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Autore: meiousetsuna    12/03/2017    5 recensioni
Benvenuti su questa minilong, movieverse del romantico film: “Vi presento Joe Black”.
Un anticipo del testo?
A John piaceva l’imprevisto, esserci nel momento cruciale per salvare una vita umana. Le barelle che trasportavano i feriti in qualche incidente, o i sopravvissuti ad una sparatoria lo portavano direttamente sul campo di battaglia. Bloccava emorragie, estraeva pallottole, tentava soluzioni audaci e rapide, pressoché sempre con successo.
A pochi metri dall’ospedale c’era una deliziosa tavola calda italiana, “Da Angelo”. John aprì la porta salutando con la mano, come ogni giorno. C’era un ragazzo, di spalle, accanto a lui, che parlava al telefono ad una velocità quasi disumana, come se bombardare l’interlocutore di istruzioni dovesse convincerlo a fare quello che chiedeva. Il dottore non era pettegolo, ma non poteva smettere di ascoltare o staccare gli occhi da quella figura alta, elegante, sovrastata da una chioma bruna di notevole bellezza. Per un attimo sperò che non si girasse, perché la cosa più incredibile del personaggio in questione era la voce. Profonda, vellutata, avvolgente. Che gli scivolava addosso come se fosse nudo, e potesse sentirla sulla pelle. E meno male che gli piacevano le donne, ripeté a se stesso.
love, Setsuna
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Lime, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: John/Sherlock, Greg, Molly/Mike, James, altri
Rating: arancione
Generi: drammatico, romantico, magical realism
Avvertimenti: OOC parziale, movieverse, crack paring, character!Death, lime


Il bicchiere di whisky era stato riempito ― un terzo, come si conviene ad un gentiluomo ― e svuotato già due volte, eppure non un minimo cenno di rilassamento era seguito a quel rituale.
Forse poteva versarne un altro, non sarebbe diventato un alcolista per quello, era troppo avanti con l’età perché un’innocente indulgere in un piacere diventasse un vizio pericoloso.
‘Appunto’.
Gregory batté il bicchiere sulla scrivania con troppa energia, causando uno scricchiolio nel cristallo.
“Non comincerò a parlare da solo a voce alta”.
‘È quello che stai facendo, però. Sai che sono qui, e sai che ormai non hai una salute da compromettere’.
“Sto benissimo, e intendo restare in queste condizioni ancora a lungo”. Incredibile, stava davvero conversando con… un fantasma?
‘Davvero? Ti senti invincibile? Ascoltami, ascoltami bene…’
Tutto quello che l’uomo provò fu un dolore lancinante al braccio sinistro, poi più niente. Non sentiva battere il cuore, era la sua ora?
Quando la terribile sensazione passò di colpo, Gregory riuscì solo a pensare che l’idea di stare impazzendo sarebbe stata il male minore. Era una persona pragmatica, malgrado una vena di sentimentalismo, ma qualcosa gli diceva che la ridicola spiegazione che gli aveva attraversato la mente, alla prima sillaba sussurrata da quella splendida voce cavernosa, corrispondeva alla verità.
Il terzo whisky scivolò sulle sue labbra, mentre un’ondata di sudore gelido lo attraversava da capo a piedi.

Meet S. Holmes
Cap 1. I won't let you be the death of me *

Quando Molly si metteva in testa di fare qualcosa di bello per gli altri, poche cose l’avrebbero potuta fermare; un ciclone o un’orda di cavallette sarebbero andati bene, oppure la disapprovazione della persona che più amava al mondo, che era proprio quella che a volte le dava dei dispiaceri.
Capiva, a modo suo, che suo padre preferisse il figlio maschio, anche se ambedue negavano una cosa così meschina e ne facevano una questione di carattere più compatibile. Comunque era difficile non volere bene a John, anche Molly ci teneva moltissimo al fratellino; avrebbe dovuto smettere di chiamarlo così, ormai aveva venticinque anni, si era laureato in medicina a pieni voti e stava terminando la specializzazione… ma niente avrebbe cancellato quei ricordi ― vivi nelle tante fotografie sparse in tutta la villa ― di loro da bambini, con lei che gli insegnava a giocare a tennis, o lo aiutava a costruire castelli di sabbia enormi. John non era alto e a volte i coetanei lo prendevano in giro; Molly sarebbe stata pronta a scattare per difenderlo, ma lui li smontava con una risata solare, e con quel modo affabile che aveva di relazionarsi con gli altri. Solo un’ombra sembrava, qualche volta, turbarlo; la ragazza non aveva mai detto nulla, ma sospettava la natura delle sue preoccupazioni. Gli occhi blu ― uguali a quelli della mamma, come i capelli biondi ― si spegnevano all’improvviso, dandole un sottile dispiacere. Lei invece aveva preso dai Lestrade: capelli più scuri e occhi nocciola, anche se non identici a quelli di suo padre quanto avrebbe voluto.
Bene, si sarebbe persa in riflessioni più tardi: tra dieci giorni sarebbe stato il sessantacinquesimo compleanno di Gregory Lestrade, avrebbero avuto una marea di invitati illustri, e quella festa sarebbe stata il suo assoluto tripudio personale.

“Allora, John, mi accompagni? James sta arrivando con l’elicottero della ditta, ha avvertito un’ora fa”.
Il giovane girò gli occhi al cielo, ma senza smettere di sorridere. “Come vuoi, papà, così passiamo la mattina insieme. Speriamo solo che James non faccia come quella volta in cui per dirci che aveva firmato un bel contratto è sceso in stile musical, con quella corona di plastica da Regina Elisabetta!”
Gregory diede una pacca affettuosa sulle spalle del figlio. “Non essere così duro… in fondo cantava i Queen, era appropriato”.
John scosse la testa, avanzando verso la pista di atterraggio che occupava una parte consistente del loro vastissimo parco, col suo solito atteggiamento informale, i semplici jeans e il maglioncino a righe.
“Mary non l’hai sentita più, vero?”
“No. Ma va bene così. Mi nascondeva qualcosa del suo carattere, credo… sai che a me piacciono le persone oneste”.
Gregory guardò il figlio con quella luce speciale negli occhi che brillava solo per lui, fermandosi sul limitare tra il prato e la pista.
“Perché tu sei un ragazzo buono, John. Eppure hai bisogno di un po’ di pericolo, secondo me. Di una scossa, di qualcuno che ti tolga il fiato, che tu possa guardare come se non esistesse nessun altro al mondo. A me andrà bene comunque”.
John si sentì gelare. Anche suo padre stava per fare quell’insinuazione? Si bloccò, come puntando i piedi e irrigidendosi.
“Sai, non tutti passano gli anni dell’università a saltare addosso a ogni compagna di corso, ho preferito studiare! Non significa…”
“Io non ho detto niente, non sono un genio in queste cose. Ho incontrato tua madre che aveva diciotto anni, e tanto è bastato. Voglio solo ve
derti felice. Sicuramente i Moriarty sarebbero onorati di averti nella loro famiglia. Insomma ― Gregory si sistemò il nodo della cravatta tradendo un po’ di incertezza ― se mai per te fosse stata un’opzione. James non è simpatico, ma di certo è un ragazzo intelligentissimo”.
“Peccato che io non sia gay!” John alzò la voce fissando suo padre con sguardo torvo, mentre si conficcava le unghie nei palmi delle mani con tutta la forza di cui era capace.

Il mattino seguente John non avrebbe potuto essere più stanco e teso di così; James era atterrato limitandosi, bontà sua, a salutarlo con un “ti piace il mio nuovo Donna Karan, Johnny bello?” a cui lui aveva risposto con qualcosa come “ben arrivato, Jimmy” il che sarebbe stata una specie di offesa, visto il suo odio per quei diminutivi; ma il giovane socio della Lestrade Company capiva quello che voleva, quando voleva. O fingeva benissimo, questa era l’opinione di John, ma tutti lo consideravano esagerato. Più tardi, prima di cena, gli aveva teso un agguato nel corridoio, e abbassando alcuni centimetri della cinta dei preziosi pantaloni nuovi, gli aveva mostrato di aver comperato anche i boxer del suo stilista preferito, con un ammiccamento che lasciava pochi dubbi.
Il turno in ospedale era stato snervante, ma il pronto soccorso gli piaceva moltissimo, in realtà.
Al S. Bart’s il giovane medico si sentiva utile, produttivo e davvero motivato in quello che faceva. I suoi colleghi avrebbero ucciso per fare internato in qualche reparto prestigioso, ma a John piaceva l’imprevisto, esserci nel momento cruciale per salvare una vita umana. Le barelle che trasportavano i feriti in qualche incidente, o i sopravvissuti ad una sparatoria lo portavano direttamente sul campo di battaglia, per così dire. Bloccava emorragie, suturava tagli profondi, estraeva pallottole, tentava soluzioni audaci e rapide, pressoché sempre con successo, senza scordarsi di spendere qualche parola gentile per i familiari.
Dopo le prime sei ore una pausa era sacrosanta, tanto più che a pochi metri dall’ospedale c’era una deliziosa tavola calda italiana, “Da Angelo”. John aprì la porta salutando con la mano, come ogni giorno. Si sedette al bancone per essere servito presto, come ogni giorno. Sbocconcellò un pranzo leggero e acqua, come ogni giorno. Ma la normalità era finita lì. C’era un ragazzo, di spalle, accanto a lui, che parlava al telefono ad una velocità quasi disumana, come se bombardare l’interlocutore di istruzioni dovesse convincerlo a fare quello che chiedeva. Il dottore non era pettegolo, ma non poteva smettere di ascoltare o staccare gli occhi da quella figura alta, elegante, sovrastata da una chioma bruna di notevole bellezza. Per un attimo sperò che non si girasse, perché la cosa più incredibile del personaggio in questione era la voce. Profonda, vellutata, avvolgente. Che gli scivolava addosso come se fosse nudo, e potesse sentirla sulla pelle. E meno male che gli piacevano le donne, ripeté a se stesso prima di lasciare un minuscolo vuoto che potesse essere riempito dal dubbio.
“Fa’ come ti dico, prenditi un periodo di riposo, stare nella casa al mare non ti fa bene, ti da strane idee. Lascia perdere, sai che ci tengo a te, malgrado tutto. Puoi venire a stare da me, faremmo pratica con la musica. Sì, ti voglio bene, ti chiamo domani”.
La voce si voltò, e purtroppo per John a quella si unirono delle iridi come ghiaccio azzurro, e labbra rosee e delicate. Il giovane chiuse il cellulare e come se fosse la cosa più ovvia del mondo, continuò il discorso con lui.
“È mia sorella. Si è lasciata con Victor, il suo fidanzato da tre anni, e ora ha una forte forma depressiva, lo psicologo aveva consigliato di ricoverarla, ma non la farò mai rinchiudere in un posto dove la tratterebbero come una pazza!”
“Ecco… sei un fratello premuroso, e ti ringrazio della confidenza, ma forse mi confondi con qualcuno che conosci”. John inghiottì a fatica, passandosi la lingua sulle labbra.
“Che c’è da capire? Sei entrato all’una esatta, lavori al S.Bart per essere qui sempre a pranzo puntuale, Angelo non ti ha neppure chiesto cosa ordinavi. Sei stanco, ma non hai l’aria distaccata, non sei solo un chirurgo, fai pronto soccorso. Porti una maglia economica ma hai scarpe costose, un regalo. Vieni da una famiglia benestante, ma sei una persona semplice e disponibile, per questo hai scelto un internato che ti mettesse in prima linea. Non hai più di ventiquattro, venticinque anni ma sai che la tua strada è questa. Sei affidabile”.
“Incredibile! È stato fantastico, sei un detective?”
“Più o meno. Volevo che sapessi che non parlavo con una fidanzata” ― John si risparmiò di chiedere il perché, meglio non ascoltare nessuna risposta ― “sono a Londra da poco, non ho ancora un dottore. Potresti essere tu. O no. Forse preferisco che tu non debba toccarmi, intendo per visitarmi”.
“Forse è meglio, sì”. ‘Che sto dicendo?’ “Mi chiamo John”.
“Hai anche un secondo nome?”. Questa non se l’aspettava. Era un modo furbo di non dire il proprio, perché il gioco dell’Affascinante Sconosciuto andasse avanti, o aveva davvero capito che lo aveva sì, e lo detestava cordialmente?
“Non importa se non vuoi dirlo, non è questo che conta. È quello che una persona ti trasmette, l’istinto di voler fare amicizia, o fare qualcosa per prenderti cura di lei. Tu lo fai, e nessuno ti ricambia nello stesso modo, vero?”
“Devo andare, scusami”. Non era da lui essere così sgarbato, ma John non riusciva a portare avanti quel discorso. Era imbarazzato, e si sentiva esposto all’esame di quegli occhi impossibili che sembravano tagliare l’armatura della sua paura come un raggio laser; ne avevano anche la luminosità, pensò, un motivo in più per scappare subito.
“Verrò qui a pranzo ogni giorno, ci vedremo”.
“Abiti in zona?” Era il minimo della civiltà, chiederlo.
“No, ci verrò apposta”. John salutò solo con un cenno della testa, pagò e fuggì il più velocemente possibile. Il bruno sorrise, finendo di bere con calma una tazza di Earl Grey. Saldò il conto, uscì, e attraversò la strada.
Per lo meno non aveva visto. Fu l’ultimo pensiero cosciente che attraversò il giovane mentre la prima automobile, che viaggiava troppo al centro tra le corsie, lo sbalzò così forte da gettarlo sul cofano di un furgone che marciava in senso contrario (qualcosa di spappolato nell’addome, costole rotte, sensazione di essere caduto da una finestra più di una volta) che lo buttò sul marciapiede, battendo la testa (trauma cranico; più niente). Una pozza di sangue si allargò sotto i capelli, un rivolo sottile usciva dalla bocca, gli occhi erano ancora socchiusi. I passanti gridavano, alcuni si erano avvicinati e avevano chiamato un’ambulanza, ma era troppo tardi. Quello che giaceva sull’asfalto, era un bellissimo angelo caduto.

‘Ciao, Gregory, ti sono mancata?’
‘No’, avrebbe risposto l’uomo, se non fosse stato troppo impegnato a portare una mano sul cuore prima ancora di sentire la morsa ormai familiare che si accompagnava all’arrivo della voce.
‘Sto per esaudire la tua curiosità. Vai ad aprire la porta’.
Lestrade lasciò la sua stanza da letto, dove stava riponendo dei documenti nella cassaforte, e andò nel salone da pranzo. C’erano sua figlia Molly e il marito, Mike Stamford, uno dei suoi più fidati collaboratori, James e John, naturalmente. La cameriera lo aspettava vicino al tavolo.
“C’è un signore per lei, dice di non poter aspettare, che era atteso. È in biblioteca”.
“Vado subito”.
“Papà!” Molly era stupefatta, di solito il gentiluomo non lasciava la sua famiglia ad attenderlo, né correva agli ordini di chicchessia.
“Torno presto, iniziate senza di me”.
Quando spinse leggermente la porta di noce con la punta delle dita, Gregory si accorse di non aver avuto mai tanta paura; stava tremando, e non gli era successo neppure al funerale dell’amatissima moglie.
“Mi stavo annoiando, è la cosa che odio di più. Sbrigati, stiamo andando via”.
Incredibile. Si era figurato varie possibilità, in quei giorni: la prima ovviamente era di avere un disturbo mentale, ma non era così. Poi che gli sarebbe apparso un mostro, un demone, uno spettro marcescente. Non…
“Sono attraente, lo so. Conosco le convenzioni sociali sulla bellezza, preferisco usare un mezzo che mi lasci avvicinare a voi”.
“Sei… la mia morte? Questo è il tuo vero aspetto?”
“Voi umani, così egocentrici. Non sono tua, sono la stessa per tutti, da tanto tempo che quasi non lo ricordo” l’essere mosse qualche passo con le sue gambe slanciate, mettendo a posto i polsini di una camicia di seta viola, le maniche della giacca blu cupo, e in ultimo passando le dita affusolate tra i capelli voluminosi “mi piacciono, un po’ lunghi. Questo ospite che sto usando è un ragazzo che è stato investito oggi, mi serviva un passaggio. Non è che i corpi si trovino nei frigoriferi”.
“Ma io non voglio morire”. Dio, non poteva dire una cosa più ovvia, Gregory se ne rese conto immediatamente.
“Noioso, prevedibile, banale. Mi chiameresti un sociopatico, credo: a me non interessa del tuo volere, non conta nulla”.
C’era un’ultima carta che poteva giocare, pensò Lestrade, una valida.
“Ti propongo un patto”. Un guizzo di interesse accese gli occhi di cristallo del suo interlocutore.
“Una sfida!” La creatura unì i palmi delle mani, posando la punta delle dita sulle labbra. “Dimmi”.
“Ti offro di sperimentare una vita umana; starai con me, parteciperai al mio lavoro, parlerai con le persone, scoprirai cosa pensano davvero di te. Prendila per una breve vacanza”.
Gregory trattenne il fiato, stava rischiando tutto. Era dai tempi del primo prestito per fondare la società, che non sentiva tanta adrenalina scorrere nelle vene.
“Il pericolo ti sta eccitando, Greg. Ti chiamerò così, da ora in poi. E sì, accetto, finché manterrai il mio interesse vivo” anche la morte aveva un senso dell’umorismo, pensò l’uomo, perché un sogghigno assurdo gli aveva stirato gli angoli della bocca “sarà un rapporto funzionante, lo sento. Introducimi alla tua famiglia”.
Il vocio delle chiacchiere curiose che animava in grande salone si interruppe all’improvviso, quando il capofamiglia rientrò, con una mano sulle spalle di un ragazzo dall’aspetto…
bellissimo, sospirò Molly, preda di un attimo di sogno adolescenziale
simpatico, decise Mike, rivolgendogli un gran sorriso
pericoloso, afferrò James
spaventosamente magnifico, ricordò John. Impossibile.
“Greg, ci presenti il tuo amico?” Mike era sempre affabile.
“Certo, vi presento…” e ora? Lestrade lasciò vagare la mente tra i ricordi, cercando qualche nome stravagante tra i libri di avventure della sua infanzia “Sherlock, il mio amico Sherlock. Questi sono i miei figli, John, Molly; suo marito Mike e il mio partner principale, James Moriarty”.
“Che nome insolito, vero Molly? Particolare, romanzesco!”
“E ha anche un cognome, Sherlock?” La voce maligna di Moriarty coprì quella di Stamford, malgrado fosse appena un sibilo.
“Ho un cognome, Greg?”
“Sei sempre divertente. Naturalmente”.
“Dobbiamo indovinare, è un gioco?” James aveva una scintilla nello sguardo che allarmò John, il quale non credeva nelle sue buone intenzioni.
“Holmes” ormai era fatta “Sherlock Holmes”.
“Sembra un personaggio vittoriano, vero?” Molly sorrise al fratello, ma John era di umore nero, lo capì al volo, e decise di non insistere.
“Le porto la cena, signore?” La cameriera si era accostata con modi garbati.
“No, praticamente non mangio”.
“Interessante. Non ricordo dove ha detto che lavora, signor Holmes”. James non si dava per vinto, era intrigato e arrabbiato nello stesso tempo.
“Perché non l’ho detto. E puoi darmi del tu. Ho un accordo con Greg, un affare. E alloggerò qui”.
Quella fu decisamente la frase che mise a tacere tutti.

Il cosiddetto Sherlock girovagò distratto nell’enorme villa, lasciando la famiglia Lestrade a quella che sembrava una lite domestica in piena regola, non era interessato. E quello? Un odore buono. Seguendo la scia il ragazzo entrò nelle cucine, annotando con divertimento che tutti si erano alzati in piedi al suo ingresso.
“Buonasera, signore” quello che pareva il domestico più importante gli era andato incontro, con un fare indeciso “posso fare qualcosa?”
“Cosa manda questo profumo?”
“Biscotti allo zenzero appena sfornati; ne gradisce uno?”
L’appetitoso dolcetto fu adagiato in un tovagliolo di lino e passato nella mano destra di Sherlock. Il primo boccone fu una sorpresa, il secondo una rivelazione.

John aveva sempre amato rilassarsi facendo una nuotata alla fine di una giornata intensa, e mai come quel giorno ringraziò di vivere in una casa così ricca da avere quel lusso a disposizione. Avrebbe fatto a meno di molte cose, ma il piacere dell’acqua tiepida addosso era insuperabile, almeno lo pensava finché, appoggiatosi al bordo per prendere fiato, si trovò di fronte delle scarpe blu con le stringhe.
Seguiva tutto il resto: fisico tratteggiato da un pittore, viso sottile, riccioli scuri. E in mano, Sherlock Holmes aveva una specie di fagotto fatto con una delle loro tovagliette da tè.
“Sono biscotti allo zenzero. Credo che saranno la mia droga, John. Ne hai mai mangiato uno?”
“Perché, vieni da un altro pianeta? Certo, chi non li conosce?”
“Sei ostile, innervosito. Ho fatto qualcosa di strano?”
John non credeva alle sue orecchie. Era una persona mite, di solito, ma farlo arrabbiare faceva affiorare un lato aggressivo che lui per primo non tollerava.
“Ti sei sentito furbo, stamattina? Sapevi chi ero, e hai finto di dedurre cosa faccio, qual è la mia vita… divertente. L’amicizia, l’istinto…”
“Ho detto questo? Non ero proprio in me, oggi” La voce baritonale di Sherlock si scavò un tunnel fino al cervello del dottore, esplodendogli dentro. Lo vide annaspare in cerca di una risposta pungente, finendo solo per serrare le labbra aspirando parecchi metri cubi d’aria.
“Devo essere stato ambiguo, mi succede, credo. Il tuo istinto è impegnato altrove? Sei innamorato di James?”
Non sono gay!” Un grido strozzato uscì dalla gola di John. Non voleva che nessuno lo sentisse, ma non ce la faceva più. “E casomai non sarebbero affari tuoi!”
“Capisco. Però resta l’altra opzione”. Sherlock si girò, prese un asciugamano e lo porse in direzione di John, che non usciva dall’acqua, come se si sentisse in difficoltà in costume di fronte a lui.
“Sono a disagio con le persone, non ho neppure un amico. Vorresti essere tu?”
Senza poter dire perché, John si ritrovò a fare cenno di sì con la testa, afferrando l’asciugamano e sentendo che quella era la proposta più pericolosa che avesse accettato in vita sua.


*Asking Alexandria, “The Death of me”
Note: benvenuti in questa piccola avventura; almeno spero di parlare a qualcuno ^-^!
Naturalmente in questa rivisitazione di “Meet Joe Black” i personaggi di Sherlock non hanno mantenuto l’età, la parentela e i rapporti che conosciamo: non sarebbe un movieverse. Per cui… prendete per buono quello che leggete, specie eventuali cambi di cognomi ; )
p.s giuro, tenterò di fare capitoli più brevi e credo che saranno ogni due settimane. Grazie di aver letto!

 

  
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