Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Eneri_Mess    18/02/2017    0 recensioni
Uomini e donne, reduci da un’epoca cesellata di leggenda, agiscono per sovvertire le sorti di un mondo ignaro e di sognatori, il cui unico scopo è quello di raggiungere il più famoso e ambito dei tesori, il One Piece.
Ma il nuovo Re dei Pirati, colui che conquisterà ancora una volta ricchezza, fama e potere, sarà solo uno.
« Non peccare di presunzione. Gli eredi sono quattro, i pretendenti molti. Non sarai tu a scegliere chi diventerà Re dei Pirati e come egli – o ella – deciderà il futuro di ciò che resta del mondo »
Dal Capitolo XX:
« Non vedo cosa dovrei ricordarmi di te, Portuguese. Non tratto coi pirati » sibilò in tono velenoso, avventato, ma non riusciva a domare un pulsante senso di ansia crescente.
Quel tipo sapeva il suo vero nome. Quello che lei tentava di insabbiare da anni, e che se fosse arrivato alle orecchie sbagliate avrebbe provocato troppi casini.
Ciononostante, il pensiero sparì, come vapore, dopo aver sentito la “spiegazione”.
« Mi avevi detto che bacio bene. Pensavo che questo fosse qualcosa di bello da ricordare » dichiarò offeso.
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cow-T. M2, terza settimana. 
Prompt: città - vita - anni
N° parole: 6349
- Capitolo XXI -
[Fiabe]
 
 
 
 
 
Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.
John Steinbeck
 
 
 
 
 
Ruba Nome aveva tre regole d’oro che Brama Mappa non avrebbe mai potuto scordare.
« La prima regola è che non si rubano mai oggetti dal valore sentimentale. Puoi scovare il più grande diamante di tutti i tempi, ma se qualcuno ci tiene tanto da mettere in gioco la propria vita, devi restituirlo »
« Tu sei tutto scemo »
Un’occhiata indispettita del ragazzino l’ammonì, anche se lei non smise di brontolare imbronciata. Con le giovani mani si reggeva il viso ancora sporco dalla fuga di qualche ora prima, ascoltandolo seduta su alcuni gradini in un vicolo appartato.
La città tutt’intorno si muoveva incurante, vivace e chiassosa.
« La seconda regola – riprese Ruba Nome, alzando anche il dito indice per darsi un tono più autoritario e saccente – è non uccidere nessuno. Non rubare la vita altrui. Sempre ladro, mai assassino »
Stavolta la piccola aggrottò le sopracciglia, fissandolo interdetta.
« Questa è la seconda regola? Cosa ci sarebbe di peggio dopo questa? »
Lui sorrise. Un sorriso che Brama Mappa non avrebbe dimenticato negli anni, perché ancora si chiedeva quali emozioni si fossero avvicendate su quelle labbra stirate e in quegli occhi per lei sfuggenti.
Orgoglio? Malinconia?
« Il sorriso » disse lui, flautato, con voce lontana eppure incisiva. « Terza regola: non rubare mai il sorriso a nessuno »
 
 
Nami fissò la pagina del giornale senza vederla, sospesa sopra le parole. La foto sottostante il titolo era quella di un fastoso palazzo, illuminato dalle luci della città di San Faldo, dove del fumo usciva dalle finestre di uno dei piani mediani, come se il fuoco lo stesse divorando. Ma quelle non erano fiamme. Se la foto fosse stata a colori, le volute sarebbero state azzurre, o lillà probabilmente, e piene di lustrini.  
“Il ladro Ruba Nome attacca San Faldo – sottratti inestimabili valori alla famiglia Du Rossignol durante un ballo di gala” rilesse per l’ennesima volta, obbligandosi a non ricadere in sensazioni dimenticate.
Nel proprio passato. In qualcosa di ancora troppo vicino a sé per essere chiuso a chiave definitivamente.
Quell’articolo era come un fiato tiepido sulla pelle. Una carezza delicata, immaginaria, che non avrebbe dovuto spaventarla. Tuttavia, rievocare certi ricordi ne avrebbe fatti affiorare altri in lei, simili a una catena, anelli che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Tra quelli, c’era Arlong. C’era la sua vita sotto di lui, le vane speranze, i rimpianti, e i brevi sorrisi finivano ottenebrati, inquinati dal resto.
Il passato l’aveva seppellito sotto le macerie di Arlong’s Park, insieme a tutto. A tutta la sua infanzia e adolescenza.
Strinse il giornale, tesa. Osservando le vetrate frantumate di quel palazzo a San Faldo.
Non troppo lontano da Water Seven, dov’erano stati tempo addietro.
Tirando i conti, neanche a troppe leghe da dove si trovavano in quel momento.
Vicino.
Ruba Nome era vicino.
« Nami »
Alzò il viso, gli occhi spalancati da emozioni ronzanti. Adocchiò Zoro, di fianco a lei, immobile come una statua. Fissò prima lei, poi il giornale, stretto tra le sue dita.
« Tutto bene? »
Come le poneva lui le domande, sembrava di ricevere dei moniti. Inflessibile, serio, quasi un ordine a rispondere.
La navigatrice riportò l’attenzione al giornale.
E chiuse tutto, di nuovo.
« Certo » sbottò, ripiegandolo per poi abbandonarlo sulla balaustra di fianco. Si voltò completamente a fronteggiare il compagno, mani sui fianchi, espressione minacciosa.
Prima che lo spadaccino potesse controbattere al repentino cambio, lei gli abbaiò dietro di nuovo.
« Sei uno scansafatiche! Che diavolo fai qui a spiarmi!? »
« Cos- Ti sei bevuta il cervello!? »
Dimenticò all’istante qualsiasi carineria gli fosse balenata tra le pareti della cassaforte vuota che aveva al posto della testa. La fissò sdegnato, e lei lo ricambiò incrociando le braccia e alzando il mento a sfidarlo. La tensione stava scivolando via.
« Stai sempre ad allenarti o dormi. Mai nulla di costruttivo » lo rimbeccò ancora la rossa, voltando il capo come se la questione la annoiasse. Per bloccarsi di nuovo, fissando un punto.
« Ma che ti piglia!? »
Quando Nami si voltò, se mai c’erano stati pensieri a turbarla, questi si vaporizzarono. I suoi occhi nocciola sprizzarono scintille.
« CHE DIAVOLO CI FA RUFY SULLA POLENA!? »
Fu impossibile non sentirla. Anche dall’altra parte della nave, sul grande leone-sole della Sunny, l’accusato incassò la testa tra le spalle, chiudendosi le orecchie con le mani in un moto di esasperazione nuovo per uno come lui.
Tempo pochi secondi, e una batosta in testa gratuita, Nami trascinò il marimo vicino al timone, dove Franky osservava davanti a sé senza un pensiero per la testa.
« Ohi sorella, che hai da gridare? » la interrogò stupito.
La ragazza non lo stette a sentire, arrampicandosi sulle scalette e raggiungendo il retro della polena.
« Scendi » scandì imperiosa e inferocita.
Il capitano si voltò facendole la linguaccia e blaterando un « No! » tornando a guardare di fronte a sé.
Il cazzotto vibrò sonoro sulla sua zucca non tanto di gomma, mentre da piedi a prua Zoro e Franky sospirarono di pena per il futuro Re dei Pirati.
Quella scenata andava avanti da tre giorni, da quando avevano lasciato Nim. La storia del bacio della sirena raccontata da Kamome era ancora qualcosa su cui parecchi di loro erano scettici. Ciononostante, mentre Usopp e Robin avevano impiegato le mattinate a scartabellare in tutti i libri della biblioteca alla ricerca di qualsiasi indizio concreto, Nami aveva preso la questione in mano, come suo solito.
Ossia aveva iniziato a vietare a Rufy di avvicinarsi a qualsiasi bordo della Thousand Sunny, meno che mai di starsene sulla polena. Era arrivata quasi ad appioppargli i baby sitter, con risultati discutibili: Zoro era stato escluso subito, dopo che si era addormentato cinque minuti a seguire; Sanji sarebbe stato perfetto se non l’avesse defenestrato dal bagno, visto che era Rufy ad appoliparsi a lui e richiedere cibo in continuazione; Robin anche lo aveva messo alla porta della biblioteca dopo un quarto d’ora di rumorini vari e deconcentranti; Franky, Brook, Chopper e Usopp erano la combriccola definitiva, se non si fossero distratti tra di loro finendo col perderselo più di una volta.
Una cosa era però chiara a tutti: Rufy era attratto dal mare e non se ne rendeva nemmeno conto.
All’inizio sembrava solo la voglia di recuperare gli anni di nuotate perdute a causa del Frutto del Diavolo, ma neanche a un giorno di partenza più di un membro della ciurma aveva notato lo sguardo rapito con cui fissava le onde. Non che avesse provato a buttarcisi, ma le sue occhiate trasognanti, quasi vuote, avevano sortito più di un brivido di pessimi presentimenti.
Ma lo stesso Monkey D. Rufy si era dimostrato testardo: “io non andrò da quella sirena.”
E fine della discussione.
« Kamome ti ha avvertito: non ti puoi opporre » ribadì Nami dieci minuti dopo, riaccendendo l’ennesima discussione che si sarebbe conclusa sbattendo contro la cocciutaggine del capitano. Si erano sistemati intorno al timone, chi seduto sulla panca, chi sulle assi del ponte, mentre Sanji li aveva raggiunti con alcuni drinks insieme a Brook, Chopper e Robin con un libro sotto mano.
« Non mi interessa » fu la blanda ed esasperata risposta bofonchiata dal moretto con la cannuccia in bocca.
« La dolce Nami-san è preoccupata per te! » lo redarguì Sanji, più per cavalleria che per reale interesse.
« Ma io non intendo rinunciare a fare quello che voglio! Diventerò il Re dei Pirati, non lo schiavetto di un pesce! »
« Una sirena, idiota! Una sirena di cui non sappiamo nulla! Se è stata capace di eludere la maledizione del Frutto del Diavolo, chissà di cos’altro è capace! Oh, insomma! » sbuffò furibonda Nami, notando come Rufy si facesse i cavoli propri. Si lasciò andare con la testa sulla spalla di Robin, ricominciando lamentosa. « Sorellona, dimmi che almeno tu hai trovato qualcosa di più! E dov’è Usopp? »
L’archeologa le diede un buffetto in testa con un sorriso né rassicurante ma neanche di circostanza. Però sembrò capire la sua frustrazione.
« È salito sulla coffa a tenere d’occhio la situazione… »
« Almeno lui fa qualcosa di utile » sibilò la rossa, fissando trucemente Zoro, che stizzito rivolse il capo da un’altra parte.
« … riguardo alla sirena non abbiamo trovato molto » continuò la moretta, catalizzando l’attenzione.
Franky mise una sorta di pilota automatico, perché si voltò e alzò gli occhialetti sulla fronte, in ascolto. Rufy non se ne andò, ma diede ostinatamente le spalle alla sua navigatrice, che gli avrebbe volentieri tirato un tacco sulla nuca. Sanji scuoricinò, ma nessuno ci fece caso.
« Vi leggo la fiaba intitolata “Il Bacio della Sirena” » nel dirlo, si schiarì la voce, aprendo il libro rilegato e sfogliando le pagine vergate a mano e illustrate ad acquarello.
« C’era una volta un galeone perso tra i flutti di una tempesta. Il cielo era nero e le onde mani buie che ghermivano la nave. Un fulmine si abbatté sull’albero maestro e bruciò tutto il legno fino a spezzare a metà lo sventurato galeone. L’equipaggio si tuffò in mare, nella speranza che Poseidone avesse pietà di loro, ma tra questi un solo uomo ebbe salva la vita.
Egli affondava e affondava; sempre più lontana vedeva la superficie, sempre più confortato accoglieva il buio e il freddo dell’abisso, quando mani gentili si posarono sul suo viso. L’uomo vide bellissimi capelli rossi, come un fuoco ardente tra le acque gelide, e incantevoli occhi come il cielo primaverile. Prima di abbandonarsi al buio, la creatura lo baciò.
La mattina dopo l’uomo si destò sulla spiaggia della sua terra natia. La sua famiglia accorse e pianse e festeggiò, ma l’uomo era confuso e chiese disperato:
“Ella dov’è? Dov’è quella mirabile fanciulla che mi salvò?”
Nessuno seppe rispondergli e tutti interpretarono le sue parole come sogni vaneggiati a un passo dalla morte.
L’uomo stesso se ne convinse, ma poi, il giorno dopo ancora, in un’insenatura nascosta, sentì una voce cantare: un verso soave, una ninna nanna, il cinguettino di un usignolo. Egli seguì ipnotizzato la dolcezza di quelle parole sconosciute fino alla battigia e lì vide la sua salvatrice: seduta su uno scoglio lontano, con la chioma corallo carezzata dal vento, conobbe la sirena.
Si scambiarono uno sguardo, fugace come il battito di un’ala, ed ella risparì nei flutti amici. Tuttavia non andò lontana. Tutti i giorni, la sirena si sedette sullo scoglio e intonò il suo canto d’amore per l’uomo. Nessuno dei due osava avvicinarsi all’altro, ma entrambi gioivano della rispettiva presenza.
Una mattina, l’uomo dovette riprendere il mare per lavoro e disse addio all’amata, senza sapere che ella lo avrebbe seguito anche durante il viaggio.
La notte, quando credevano che tutti dormissero, la sirena cantava per lui fino all’alba, cullandolo nel suo amore. Il viaggio continuò e con esso anche il loro segreto.
Giunti a un’isola per commerciare, il capitano della nave disse all’uomo:
“Ripartiremo prima del tramonto del sole, non tardare!”
Questi si fidò della parola del suo superiore, senza fiutare l’imbroglio: il capitano richiamò l’equipaggio molto prima e salpò, abbandonandolo lì.
Giunse la sera, e il fedifrago si travestì come l’uomo e attese che la sirena si avvicinasse per cantare. Quando emerse dall’acqua, credendo di scorgere il suo amore, scovò l’inganno ad attenderla: l’equipaggio la agguantò con le reti e a nulla valsero le lacrime della sventurata e l’invocare il nome del suo amore.
Innamoratosi di lei e del suo canto durante le lunghe notti di traversata, il capitano disse che la voleva per sé e sé soltanto. La sirena si dimenò e implorò, senza che nessuno la ascoltasse.
Quando si rifiutò di cantare e amare il capitano, questi venne accecato dalla gelosia e la uccise »
« E poi? Finisce così? » la incalzò il carpentiere, con le lacrimucce agli occhi, torturandosi il labbro.
L’archeologa voltò sull’ultima pagina del racconto e le poche righe che lo concludevano.
« Nello stesso momento, sull’isola dove era stato lasciato da quelli che credeva essere compagni, l’uomo sentì il petto dolergli. Preda della sofferenza, egli si gettò in mare e nuotò col desiderio di ricongiungersi alla sua amata. Ma prima che potesse raggiungerla il dolore divenne insopportabile ed egli morì tra le onde. Fine »
Un silenzio sacrale calò a coronare le ultime sillabe espresse da Robin con trasporto. Nessuno fiatò, anche perché la maggior parte avevano trattenuto il respiro.
« … e questa sarebbe una fiaba? Dov’è il lieto fine? » sbottò Nami, più depressa che mai.
Robin fece spallucce, richiudendo il libro tra i piagnistei del cuoco, dello scheletro e del carpentiere.
« Io non sono innamorato di quella sirena! » puntualizzò Rufy facendo le bolle nel suo bicchiere.
« Io sììì » impazzì invece Sanji, cogliendo l’occasione di strusciarsi sulla spalla libera della navigatrice e rimediandoci solo uno scapaccione.
« È terribile Robin! Significa che se la sirena viene catturata e muore, succederà lo stesso anche a Rufy!? »
La domanda di Chopper portò un momento di stallo. La ciurma si guardò l’un l’altro, fissando poi il futuro – era ormai da vedere – Re dei Pirati, intento a infilarsi una cannuccia nel naso.
Una consapevolezza comune, e rassegnata, passò per la mente di tutti.
« Sciocchezze » tagliò corto Nami.
« Quello non muore manco se lo ammazzi » masticò Zoro.
« C’è un altro racconto, il “Richiamo della Sirena” » fece presente l’archeologa, sfogliando di nuovo il suo macabro libro. « In questo caso la sirena canta per l’uomo amato finché questi non la raggiunge sul fondo del mare per un ultimo bacio prima di morire »
« … ma sono tutte così angoscianti? » borbottò la rossa.
La moretta fece spallucce, osservando Rufy che si rovesciava il bicchiere vuoto sulla testa e ripiegava le cannucce in entrambe le narici facendo ridere Chopper.
« Forse a Port Red Jack troveremo qualche informazione » provò Sanji, cercando di tirare su il morale alla navigatrice.
« O forse troveremo solo un sacco di guai » sbottò lei in risposta, palesando ulteriormente il suo malumore.
Già, Port Red Jack.
Un’isola che era stata descritta come un covo di infami e piantagrane. Molto peggio di Mock Town e più infida di Whisky Peak. Non che non mettesse addosso a qualcuno di loro un sottile quanto elettrizzante senso di attesa. Durante i loro viaggi erano stati in contatto con la filibusta più genuina solo in situazioni relative, sempre braccati da terzi o sempre di fretta.
Pian piano, ognuno tornò a rivolgere rapide occhiate agli altri, finché i primi non iniziarono a dire la loro, con qualche ghigno noncurante.
« Andrò in armeria… e a farmi una seria bevuta »
« Bravo, così ci toccherà venire a cercarti dall’altra parte della città. Ma solo dopo che avrò visto che cosa offre il bazar cittadino »
« Sanji posso venire con te? Magari hanno ingredienti particolari per le mie medicine! »
« Super ragazzi! Due colpi alla Sunny e vi raggiungo! »
« Sorellona mi accompagni al casinò? Ho bisogno di sentire il portafoglio pieno »
« Intanto potrei chiedere di altre leggende legate alle sirene »
« Chissà che mutandine carine avranno le signorine dell’isola »
« Magari troviamo un nuovo membro per la ciurma » finì Rufy, che stava osservando il fondo del bicchiere con occhio critico. Per una volta, le sue affermazioni candide, che avrebbero fatto borbottare più di qualcuno, passarono in secondo piano; questo perché Usopp, dalla coffa, strillò un chiaro ed eccitato « TERRA! »
Si precipitarono tutti ai parapetti, dimentichi di sirene, leggende e pessimi auspici, per osservare il profilo dell’infame Port Red Jack stagliata contro l’orizzonte. Già nell’aria si annusavano profumi di spezie e divertimenti.
Oltre che di guai.
Di quelli che avrebbero reso la loro fuga indimenticabile.
E affollata.
 
 
***
 
 
Porto di San Faldo.
Il giorno dopo l’Asta.
 
 
I gabbiani garrivano agitati, volando da una parte all’altra del porto. Le banchine brulicavano di vita, anche lì per la maggior parte gente con maschere e costumi elaborati, colorati e sgargianti. I banchi del pesce fresco e i bazar temporanei dei mercanti di passaggio contribuivano al cicaleccio pressante. Lontano, il fischio del treno del mare annunciava una partenza imminente.
La Sidero era ormeggiata all’ultimo molo, più tranquillo e meno frequentato, oltre che camuffata per nascondere gli indizi che un occhio esperto avrebbe potuto cogliere e ricollegata all’Armata Rivoluzionaria. Non che ci fosse molta Marina in giro da quelle parti. A seguito dei disordini della sera precedente presso Palazzo Du Rossignol, la maggior parte delle forze dell’ordine era ancora intenta a setacciare le bettole dei canali malfamati e la zona portuale dei traffici poco leciti. Quando in realtà le manette sarebbero dovute scattare ai polsi dello stesso Dominic e della sua congrega di ladri, se la bella facciata che aveva eretto sulla sua persona – con mucchi di assegni staccati pigramente – non avesse indirizzato i tutori della legge da un’altra parte.
Questo era ciò che Koala, appoggiata con indolenza al parapetto della nave, pensava con gli occhiali da sole calati sul naso. La sera prima si era divertita, nonostante un cavillante grillo parlante del buon senso si fosse fatto sentire per tutto l’inizio della serata.
Essere circondata da pirati, da funzionari corrotti e ladri generici non era la compagnia adeguata alla sua idea di festa. Ma si era trattato di lavoro. Diverso dal solito, a cominciare con il vestito che Amon le aveva procurato rendendo giustizia al suo nome. Simpatico e anche carino. Cortino, e con la schiena tanto scoperta per le sue abitudini, che per un po’ gli era piaciuto mescolarsi al serraglio improbabile e bersi un drink pensando a frivolezze.
Senza contare che con la maschera calata sul viso aveva potuto osservare tutti, incuriosita, senza sensazioni di imbarazzo. Compreso…
Lo sguardo le cadde oltre la spalla, sotto l’albero maestro. Con la schiena appoggiata al legno, seduto su una cassa e le gambe lunghe su un barile, Sabo dissimulava l’attesta osservando il cielo e tamburellando le dita sulle braccia incrociate. L’irritazione palpabile era ancora presente, constatò con un sorriso la rossina.
La sera prima era andato tutto bene: non si erano fatti riconoscere – nonostante gli annunci plateali di Ruba Nome – e avevano parlato col Vice dei Raiders senza troppi intoppi. Avevano chiacchierato, in disparte da tutti, come non facevano da tanto, ridacchiando e…
Koala arrossì appena, gonfiando le guance.
Erano stati vicini. Parecchio. Tanto che lei, pervasa da una goffaggine demoralizzante, aveva rischiato di rovesciare bicchieri e camerieri.
Sabo vantava una galanteria naturale, qualcosa di scritto direttamente nel DNA. Era affascinante, con qualsiasi cosa addosso, e si controllava in tutte le situazioni, nei gesti misurati, in movimenti che riempivano gli spazi senza invaderli… un insieme radicato negli anni dell’infanzia che la sua memoria aveva perduto, ne era certa. Questo al contrario della sua parlantina sciolta. C’era un conflitto tra la nobiltà del suo incedere e il modo in cui si esprimeva, come se fosse cresciuto contemporaneamente in un luogo di classe e in un giungla.
Ridacchiò, grattandosi la nuca, ancora impigrita contro il parapetto della Sidero a fissare il porto.
Non si accorse della mano che calò sulla sua testa, carezzandola. Alzando gli occhi stupida, Koala incontrò lo sguardo gentile di Amon.
« Buongiorno bambina » soffiò morbido, passandole le dita tra i capelli. « La tua espressione sognante renderebbe geloso qualsiasi uomo, sai? »
« A-Amon-san »
Le scostò una ciocca per poterle sussurrare all’orecchio.
« È uno spreco che i tuoi begli occhi vedano solo lui… »
Koala trattenne il fiato, o in quel momento si dimenticò di respirare. Pensava alle parole, non riuscendo a metterle una di fila all’altra coerentemente, e vedeva l’uomo di Alabasta, rammentando che se erano ancora attraccati a San Faldo era perché lui era sparito per tutta la notte e la mattina, e che Sabo…
« … parli del Diavolo » borbottò Amon, rimettendosi dritto quando la presenza del biondo, alle loro spalle, si fece pressante e molto poco amichevole. Una smorfia da ragazzino annoiato si aprì tra i suoi capelli blu notte lasciati sciolti. « Neanche il mio vecchio mi ha mai guardato tanto indisposto »
« Non sono indisposto »
Perfino la ragazza si fece piccola piccola, non intenzionata a intromettersi nella discussione.
« Che cosa ti sei messo in testa? Per te è un gioco? » accusò il biondo, immobile come una statua. Era furioso, questo Koala lo aveva capito da quando erano rientrati, e l’attesa aveva aggravato non solo la stizza iniziale, ma anche il silenzioso astio che il Braccio Destro di Dragon covava per Amon.
« Mh, il suono soave delle prediche » replicò passandosi una mano tra i capelli.
« Perché sei andato a Palazzo Du Rossignol? »
Non doveva essersi aspettato quel dettaglio. Il suo sorrisetto scanzonato si congelò.
« Non ti fidi proprio di me? »
Qualcosa di quella oscurità che ammantava i suoi segreti vibrò nelle sue parole, graffiante.
Ma Sabo sapeva essere un ardito, dimostrando il disprezzo e il coraggio di fronte a una pericolosità celata.
« No, non mi fido. E penso che continuerò così finché non mi dirai qual è il tuo vero scopo in questa missione »
Chiaro e coinciso.
Koala guardò prima lui e poi l’accusato, senza capire.
Amon, per una volta, dimostrò di saper rimanere stupito. Una notte fuori e quel ragazzino aveva fiutato molto più di quanto avrebbe preferito. Lo aveva sottovalutato. Ora la blanda scusa di essere stato in compagnia di qualche donna avrebbe retto la metà.
« Ho i miei motivi – alzò una mano per fermare la repentina protesta del minore – e non sono strettamente legati al lavoro per cui siamo venuti qui. Hai ragione »
Negli anni Amon aveva ceduto ai compromessi, lui che era cresciuto in un mondo piccolo e ristretto dove le uniche leggi vigenti erano “buono” e “cattivo”, “giusto” e “sbagliato”, “sacro” e “profano”, “infedeli” e…
Fissò negli occhi Sabo, occhieggiando anche Koala al suo fianco.
Un tempo tutto questo per lui non sarebbe esistito. Non era scritto. Non avrebbe mai conosciuto il mare, le etnie, un sapore che non fosse la sabbia. La conoscenza, la cultura, la storia. I colori che il cielo poteva assumere in porzioni differenti di mondo; le costellazioni mai sempre le stesse; il solo concetto di isola.
Tutto era iniziato con uno sguardo come quelli che ora lo fronteggiavano, battaglieri, fieri, pronti alla lotta per qualcosa di importante, per una sfaccettatura dell’immensa verità del mondo. Amon portava i segni sul corpo di una battaglia simile, una per cui tanto tempo prima credeva di essere nato, destinato a proteggere una verità sacralizzata dal tempo e dall’ignoranza. I nemici del suo ristretto popolo erano i falsi, i fedifraghi del mondo esterno.
E uno di quegli stessi millantati nemici un giorno era arrivato al Tempio, stremato ma ricco di speranza, a togliergli i paraocchi, a strappare le tende oscuranti la finestra della sua ragione, delle sue credenze. Ad affascinarlo parlandogli del mondo nella sua interezza, della bellezza che si poteva trovare in un fiore, nella sua fragilità e come nelle sue radici robuste.
Aveva perso tutto per un’amica, per un affetto sincero. Aveva perso lei e i suoi occhi azzurri che scrutavano e imparavano ogni cosa su cui si posassero, che rispettavano e amavano con la delicatezza di una madre e l’inesauribile energia di una bambina in un giardino da scoprire.
La notte in cui aveva reciso i legami col suo passato si era fatto delle promesse, le uniche ragioni per cui era sopravvissuto.
E quel viaggio era il primo passo verso la realizzazione.
« Non ti ho mentito Sabo. Dragon mi ha chiesto di accompagnarvi e aiutarvi. Ma ho avuto il permesso di occuparmi di alcune faccende personali »
La spiegazione sommaria non aveva colpito il biondo, non lo aveva soddisfatto. Neanche lontanamente.
Amon, esperto di nonchalance, si appoggiò coi gomiti al parapetto della Sidero, lasciando che il kimono gli si aprisse sul torace bendato. Cicatrici e simboli tatuati spiccarono sulla pelle ambrata.
« Sono andato dal Signor Dominic perché è il migliore nel suo campo. E ti basti questo. Non ho intenzione di dirti altro » concluse.
Koala si chiese, col cuore che batteva forte, se Amon si rendesse conto di quanto il suo viso si fosse adombrato, incupito. Di come le parole fossero scivolate fuori come lame pronte a scattare e trafiggere. O ancora, del solco tracciato tra di loro, del fosso torpido che ora li separava.
Fidati: prendere o lasciare, diceva il suo sguardo.
Al suo fianco, Sabo aveva le braccia abbandonate lungo il corpo, ma non la propria espressione. Non era il Vice di Dragon solo per la sua forza fisica, per la sua volontà radicata profondamente, per i suoi ideali. Era il secondo elemento più importante dell’Esercito Rivoluzionario perché Sabo infrangeva gli specchi delle bugie, vedeva oltre essi, prendeva su di sé la responsabilità di dare fiducia, di affidarsi all’istinto e non temere le conseguenze.
Per questo fece un passo, mettendo metaforicamente piede in quel divario, in quella fossa che Amon aveva aperto di fronte a loro. Senza cadere.
« Lo scopo di questa missione rimarrà prioritario su tutto »
« Non era mia intenzione dare adito al contrario. Ritardo di stamattina a parte » aggiunse con una smorfia il Nadim. « Mi sono lasciato prendere la mano nel costruirmi un alibi »
Il biondo ignorò l’allusione, ma Koala, tirando un respiro di sollievo, vide la tensione allentarsi nelle sue spalle.
E fece una cosa che lasciò gli altri due di stucco: tese la mano destra, tese la propria volontà di credergli senza domande.
Amon fissò le sue dita e qualcosa di antico tornò a galla.
Non si finisce mai di imparare, di sorprendersi, di lasciarsi stupire da chi si ha davanti.
Certe lezioni, all’ombra delle rovine di Alabasta, impartite dalla donna più in gamba che avesse mai conosciuto, non si potevano dimenticare.
Strinse la mano di Sabo e si impegnò tra sé a non combinargli troppi casini in futuro.
Quando sciolsero la presa, di nuovo il mondo aveva preso tinte e sfumature leggere.
« Allora, raccontatemi la serata. Voglio i particolari indecenti » ghignò Amon.
I due giovani alzarono gli occhi al cielo.
 
 
 
***
 
 
 
Water Seven,
sera dello stesso giorno.
 
 
 
I profumini invitanti provenienti dalla cucina del Dock Rocks si annusavano nell’aria serale già dall’angolo della strada. Se non fosse stato nei piani di Ace andare al locale, quel richiamo per il suo stomaco lo avrebbe portato a farci una tappa comunque.
Entrò nella locanda più allegro rispetto a quando era sceso dal Treno del Mare, scombussolato dal viaggio noioso e impensierito dalla serata passata a San Faldo. Avere noie per la testa non era proprio da lui, gestirle e ragionarci sopra ancora meno, così diede retta alla pancia, facendo un sorriso smagliante all’oste quando incrociarono gli sguardi.
« Oh no » esordì Barrett lugubre, roteando il panno in un bicchiere con l’entusiasmo in calo.
« C’è un odorino qua fuori… » spiegò soave Pugno di Fuoco, sedendosi al bancone. Con una schicchera si fece scivolare il cappello alle spalle, in segno di rispetto. Quel posto gli piaceva un sacco, e nel suo galateo personale togliersi il cappello anche lì, in una tana da lupi di mare, era un buon modo per dimostrare il proprio rispetto.
Peccato che il barista lo stesse fissando come l’incarnazione di un esattore delle tasse. O di sua suocera.
Poggiò il bicchiere da una parte, chinando la sua alta e ampia figura sul ragazzino, un gigante scettico di fronte da un mocciosetto tutto sorrisi innocenti. L’aria angelica che Ace era in grado di produrre era disarmante. Avrebbe confuso il Diavolo in persona.
« … sei venuto a svuotarmi di nuovo la dispensa? »
Il ragazzo si fece spuntare l’aureola, giocherellando con le dita in grembo.
« Sono arrivato poco fa, sai, da San Faldo… sul Treno del Mare non servono cose buone come fate voi… cinque ore senza un pasto decente… » traccheggiò petulante, alzando le spalle di nuovo libere da qualsiasi fastidiosa giacca.
Sotto l’occhiataccia dell’omone brizzolato, che di delinquenti ne aveva visti e raddrizzati parecchi, il Secondo Comandante di Barbabianca diede la stoccata finale.
« … e poi come rendo io onore ai piatti di Lea non lo fa nessun altro. Neanche una briciola »
Parola di scout, sembrava il giusto finale della frase.
Barrett grugnì una prima volta. Un suono gutturale che pareva l’esito di una bestemmia repressa.
Si rimise dritto, grugnendo una seconda volta.
Per Ace era il segnale. Quando lo lasciava senza parole intellegibili l’aveva convinto.
« Hai vinto impiastro » e gli allungò il menù, agguantato come un meritato premio.
« C’è ancora l’arrosto alle arance? E quel… Biif Burghignò? I primi? »
« Seh, seh… » mugugnò Barrett, scrivendo direttamente sul suo blocchetto uno di tutto, passandolo alla cucina. « Mangi qui o scendi dai tuoi amici? »
« Eh? » bofonchiò distrattamente Ace, bava alla bocca, scorrendo il menù. Realizzò quando il barista sbuffò. « Cosa? »
« Di sotto c’è quel tuo fratello biondo, Marco, lo raggiungi? Si è portato compagnia. Vedete di non farmi rimpiangere di sfamarvi »
Ace era trasparente nelle emozioni, così Barrett si ritrovò i suoi occhioni scuri scrutarlo come se non avesse afferrato una parola. Ma quando si alzò ringraziò e si avviò per le scale.
Nella taverna del Dock Rocks l’aria era satura dei fumi alcolici e tabacco che riscaldavano l’aria in sé più fresca. Era molto più bassa rispetto all’ingresso, ricavata da una vecchia cantina ampia e coi mattoni a vista. Il pavimento era stato rivestito in legno, le nicchie dotate di tavoli e panche per creare ambienti più appartati. Il bancone con i miscelatori delle birre e gli scaffali dei liquori era subito dopo l’ultimo gradino; le tre cameriere si affaccendavano tra i tavoli volando, evitando anche la maggior parte delle molestie verbali e non guardate a vista dall’anziana madre di Barrett, precedente proprietaria, che sedeva vicino alla cassa tenendo i ferri da lana meditando su chi testare le punte acuminate.
Ace ricevette un’occhiataccia di monito come chiunque altro, e insieme uno sbuffo da nonna davanti al nipote discolo.
Ormai Portuguese era di casa da quelle parti, e ricambiò con un sorrisetto giulivo.
Trovare Marco e il suo ciuffo biondo non fu difficile. Se ne stava in una delle nicchie più lontane, sorseggiando della birra scura.
La faccia che mise su nel vederlo arrivare non era propriamente quella delle più raggianti.
« Sei tornato » constatò. C’era dell’incertezza nella ruga tra i suoi occhi.
« Toccata e fuga, letteralmente » cincischiò il moro. Fece per sedersi davanti a lui quando vide un secondo bicchiere da Rum.
Scambiò un’occhiata interrogativa col compagno e finì col scivolare sulla sedia a capotavola.
« … ho interrotto qualcosa? »
Se c’era una cosa che Ace adorava era cogliere Marco in situazioni compromettenti. Il che significava contesti pressoché inesistenti. Vuoi il sesto senso del Primo Comandante nel prevenire momenti imbarazzanti, vuoi che oltre la vita a bordo la Fenice non desse adito a chiacchiere, il minore aveva poche occasioni per stuzzicarlo.
Peccato che gli anni di esperienza lo battessero sul nascere.
« Qualcosa per cui ti minaccerò di tacere più tardi » celiò indolente, prendendosi un altro sorso insieme all’espressione guardinga di Portuguese. « La tua bella misteriosa? Ci farai diventare zii o il mio regalo è stato provvidenziale? »
Qualcosa di molto simile a una fiammata animò i capelli di Pugno di Fuoco, insieme alle guance su cui le lentiggini finirono inghiottite dal rossore.
Ma quel moto di imbarazzo, e il farfugliare a coronarlo, furono interrotti dal ritorno di chi si era assentato dal tavolo.
La prima cosa notata da Ace fu un tatuaggio smile che spuntava dai primi bottoni slacciati di una camicia blu scuro. Alzando lo sguardo, incrociò occhi metallici e imperscrutabili, capelli scompigliati e due paia di orecchini dorati a entrambi i lobi. Più una smorfia imbronciata che dava l’idea di non abbandonare mai la piega delle labbra.
« Law, lui è Ace, il Secondo Comandante »
Presentazione concisa che fu ricambiata da un cenno del capo mentre il medicastro si metteva seduto.
« Ci siamo già visti » se ne uscì Portuguese, cercando di rammentarlo in qualche scorcio di ricordo.
Marco si chinò nella sua direzione.
« Sulla Moby Dick probabilmente: è uno dei medici del Babbo » spiegò, ma occhieggiando meglio Trafalgar, intento a sorseggiare il Rum come un estraneo unitosi a loro per caso, aggiunse. « O su qualche giornale, è- »
« Una Supercosa! » esclamò Ace colto da una rivelazione personale.
Mentre il Chirurgo a momenti si strozzava, il biondo chiuse pazientemente gli occhi e lo corresse.
« Nova, Supernova »
« Quello che dici tu. Come Rufy! »
« Conosci Mugiwara-ya? » si interessò Law, scrutando più attentamente il minore.
« Certo » il sorriso a trentadue denti di Pugno di Fuoco era tanto ampio quanto orgoglioso. « Tu? »
« Non ancora »
« Succederà a Sabaody » si intromise Marco, fissando l’ospite con attenzione. « Arrivare all’arcipelago e riuscire a passare oltre la Red Line, quello sarà il vostro esame. Se sopravvivrete, vi aspetteremo nel Nuovo Mondo »
Calò il silenzio.
Non capitava molto spesso di sentire il Primo Comandante di Barbabianca lanciare sfide come aveva appena fatto con Trafalgar. I due sostennero l’uno lo sguardo dell’altro, il primo con un sorrisetto tanto pigro da passare inosservato, il secondo con una palpabilissima aura seccata.  
« Ti unirai a noi? » chiese Ace mentre arrivava il primo di molti piatti fumanti. Il profumino ghiotto gli fece dimenticare all’istante la domanda, ma Law, ordinando un secondo giro di liquore, rispose comunque.
« No » scandì, e non ritrattò neanche sotto l’occhiata della Feniche di chi la sapeva lunga.
« C’entrano le informazioni che mi hai chiesto? » indagò il biondo, risistemandosi contro la pietra della nicchia.
« Anche. Le hai qui? »
« Non tutto ancora. Sono urgenti? Non mi hai dato una scadenza »
Law si prese secondi per meditare sulla risposta.
« Mi serviranno prima di ripartire da Sabaody »
« Va bene »
Intromettendosi, Ace bofonchiò un “Di che state parlando?” a bocca piena, intuito da Marco grazie ad anni di convivenza.
L’occhiataccia del Chirurgo mise in chiaro che erano affari privati, così Portuguese passò da un broncio pasticciato di sugo a un’alzata di spalle per lasciar perdere.
« Che ne sapete delle mappe per Raftel? »
La domanda fu buttata sul tavolo come una coppia di dadi. Del tutto casuale, come il risultato. Ma Law in certe occhiate, certe variazioni microscopiche, come tic o rughe d’espressione, sapeva riconoscere all’istante verità e sotterfugio. Mentre nel fissare Ace capì subito che aveva come parlato egiziano antico, con la coda dell’occhio colse quello che gli serviva nella nonchalance di Marco. Tradita da un vago e più accentuato assottigliamento delle palpebre. Con una smorfia compiaciuta lo inchiodò.
« Credi alle storie da bordello, Law? »
« No. Ma che nel tempo nessuno ne abbia compilata neanche una è altrettanto assurdo »
Si squadrarono sottilmente nella confusione della taverna, nell’incredulità di Ace che, strano ma vero, se ne stava buono ad aspettare il seguito.
« Barbabianca è l’uomo più vicino a trovare il One Piece. O a conoscerne la vera natura. Anche queste sono storielle? » il tono del Chirurgo fu volutamente provocatorio. Pugno di Fuoco ci cascò come un allocco, pronto a ribattere, ma la mano del fratello lo prevenne.
« Stai cercando le mappe? » tagliò corto Marco, più interessato e incurante di fronte alle istigazioni della Supernova. Un po’ lo conosceva, e aveva iniziato a trattare da subito quel suo lato.
Una smorfia eloquente e un’alzata di spalle. I diretti da lui erano un miraggio, o probabilmente appannaggio di pochi.
« Noi non ne abbiamo »
« Neanche quella del Re dei Pirati? »
Un altro segnale impercettibile, ma questa volta da parte di Ace, che nel suo abbuffarsi aveva raddrizzato la schiena come se avesse trovato qualcosa di poco gradevole nel piatto.
« Voci e chiacchiere all’epoca dissero che fu persa dopo la sua cattura. La Marina non ce l’ha o avrebbe asserragliato St. Kora e Garden Party in questi anni »
« Gli Eredi? »
« Se uno ci crede » bofonchiò il Secondo Comandante, interrompendo i botta e risposta.
Il più stupito fu Marco, che lo fissò stranito. Pugno di Fuoco fece un gesto vago, ma non incrociò il suo sguardo.
« Intendo, se uno crede veramente alla storia degli eredi di sangue del Re dei Pirati » si spiegò spiccio, infilzando una polpetta nel piatto senza mangiarla. « Se fosse tutta una montatura? »
« Con quale obiettivo? »
Sembrò la stessa cosa che si chiese il ragazzo studiando il cibo, ma erano domande a cui non voleva rispondere.
« Roba da marine, che ne so »  
Alla risposta poco convincente sia Marco che Trafalgar si scambiarono un’occhiata, ma non diedero seguito quando il fratello di Rufy tornò a riempirsi lo stomaco.
« Le mappe esistono » riprese Marco, non senza la sensazione fastidiosa che qualcosa fosse stato spostato e non se ne fosse accorto. « Per quanto leggendarie »
« Una di Gold Roger e una di Vasco De La Isla, quelle note almeno. Entrambe disperse » riassunse il Chirurgo, mettendo in tavola le proprie informazioni. « Più la rotta di Noland »
« Non è l’avventuriero a trovare l’isola, ma l’isola a trovare l’avventuriero » citò Marco. « Dagli appunti di Noland su Raftel. Quelli che hanno usato la sua mappa finirono col confermare la sua fama di bugiardo… perché queste domande? »
« Preferisco muovermi limitando i passi falsi » ghignò Law, alzandosi. Da un marsupio di pelle allacciato sul fianco tirò fuori una busta di carta che lasciò sul tavolo tra le scodelle vuote di Ace. « Per Oyaji-ya. Una compressa ogni sera, lontana dai pasti. E da qualsiasi forma di alcool » sottolineo vanamente,  rammentando le abitudini di BarbaBianca.
Diede le spalle ai due pirati, salutandoli levando le dita.
« Ci si vede a Sabaody »
 
 
 
 
 
To be continued?
 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Eneri_Mess