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Autore: Vago    10/03/2017    3 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Keria avvertì i suoi muscoli irrigidirsi improvvisamente.
Il materiale cristallino che si era impossessato dell’avambraccio e della mano sinistra parve prendere il sopravvento su qualunque cosa trovasse attorno a sé, impadronendosi della manica della camicia sporca e strappata e risalendo rapido verso il gomito, per poi puntare alla spalla e, da lì, spandersi lungo tutta la superficie di quel corpo morente.
L’arciere si sentì soffocare, avvolta in stretta di cristallo fin troppo serrata.
Sentì qualcosa muoversi alle sue spalle, cosa che parve avvertire anche l’Athur a cui era aggrappata, che rallentò fino quasi a fermarsi, incerto sul da farsi.
Il sole arrivò a metà della sua discesa e la scura ombra delle mura di cinta della cittadella raggiunse il corpo riverso di Hile.
Il Lupo alzò un’ultima volta il capo verso la breccia aperta nelle mura, pronto a ricevere i colpi di spada delle guardie che lo stavano per raggiungere. La bendatura sul palmo della sua mano non riusciva più ad arrestare l’emorragia, facendo sì che il sangue dell’assassino scorresse ad irrorare la strada.
In cielo qualcosa baluginò, colpito da un raggio di quel sole rovente.
Il drago doveva essere partito, si disse il Lupo. Dovevano essere in salvo, gli altri.
Poi accadde qualcosa che Hile non riuscì a spiegarsi.
Buio lo raggiunse, ringhiando alla folla che li stava per raggiungere.
La creatura dai tratti felini balzò giù da un tetto, atterrando agile sulla strada per raccogliere qualcosa di grosso da terra, per poi correre con quel peso in spalla in direzione del portone spalancato, seguito dall’essere ricoperto da lunghe piume bronzee.
Il baluginio si fece più intenso e persistente, mentre, sul terreno, comparvero nervature di luce simili a quelle che si riflettono sul fondale di uno specchio d’acqua.
Un vento prorompente cominciò a spazzare il terreno, sollevando ondate di sabbia dai mucchietti che riposavano contro le mura delle case.
Dal cielo discese lentamente una creatura che sembrava di origine divina. I contorni sembravano indistinti, avvolti e sovrapposti a un’aura dorata.
Alle spalle di quell’essere celestiale qualcosa si muoveva, mantenendola in aria.
Hile ne fu rapito, i suoi occhi sembravano non aver intenzione di staccarsi da quella forma eterea che, lenta, sembrava discendere verso di lui.
I passi alle spalle dell’assassino si fecero lenti, incerti, seppur costanti e diretti con mirabile stoicismo verso la sua schiena.
Una mano traslucida si protese verso di lui, avvicinandosi sempre di più a lui.
Buio cominciò a ringhiare, rizzando il pelo e accovacciandosi, pronto a balzare in avanti e fendere le sue prede con gli artigli e le zanne.
Il Lupo parve rinsavire di colpo. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata, incurante del fatto che così facendo aumentava la quantità di sangue persa dalla ferita sulla mano.
L’assassino si rese improvvisamente conto della sua situazione, di quello che gli stava davvero per accadere. Il continuo viaggiare, il venire a contatto con così tante specie diverse senza mai poter davvero conoscere qualcuno, l’essere sempre e solo assieme a quelle cinque persone con cui condivideva il destino lo avevano reso come sordo al mondo intorno a lui, come se la sua vita fosse stata rinchiusa dalle pareti traslucide di una bolla. Aveva perso la voglia di continuare quel viaggio, di farsi trascinare e sballottare in giro per le terre dal destino che gli aveva affibbiato quella profezia.
La figura lucente che gli stava di fronte però, l’aveva come risvegliato da quel letargo in cui era caduto, riempiendogli di nuovo l’animo di una speranza per il futuro che aveva perso tempo addietro, quando ancora la sua vita era limitata alle mura scure del Palazzo della Mezzanotte.
I passi alle sue spalle si fecero troppo vicini. La creatura celestiale, al contrario, era ancora sospesa a un paio di metri sopra di lui, troppi per poterlo aiutare.
Hile si rigirò di nuovo, tornando con il petto rivolto verso il cielo, protetto solamente dal pugnale sollevato stretto in pugno.
- Non voglio morire. Non voglio morire. Non voglio morire! – borbottò l’assassino con le lacrime agli occhi, mentre, disperato cercava di trascinarsi verso il suo compagno.
Aveva appena riottenuto la voglia di vivere e non aveva intenzione di andare nella Volta con i rimpianti che, solamente ora, si rendeva conto l’avrebbero inseguito come spettri.
La tormenta di sabbia e polvere intorno al Lupo si fece più fitta, mentre, di fronte a lui, la prima spada calava inesorabile, risplendente della meravigliosa luce che avvolgeva la creatura celestiale.
Il terreno parve sollevarsi, o forse era lui a sprofondare, come inghiottito da acque tempestose. Hile non seppe dirsi cosa stava succedendo.
Si ritrovò solo, avvolto dall’oscurità. Nonostante questo però riusciva a vedere perfettamente quelli che dovevano essere i suoi arti, nonostante una folta pelliccia premeva contro le maniche della casacca e dalle mani che ne fuoriuscivano, da cui nascevano artigli bianchi.
Sotto agli stivali oramai distrutti dalle zampe troppo grandi che si erano trovati a dover contenere, si muovevano, come riflessi sul mare, candide linee serpeggianti.
Intorno a lui comparvero all’improvviso una decina di figure bianche, come ombre tridimensionali di qualcuno che non c’era. Queste si muovevano goffamente, guardandosi attorno, come alla ricerca di qualcosa che non riuscivano a trovare.
Qualcos’altro si materializzò in quell’ambiente nero delimitato al suo confine da un immenso muraglione candido e perturbato nella sua piattezza da sporadici parallelepipedi bianchi e da quelle figure umanoidi che sembravano non notarlo.
Una candida figura femminile prese forma accanto all’assassino, guardandolo con il volto privo di lineamenti, fatta eccezione per il naso.
- Oscurità…. – disse timoroso Hile, non sapendo come comportarsi di fronte a quella manifestazione – Che posto è questo? –
- Questo, – disse la figura muovendo la mascella, ma senza rivelare una fessura dalla quale quelle parole potessero provenire – è il mio regno. Sei dall’altra parte delle ombre. –
- Come posso esserci entrato? –
- È il potere che ti ho riservato. In quanto mio araldo ho intenzione di lasciarti la porta per questo mondo aperta, ma ora sbrigati, mantenere il tuo corpo fisico in questa dimensione ti prosciugherà velocemente delle tue energie. –
- Spiegami un ultima cosa, cosa posso fare, da questa parte? –
- Ogni creatura nel Creato produce un’ombra, queste figure bianche. Tu, sei invece entrato qui con tutto il tuo corpo, ciò vuol dire che esisti solo tu, per ora, non hai una tua ombra. Da qui non puoi ferire nessuno, non puoi interferire con le ombre, ma puoi muoverti, per poi tornare nel Creato in un luogo diverso da quello in cui sei entrato. L’unico vincolo che devo importi è che puoi solo utilizzare come portale un luogo dove non batte il sole o una qualunque fonte di luce. –
- MI stai dicendo che posso utilizzare le ombre delle cose nel mio mondo per entrare e uscire da qui. –
- Precisamente. Oh, Hile, io sono sempre orgogliosa di te. –
La figura bianca scomparve, lasciando l’assassino da solo con quei manichini candidi che ancora si ostinavano a cercarlo.
Il lanciatore di coltelli si guardò un’ultima volta gli arti, così sproporzionati e animaleschi, pensando a come gli era parso Nirghe, la prima volta che l’aveva visto in quella forma.
Una decina di muscoli si mosse sul suo capo, muscoli che, almeno in teoria, dovevano aver fatto ruotare le orecchie appuntite lateralmente.
Si mise quindi a correre, nella direzione in cui, almeno secondo le forme umanoidi e bestiali che riusciva a riconoscere, doveva esserci il portone delle mura.
Un muro bianco gli si parò davanti, talmente immenso che Hile si chiese come avesse fatto a non notarlo prima.
Vi appoggiò le mani pelose sopra, senza avvertire nessuna sensazione da quel contatto.
“È il deserto assolato.” Questa certezza lo avvolse con forza dal profondo.
- Buio, come posso uscire da questo mondo? – chiese l’assassino, parlando con il suo compagno che, ora, sapeva essere all’interno del suo corpo.
Emozioni e sensazioni assediarono il suo cervello, istinti animaleschi e ragione umana si intrecciarono, mostrandogli un’immagine chiara.
Il Lupo guardò il terreno nero ai suoi piedi, espirando tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Il suolo parve avvolgergli le caviglie, inghiottendolo  rapidamente e trascinandolo verso il mondo concreto.
Una grossa creatura dal pellame grigio comparve dalla strada, sorgendo dall’ombra che l’alto muro gettava su di essa. Di fianco a lui si apriva il portone aperto che i suoi compagni di viaggio avevano già varcato, alle sue  spalle, invece, oltre al gruppo di combattenti che ancora guadavano spaesati l’ambiente intorno a loro, la creatura celestiale si alzava lentamente verso il cielo, confondendosi con l’aria tremolante, non meno sorpresa dei suoi nemici.
Il Lupo, forte della nuova energia che pulsava in lui, si lanciò oltre la breccia che lo divideva dal deserto.
Il sole gli accecò gli occhi acuti non appena varcò l’arco di pietra, ma la creatura continuò a correre in linea retta, con il solo intento di mettere più distanza possibile tra sé e quella cittadina che li aveva intrappolati tra i suoi edifici.
Un grumo scuro comparve davanti a lui.
Ombre.
Le vedeva distintamente, nonostante i contorni delle dune si mischiavano ancora con il cielo in un indistinto rosso misto a blu.
Le puntò, con la certezza inspiegabile nella mente che là c’erano i suoi compagni.

Il deserto scorreva rapido sotto il viso della maga.
Due braccia innaturalmente forti la stringevano, mentre un paio di piedi unghiati comparivano e scomparivano ritmicamente davanti ai suoi occhi.
Sentiva il sole caldo batterle sulla nuca, mentre  ondate di sabbia si scontravano contro il suo fianco, come se qualcosa le stesse sollevando con la sua mole.
Si concentrò, avvertendo sopra di sé il suo compagno volare indisturbato, solitario in quel cielo terso.
Fu un attimo di buio, poi la sensazione del vento tra le piume le diede la certezza che il suo corvo l’aveva accettata nel suo corpo.
La cittadella era ormai lontana alle loro spalle, poco più di un rettangolo scuro sull’orizzonte ondulato, mentre la gande catena montuosa davanti a loro si faceva sempre più vicina, stagliandosi nella sua imponenza e nascondendo il sole calante alle sue spalle.
Sotto il suo ventre, tre figure si muovevano rasoterra.
Vide il suo corpo, portato in braccio dalla creatura felina in cui si era trasformato Nirghe, e poco sopra, alla sua sinistra, volava veloce un enorme volatile dall’apertura alare e dalla lunghezza del corpo innaturali.
Quegli occhi non riuscivano a vedere null’altro intorno a loro.
Mea si rintanò in un anfratto di quella mente che la ospitava. Cercò di non pensare a nulla, né passato, né presente, né futuro.
Si soppresse, cercando di concentrarsi unicamente sulle sensazioni che quel corpo le trasmetteva.
Il volo continuò a lungo, interrompendosi solamente quando anche la corona dorata di raggi di luce che avvolgeva la vetta del Flentu Gar si spense.
Solo allora il corvo si avvicinò al terreno, sul quale i primi, timidi ciuffi d’erba avevano messo radici.
La mezzelfa si riebbe pochi secondi dopo essere stata adagiata a terra dalla creatura felina, che, nel frattempo aveva preso nuovamente le sembianze elfiche di Nirghe.
Mea non parlò, si mise semplicemente seduta, con lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé.
Gli attimi di silenzio che caddero sui tre assassini fu eterno, rotto solo dal sibilo del leggero vento che accarezzava il terreno.
- Secondo voi… Hile e Keria sono riusciti a scappare? – chiese Jasno con un filo di voce, scoprendo il capo dal cappuccio strappato che gli nascondeva la fronte.
Nessuno osò dare una risposta.
“Forse”, pensò la maga.
Dopotutto il drago di cristallo era scomparso sotto i suoi occhi, forse Keria era riuscita a salvarsi e a salvare anche il Lupo.
O forse era morta.
L’ultima volta che il suo sguardo si era posato sull’arciere, lei era appena cosciente e nessuno le aveva mai detto cosa sarebbe successo al proprio compagno se si fosse morti.
Gli antichi trattati su cui aveva avuto modo di mettere le mani, parlavano di un legame talmente profondo tra i Cavalieri e i loro draghi che se uno veniva a mancare, l’altro non sarebbe riuscito a sopravvivere.
Che valesse la stessa regola anche per loro? Ed era a senso unico? Oppure se fosse stato ucciso il suo corvo, lei ne avrebbe risentito?
Non era pronta a quello che stavano affrontando. Non aveva risposte per nulla di quello che stava vedendo.
La sua mente non era fatta per quello che le stava toccando vivere.
Lei non voleva avere a che fare con dei, demoni e profezie, non voleva essere coinvolta in qualcosa che non poteva essere studiato e compreso. Perché non poteva essere tutto meravigliosamente sensato come la magia? Correlazioni tra causa ed effetto, sfruttare cose esistenti per ottenere il risultato sperato, plasmare la materia rispettando le leggi naturali.
Tutto semplice, una volta apprese le basi.
- Io… io non credo di avere le forze per creare un riparo, questa notte. Mi dispiace. – disse solamente la mezzelfa, tornando ad appoggiare il capo per terra, mentre i suoi occhi viola puntavano la volta celeste sopra di lei, sulla quale sembravano ricamate quelle centinaia di migliaia di stelle che splendevano.



Angolo dell'Autore:
Probabilmente, ultimamente ho visto troppi video di Sabaku no Maiku.
Non so se l'esperimento che proverò oggi avrà successo o meno, ma tentare non costa nulla, dopo tutto.
Perché ho parlato di Sabaku? Nonostante non abbia neanche lontanamente il suo seguito, la sua preparazione e le sue capacità, nonostante io mi stia rapportando con una piattaforma completamente diversa da YouTube, voglio provare a rendere questo angolo dell’autore molto più interattivo.
Le recensioni sono bene accette, come al solito, loro e le storie costituiscono la base di questo sito. Mi piacerebbe, però, ricevere da voi, anche sotto forma di messaggio privato, suggerimenti anche non inerenti alla storia in sé o per sé, chiarimenti, o anche solo vostre impressioni sul lavoro che sto facendo, sullo stile, sui personaggi o, che so, qualsiasi cosa vi passi per la testa. Una volta un ragazzo mi chiese persino un parere sul nome da dare al suo continente immaginario, a me, uno degli ultimi arrivati in questa sezione.
So di non “lavorare” proprio come tutti gli altri autori, mi concentro su una storia per volta e cerco di essere estremamente puntuale con le pubblicazioni, neanche stessi serializzando un lavoro professionale. Vorrei sapere cosa ne pensate anche a riguardo di questo argomento, potrei anche scoprire che, per voi lettori, è più intrigante avere tante storie aggiornate saltuariamente, piuttosto di una sola a cadenza settimanale.
Scusatemi se scarico su voi il compito di farmi migliorare, ma non saprei a chi altro chiedere.

Ma cambiamo discorso.
Chi di voi non scrive, potrebbe non sapere come la vita reale influenzi la storia.
Ebbene, io ho in mente determinate scene per questa storia, sviluppi che ho deciso al primo capitolo… tutte cose che non riesco a scrivere perchè, evidentemente, vanno oltre le mie capacità espressive. Davvero, ultimamente sto facendo una fatica incredibile a buttare giù quella manciata di righe giornaliere.
Sono arrivato alla conclusione che, no, sarò anche l’archetipo del cinismo, ma decisamente non sono portato per il romanticismo…

Cambiando nuovamente discorso e buttando altra carne al fuoco:
Per me è arrivato anche il momento di farmi un paio di conti in tasca.
Siamo arrivati, ridendo e scherzando, al cinquantanovesimo capitolo. Sono riuscito a pubblicare ben 59 capitoli in poco più di un anno. Questa storia, lo avvertirete anche voi, è arrivata al suo limite, si deve concludere e, come vi ho detto, ho provato a fare i compiti a casa.
Otto capitoli. 8 capitoli.
Tutto dovrebbe finire in solamente otto capitoli, compreso un Epilogo simile a quello della mia storia precedente, che è anche l’unico capitolo “.5” in programma, l’unico che dedicherò solamente al Viandante.
Ora è troppo presto per ringraziarvi tutti, per dire le ultime parole sul mio lavoro passato e cominciare a guardare al futuro. Sento però nell’aria che quel momento si sta avvicinando a lunghe falcate.

Per ora, grazie a tutti voi per avermi accompagnato finora in questo viaggio, spero siate disposti a rimanere anche per lo sprint finale.
Vago 

   
 
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