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Autore: Vago    17/02/2017    3 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 - Mea, puoi liberarci dalle manette? Non sento serrature, credo le abbia create il demone intorno ai nostri polsi. – disse Nirghe, una volta che si fu calmato ed ebbe ripreso fiato.
- Forse. Ma sicuramente non in queste condizioni. Non ho nulla per tracciare l’incantesimo sul pavimento… Aspettate, se riuscissi a grattare i polpastrelli sul terreno con abbastanza forza, potrei usare il mio sangue. Dovete solo darmi un po’ di tempo. – La maga cominciò immediatamente a muovere le spalle e i muscoli della schiena, strusciando la punta delle dita contro il liscio pavimento in pietra levigata.
- Mea, fermati. – disse Hile, senza ricevere risposta
– Mea! Fermati! – urlò il Lupo, riuscendo ad attirare l’attenzione della maga.
- Che c’è? Se non comincio subito, non riusciremo ad uscire in tempo da qui. –
- Sei l’unica tra noi che sa usare la magia. Non possiamo permetterci che tu ti rovini le dita adesso. -
- Hai qualche idea migliore? –
- Si. Ho ancora un coltello incantato, sui Muraglia. Devo solo richiamarlo fin qui. –
- Sono centinaia di chilometri! Lo sforzo potrebbe ucciderti! – ribatté la mezzelfa, scioccata.
- Se io non dovessi farcela, puoi tornare a rovinarti le dita. Avete avuto fiducia in me, quando siamo partiti, ora riponine ancora un po’. –
Nessuno degli assassini osò rispondere. Né la maga, né i restanti tre che avevano assistito muti alla discussione.
Il Lupo voltò per dare le spalle alla porta, per poi chiudere gli occhi, cercando di concentrare ogni sua attenzione sul coltello che aveva lasciato sulla tomba di Renèz.
- Io sono sicura che ce la farai. –
La voce di Keria raggiunse le orecchie di Hile, facendo comparire un sorriso rassicurato sul suo volto.
- Renèz. – disse a bassa voce il lanciatore di coltelli.


Dannazione!
Questa maledetta ferita sta continuando a sanguinare! Da entrambe le parti!
Fato, maledetto dio infame, non startene lì a fare l’eremita e scrutare con quel tuo sguardo borioso il Creato. Vieni qui e dimostrami che ci tieni davvero a tutto questo.
Mi avevi quasi convinto, con quel discorsetto sull’Isola dei draghi.
Merda, ho perso troppa quota, così non riuscirei nemmeno a superare il Passo Marino.
Oh, certo. Voi non lo conoscete. I cartografi si sono dati da fare dopo la Guerra degli Elementi. Il Passo Marino è l’ultimo valico a Sud prima che i Muraglia muoiano nel mare. È il più basso e il più vicino sia a me, che alla società.
Devo solo riuscire a superarlo. Dopodiché… dopodiché dovrò trovare delle armi nuove per quei mocciosi, se il loro destino è sconfiggere il demone, anche averli mantenuti in vita è stata una scelta azzardata, ma senza armi non potranno fare granché.
Maledetto sangue! Smettila di colare!



Una zolla cominciò a tremolare, mentre i granelli di terriccio rotolavano giù per il pendio della gibbosità che si stava creando.
Una lama d’acciaio sporca di terra tornò a vedere il cielo limpido, ora libero dall’oppressione della nube che si era ritirata.
Il coltello, non appena si fu liberato dalla tomba in cui era stato sepolto, si librò nell’aria, mentre il glifo che era stato impresso sulla sua superficie fremeva di magia.
Come dotato di intelligenza propria l’arma incantata schizzò verso il cielo, superando velocemente l’imponente palazzo dalle mura scure e il muro che lo circondava, dirigendosi a velocità folle verso oriente.
La lama tagliava l’aria, fischiando tra le correnti che incontrava senza mai virare od ondeggiare, nemmeno quando i feroci venti d’altura o le possenti brezze provenienti dal mare gli impattavano contro con tutta la loro forza.
Stormi di uccelli rompevano la loro formazione al passaggio di quel proiettile splendente, per poi ricomporsi non appena quel sibilo tornava ad essere un tutt’uno con il silenzio.


Ci sono.
Ci sono.
Passo Marino.
Non mi ricordavo che respirare fosse così faticoso…
Ora… devo solo raggiungere una città.
Il terreno è sempre stato così vicino?
Maledizione.
Questo farà sicuramente più male a me che a lui.
E questa è già la seconda volta che mi capita, non capisco se sono io che perdo colpi o è l’universo che ha aumentato il suo grado di sfida nei miei confronti.


Un corvo cadde a terra pesantemente, rotolando sui sassi più e più volte, mentre le sue membra si contorcevano e alle sue spalle una scia di sangue indicava chiaramente quale fosse stato il suo percorso.


Hile sentì la testa pesante.
Le dita delle mani formicolavano, muovendosi appena sotto l’ordine del cervello sempre più annebbiato del Lupo.
Non per questo, però, ridusse la concentrazione che stava impiegando.
Sentiva che il coltello si stava avvicinando, poteva avvertire che la linea invisibile che lo legava alla sua mano si faceva sempre più solida man mano che il tempo passava. DI pari passo, però, il suo corpo si appesantiva e la sua mente perdeva lucidità.
Aveva estromesso completamente i suoi sensi dal mondo esterno, rinchiudendosi in una bolla d’oscurità in cui nulla potesse disturbarlo o fargli del male. In quell’oscurità, però non riuscì a riconoscere l’ombra che gli aveva tenuto compagnia così tanti anni.

Il coltello descrisse il culmine della sua parabola, precipitandosi nella sua curva discendente verso il portone aperto di quel bianco palazzo dal tetto piatto.
Attorno all’arma la temperatura cresceva sempre più, mentre le dune rossastre del deserto si cominciavano a delineare nella loro rotondità.

Una fitta lancinante nacque dal palmo destro dell’assassino, risalendo lungo il braccio e per poi colpire violentemente la mente quasi assopita.
Hile aprì gli occhi e, immediatamente, le vertigini presero il sopravvento sulla realtà, distorcendone la luce e le forme.
Cercando di ignorare il senso di nausea che lo stava attanagliando, il Lupo strinse tra le dita addormentare la fredda lama del coltello che gli si era piantata nella mano e, poco centimetri per volta, lo fece uscire dalla ferita.
L’arma cadde per terra, riempiendo l’ambiente con un suono metallico riverberante.
Sentiva la bocca impastata e le parole che provò a pronunciare uscirono dalle sue labbra impasticciate. – Mea, tieni. –
Il coltello roteò una decina di volte in direzione della gabbia della mezzelfa, per poi cadere al suo interno.
Hile si lasciò cadere di lato contro il liscio pavimento, il petto si espandeva e contraeva affannosamente mentre alle sue spalle, con centro la sua mano, un giglio rosso stava sbocciando sulla pietra.
Mea si trascinò fino al coltello, stringendolo tra le dita esili e premendo con tutta la forza che riusciva ad esercitare contro il pavimento. Chiuse poi gli occhi, disegnando mentalmente il glifo che avrebbe aperto quei ceppi che la tenevano imprigionata.
La punta in acciaio si mosse lentamente, lasciando un solco alle sue spalle e stridendo ogni volta che incontrava un punto più solido sul suo percorso.
Di tanto in tanto, sotto gli occhi speranzosi e spaventati del Gatto, del Drago e dell’Aquila, la lama produceva qualche scintilla, ma nulla riuscì a distrarre la maga dal suo lavoro.
Le curve linee non erano precise, più di una volta il tratto era incerto o tremolante, ma Mea, più di quello che aveva fatto in quelle ore di lavoro, non poteva fare.
Il Corvo guardò un’ultima volta l’intreccio di solchi che ora gli stava di fronte, stringendo alle sue spalle le mani sul manico del coltello che ancora stringeva in pugno.
Con un sospiro appoggiò la fronte sul glifo, richiamando a sé la magia.
Il simbolo sul pavimento risplendette per un attimo, poi sia i ceppi alle caviglie, che quelli ai polsi si dissolsero per tornare polvere nera.
Una sorte simile toccò alle gabbie che affollavano la stanza e alle catene che imprigionavano i compagni.
Hile si alzò a fatica, sentiva le membra pesanti come la pietra e la vista offuscata. Il taglio che bucava il suo palmo non aveva intenzione di smettere di sanguinare, mentre le dita non sembravano volersi muovere.
I cinque assassini si avvicinarono cautamente al portone d’ingresso, osservando cosa si prospettasse davanti a loro.
Erano poche le guardie rimaste in città, il Demone doveva essere convinto che non sarebbero mai riusciti a fuggire dalle sue gabbie.
Alcuni di quei mostri dai musi animaleschi, facevano la ronda per la strada maestra che si apriva davanti all’ingresso, probabilmente imitati da altri gruppi nelle tre direzioni cardinali rimanenti.
Poche teste si riuscivano a riconoscere sui tetti, probabilmente arcieri intenti a sorvegliare gli anfratti in cui qualcuno potesse essersi nascosto.
- Non riusciremo a far uscire il drago di Keria da qui senza essere notati. – disse Nirghe spostando il suo sguardo dal portone d’ingresso alla mole cristallina del compagno, i suoi capelli erano mischiati a sangue rappreso, un profondo taglio si apriva sul suo zigomo sinistro e l’indice e il medio della mano destra risultavano gonfi e violacei. – Sarebbe un obbiettivo indifeso mentre striscia verso l’esterno. –
- Vorrei farti notare che lui, almeno, ha le squame. Noi non abbiamo nemmeno più le nostre armi. – sibilò Jasno scocciato, le parole uscivano stentate dalle labbra gonfie contorniate dalla pelle bruciata dal sole, i capelli bianchi erano macchiati e teneva la schiena curva, cercando di non distendere i pettorali, facendoli sforzare sulle costole.
Il Lupo cercò di parlare, ma un improvviso capogiro lo costrinse ad appoggiarsi alla parete alla sua destra, facendo colare su di questa il suo sangue fresco.
- Mea, non puoi renderci invisibili, in qualche modo? O trasportarci fuori di qui? – chiese Keria. Il suo petto ricoperto di sangue si alzava ed abbassava rapido e a scatti. Il suo tronco pendeva verso destra, come se non volesse appoggiare il suo peso corporeo sulla gamba sinistra.
- In condizioni normali sarebbe difficile, ma ora… Non posso fare quasi nulla, al massimo posso provare ad utilizzare incantesimi di bassa lega. – L’occhio sinistro della mezzelfa era chiuso sotto la bluastra palpebra gonfia, il suo gomito opposto era innaturalmente piegato di lato, su di questo qualcosa di rigido premeva contro la manica.
- Come facciamo ad uscire di qui, in queste condizioni? Persino quel maledetto servitore è stato sconfitto! – urlò Nirghe, piegandosi immediatamente su se stesso, colto da una tosse insistente.
- Dovremmo… Hile! – Un grido nacque spontaneo dalle labbra della maga.
Il lanciatore di coltelli era scivolato silenziosamente a terra, rimanendo seduto sul pavimento, con la testa appoggiata contro il muro, respirando a fatica.
Hile riuscì a produrre un mugugno, cercando di comunicare agli altri assassini di non preoccuparsi per lui, ma non riuscì ad ottenere l’effetto sperato.


Un corpo riverso in una pozza di sangue rimaneva immobile sul sentiero, con la sua linfa vitale che, sempre con minor intensità, zampillava fuori dal taglio che gli trapassava il ventre.
Il tatuaggio romboidale che gli svettava sulla guancia pallida appariva ancora più scuro di quando in realtà già non fosse.
Due ombre si posarono su di lui, una più alta, l’altra decisamente meno, per poi fermarsi ad osservarlo.


Il Lupo riaprì gli occhi appannati. Sentiva una stretta fasciatura stringergli il palmo e la fronte, i pensieri sembravano essersi fatti leggermente più chiari nella sua mente.
Davanti a lui la scena non era per niente incoraggiante.
Buona parte dei vestiti che avevano portato fino ad allora sotto le vesti cerimoniali erano stati ridotti in brandelli, per poter fasciare le fratture e le ferite che ancora non sembravano voler smettere di sanguinare.
Il lanciatore di coltelli provò a concentrarsi, cercando di ignorare il dolore pulsante e la stanchezza che lo stavano avvolgendo, cercando di stimare le condizioni in cui versavano.
Alla sua sinistra c’era Jasno, curvo con la fronte verso il pavimento. Doveva avere qualche costola rotta, non sembrava avere però problemi a respirare, se non per il dolore. La sua carnagione sembra essere sbiancata leggermente, forse grazie a un blando incantesimo di guarigione.
Accanto a lui Mea rimaneva immobile con le gambe incrociate, intenta a fissare il suo corvo di fronte a lei. Aveva coperto con una benda improvvisata l’occhio gonfio, cercando di proteggerlo dallo sporco e dalla sabbia sollevata dalle sporadiche raffiche di vento che si facevano strada attraverso il portone d’ingresso. Teneva il braccio destro rigido contro il ventre, lasciando la manica rovinata della veste a penzolare mollemente al suo fianco, priva di un arto da contenere. Doveva essere rotto, poteva avere anche l’osso esposto, se la sua vista, prima di svenire, non l’aveva tradito.
Nirghe era forse quello che dimostrava meno ferite. Il capo era stato interamente fasciato, come anche l’orecchio e lo zigomo sinistri, ma il bendaggio non sembrava essere stato sporcato recentemente di sangue, mentre le quattro dita della mano destra erano state immobilizzate assieme da una stecca improvvisata e strette insieme.
Infine, a concludere il cerchio creatosi, Keria aveva il petto e il ventre vistosamente fasciati, ma la sua respirazione non sembrava averne giovato molto. Una costola rotta doveva aver perforato un polmone, oppure uno dei suoi organi interni doveva essersi rotto, riversando al suo interno il sangue che non aveva vomitato. Forse, tra tutti, era quella in condizioni più gravi.
Hile cercò di non pensare alle conseguenze di quelle diagnosi approssimative.
Sentì alle sue spalle il respiro caldo di Buio, ma questo non bastò a rassicurarlo.
Mosse le labbra, piano, cercando di articolare una frase. – Cosa ci è rimasto? –
Sguardi sorpresi si girarono verso di lui.
Fu Nirghe a rispondergli. – Il tuo coltello, al massimo un paio di incantesimi inutili e i nostri compagni, ancora più inutili. Mea non riesce ad entrare nel suo corvo per andare a controllare la situazione all’esterno e Jasno non è in grado di sollevare le braccia, figuriamoci combattere. –
- Se solo riuscissimo a distrarre a sufficienza le guardie da far uscire di qui il mio drago e l’aquila, loro potrebbero portarci via. – disse Keria, con la voce di chi ha già ripetuto la stessa cosa fino alla nausea.
- Se il tempo di cui hai bisogno è di tre secondi, allora, forse, è fattibile, più di quello non credo che qualcuno potrebbe sopravvivere. – ribatté seccato il Gatto.
- Non possono uccidermi, se non mi prendono. – gli disse Hile, accennando un sorriso stanco per niente rassicurante.
- Cosa pensi di fare? – il tono della maga non riusciva a nascondere la paura e la frustrazione che provava.
- Vi darò il tempo di scappare. Voi raggiungete la setta e metteteli in guardia. Cercate almeno di non morire. – Hile si alzò a fatica, la benda sulla sua mano non riusciva già più a fermare lo sgorgare del sangue, salì quindi sulla groppa di Buio, accarezzandogli il pelo grigio.
L’Athur si diresse verso l’ingresso, preparandosi per balzare all’esterno di quel palazzo e iniziare a correre per evitare i dardi che gli avrebbe lanciato contro.
Nirghe lo raggiunse con il suo gatto nero sulla spalla e il pugnale stretto nella mano sinistra.
- Cosa pensi di fare? – gli chiese il Lupo, guardandolo torvo.
- Ho le gambe ancora abbastanza sane da poter correre, magari non riuscirò di nuovo a eguagliare il tuo compagno, ma qualche spada riuscirò ad evitarla. E, poi, tu non puoi usarlo questo. – concluse sollevando la lama sporca di quell’unico coltello rimasto integro.
- Voi tre, - proseguì lo spadaccino voltandosi verso gli assassini rimasti fermi al centro della sala. – non avrete molto tempo per uscire. Appena vedete che le guardie sono distratte, spiccate il volo. Se non potete passare a prenderci, lasciateci qui. –
- Cosa vi sta passando per la testa! Siamo arrivati qui in sei, non voglio che ne escano solo tre! – cercò di ribellarsi Keria, con la voce rotta.
- Mea, mi fido del tuo giudizio. – concluse il discorso il Gatto, tornando a voltarsi verso l’esterno.
- Prima di uscire voglio dirti una cosa. – borbottò Hile stringendo le gambe attorno alla vita dell’Athur.
- Cosa? – gli rispose Nirghe, protendendo leggermente il busto in avanti.
- Sono ancora convinto che quel pezzo di legno non funzioni. –
- Lo credo anch’io. Comunque è stato un piacere combattere al tuo fianco. –
- Dovremmo rifarlo, prima o poi. – gli rispose ancora il Lupo, sorridendo leggermente.
Il lupo e lo spadaccino scattarono insieme in avanti, lasciandosi alle spalle il portone d’ingresso e prendendo due strade differenti.
Dodici guardie a terra. Contò rapido Nirghe stringendo il pugnale, mentre il suo compagno aumentava la presa delle sue unghie sottili sulla casacca in corta pelliccia.
Le tre creature che stavano pattugliando la parte di piazza alla destra del palazzo puntarono immediatamente l’Athur, cominciando a rincorrerlo a velocità inumana tra le vie laterali, con le spade pronte a ferirlo.
Sette guardie non si mossero, rimanendo fisse nella strada maestra, pronte in caso dovessero attaccare.
Le due rimanenti rimasero un attimo spaesate quando il Gatto gli piombo addosso di corsa, graffiandone appena una con la lama sporca e continuando a correre verso la strada principale a sinistra del palazzo.
Dai tetti intorno le prime piogge di frecce cominciarono a cadere, troppo rarefatte per poter colpire i due corpi che si stavano muovendo sotto di loro.
Hile si infilò in una strada alla sua sinistra, zigzagando tra i muri delle case inseguito dai tre combattenti che non avevano intenzione di lasciarlo andar via. Prese quindi di nuovo a sinistra, sbucando sulla strada dalla quale erano arrivati in città e trovandosi di fronte il gruppo di creature rimasto immobile al suo posto.
Il lupo riuscì ad evitarle appena, facendosi però ferire alla coscia posteriore dal filo di una di quelle lame ricurve. Incespicò per un metro, per poi riprendere a correre.
Sopra di lui, l’assassino combatteva con il suo corpo per riuscire a non cadere a terra.
Nirghe si voltò di scatto verso destra, arrampicandosi malamente su di un tetto più basso, dandosi lo slancio dall’incavo di una finestra dal vetro in frantumi.
Sui tetti il numero di arcieri era molto maggiore di quello che avevano previsto, così come quello dei combattenti che affollavano tutto il perimetro del palazzo.
L’aquila riuscì a prendere il volo, risalendo velocemente nel cielo con stretti cerchi sopra la piazza.
Fu quindi il turno del drago di strisciare fuori dall’arco d’ingresso con Mea sul dorso squamoso.
Una freccia riuscì a penetrare nella coscia di Hile, facendogli perdere l’appiglio sul pelo grigio che si muoveva sotto di lui e facendolo rovinare a terra.
Buio non poté continuare la sua corsa, tornando indietro con le zanne snudate in direzione delle dieci guardie che si avvicinavano al suo compagno a lunghe falcate.
La testa del rettile cristallino parve la punta di una lancia, mentre il suo corpo caricava la massa di corpi che si stava radunando sulla strada principale.
Nirghe continuò a correre sui tetti, cercando di avvicinarsi all’assassino a terra per poterlo aiutare in qualche modo, ma tutto quello che poté fare fu vedere quattro differenti spade farsi strada prima nelle carni del lanciatore di coltelli, poi in quelle del suo compagno, lasciando i loro cadaveri a terra, riversi nel loro stesso sangue.
Un ricordo travolse il Gatto, facendogli spalancare gli occhi e imperlare la fronte di sudore. Era stato un idiota. Conosceva a memoria ogni dettaglio della storia delle Terre e non si era ricordato di come i Sei persero la loro prima battaglia contro i demoni del Re.
Guardò verso il cielo, dove già tutto era avvenuto.
Il corpo traforato dell’aquila cadeva privo di vita verso il suolo, con Jasno e Keria impotenti poco più in alto e il corvo di Mea intrappolato sotto una delle sue ali che combatteva per liberarsi dalla presa di quel cadavere.
Lo spadaccino si gettò a capofitto in direzione di Mea.
Le membrane trasparenti delle ali del drago su cui la maga era seduta erano state squarciate più volte, così come più volte le spade si erano fatte strada nel ventre del compagno.
L’aquila cadde a terra con un tonfo e, poco lontano, la raggiunsero anche i due corpi degli assassini, ora riversi scompostamente in una pozza di sangue al suolo.
Il rettile volante, cadde infine su un fianco, trascinando con sé la maga e imprigionando violentemente la sua gamba tra il fianco squamoso e la strada ciottolata.
Le spade non si fecero scrupolo a martoriare anche quel corpo.
Gli occhi del Gatto si riempirono di lacrime mentre, tutto intorno, il tempo pareva rallentare per far durare il suo dolore ancora più a lungo.
Sentiva tutto intorno a sé le corde degli archi tendersi, mentre le punte in metallo delle frecce lo puntavano con il loro presagio di morte da tutte le direzioni.
Alle sue spalle i due combattenti che era riuscito a lasciarsi alle spalle stavano ora arrampicandosi per tornare sullo stesso livello del loro obbiettivo.
Il gatto nero saltò giù dalla spalla del suo compagno quasi con tranquillità, atterrando leggero sulle zampe e voltandosi, in modo da fissare Nirghe con i suoi occhi gialli.
- Aiutami… - lo supplicò Nirghe, piangendo.
Lo spadaccino era disperato, non riusciva a vedere altro che disperazione, intorno a lui.
Il gatto prese la rincorsa, avventandosi con un balzo contro il petto dell’assassino.



Angolo dell'Autore:
Eccoci quindi al primo dei molti capitoli in versione large. E lo sto dicendo avendo appena smezzato un capitolo perchè, forse, 18 pagine in un colpo solo sono tantine.
Ma lasciamo tempo al tempo, o meglio, a Nirghe.
Ora posso ammetterlo a cuor leggero, adoro uccidere i miei personaggi, specialmente se non c'è in giro qualcuno in possesso del libro del Fato.
Far sì che uno o più personaggi principali muoiano è strano, per un autore. Apre decine e decine di possibilità davanti e, prima o poi, mi deciderò a scegliere di percorrere la strada più oscura.
Io non voglio espormi troppo, non ancora, per lo meno. Nei prossimi capitoli accadranno cose davvero importanti per il futuro, magari non ve ne potrete rendere subito conto, ma ho un piano chiaro in mente e tutti i tasselli che ancora vagano e potranno finalmente posizionarsi al loro posto per concludere il grande quadro finale.
Apro e chiudo in un attimo una parentesi per i ringraziamenti, perchè non saranno mai abbastanza. OldKey, la ragazza imperfetta ed EragonForever (quando giungerai a queste pagine) grazie e tutti voi per il tempo speso a leggermi e recensirmi. Ma non solo, grazie a tutti voi, lettori silenziosi, che seguite il mia storia capitolo per capitolo e date un senso alle ore di lavoro che impiego per produrla.
Alla settimana prossima.
Vago  

   
 
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