L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
CAPITOLO SESTO
Quando giungeva Udara, insieme ad un caldo torrido
e appiccicoso, si
allungavano le ore, ed il tempo sembrava non riuscire più a
scorrere con fluidità.
Le campane dovevano suonare ancora una volta, prima di mezzogiorno,
eppure il
sole non aveva ancora raggiunto il suo zenit e la sala del trono
restava in una
dolce penombra, dovuta soprattutto alle spesse vetrate colorate che
lasciavano
riverberi arcobaleno.
Le tribune che costeggiavano il grande salone
iniziavano lentamente a
popolarsi di nobili, e Aodh seguiva placidamente, con lo sguardo, il
percorso
dei singoli mentre raggiungevano il posto che a loro era stato
assegnato. I più
disparati colori erano legati l’uno all’altro, in
una raccolta di abiti
sfarzosi ed eccentrici provenienti dai quattro angoli del Regno, in un
eccesso
che in alcuni casi riusciva a risultare fuori luogo, quasi imbarazzante.
Duchi, marchesi, Conti, visconti, baroni, signori
e semplici
aristocratici.
Erano stati richiamati tutti a Sehar, un evento
quasi unico a cui Aodh
aveva a lungo sperato di non dover mai assistere.
Contrariamente a molti, il Marchese di Arboris non
riusciva a
rilassarsi. I suoi nervi fragili lo avevano sempre reso una persona
ansiosa,
quasi nevrotica, e i lunghi giorni di viaggio per raggiungere la
capitale,
insieme a quella missiva che ancora stringeva stropicciata tra le mani
-
inviatagli da Golvan, il segretario del sovrano, e firmata da tutti e
nove i
conti palatini- non avevano contribuito positivamente al suo precario
equilibrio interiore.
Da circa un lustro aveva ereditato il titolo dal
padre defunto e si era
trovato nella scomoda situazione di dover far fronte ad un territorio
instabile
e alle richieste capricciose e irragionevoli di Re Edward, e per questo
temeva,
forse più di tutti, un confronto diretto con il sovrano, un
uomo tanto
ambizioso di fama quanto spietato.
«State sudando» lo riprese
bonariamente Tighe, seduto accanto a lui,
con un sorriso paziente. Era un uomo di mezza età, ingrigito
e segnato, eppure,
per contrasto, la sua indole era serena e pacata, guidata da un forte
senso di
giustizia e fermezza che la vita non aveva sporcato.
Aodh lo squadrò con le sopracciglia
contratte e pensò che era quella
sua condizione di nobile minore a tutelarlo. La casata dei Torquall era
vassalla della casata di Arboris da quasi un secolo, e il titolo di
Barone
garantiva ricchezze e responsabilità su porzioni di terre
limitate. Per quanto
Tighe fosse uno dei suoi consiglieri e compagni più fidati,
non poteva
comprendere le preoccupazioni che lo muovevano. Il conflitto con le
terre di
Samhradh, che da anni rendeva il confine una trincea, dopo la morte di
suo
padre si era acuito per colpa delle Driadi, che avevano scatenato una
rivolta nei
territori che già da decenni erano stati conquistati e
integrati da Sideris.
Aodh si era ritrovato impreparato di fronte alla
poca autorità che lui
e i suoi baroni riuscivano ad esercitare su quel piccolo popolo di
selvaggi.
«Non dovresti essere tanto sereno. Non
stai considerando i fatti. Tutti
i conti palatini hanno ritenuto di dover coinvolgere il Re in una
questione
giuridica, se noi ci troviamo qui. In uno stato normale, non lo
avrebbero mai
fatto, sono troppo ubriachi del potere che possono esercitare al di
là del Re
per limitarsi volontariamente. E questo ci pone di fronte ad un
problema di una
certa importanza»
Gli angoli della bocca del Barone si ritirarono,
per lasciare il posto
ad un’espressione contratta, assorta quasi.
«Cosa intendete dire?»
Il marchese scosse il capo piano, insicuro.
«Non lo so nemmeno io. Ma una causa
tanto grande da spingere Re Edward
a radunare tutti i propri feudatari, non sono sicuro di volerla
conoscere.»
«Non pensavo fosse questo ad
angustiarvi»
«Dovrebbe angustiare tutti. Guardaci.
Sta succedendo qualcosa, qualcosa
d’importante. E sarò un vigliacco, ma vorrei non
doverne fare parte»
Le voci concitate che avevano riempito il salone
di suoni cessarono
all’improvviso quando, precedute da un cigolare pesante, le
porte principali
destinate alla famiglia reale si aprirono lentamente. Con
solennità, due araldi
si fecero avanti e annunciarono l’arrivo del Re, che fece
loro seguito insieme
alla sua scorta, la guardia reale.
Edward era un uomo dotato di una calma apparente
inquietante e di
profondi e sinistri occhi color pece, che Aodh aveva incrociato da
vicino
soltanto nell’infanzia, quando ad affrontarlo non doveva
esserci lui ma suo
padre. Il volto squadrato, ben curato, con un pizzetto spolverato di
bianco a
circondare la bocca sottile e severa, era quello delle sue memorie e di
poco
era mutato. La corona che gli cingeva la fronte, sormontata da quattro
archetti
e illuminata al centro da uno smeraldo grande quanto una noce, con
l’anello
ornato da pelliccia d’ermellino, nascondeva una chioma ora
più rada e scolorita,
nera come ali di corvo nelle memorie infantili del marchese.
Sembrava di molto invecchiato, ma
l’età non lo aveva privato della
forza crudele e prevaricatrice che era in grado di manifestare
già solo con il
suo incedere ponderato e distinto. Lo strisciare morbido del suo
pesante
mantello sulla pavimentazione accompagnò la sua studiata
attraversata del
salone, fino al capo opposto, dove sorgeva, su un piano rialzato, il
trono.
Aodh si sentì incredibilmente piccolo e
incredibilmente meschino, si
guardò le mani contratte, strette l’una
all’altra come in cerca di un appiglio,
e provò solo vergogna. Il gravoso silenzio gli rese
difficile deglutire.
Re Edward fece scorrere lo sguardo lento sulla
sala e i presenti, prima
di rompere il vuoto rispettoso che li aveva avvolti, ma quasi a volerlo
far
penare ulteriormente, non li informò della ragione di quel
richiamo. Iniziò
invece a interrogare i suoi vassalli per essere ragguagliato sulla
momentanea
situazione delle sue terre.
La parola passò al Conte Leheren
Eguerdi di Meridiem, e poi ancora a
Imanol Lanegun delle Idi.
«Che notizia abbiamo invece, riguardo al
fronte di Samhradh?»
Il Re fece scorrere i suoi occhi severi sulle file
di volti intimiditi,
si soffermò sullo scranno che raccoglieva i Conti Palatini,
ma i consiglieri
tacquero ed in risposta, una piccola ruga andò a scavarsi
tra le sue folte
sopracciglia.
«Se il Marchese di Arboris rifiuta di
prendere la parola, mi troverò
costretto a chiedere al suo generale. Zilar, vuoi rispondere tu per il
tuo
padrone?»
Aodh
sussultò, colpito a
tradimento. Guardò fugacemente Tighe in viso, per
raccogliere il proprio
coraggio, ma l’uomo era impallidito. Allora cercò
Zilar, generale supremo delle
truppe Sideriane del Sud, mentre in piedi, nella sua tenuta da parata,
affiancava gli altri tre grandi generali a tutela
dell’ingresso.
Il soldato, dopo un attimo di esitazione, fece un
passo avanti.
«Vostra Maestà, le truppe
sono infiacchite e il morale è basso. Earrach
ha portato soccorso alla regione di Samhradh. Non hanno un vero
esercito, ma
agiscono in maniera scomposta, imprevista, e la loro conoscenza del
territorio
ci ha costretto a muoverci con più cautela. Oltretutto,
presto dovremo
ritirarci in attesa dell’Udaherria»
Re Edward annuì, palesemente
contrariato.
Le regioni di Aimsir erano l’ultimo vero
baluardo di difesa dei faerie
insieme alla Regione dei Laghi. Le uniche terre dove ancora erano gli
spiriti
naturali a governare e il sangue degli angeli continuava a scorrere nei
loro
discendenti. Il precedente sovrano aveva intessuto dei rapporti di pace
con il
Conclave e gli Spiriti, ma Re Edward aveva abbandonato rapidamente
questa linea
di pensiero e prima che la Congrega potesse intervenire, aveva iniziato
la
lenta espansione dei propri domini.
«Il nostro marchese avrà una
spiegazione plausibile, ovviamente, e
saprà dirmi perché il mio esercito non sta avendo
il supporto che mi era stato
garantito»
Il Sovrano si rivolse a lui personalmente, e Aodh
fu costretto ad
alzarsi in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi per non mostrare
cedimento.
«Le Driadi si sono rivoltate, Vostra
Maestà»
«Le Driadi? Non erano ormai state
sottomesse molto tempo addietro? Così
mi aveva assicurato il Marchese vostro padre»
Aodh si sforzò di riordinare
rapidamente i propri pensieri, per
spiegare nella maniera più chiara e concisa
l’instabilità della propria Marca,
ma non ci riuscì.
Le Driadi erano creature dal sangue fatato che da
secoli occupavano l’antica
foresta di Keyll, ma suo padre aveva strappato quei boschi a Samhradh
che lui
era solo un bambino e da allora erano sotto la tutela del Marchese di
Arboris.
A causa della guerra aveva dato ordine di abbattere parte delle grandi
sequoie
che la caratterizzavano, per costruire gli avamposti e gli
accampamenti, non
aveva considerato che i selvaggi dei boschi non avrebbero approvato.
Il suo esercito si era spaccato su due fronti, ma
la guerriglia interna
si era rivelata tanto problematica quanto la sottomissione dei popoli
delle
steppe. Il legame che le Driadi avevano con l’ambiente
naturale aveva sempre
reso difficile i rapporti, ed ora rendeva ancor più
complicato e insidioso lo
scontro.
«Ho cercato di sedare queste sommosse,
sto cercando di stanare i loro
villaggi. Ma si sono nascoste, e delle truppe inviate in quei boschi
quasi
nessuna ha fatto ritorno». Il sudore freddo gli imperlava la
fronte, chiuse gli
occhi, prese un profondo respiro e si decise a raccontare ogni cosa
«I
sopravvissuti delirano. Vaneggiano di spiriti evanescenti. Dicono che
la
foresta è maledetta, che l’hanno stregata, ed ora
nessuno desidera più
addentrarvisi»
Gli morì la voce e sobbalzò
quando il sovrano, furioso, batté con forza
il pugno sul bracciolo del trono. Il tonfo si propagò
macabro nella sala.
Aveva sentito voci in passato, leggende forse, ma
che lo avevano
terrorizzato. Si diceva che contrariando il Re si andava incontro ad un
cappio,
e Aodh tremava al solo pensiero. Sehar non era nota solo per le torri
di vetro
e i mostri di vapore, ma soprattutto per le forche e i corvi, per le
crudeli
manifestazioni di giustizia che il popolo apprezzava come un qualunque,
innocuo
spettacolo.
«Quante sciocchezze! Sanno usare la
magia, ma non ci sono superiori. I
maghi popolano il nostro Regno fin dai tempi più antichi,
eppure ancora veniamo
messi in ridicolo da simili trucchi!»
Lo urlò, e Aodh riuscì solo
a incassare la testa tra le spalle, con il
desiderio di potersi ritrarre il più possibile. Aggiunse
flebilmente, più per
giustificare se stesso che per coraggio «Non credo si tratti
di meri trucchi di
magia. Sembrerebbe siano Spiriti, a giudicare dai racconti oserei dire
di
Secondo Livello»
Edward rilassò le spalle e si
appoggiò con atteggiamento annoiato allo
schienale del suo trono.
«Spiriti non Tangibili dunque. Da quello
che mi hai riferito, è
probabile. Ora che la fonte del problema è stata
identificata però, mi aspetto
un immediato quanto decisivo provvedimento»
Aodh borbottò il suo assenso e
tornò ad accomodarsi, la testa china per
la mortificazione che lo stava divorando.
Il Re riprese a parlare, con voce tonante, ma il
marchese non riuscì a
guardarlo.
«Mi duole informarvi, compagni, che il
motivo di questo mio appello
improvviso non è dettato dall’incompetenza che
alcuni tra noi stanno
manifestando, quanto piuttosto, l’arrivo di una voce.
Una diceria che qualche uccellino ha portato da
oltre i nostri confini.
Una voce di tale portata che, se veritiera, potrebbe distruggere tutto
ciò che
abbiamo faticosamente costruito»
Le parole dell’uomo si depositarono con
estrema pesantezza sul suo
animo. Aodh le accolse, raccolto nelle proprie spalle, e un
presentimento
negativo gli accartocciò lo stomaco. Intorno a lui i nobili
avevano
incominciato a vociare, discorsi indistinti sovrapposti l’uno
all’altro.
La mano di Tighe si posò sulla sua
spalla, in un gesto di conforto e di
sprono. Sentendo il peso familiare del supporto del suo vassallo e
amico, Aodh
si decise a risollevarsi. Edward si era alzato, si stava dirigendo con
calma al
centro del salone e lì, come il grande oratore che era,
riprese
«Pare che il Conclave di Sirideainn si
stia riunendo. I sovrani che
ancora aderiscono al trattato postumo la Guerra dei Duecento anni sono
stati
chiamati a raccolta. E non solo loro. Pare che siano stati richiamati
gli
Spiriti e le Entità naturali»
Un momento di pausa e il Re iniziò a
percorrere a passi lenti e
soppesati la stanza, come ad aumentare un nervosismo latente ma
già fin troppo
pressante.
«La cagione di questa riunione della
Congrega pare essere la guerra
intestina che dilania Dubhar, oltre i monti Fengari, e tuttavia non
dobbiamo
sottovalutare la gravità di questo fatto. Certamente noi,
che abbiamo infranto
il trattato ed espanso i nostri territori, non passeremo impuniti. Il
Conclave
detiene, idealmente, un potere assoluto»
«Non sta dicendo quello che sta
dicendo» mormorò Aodh, più a se stesso
che al proprio vassallo. Deglutì rumorosamente e Tighe si
chinò su di lui per
bisbigliare «Che cosa ha in mente?»
Lo ignorava, ma una parte di sé aveva
imparato a conoscere la
tracotanza che caratterizzava Re Edward, ed era proprio quella parte a
metterlo
in guardia.
Il Sovrano placò i borbottii di panico
che già si stavano sollevando
dalla folla.
«Il Conclave ci confischerà
terre e ricchezze. Con molta probabilità,
deciderà di deporci per insediare nuovi membri,
più disciplinati al loro volere»
Un’ondata di malcontento
attraversò i presenti.
«Queste pecore non hanno capito
niente!» commentò Tighe con sprezzò, ed
il marchese non poté che trovarsi d’accordo con il
proprio vassallo.
«Sta facendo leva sulla nostra
ambizione. Credo di aver compreso quale
sia la sua richiesta. Ma è folle, non può credere
che verrà seguito»
«Da tempo siamo in disaccordo con la
Regione dei Laghi, Menekse non ha
mai approvato la nostra politica aggressiva, e di certo questo non
è un
mistero. Ma d’altronde, che può saperne una donna
dei Faerie di come si governa
un regno?»
Quell’ironia critica fu seguita da
risate di scherno da parte di una
buona fetta della nobiltà, e questo turbò Aodh.
Non basterà
fare leva su
Menekse e le sue manie pacifiste per spingerci ad un massacro.
Voleva convincersene, ma lo scetticismo cresceva
dentro di lui a pari
passo con il timore.
«Tutto questo preambolo ben orchestrato,
Maestà, dove vuole condurci?»
Il respiro del Marchese si bloccò in
gola e lo fece tossire. Era così
assorto da non essersi reso conto che Tighe si stava animando, non
aveva fatto
in tempo a impedirgli di alzarsi in piedi.
Edward abbozzò un sorriso, una piega
perversa delle labbra che non lasciava
presagire nulla di buono, e riprese a muoversi, la mano infilata nella
cintura
e lo sguardo spavaldo rivolto verso l’alto.
«Menekse mi ha intimato di cessare ogni
pretesa sulle regioni di
Aimsir, se non desidero scatenare un conflitto che, arrogantemente,
sostiene
non possiamo vincere. È pura presunzione, da parte di
quella… “donna”, credere
di poterci irretire con poche, banali parole. Il Conclave ha perso
prestigio e
la Regione dei Laghi è in declino. È questa
l’unica, inoppugnabile verità»
Un suicidio.
Dichiarare
guerra al Conclave
era un suicidio.
Tighe, contrariamente a lui non riuscì
a tacere «Il Conclave basa la
sua forza su una rete di alleanze solide da secoli. Una guerra contro
Menekse
scatenerebbe un conflitto tale da coinvolgere tutte le Terre di
Confine.
Neppure la collaborazione di ogni nobile presente in questa stanza
potrà
garantirci la sopravvivenza. E se reagiremo, verremo messi in ginocchio
senza
pietà. Menekse sarà una donna, ma non conosce
perdono. Non è saggio sfidare il
Piccolo Popolo così apertamente. Il mio casato non
acconsentirà»
«Maledizione idiota, siediti e
taci» lo sibilò, anche se ormai era
troppo tardi. Lo sguardo scettico e beffardo di Edward era
già rivelatore.
«Sei molto ardito per la misera
posizione che occupi» scrollò le spalle
e si rivolse ai presenti tutti, come a sottolineare quanto poco Tighe
contasse
in quel frangente.
Una mosca che sfida un gigante, era
l’unica impressione che Aodh aveva
ricavato.
«Il regno di Dubhar è in
miseria, i Clan si massacrano tra loro.
L’Esperia si trova ancora a gestire le scorribande dei Clan
dell’Est, e i
territori che ci confinano a Ovest sono stati ormai occupati solo da
gruppi di
Nomadi. Mettendo in scacco l’Esperia, isoleremmo la Regione
dei Laghi da Emer e
dalle isole. Se mai si è presentata davanti a noi
l’occasione per sciogliere il
giogo che ci lega da troppo tempo al Conclave, è questa.
Possiamo finalmente
sottomettere i faerie e dominare la penisola»
I consensi furono molti.
Troppi.
L’odio per la congrega sarebbe stato la
loro rovina, ed anche Aodh
avesse voluto obiettare, non ne avrebbe trovato il coraggio, non
finché si
fosse trovato tra quelle mura. Sarebbe stato più sensato
ritirarsi ad Arboris e,
solo successivamente, rifiutare di rispondere al proprio vincolo
vassallatico.
Non doveva essere l’unico ad averlo
pensato, ma Tighe era impulsivo, e
si stava scontrando con qualcosa di troppo grande anche se non voleva
realizzarlo.
Infatti, non reo, tentò ancora di
controbattere «Non dobbiamo lasciarci
influenzare da questa rosea apparenza. Vostra Maestà, state
dimenticando il
vero nemico»
La sicurezza di Edward parve incrinarsi un poco,
ma il sovrano
dissimulò rapidamente il proprio sconcerto
«Illustrami, ti prego»
«L’angelo»
La voce di Tighe aveva tremato, pervasa da un
rispetto reverenziale nel
solo pronunciare quella parola.
«L’angelo?»
«Sì. L’angelo che
si vocifera da anni sia in possesso della Congrega.
Se veramente a difesa del Conclave ci fosse un angelo, andremmo
incontro alla
nostra disfatta, per nuove terre e nuovi titoli»
Incredibilmente, alcuni annuirono, forse
spaventati più dall’idea di
quell’essere mitologico che dal sovrano.
Aodh non si unì a loro.
Conosceva la famosa diceria, ma aveva sempre
pensato che fosse solo un
ulteriore modo per sottomettere con il timore i Regni. Era un
ragazzino, quando
aveva saputo per la prima volta di questo fantomatico difensore del
Conclave,
era stato suo padre a raccontargli ogni cosa, lo aveva messo in
guardia. Gli
aveva sempre raccomandato di non commettere sciocchezze, quando fosse
giunto il
suo momento.
Lo aveva fatto anche in punto di morte, drenato
dai salassi e
schiantato dal tifo.
Eppure, ora vedeva in quel semplice uomo con una
corona in testa un
pericolo ben più pressante che in una leggenda popolare.
«Tra un Tempo esatto a partire da oggi,
mi aspetto di ritrovarvi qui,
prima del mezzogiorno. Ai presenti, illustrerò il motivo per
la quale nulla
abbiamo da temere da questo sedicente angelo. Diceria fomentata ai miei
occhi
solo per incrementare un potere che va spegnendosi»
Si sedette sul trono, la dignità che la
sua figura un poco affaticata
riusciva ad emanare, portava istintivamente a prendere in seria
considerazione
tutta la sua spavalda sicurezza.
«A coloro che stanno seriamente
valutando di non presentarsi, ricordo
il vincolo della promessa che ci lega. E alle conseguenze che, state
certi,
verranno scontate con gli interessi» un sorriso perfido e
rilassato si dipinse
sul suo volto di pietra.
Ancora una volta, Aodh chinò lo sguardo
sulle proprie mani, torturate
istintivamente per tutto il tempo di quella riunione.
«Mi giuraste fedeltà.
Rispettate quel giuramento, e non incapperete nel
disonore. Sono certo che fra trenta giorni avrò la risposta
che mi aspetto di
sentire»
L’assemblea venne sciolta e i dignitari
cominciarono a confluire nel
cortile esterno. Ancora carico di apprensione, Aodh si
affiancò a Tighe in
quella piccola folla, mentre scendevano la scalinata.
All’aperto, lo colpì il
profumo delle spezie, l’odore dei pasti caldi di mezzogiorno
nelle vie
cittadine che giungeva fino a lì. Il corrimano della
scalinata, dalla forma
sinuosa, era decorato a mosaico con frammenti di pietre colorate che
creavano
effetti geometrici, e decorate con ceramiche colorate a motivi floreali
erano
le grandi abitazioni nella zona più ricca della
città.
Le cupole a bulbo di vetro delle torri del palazzo
reale, con la
strombatura ampia e le nervature esterne che ricordavano una spuma di
crema,
sotto il sole brillavano proiettando riflessi di luce sulle mura
colorate
dell’edificio e le tegole vivaci.
C’era qualcosa di incredibile, in quella
città, un calore di stoffe
allegre smosse dal vento, un’originalità
architettonica, o forse proprio l’uso
smodato di cupole di vetro che illuminavano Sehar di un manto
d’incanto.
Il marchese si perse nella propria, personale
contemplazione fino a
quando non furono fuori portata d’orecchio, nei giardini
d’ingresso del
palazzo.
«Non avresti dovuto fare
quell’intervento. È evidente che ha in mente
qualcosa, ma se ti esprimi così apertamente non arriverai
lontano»
Tighe stemperò il tutto con un sorriso
bonario «Sicuramente ha in mente
qualcosa. Per questo la nobiltà deve fare fronte comune. Ha
bisogno di noi, gli
forniamo uomini e vettovagliamenti. Da solo non potrebbe sostenere i
costi di
una guerra»
Nonostante l’età, Tighe
restava un incredibile idealista senza
speranza.
In parte, Aodh temeva per l’amico,
sospettava che per piegare al
proprio volere i suoi feudatari, il Re avrebbe usato qualunque mezzo.
«Non conterei troppo sul buon senso qui
dentro. Li hai visti? Per lo
più si facevano ingolosire da promesse visionarie»
«Non vi fidate a sufficienza delle
persone. È questo il vostro problema»
Il marchese rispose con una smorfia scettica.
«Vedremo. Nel frattempo stai attento
però. Non mi fido di lui. Il fatto
che la decisione finale sia stata rimandata mi inquieta»
Il Barone sorrideva gioviale, non gli portava
rancore benché non lo
avesse appoggiato di fronte al consiglio, e di questo Aodh era grato.
Si
sentiva facilmente inadeguato, di fronte ai compiti che ci si aspettava
sapesse
gestire senza difficoltà, e l’unico obiettivo che
si era prefissato in politica
era di sopravvivere. Era un essere troppo piccolo e informe, di fronte
a Edward
come agli altri, per poter sperare di meglio.
«Può essere, mi
guarderò le spalle. Ma il vostro problema mi pare ben
più impellente. Come pensate di liberarvi di quegli spiriti?
Le amadriadi sono
un ostacolo ben più ostico di quanto la nostra
Maestà abbia voluto ammettere,
nessuno resiste ai loro incanti»
Aodh si grattò distrattamente la
guancia, sovrappensiero «Già. Non
riesco nemmeno a immaginare come siano riuscite a radunarne un tale
numero»
Il sorriso di Tighe si spense, la fronte segnata
di arricciò in rughe
profonde «Che pensate di fare?»
Avevano abbandonato i cortili del palazzo che si
aprivano sull’immensa
piazza di Izarargi. A costeggiare la ringhiera in ferro battuto a
ricami
naturali che delimitava i confini del Palazzo Reale, attendevano in
ordine le
carrozze dei nobili. Diversamente dalla carrozza che usava per i lunghi
viaggi
a distanza, grande quanto un piccolo appartamento, questa era sottile e
disadorna, laccata di nero, perfetta per gli spostamenti nelle vie
cittadine.
Aodh riconobbe la propria grazie ai colori
d’abito del cocchiere in
piedi, accanto ai cavalli bianchi ornati della gualdrappa con lo stemma
della
sua casata. Si avvicinò, lentamente, mentre la sua mente
inseguiva una
soluzione che non sembrava volersi mostrare.
Il cocchiere aprì lo sportello ed una
scaletta si srotolò ai
suoi piedi con un rumore metallico.
Prima di salire, si voltò a guardare
l’amico che pareva intenzionato a
ricevere necessariamente una risposta.
«Non lo so, non ho molte scelte. Penso
che chiamerò a Corte degli
Ammazza Spettri»
ANGOLO AUTRICE
Buongiorno, sono circa tornata!
Fondamentalmente, le note sono uno dei motivi per
cui pubblico tanto
sporadicamente. Sento che dovrei dire qualcosa di sensato e magari
chiarificatore, ma alla fine non ne sono mai capace!
Comunque, visto che le cose iniziano a diventare
tante, ho pensato di
fare un piccolo schema. Lo aggiornerò mano a mano che si
aggiungeranno nomi e
persone.
Potrei dover giungere a farlo anche per i
personaggi, ma spero non sia
così necessario perché mi annoio a morte a
mettere le cose in fila!
Ogni Regno o regione ha la propria lingua, ma
siccome sono contraria
alle classiche frasi inventate dove i personaggi sembra abbiano un
raschietto
in gola che non vuole saperne di sparire, ho optato per qualcosa di
più
semplice.
Per cui, sono alcuni dettagli legati alla
tradizione a distinguere un
Regno dall’altro, dettagli come le formule di saluto, i nomi
delle stagioni,
dei mesi, e altre piccole fissazioni da psicopatica quale sono.
REGNI PRINCIPALI
Regione dei Laghi:
Ø
capitale Sirideainn, sede del
Conclave.
Regno di Dubhar (o delle Ombre):
Ø
capitale Nesia
Regioni di Aimsir:
Ø
Samhradh
Ø
Earrach
Ø
Foghara
Ø
Geamharadh
Regno di Sideris:
Ø
capitale Sehar
Ø
Contea di Meridiem
Ø
Contea delle Idi
Ø
Marca di Arboris
Regno di Emer
Regno di Esperia
Steppe dell’ovest
Isole di Þoka
LUOGHI
Lochlainn, villaggio di sacerdoti
Dravidi a
Nord, sul fiume Ishtar
Glenn Dubhar, paesino tra le
montagne del Centro
Foresta di Keyll = Regione boscosa
di Samharadh
assimilata alla Marca di Arboris
Monti Fengari = Catena montuosa
che divide
Sideris dalla Regione dei Laghi
STAGIONI
Nel Regno di Dubhar:
Ø
Samhradh = Estate
Ø
Earrach = Primavera
Ø
Foghara = Autunno
Ø
Geamharadh = Inverno
Nel Regno di Sideris:
Ø
Udara = Estate
Ø
Udaherria = Primavera
A presto!