mai della volpe e non era certa di averne il diritto, ma la perplessità generale venne rincarata da Marion e dalle sue difficoltà divinatorie, che lasciarono le sorelle confuse.

Sianna studiò le sue amiche, un gruppetto disparato di diseredate, e pensò che era spontaneo e naturale che fossero unite, che fossero proprio loro le sue compagne di ventura e nessun altro.

Nella sua infanzia avvicinarsi ad altri bambini le era stato impossibile: qualcosa in lei inquietava chi le stava attorno, e la fama di sua madre l’aveva resa avversa ai suoi coetanei. La chiamavano “la regina dei pezzenti”, per i suoi abiti splendidi e l’aspetto regale così in contrasto con l’ambiente in cui era nata e cresciuta, e per lungo tempo solo Ynyr era stato il suo scudo contro la cattiveria degli altri ragazzi. Poi, aveva conosciuto Kea, quarta di sette fratelli, tutti all’apparenza normali, completamente diversi da lei che pareva estranea alla propria famiglia. Da quando era venuta alla luce, suo padre l’aveva osservata come un’intrusa e aveva iniziato a maltrattare la madre, che in paese da quel momento non aveva più goduto di buona fama. Per questo, anche la sua migliore amica era sempre stata respinta, e trovarsi per loro era stato semplice come respirare.  

Era stata però Marion, che si era stanziata in paese insieme ad un gruppo di gitani erranti, a creare un legame fra loro e le gemelle, adottate dal panettiere a cui Sianna rubava le focacce e cresciute come figlie sue nonostante tutto. Nessuna di loro rientrava nei canoni di ciò che era socialmente accettabile, per questo forse, era normale che si fossero trovate e che nel tempo il loro legame si fosse rafforzato spontaneamente.

«Come mai non hai provato ad origliare quello che avevano da dirsi?» domandò infine Lisanda, poggiando il viso tondo nelle mani a coppa.

«Non avrei potuto, mia madre mi conosce abbastanza, sa prendere i suoi provvedimenti»

Iris accennò un sorriso malizioso «Sbatti quei begli occhioni che ti ritrovi, e Henry ti dirà ogni cosa»

«Sempre che ci sia qualcosa da sapere» specificò Kea «Vorrei ricordarti Sianna, che hai il brutto vizio di viaggiare molto con la fantasia»

«Ti dico che è successo qualcosa, è stato come una stretta allo stomaco, io lo so che c’è qualcosa che non va»

Ma anche ad esserne certa, era consapevole al contrario delle altre, di come Henry e Daniel sapessero essere ermetici quando non desideravano lasciar trasparire nulla.

«Dici che verranno oggi?» domandò Lisy dopo un istante di ponderato silenzio.

Sarebbe stato scontato, normalmente, vederli comparire all’orizzonte, se fosse stato un giorno qualunque di una visita qualunque i ragazzi l’avrebbero trascorso con loro, ma Sianna sentiva che non si sarebbero mostrati.

«No, non vengono» la precedette Mari, inclinando il capo all’indietro per perdersi a contemplare le fronde tinte di un blu cupo. Il sole stava calando, era già pomeriggio inoltrato e le poche ore di luce a loro concesse si erano consumate. Le bancarelle del mercato iniziarono in ordine sparso ad essere rischiarate con le lanterne colorate, le persone nei dintorni si erano diradate.

Presto, si sarebbero accese le luci dei lampioni e le fiammelle sottili e calde avrebbero illuminato le vie, dando un nuovo volto, più intrigante e magico, al paesino.

«Qualcuno di voi ha visto Ynyr? Oggi è sparito»

«Io» asserì la gitana con un sorriso «Stava bighellonando al mercato, credo abbia combinato qualche disastro. Non ho capito bene, ma stava scappando»

Sianna si lasciò sfuggire una risata «Com’è che non mi meraviglia? Gli tolgo gli occhi di dosso per qualche ora e lui distrugge il mondo!»

«Senza di te ha la noia facile» borbottò Lisanda «è una vera seccatura, quando vuole sa essere un moccioso»

Iris le afferrò un orecchio e lo tirò bruscamente «Ma sentitela, come fa la dura. Poi te lo trovi davanti e le gambe ti si sciolgono. Almeno non dire niente!»

«Ehi ma l’hai guardato? Perché è il fratellino di Sianna, se no un pensierino qui è scappato a tutte, non fate finta di no!»

«Lisy, Lisy, con te mi arrendo. Vado a cercarlo, e se scopro qualcosa domani vi racconto»

Si congedarono con un cenno della mano, e Sianna non imboccò la strada di casa ma una via che serpeggiava in salita sul fianco della montagna. La strada lastricata, inizialmente accompagnata da case eleganti degli abitanti più facoltosi del paese, scivolava in un sentiero sempre più isolato che conduceva alla fine ad uno sperone che sovrastava il piccolo borgo. Da quella posizione privilegiata, era possibile ammirare Glenn Dubhar dall’alto e la sera, nell’oscurità, le infinite fiammelle che prendevano il posto della pallida luce solare sembravano un mare di stelle, come guardare un cielo al contrario.

Di solito, quello era il luogo preferito da Ynyr, era lì che trascorreva il sottile lasso di tempo che divideva il giorno dalla notte e a volte le concedeva di condividere con lui quel silenzio. Cosa pensasse non le era dato saperlo, né aveva mai voluto chiederlo, perché con suo fratello aveva imparato che domandare non premiava. Si accontentava di sdraiarsi accanto a lui e di tenergli la mano.

Quando giunse sul dirupo l’oscurità si era ormai infittita e di Ynyr, con sua sorpresa, non c’era alcuna traccia. Si sedette nell’erba umida per riprendere fiato e guardarsi un po’ attorno. Probabilmente il fratello era rientrato, ma non si spiegava come non lo avesse incontrato mentre ripercorreva la strada al contrario.

La perla di Kii, adagiata sul suo seno, emanava un lucore opalescente e sinistro nel buio, la accarezzò piano con le dita lunghe e sottili e pensò che quella giornata aveva in sé veramente qualcosa che la turbava senza che riuscisse a darsene ragione. La mano sinistra, su cui palmo svettava la cicatrice traslucida di una luna in fase calante, le pizzicava, un bruciore leggero ma costante, che stava diventando un tormento difficile da ignorare.

Henry e Daniel erano stati assenti a lungo, durante la loro ultima permanenza si erano trattenuti solo pochi giorni, e per questo si sentiva stranita, non si aspettava certamente dai due amici tanta compostezza e quell’atteggiamento pieno di segreti, soprattutto non dal suo migliore amico.

Una mano si posò senza preavviso sulla sua spalla e Sianna sentì il cuore salirle in gola insieme ad un urlo di terrore. Scattò con un balzo di fianco e cadde sdraiata a terra, proteggendosi istintivamente con le braccia il viso incrociò gli occhi del suo assalitore che stava sorridendo, e all’urlo seguì un’imprecazione.

«Ma che diamine ti passa per la testa, vuoi farmi venire un attacco di cuore?»

Il ragazzo sollevò con la punta del dito indice il cappellaccio di iuta a rivelare la chioma castana chiara che gli nascondeva parte del volto. William era un bel ragazzo, ma c’era qualcosa in lui che non la rassicurava, forse solo a causa delle parole pregiudiziose di suo fratello nei riguardi del giovane sacerdote.

«Mi hanno mandato a cercarti, devi rientrare subito a casa»

«Cosa saresti, una badante?» si rimise in piedi scocciata e si ripulì il vestito dalla polvere sbattendo la gonna con le mani.

«Ne senti il bisogno?» ammiccò lui, sembrava divertito ma l’oscurità mangiava ogni sua espressione e rendeva la situazione per lei piuttosto imbarazzante.

«Tante grazie, ma non ho certo bisogno del tuo aiuto per tornarmene a casa mia, la strada la conosco benissimo» gli fece una smorfia infantile e pensò di allontanarsi in modo molto teatrale e sentito, giusto per fare la sostenuta, quando al primo passò si bloccò realizzando una banale ovvietà che le era sfuggita.

«Non ti hanno mandato… ti ha mandato» inarcò un sopracciglio e impresse nella piega della bocca tutto il suo disappunto.

William scrollò le spalle «Cosa te lo fa credere?»

«Che sai perfettamente di chi sto parlando Will, e conosci questo posto. Mia madre non lo sa, nemmeno Henry ne è a conoscenza»

Il sacerdote sollevò le braccia in segno di resa «Già, mi ha mandato tuo fratello»

«E perché di grazia non si è fatto vivo personalmente?» ringhiò, ma non era arrabbiata con William: era Ynyr ad averla in qualche modo seccata, condividendo senza uno straccio di motivo un segreto che era appartenuto a loro per tanto tempo.

«Perché vostra madre ha voluto così. E ci ha anche espressamente ordinato di riportarti indietro subito»

Marilien aveva una tendenza al dispotismo, non solo con i suoi stessi figli, con chiunque, era abituata a impartire ordini e ad essere ubbidita. Per questo la gente aveva paura di lei, era una donna forte, indipendente, e qualcosa di lei lasciava un’impressione di spietata crudeltà: una donna senza un uomo, che non necessitava di un uomo, in un paesino così isolato era una realtà inconcepibile. Tuttavia, quella richiesta non aveva senso.

«È davvero successo qualcosa mentre venivate qui»

«Sianna, rientriamo»

«Non voglio che mi dici cosa. Ho solo bisogno che mi confermi che non sto delirando. Che questa strana sensazione è reale»

William chinò il capo e la tesa del capello oscurò definitivamente il suo volto «Se ti dico di sì ti deciderai a seguirmi?»

Sianna contrasse la mascella, in un moto di stizza «Solo se è vero»

«Sì» sospirò il sacerdote, passandosi una mano sul collo «Sì, e ora preferirei non dover restare qui, mi sentirei più tranquillo al riparo»

Si morse il labbro inferiore, poi annuì.

Il ragazzo le diede le spalle e si avviò lentamente, per darle il tempo di metabolizzare la sua confessione e di seguirlo, e Sianna guardò quella mantella marrone rigida e pesante muoversi, il bavero che gli nascondeva il collo, i bordi slabbrati che strisciavano al suolo, guardò la sua schiena per qualche istante: avrebbe voluto chiedere di più.

Gettò un’ultima occhiata oltre il precipizio, ad ammirare con confusa inquietudine i contorni, appena marcati nella notte, delle montagne all’orizzonte, nere più del cielo che era rischiarato da una grande luna, sanguigna di un riflesso aranciato. E mentre i suoi occhi cercavano i flebili raggi lunari, una nube sinistra ne offuscò la luce spettrale: un solo, breve istante che la colpì con una scarica di panico, un’energia dolorosa che le percorse le membra e sembrò concentrarsi come un marchio a fuoco sul palmo della mano sinistra. Si afferrò il polso e strinse forte le dita, in un gesto istintivo che non poté lenire il bruciore.

«Will» gridò, richiamando l’attenzione del ragazzo «Will, hai visto?»

William non si avvicinò, si voltò a guardarla, e la sua voce risultò stranita e estraniante, senza l’accompagnamento di un’espressione «Cosa?»

Per un momento, Sianna pensò di dirgli che aveva visto qualcosa. Poi però, si sentì sciocca.

«Niente, arrivo»

Lo raggiunse con una leggera corsa, ed insieme attraversarono la rada macchia boscosa che circondava il sentiero e imboccarono la strada del rientro. Entrambi non fecero nulla per riempire il vuoto silenzio che li stava accompagnando e Sianna si perse nella contemplazione delle abitazioni tanto familiari cercando di trarne un senso di sicurezza: i tetti bassi e spioventi, i comignoli, le piccole finestrelle e l’edera e il muschio sulle facciate mangiate dall’umidità.

Quando giunsero sulla soglia di casa sua, William non entrò, si limitò a congedarsi, lasciandola se possibile solo più frastornata. Fu sua madre a spalancare la porta con troppa energia, facendola sussultare per lo spavento e la sorpresa.

«Entra, immediatamente» la collera permeava le sue parole e quel tono insolito.

 

Non è solo rabbia, è paura.

Ha paura

 

Lo comprese immediatamente, appena incrociò gli occhi verdi, duri come pietre opache, di Marilien.

Mosse il suo assenso con uno scatto repentino del capo e si affrettò a chiudersi la porta alle spalle. Ynyr era già accomodato su una delle poltrone della sala, sprofondato fra i cuscini con atteggiamento annoiato, e il viso, sostenuto pigramente dalla mano, era rivolto al tavolino che proprio lui aveva ribattezzato “delle ramanzine”.

Sianna lo raggiunse e si sistemò sul bracciolo libero della medesima poltrona, per sentire al suo fianco la presenza rassicurante del corpo di Ynyr.

«Cosa sta succedendo?» gli bisbigliò urtandolo appena con il gomito. Il fratello sollevò gli occhi freddi su di lei: l’aria indifferente celava in realtà una perplessità che Ynyr non voleva mostrare, troppo orgoglioso forse di manifestare della curiosità.

«È da quando sono tornato che fa così» rispose accennando a Marilien, che inquietamente restava vicino alla soglia e osservava l’esterno dal vetro della finestra «Pensavo le fosse arrivata voce della discussione che ho avuto oggi, ma mi sbagliavo»

Sianna corrugò la fronte, esasperata. Era dunque per quello che Mari lo aveva visto allontanarsi con urgenza dal mercato, era probabilmente arrivato di nuovo alle mani con qualcuno, non se ne meravigliava, suo fratello era un’attaccabrighe senza speranza.

Il rumore della serratura, e poi la porta scattò di nuovo, e stavolta fu Korakas a palesarsi, con il fiato pesante.

«Come è la situazione?»

L’anziana le lanciò un ammonimento con lo sguardo «Devi venire, è urgente»

Marilien deglutì a stento e solo allora parve ricordarsi di loro «Dovete ascoltarmi attentamente» esordì fissandoli da lontano, senza avvicinarsi «Non uscite da qui per nessuna ragione, finché non torneremo»

Sianna si aggrappò alla casacca di Ynyr quasi senza accorgersene «Mamma, che ti prende?»

Ynyr coprì la sua domanda bisbigliata alzandosi in piedi di scatto «Non mi piace questa situazione» dichiarò con forza, le labbra strette ridotte ad una fessura collerica.

Marilien sussultò ancora, ma si riprese in fretta e non rimbeccò suo fratello, nonostante difficilmente tollerasse quei modi irrispettosi.

«Ynyr, controlla tua sorella, fidatevi di me e restate qui finché non torneremo a prendervi. È troppo pericoloso, dobbiamo essere certi che sarete al sicuro. Quindi non azzardatevi a fare qualcosa senza di noi»

Se ne andò lasciando il tonfo del legno che sbatteva contro il muro come eco delle sue parole. Allora Sianna, allibita, cercò certezze in Ynyr e si sentì smarrita quando riconobbe in lui la medesima insicurezza, una maschera che non si addiceva al viso di quel ragazzino arrogante.

«Cosa facciamo?»

«L’hai sentita» disse lui sospirando frustrato «Aspettiamo e quando torneranno le costringeremo a dirci cosa diamine le è preso per comportarsi in questo modo»

Sianna annuì ancora e prese un leggero respiro «E tu invece, cos’hai combinato? Un’altra rissa?»

La smorfia d’Ynyr si trasformò istantaneamente in un sorriso ferino provocatore «Lo sai che sono una persona espansiva, mi piace donare il mio affetto al prossimo»

«Già, non oso immaginare il tuo “affetto” che effetto abbia avuto sul quel povero sventurato»

Ynyr ridacchiò, le andò vicino passandole una mano fra i capelli prima di sfregare con energia, arruffando la sua chioma già di per sé scompiglia «Su quei poveri sventurati, intendi? Non preoccuparti, il mio amore rende gli animi docili, sorellina. Non dovresti dubitare mai di me»

«Sì, sei alla stregua di un santo, lo pensano tutti»

Il fratello sfoderò la sua espressione più tenera, per ammorbidirla, e Sianna si ritrovò a sollevare gli occhi al soffitto pensando che con lui poteva solo perdere, era troppo bello e consapevole del suo ascendente sugli altri per sperare di spuntarla con lui.

«Chiamami quando “la strega” torna» le disse calcando quell’appellativo che usava spesso, in maniera ironica, per provocare loro madre.

Confermò con uno sbuffo e lo seguì con lo sguardo mentre saliva le scale e spariva alla sua vista, lasciandola sola. Scivolò nella poltrona finalmente libera e vi si accoccolò come faceva da bambina: avrebbe preferito che Ynyr rimanesse con lei, perché sentiva una morsa gelida allo stomaco che le rendeva difficile persino deglutire, ed un disagio inspiegabile le si stava insinuando sotto il costato, quasi rarefacendo l’aria che le entrava nei polmoni, le sembrava di annaspare.

Cercò di combattere quelle sensazioni negative e, ad occhi serrati, riuscì a scivolare in uno spiacevole dormiveglia. Si svegliò di soprassalto, non seppe neanche lei dopo quanto tempo, a causa di un assordante frastuono proveniente da fuori.

Balzò in piedi, come non si fosse appena svegliata, e corse alla finestra, spalancando l’imposta di legno accostata. Nel buio, il bagliore delle lingue di fuoco protese verso il cielo con i loro colori troppo vividi la accecarono, la vampata di calore le bruciò le guance, una patina umida le impastò gli occhi e si portò una mano al volto per proteggersi.

Erano le grida ad averla svegliata, urla così strazianti da riempire ogni silenzio, e Sianna scoprì di non essere in grado di muoversi per il timore.

«Sianna!»

Si aggrappò allo stipite di legno e lo strinse con tutte le sue forze, fino a farsi male. In quel frastuono le era parve di sentire il suo nome, ma non le importava, il panico l’aveva inchiodata al pavimento, le gambe le stavano cedendo e fu costretta ad accasciarsi con la spalla contro il muro per non crollare.

 «Sianna maledizione!»

Ynyr l’afferrò bruscamente per il braccio e la costrinse a voltarsi. Era così inerme in quel momento, che gli si accoccolò semplicemente contro il petto, alla ricerca di un punto stabile a cui affrancarsi.

La stanza si stava riempiendo di fumo e il suo odore acre le bruciò il respiro.

«Perché non rispondevi? Stupida, ero preoccupato da morire! Stai bene, vero?»

Le prese il viso fra le mani e Sianna si aggrappò alle sue braccia e cercò nelle sue iridi azzurre la razionalità che sentiva sfuggirle. Seguì la forma snella del polso e la mano nervosa del fratello, trovò le sue dita magre, serrate con troppa forza sul suo volto, e le strinse a sua volta, annuendo disperatamente. Ynyr era lucido, i suoi tratti inflessibili ed eterei erano la sua sola, solida certezza, per questo Sianna non esitò a seguirlo quando il ragazzo le agguantò il polso e la trascinò con sé, spalancando la porta.

Si misero a correre, il calore che aveva avvertito non era niente in confronto a ciò che l’attendeva fuori. Il fumo annebbiava le strade invase di persone, la temperatura insostenibile le imperlò la fronte di sudore che già le entrava negli occhi, offuscandole la vista.

In un attimo si ritrovò risucchiata dalla folla, compressa fra più corpi, il braccio di suo fratello si stava tendendo sempre di più e Sianna già non riusciva più a scorgere la sua schiena. Le troppe urla coprivano il suo disperato tentativo di richiamare Ynyr e per quanto non smettesse di provarci, scorticandosi la gola ancora e ancora, suo fratello procedeva stringendola tanto forte da farle male. Temeva che quella tensione le avrebbe dislocato una spalla, cercò di dimenarsi, per farlo voltare, ma era troppo debole, estraniata da se stessa, come se quel disastro non si stesse consumando realmente davanti ai suoi occhi. Le grida di terrore, le abitazioni preda delle fiamme come torce accese, l’eccessivo calore e la confusione, c’erano emozioni così forti intorno a lei, così soverchianti, che realizzò di non poterle gestire, di star perdendo il controllo del proprio corpo.

Alzò in un ultimo, apatico gesto lo sguardo al cielo, e in quella notte di luna rossa, ancora una volta, vide un’ombra oscurare i raggi lunari. Un’altra scossa, come fuoco liquido, le percorse ogni terminazione nervosa e si raccolse nella mano che suo fratello stringeva con tanta prepotenza. Il dolore inaspettato le fece cedere le gambe ed un urlo lacerato le graffiò la gola, per il contraccolpo la presa d’Ynyr venne meno e Sianna si ritrovò a terra, in balia di una folla impazzita che la colpì senza pietà.

Le imprecazioni e le urla si mescolavano al pianto dei bambini, le persone incespicavano urtandola, qualcuno inciampò e cadde malamente disteso, in pochi attimi fu calpestato e i suoi lamenti si spensero in un mormorio indistinto. La macchia di sangue si stese sotto il suo corpo fino a raggiungerla e a inzupparle il vestito, le pietre divennero scivolose, molti slittarono e altri ruzzolarono venendo mangiati da quell’ammasso di carne e terrore compresso.

Una ginocchiata, colpendola con particolarmente forza alla testa, la fece capitolare e si ritrovò a carponi, a lottare per non svenire, per restare presente a se stessa, perché lo sapeva che se le braccia avessero ceduto anche lei sarebbe morta calpestata da quella miriade di persone raccolte in un fiume in piena privo di raziocinio.

«Sianna!»

Tra i gemiti e le voci che si sovrapponevano in pianti e suppliche, le parve di sentire indistintamente il suo nome, urlato da qualcuno che non riuscì a vedere né identificare, e sperava davvero che fosse suo fratello, voleva solo buttarsi tra le braccia di Ynyr ma un’altra ginocchiata al costato la fece accasciare: non le permettevano di rialzarsi e la stavano distruggendo. Il panico le stava portando via il respiro, non poteva chiedere aiuto e comunque quella poca coscienza che ancora le restava le permetteva di comprendere da sé che nessuno l’avrebbe notata.

Poi, un tuono improvviso, un sibilo lontano ed una casa scoppiò in un ventaglio di schegge che colpì indistintamente gli abitanti. Un uomo le cadde riverso addosso, un frammento di legno grande quanto un braccio conficcato in testa, e Sianna urlò, dando sfogo a tutto il suo orrore, ma ormai le braccia avevano ceduto, era bloccata da quel peso morto e dalle ferite, aveva respirato troppo fumo e la mano continuava ad emanare fitte di rovente dolore.

Grida acute e singhiozzi le riempirono le orecchie, si rannicchiò più che poté sotto il cadavere, usandolo come scudo, non voleva pensare che fosse un corpo, non voleva credere che, probabilmente, sotto tutto quel sangue che le colava addosso ci fosse un volto che aveva conosciuto bene.

Il peso delle persone che, calpestando il morto, la comprimevano con brutalità al lastricato, schiacciandole la guancia contro la pietra viscida di sangue, la stava soffocando, si affrancò con le unghie al terreno fino a spezzarsele, qualcuno le calpestò le dita e non riusciva a trattenere i singhiozzi e le lacrime per il male che la stava attanagliando e la paura che le comprimeva l’esofago le ripeteva che sarebbe morta senza poter nemmeno provare a fuggire, e non avrebbe rivisto Ynyr.

«Iris! Tieni Marion, non lasciarla!»

In uno degli ultimi barlumi di presenza, mentre sentiva la coscienza spossata scivolare nel nulla, le parve di riconoscere la voce di Lisanda nel tumulto.

 

Forse sono qui vicino.

Forse, quando il disastro è scoppiato, sono venute a cercarmi

 

Non lo avrebbe mai saputo, non l’avrebbero potuta vedere nemmeno volendo e, per quanto lo desiderasse, non aveva modo di palesare la sua posizione, non ne aveva la forza, era spezzata e l’unico motivo per cui ancora era viva era grazie a quel cadavere che si era frapposto fra lei e la calca. Le parve ancora di udire il suo nome, ma tutte le sue percezioni erano ridotte ad un brusio sommesso e vago e persino il dolore ormai si era ritirato, la sua mente si era distaccata dal suo corpo e l’unica cosa che percepiva ancora con chiarezza era solo costante e sottile bruciore alla mano sinistra.

Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare nell’oblio, senza opporsi.

Una voce, un suono vago, distante.

Ed il suo nome, ripetuto in una cantilena che rimbombava in un’eco nella sua testa, ma era come una fioca fiammella sommersa dal buio che lentamente andava spegnendosi. A tratti risorgeva unicamente per essere inghiottita di nuovo dall’oscurità.

Credeva ormai di non poter sentire più nulla, quando il peso enorme che la comprimeva al suolo venne d’improvviso a mancare. Il corpo era stato spostato, eppure nessuno la stava calpestando e d’istinto i polmoni si aprirono in un doloroso respiro, a cercare d’incamerare più aria possibile che le causò un eccesso di tosse.

Si portò la mano martoriata alla bocca, si restrinse come un feto e tossì ancora liquido denso e viscoso. Qualcuno non aveva smesso di vomitare parole, ma tutto si confondeva nel chiasso e nelle grida sbraitate di paura e collera e un sibilo sinistro le riverberava nelle orecchie ovattando ogni cosa.

Finché una mano non si affrancò alla sua e la sollevò di forza.

«Resistete! Dovete resistere!»

E ancora «Sianna! Sianna aiutami! Devi rialzarti! alzati!»

Le palpebre erano incollate, appiccicose di pianto, realizzò mentre le sollevava a fatica insieme al proprio corpo, lottando contro il sonno che l’aveva ghermita per rimettere a fuoco la situazione. Sfocate dalla patina umida, riconobbe i volti delle amiche come in sogno, strette attorno a lei in una catena che cercava di non farsi trascinare via, per concederle almeno quei pochi secondi necessari a farla rialzare. Era la mano di Kea, quella stretta attorno al suo polso, era il suo viso sudato, macchiato da un rivolo di sangue lungo la tempia e colmo di orrore a scrutare i suoi occhi alla ricerca di lucidità.

Furono pochi secondi che le parvero dilatati in interi minuti, ma che in realtà si consumarono nel rumore di un’altra esplosione, un boato che sovrastò ogni parola. La resistenza delle gemelle e di Marion venne a mancare sotto una nuova spinta, e compresse l’una sull’altra si ritrovarono a seguire il flusso, aggrappandosi l’una alle vesti dell’altra per non smarrirsi.

Come l’avessero trovata, che cosa stesse accadendo, con quale forza erano riuscite ad impuntarsi per prestarle aiuto, erano interrogativi che scivolarono via rapidi come si erano formati. Sianna sentiva solo che non doveva perdere conoscenza, doveva distogliere l’attenzione dal dolore perforante che le ustionava la mano come stesse stringendo braci ardenti.

Si guardò attorno disperatamente, il viso che quasi premeva contro la schiena della persona che la precedeva -non riusciva a distinguere nemmeno se fosse uomo o donna- nella speranza di riacciuffare l’immagine di suo fratello, mangiata da numerosi volti indistinti.

Urlò il suo nome fino a scorticarsi la gola riarsa, graffiata da tutto il fumo inalato e dal calore bruciante che le toglieva il respiro, urlò sapendo che Ynyr non avrebbe mai potuto sentirla. Cercò allora di scivolare verso il bordo della strada, per non essere più trascinata e avere almeno una speranza di salvarsi.

La porta di una casa in fiamme venne sfondata dall’interno ed un uomo corroso dal fuoco ne uscì urlando atrocemente, creando uno spostamento istintivo delle persone che aprì un leggero, piccolo varco. Sianna vi si sospinse, seguita dalle ragazze di cui sentiva ancora la presa sulla veste.

Agghiacciata, guardò quella che ormai era solo la sagoma di un essere umano consumarsi lentamente sul ciglio della strada, l’odore di carne cotta la prese alla gola e le causò un conato.

Alzò gli occhi al cielo, deglutendo piano per non rimettere, e in quel momento si accorse, con sgomento, di ciò che stava per accadere.

Sugli speroni delle montagne che circondavano il villaggio, che l’avevano sempre protetto, si accesero come inquietanti lumini sospesi nel vuoto, come centinaia di nuove, piccole stelle, delle luci. Fu questione di un attimo, il tempo che Sianna ci mise per gridare con tutta la sua voce «Abbassatevi!»

Centinaia di frecce infuocate vennero scagliate all’unisono e si abbatterono sulla popolazione ammassata nella via principale facendo sollevare al cielo strazianti lamenti di dolore.

Quella sofferenza travolse Sianna come un’onda alta, sbattendola a terra, boccheggiante e senza fiato. Con uno strattone si liberò dalla presa di Kea. Si portò le mani al viso, conficcò ciò che restava delle proprie unghie nella carne e cadde in ginocchio, senza più fiato per respirare. Le guance erano bagnate di lacrime per un male che non le apparteneva, ma da cui non riusciva a scindersi, un male che la torceva in spasmi che le percuotevano ogni muscolo, facendola tremare visibilmente di angoscia.

In quell’ultimo momento disperato, quando pensava di accasciarsi contro il freddo acciottolato, a ridosso del muro di una casa, sentì ancora una volta qualcuno tendersi verso di lei e liberarla dalla gabbia di dita dietro la quale si stava nascondendo per non dover vedere.

Una mano s’intrecciò alla sua, una mano familiare, nervosa e affusolata, forte di tendini tesi e scattanti, una mano che con un solo tocco dissipò i sentimenti altrui, scacciandoli con la sua calma serena.

«Resta presente Sianna! Sianna, non svenire!»

La voce calda d’Ynyr la risvegliò, riconobbe il suo volto sbattuto e ferito, sfigurato dalle contusioni e dal sangue e, prima di rendersene conto, si era già lanciata verso di lui, si era aggrappata alle sue spalle con la forza della disperazione. Schiacciati contro la parete di pietra non riuscivano a muoversi, ma perlomeno la folla era meno forte e non poteva trascinarli con sé.

«Qualunque cosa succeda, non lasciare la mia mano»

Si guardarono negli occhi per un lungo, surreale istante, e in quell’inferno, con la sua piega ferina e sbilenca, Ynyr le sorrise.

Anche Sianna riuscì a sorridergli.

 

 

 ANGOLO AUTRICE

Rieccomi, dopo una vita!

Essendo io emblema d’insicurezza e problematicità e avendo ricevuto poco riscontro tra i lettori, avevo deciso di lasciar perdere, ma questa storia ce l’ho in testa praticamente tutti i giorni e ci impazzisco. Per questo, grazie anche alla dose di autostima fornita gentilmente da una mia amica, ho deciso di riprovare.

È passato molto tempo, ma spero di ritrovarvi tutti e se ci fosse qualche nuovo venuto, beh, benvenuto! Stavolta, cercherò di essere meno assenteista, non sono mai troppo costante, ma farò uno sforzo.

Recensire è gratis e fa la gioia delle persone (e magari le aiuta anche a migliorare un pochino, che qui la passione è grande ma la capacità un po’ meno!), perciò se vi viene in mente qualunque cosa da dirmi, ditela e ne sarò felicissima!

A presto

  
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