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Autore: baby80    08/04/2017    9 recensioni
Ho voluto immaginare un epilogo differente della puntata "accusa di tradimento". Cosa sarebbe successo se...
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Successe tutto d'improvviso, mio padre, forse accecato dal livore e dalla notte che si era introdotta nella stanza privandola perfino del più minuscolo barlume di luce, sembrò aver trovato requie, quando e per quale reale motivo accadde non potei stabilirlo, ma fu in quell'istante che io ed André attuammo la nostra fuga.
Non vi furono parole o sguardi, solo una maggiore pressione delle nostre dita e la tacita consapevolezza di dover sfruttare quella distrazione, e quando il generale si destò dal torpore puntandoci addosso il ghiaccio dei suoi occhi, la mano di André si legò se possibile ancor di più alla mia. I nostri passi si fecero impazienti ed io che fino a quel momento avevo mantenuto il mio consueto rigore, quella impassibilità che portava in me il controllo nelle situazioni più ostiche, ebbe la malaugurata idea di venir meno.
Esitai, solo un secondo, ma in quel palpito di cuore la mia figura venne rimpiazzata da un fantoccio imbottito di paglia e mi bloccai, impotente di fronte a quella disubbidienza della mia stessa carne.

“Oscar...”
un richiamo preciso quello di André che, nel sottinteso delle parole non pronunziate, m'impose di continuare a camminare ed io lo feci senza più alcun timore.
Quando fummo certi d'essere ad una distanza sufficientemente sicura voltammo le spalle a colui che sarebbe potuto diventare il nostro assassino ed una volta oltrepassata la soglia ci accorgemmo di una figura tremante e minuscola. La mia governante era scivolata al suolo, nello spiraglio che si era venuto a formare tra un battente e l'altro della grande porta di legno intarsiato della stanza, le passammo accanto e so per certo che André la vide eppure proseguì oltre come se nulla fosse ed io che ero legata a lui dovetti seguitare a copiarne i passi, ma prima di non aver più modo di farlo, mi voltai per lasciare un'ultima volta lo sguardo sulla vecchia Nanny, e lei fece lo stesso, con gli occhi colmi di lacrime e le mani premute sulla bocca, in una sorta di preghiera.
Avrei voluto rivolgerle una parola di conforto e domandarle perdono per l'affronto che io e suo nipote stavamo perpetuando nei suoi riguardi, ma in verità stavo mentendo, implicando anche lui in un peccato che soltanto io sentivo di star compiendo.
Mi augurai che lei potesse assolverci, lui, per aver offerto corpo e spirito in nome di un amore che pareva essere sbagliato al mondo intero, e me, poiché non era mai stata mia intenzione entrare così a fondo nell'anima dell'uomo che mi aveva salvato la vita, tanto da lacerarne la fibra.
Eppure era accaduto e non vi era più modo di tornare indietro.
Era tempo di andare avanti.
Ci precipitammo, quasi, lungo la scalinata al centro dell'entrata principale di palazzo Jarjayes, calpestando i gradini di marmo rosa che avevano sostenuto i nostri passi fin dall'infanzia e mi sorpresi a compiere uno sciocco gioco che ero solita fare da bambina, e mi ritrovai a contare i gradini come fosse stata la prima volta.
Cinquantotto, quello era il numero esatto, cinquantotto più uno a dire il vero, dimenticavo sempre l'ultimo scalino che stava sul fondo, quello che era venuto al mondo con un difetto d'altezza che rendeva inesistente la sua presenza, ragion per cui nessuno di noi era solito posarvi il piede al di sopra, ma quel giorno me ne rammentai e, cancellando anni di noncuranza, vi adagia il mio ultimo passo.
Corremmo poi verso la zona della servitù e proseguimmo per raggiungere le cucine, dove bloccammo il nostro incidere nel tentativo di schiudere la porta che, mai come quella sera, ci diede filo da torcere.

“Maledizione! Avevo detto a Jean-Paul di occuparsene mesi fa, ma pare proprio che abbia deciso di impiegare il tempo in chissà quale altro modo... se solo lo avessi tra le mani, io...”
le prime parole che gli sentii pronunciare da quando aveva annunciato la nostra partenza furono un fiume di rabbia che vide il proprio apice quando, abbandonata la mia mano, prese a colpire con calci e pugni il battente di legno finché non ebbe la meglio sul vecchio uscio, conquistandone finalmente l'apertura.
Lo sentii emettere un accento di soddisfazione e mi aspettai d'incontrare il suo sorriso, ma nessuna mia aspettativa venne soddisfatta, non mostrò il suo volto e neppure finse per un attimo di girare la propria figura la dove vi era la mia, semplicemente mi prese la mano e ci condusse fuori, sulla ghiaia del cortile esterno.
Uno schiaffo di vento gelido e di pioggia m'investì senza preavviso, strappandomi il fiato dai polmoni nonostante fossimo nel pieno dell'estate, le gocce di pioggia erano talmente impetuose che ebbi la sensazione mi stessero penetrando nella carne, come spilli arroventati.
Faticavo a tenere le palpebre aperte tanto era la furia del piovasco che oramai era maturato in vero e proprio acquazzone, tuttavia paradossalmente ne godetti, avevo sempre amato i repentini mutamenti del cielo estivo ed anche in quella circostanza permisi ai sensi di nutrirsene.
Serrai gli occhi e mi affidai ad André come un cieco al proprio curatore e concentrai l'attenzione sulla goccia che, dalla cima del capo scivolò sulla mia fronte, scavalcò le ciglia e terminò poi il proprio pellegrinaggio in una umida carezza lungo la gota. E come essa ne sopraggiunsero altre che assaporai dalle labbra, trovandole d'un gusto delizioso, ed altre ancora che solleticarono quel delicato lembo di pelle tra l'incavo della gola e la sinuosità che da tempo avevo smesso di mortificare, finché non vi fu più d'asciutto nemmeno un brandello di me stessa.
Il nitrito dei cavalli mi strappò alla distrazione che m'ero concessa, gettandomisi addosso con arroganza, quando arrivammo in prossimità delle scuderie. Il cavallo di André sostava all'esterno, legato alla palizzata che solitamente veniva usata dagli ospiti in visita al palazzo, il che mi fece comprendere che la sua presenza fosse nata per essere soltanto momentanea. Che avesse avuto il sentore di una sventura?

“Prendi César, e fallo il più velocemente possibile.”
ancora quel tono, urgente e profondo, mi sorprese per la sfumatura che non contemplava obiezioni, ed io non ne ebbi alcuna, procedetti verso la baracca con passo deciso e vi entrai.
Una volta all'interno presi la sella, il morso e tutto l'occorrente che mi sarebbe servito per sellare il cavallo, ma quando giunse il momento di compiere quei gesti che avevo fatto da che ero stata in grado di reggermi sulle gambe, tutto mi apparve impossibile. Le mani tremavano come foglie e seguitarono a tentennare anche quando provai a distenderle, e così anche il cuore mi si rivoltò contro accelerando i battiti al limite della follia, estirpandomi dai polmoni ogni traccia d'ossigeno. Mi sentii soffocare in un mare d'angustia, temetti che il cuore mi sarebbe scoppiato nel petto da un momento all'altro, poiché ne potevo sentire i colpi frenetici fin dentro le orecchie.

“Oscar, andiamo... cosa stai facendo? Non c'è tempo!”
la voce di André varcò la soglia delle scuderie ed ebbe lo stesso effetto d'un manrovescio in pieno volto. Sussultai e le mani fecero ciò che dovevano fare. In me difettava la calma e nello stomaco vi era ancora il tumulto dell'inquietudine, ma le dita presero a muoversi incuranti della propria fragilità, portando a termine il compito stabilito.
Uscii dalla stalla tenendo César ben stretto per le briglie e scoprii André già in groppa al suo cavallo, a malapena mi guardò, troppo occupato a sincerarsi di non aver nessuno alle calcagna ed io, per la prima volta da che avevamo eluso la prigionia del generale, mi chiesi come era possibile che lui non ci stesse tallonando come un animale furioso.

“Dobbiamo andarcene, ora. Ho sentito un rumore di zoccoli in lontananza, probabilmente all'entrata principale del palazzo, potrebbero essere notizie provenienti dalla Reggia, e sai cosa significherebbe se fossero cattive...”
la voce di André mi parve tornata quella di un tempo, confidenziale e pacata, ma con un implicito che sapeva di terrore.
Ero ben cosciente di ciò che mi sarebbe toccato se le Loro Maestà, o soltanto la Regina, avessero deciso di seguire il codice d'onore che ogni militare è chiamato a rispettare, come lo stesso è per ogni famiglia nobile di Francia.
Per me vi sarebbe stato l'arresto, il carcere, il processo militare e con un'elevata possibilità la morte.
Raccolsi la poca lucidità che mi era rimasta nella confusione della mente e poggiai un piede sulla staffa mentre con l'altro feci leva per issarmi in groppa a César, o per meglio dire tentai un'azione che non mi riuscì di assolvere appieno. Un bagliore inatteso rischiarò ogni cosa attorno a noi, come fosse stato pieno giorno e ancor prima di poter batter ciglia un tuono fragoroso, come non ne avevo mai udito, si portò via un alito di respiro.
Per la prima volta da che ne avevo ricordo ebbi la fortuna, se tale si può definire, di assistere alla venuta di un fulmine, che con chiarezza vidi originarsi da una nuvola e precipitare al suolo, penetrando con violenza un vecchio moncone di tronco che indefiniti anni addietro era stato un maestoso albero. E dalla furia di quella natività vi furono scintille e fuoco, grida lontane e attigue, io stessa ne rimasi così sgomenta da trascurare un dettaglio fondamentale: mai allentare la presa attorno alle briglie dell'animale quando attorno vi è un qualsivoglia elemento di disturbo.
Lo stivale abbandonò la staffa quando César si levò sulle zampe posteriori e persi l'appiglio attorno alle redini, le sentii scappar via in una fuga dolorosa tra la carne delle mie dita prive della protezione dei guanti, e nulla potei fare contro il terrore del mio cavallo che scappò nell'oscurità del boschetto ai confini del nostro podere.

“Maledizione! César, torna qui... torna qui bello...!”
urlai, fischiai, e quando non vi fu alcun riscontro decisi che sarei andata a riprenderlo, ma la concretezza, nella sua infinita crudeltà, mi mozzò le gambe.

“Ormai è andato, non c'è modo di ricondurlo indietro. Tornerà alle scuderie quando si sentirà al sicuro.”
tentò di quietarmi André, con scadenti risultati.

“Non lascerò César da solo in mezzo al bosco e poi ho bisogno di un cavallo, io...”
decisa a ribattere a ciò che avevo appena udito, elevai la voce di un tono superiore.

“Oscar, no. Non c'è tempo, loro non ce lo daranno. Dobbiamo andare via di qui, ora. Abbiamo un cavallo ed è più che sufficiente.”
così dicendo lui si girò appena in direzione del palazzo, indicando delle figure ignote che stavano guadagnando terreno verso di noi.
Portai la mano alla fronte, infilando le dita tra i capelli e li scostai all'indietro, in un gesto che aveva in sé tutta l'indecisione del mondo.

“Non fare la stupida Oscar, sali immediatamente su questo cavallo!”
e così dicendo André mi porse la mano, invitandomi senza troppi convenevoli a montare in sella. La ragionevolezza mi diceva di ascoltare il mio vecchio attendente, ma la fierezza mi tratteneva a terra come una mula testarda.
Ero ben conscia della gravità che pesava sulla mia schiena, anzi su quelle di entrambi, ma il soldato che ero non poteva accettare anche solo l'ipotesi di farsi condurre da un altro fantino, lo avrebbe concesso solo a fronte d'una grave menomazione fisica, un malore, e per nessun altro motivo.
Tuttalpiù avrei potuto contemplare d'esser io a scortare qualcuno su di un cavallo, come già avevo fatto nel passato con i figli delle mie sorelle e addirittura con la Regina Maria Antonietta, ma non l'opposto. Io non avevo mai cavalcato con qualcuno, mai, neppure quando fui iniziata all'arte dell'equitazione, seppur avessi da poco abbandonato la postura da quadrupede.
La pioggia non dava segni di voler cessare il proprio lacrimare e il vociare in lontananza si stava facendo sempre più prossimo, quale altra scelta avevo? Addentrarmi nel bosco e rischiare di farmi trovare da coloro che si stavano avvicinando o magari gettare alle spalle la dignità e tornare dal generale con la coda fra le gambe?
Davvero stavo mettendo in pericolo me ed André per una insensata questione d'orgoglio? Ma si trattava realmente di quello o vi era altro celato al di sotto del tremore che m'agitava il cuore?
Trassi un profondo respiro e, afferrata la sua mano, con la medesima decisione posai il piede nella staffa e mi tirai su raggiungendo infine la sella.
D'istinto portai le mani alle briglie, o quantomeno tentai di farlo, poco prima del giungere di quelle di André che si strinsero attorno al cuoio con decisione, ed io sperimentai un ignoto senso di smarrimento. Cosa avrei dovuto fare? Come avrei dovuto accomodarmi e, dove, mettere le mani? Non ebbi modo di crucciarmi molto poiché i miei interrogativi vennero ampiamente chiariti da ciò che lui fece.
Inizialmente vi fu il suono ovattato del predellino che sferzava un colpo contro il costato del cavallo e l'incitamento della voce, il cui vibrare mi si insinuò tra i capelli come uno spiffero d'aria. Poi arrivarono le sue braccia ad assediare le mie fin quasi a serrarle, per avere un maggior appiglio sulle redini, ed infine il suo corpo si lasciò andare contro il mio, spingendosi fin oltre il limite del possibile. Esalai un sospiro di stupore e m'aggrappai al pomolo del sellino, incapace di dire o fare alcunché.
André aizzò l'animale al trotto e lo condusse poi al galoppo quando oltrepassammo la cancellata di palazzo Jarjayes e per me fu tutto più chiaro, compresi la ragione di quel mio temporeggiare che nulla centrava con l'amor proprio o qualsiasi altro elevato principio morale, tutt'altro.
L'inquietudine che mi aveva tenuta immobilizzata a terra e ch'io stessa avevo scambiato per semplice testardaggine possedeva invece un volto differente, un aspetto concepito nella profondità d'una essenza primordiale, una percezione nel pieno centro delle viscere che portava su di sé un nome che fino ad allora avevo rifiutato di comprendere, ma che durante il tragitto che percorremmo dalla casa che oramai non avevamo più alcun diritto di dir nostra, alle porte di Parigi, non potei far a meno d'ascoltare.
La vicinanza di André mi turbava, ad un punto tale che mi vidi costretta ad abbassare il capo dinnanzi a quei sensi che presero a narrare la vittoria d'un desiderio che m'era strisciato al di sotto delle carne, infuocando ogni lembo di pelle.
La verità aveva vinto la guerra.
Desideravo, e quella nuova coscienza mi spaventava a morte, ma ciononostante fu la prima battaglia che amai perdere.
  
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