Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Raised by Yoma    09/04/2017    1 recensioni
Tratto dal testo:
"Eren aprì la bocca per far uscire un lamento, ma tutto ciò che si riversò sul pavimento furono sangue e saliva. Un disgustoso connubio a cui l'uomo dallo sguardo di ghiaccio si sarebbe sottratto senza complimenti, ma che già macchiava il ginocchio con la quale aveva malmenato il ragazzo dagli occhi verdi.
Difatti, non perse tempo a schiacciare la faccia del ragazzo sotto la suola dello stivale, e riempirlo nuovamente di calci in pieno volto e sulle braccia."
[Ereri]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti, Tematiche delicate
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Master



Sottomesso. Maltrattato. Paralizzato.

Con il lento passare dei minuti, con la faccia a raffreddarsi sul marmoreo pavimento, la vergogna di aver abbassato la guardia con l'ultima persona a cui voleva sottostare, andava scemando sempre di più, lasciando il trono alla sensazione pungente e paralizzante della "sottomissione". Quel senso che attanaglia lo stomaco e scuote i tessuti, fermando ogni movimento volontario e permettendo al tremore involontario di dilagare per tutti gli arti.

Che cosa ne era rimasto dell'Eren sfrontato e caparbio? Sostanzialmente, nulla.

Chiunque fosse passato di lì in quel momento avrebbe pensato a molteplici plausibili e alquanto astratte situazioni: un ragazzino colpiti da un mal di pancia talmente forte da farlo accasciare a terra, un crampo al polpaccio, dopotutto era o no un militare sottoposto a duri addestramenti? O magari un attacco cardiaco, pensando proprio al meglio del peggio. Ma nessuno, tra tutti gli inservienti, ufficiali e semplici soldati, avrebbe pensato ad Eren Jeager malmenato dal Caporale e trasformato nel suo giocattolino d'onore. Se fosse stato rivolto col viso verso la porta, la gente avrebbe potuto ammirare la bellezza degli occhi di giada del ragazzo, non più fiammeggianti, lucenti, penetranti... ma oscurati da un velo di... 

Paura? No, mai...

La paura era un sentimento più che lecito davanti ad un gigante intelligente e alto 15 metri, ma non nei riguardi un proprio simile. Anche se l'uomo in questione, quando non sorseggiava thè nero da una tazzina in ceramica, ammazzava giganti e guidava un'intera squadra verso la "vittoria". Da alcuni era partita la voce che Levi fosse una specie semi estinta di "pipistrello picchiatello", in quanto era raro vederlo dormire sulla sua abituale sedia prima dei quattro rintocchi dell'orologio sull'obelisco del quartier generale. Nonostante la sveglia fosse puntata per fare il suo dovere verso le sei del mattino, salvo convocazioni speciali da parte del Comandante, il quale non si risparmiava nemmeno un po' nel chiamarlo alle due del mattino per ricordargli ciò che avrebbe dovuto fare una volta inforcata la spada nel campo. 

Bisogno di compagnia come spiraglio in tutta quella solitudine?

"No, per Diana, ci mancherebbe solo l'elemosinare di quel biondo ossigenato" pensò Levi ridendo sommesamente alla visione di Erwin, perfetto nella sua divisa, con vestiti stracciati e una tazza di latta in mano, piegato dai dolori alla schiena e schernito dal freddo mentre guardava dal basso in alto la gente che proseguiva le proprie vite al di sopra di lui. Non che glie lo augurasse, quello mai, soprattutto Levi che la sapeva lunga su quella vita, ma semplicemente prendere per il culo i suoi superiori nella sua mente, ogni tanto, gli permetteva di tornare con la testa in aria, sulle nuvole. Per un soldato, aggrapparsi ad una risata, è la salvezza incompresa che nessuno conosce fin quando non sono stesi aterra grondanti di sangue. 

A Levi il divertimento non interessava, ridere era nella sua indole quanto rispondere un semplice "buongiorno" alla sveglia umana Hanji Zoe. E nemmeno gli alcolici riuscivano a stimolarlo in qualche modo, nonostante amasse un bicchierino di Whisky la domenica con i commilitoni: unico momento in cui si permetteva il lusso di passare del tempo con loro. Però, dopo anni e anni e anni da militare, aveva scoperto l'unica cosa al mondo in grado di fargli alzare leggermente gli angoli della bocca, incurvandosi e formando una smorfia che definirla sorriso significava una visita urgente da un dottore. Per Levi. 

Ogni notte, verso la mezzanotte meno un quarto, si dirigeva verso la sua camera non per dormire, ovvio, ma in primis per camminare un po' e secondo per finire di compilare i rapporti arretrati di solo qualche settimana. E la prima notte, su quel tragitto abbastanza seccante, trovò un qualcosa che attirò la sua attenzione.
Vide che la luce della stanza del Comandante era ancora accesa, quindi, incuriosito, vi si recò. Trovò Erwin, di spalle, trafficare con una moltitudine di carte e documenti, nella cuale Levi non avrebbe mai voluto metterci il naso. E svolgeva il tutto con un'eleganza che solo ad un biondo pettinato rigorosamente poteva appartenere. Nel momento stesso in cui il Comandante si girò, il Caporale si nascose dietro lo stipite della porta, bestemmiando mentalmente verso le assi del pavimento, come se questo potesse impedire loro di scricchiolare sotto il suo peso. Funzionò, e ne prese nota.

Ad ogni buon conto, passarono dieci minuti ed Erwin si sedette sul divanetto posto ai lati della finestra, davanti alla libreria, con la sua bella pila di documenti e scartoffie varie. Smith buttò un occhio fuori, fece un'alzata di spalle degna dei ragazzini impertinenti e si calò nuovamente nella sua lettura, crogiolandosi dell'inesperienza dei nuovi arrivati in particolare dell'incapacità di Connie Springer nello scrivere "Operazione di Raccoglimento Informazioni Logistiche Relative ai Carri e Soldati addetti nella sezione Armamentario" ridendo sommessamente per aver trovato delle lettere in più da qualche parte e alcune in meno da altre. 
Anche Levi buttò un occhio all'obelisco, notando che tra meno di un minuto i dodici rintocchi simbolici si sarebbero propagati per tutto il quartier generale.

"Ma cosa stracazzo sto facendo? Meglio che me ne torni in camera..." si disse tra se e se il Caporale.

E mentre alzava la gamba per muovere il primo passo, il fazzoletto legato al collo suo cadde miserabilmente in mezzo a polvere, sporco e Dio solo sa cosa... non che non sia pulito, anzi, anche Erwin non amava molto restare in un ambiente poco curato, ma per Levi era un sacrilegio solo vedere un'innocente granellino di polvere su un povero libro, figuriamoci vedere il proprio fazzoletto alloggiare per qualche secondo in quel circo per acari. 
Ma qualcosa, o meglio, qualcuno riuscì a togliergli dalla mente gli acari che si esibiscono in un numero coi fiocchi. Per l'esattezza, in contemporanea al primo rintocco dell'orologio, Levi udì distintamente il fruscio di fogli che cadono e la delicatezza di 92 kili che si lasciando completamente andare su un divanetto che, in confronto alla sua stazza pareva una poltrona.

Il Caporale rimase praticamente chinato a novanta, con la mano testa per raccogliere il pezzo di stoffa non più immacolato, e la testa rivolta completamente dentro l'ufficio del Comandante, profondamente addormentato. L'espressione di Levi cambiava di poco e raramente, e il fatto che solo la scrivania avesse potuto cogliere lo sgomento fatto a persona, è un vero peccato. 
Il bello, venne la mattina dopo, quando Levi sentì Erwin raccontare gli avvenimenti della serata a Mike... per poco il Caporale non sputò il caffè senza zucchero addosso a Gunter. Insomma, chiunque passasse del tempo come membro della Scouting Legion, anche per poco, doveva tenere conto di queste piccolezze che rendevano ogni soldato una personalità a se stante. 

Sfortunatamente, dal giorno del processo di Eren Jeager, Levi non ebbe più la possibilità di osservare lo strano comportamento del suo superiore in quanto si erano buttati a capofitto entrambi in attività che richiedevano assai tempo libero. Ovviamente, attività molto diverse tra loro, per la fortuna di un certo ragazzino sopracitato.
Fortuna fino ad un certo punto visto che l'unico desiderio che Eren aveva era spaccargli la testa e appenderla sull'obelisco della piazza della capitale, nel Wall Sina. Non era sicuro che ci fosse davvero un obelisco, ma gli piaceva pensare che fosse così.

Mentre Erwin passava le sue notti (non oltre la mezzanotte e quattro secondi) a raccogliere dati e tutto il necessario per la nuova spedizione, Levi si prendeva le ore dalle undici e mezza fino alle due del mattino, nel ruolo di "guardia notturna al soggetto particolare". Ruolo che lui stesso si era affibbiato per motivi ben lontani dal fare la guardia per "tenere al sicuro i compagni". E il suo lavoro veniva svolto meticolosamente, senza sbavature ne intoppi. Come una catena ben lucidata, forte e massiccia che scorre per far si che il ponte levatoio si abbassi in fretta e senza lunghe attese e assordanti rumori. Meticolosamente, a modo suo, ovviamente.  
Se Eren pensasse che rimanere ammanettato sul letto, coi movimenti ridotti, sorvegliato quasi giorno e notte come un assassino, fosse il peggio o uno schifo, allora non aveva tenuto in conto la possibilità che, effettivamente, Levi gli stesse con il fiato sul collo. Nel senso, se lo aspettava, ma cercava di accantonare quella vocina che gli martellava in testa.

E se lo aspettava perché fu proprio il Caporale a fargli questa "piccola" confessione che, nella foga momentanea di Eren, poteva sembrargli anche piacevole, ma non con il senno di un ragazzo che non ha nulla se non l'odio nutrito nei suoi confronti e un paio di manette. < Moccioso arrogante, sei uno spettacolo: ammanettato, con i capelli davanti agli occhi, indifeso, distrutto. Uno spettacolo rivoltante. Alza quella cazzo di testa e guardami negli occhi quando ti parlo, impara ad essere uomo, prima di di diventare un gigante.> Eren alzò lo sguardo e quel poco fiato che aveva in gola, si dissipò. Levi si presentò quella notte nel modo più semplice, come se il ragazzo oltre le sbarre non meritasse di vederlo in divisa militare. Optò quindi per una maglia bianca e pantaloni marrone scuro, con le gambe fasciate dagli stivali militari alti fino al ginocchio. Non era da lui cambiarsi per fare qualcosa, in quanto non lo faceva neppure per dormire, ma per ciò che avrebbe dovuto fare di lì a poco, quell'abbigliamento risultava appropriato.

Ma questo il giovane non poteva immaginarlo. Neanche se qualcuno fosse arrivato nella sua cella con una sfera di cristallo raffigurante il Caporale con in mano un frustino per cavalli, ci avrebbe creduto. Un pensiero simile non gli era mai balenato in mente con nessuno, quindi perché preoccuparsi? Oh, quanto si sbagliava...
Levi mantenne lo sguardo fisso negli occhi del ragazzo titano, sperando, anzi pretendendo una qualche risposta degna della sua attenzione. Ma l'unica cosa che sentì, anziché la voce di Eren indignata, fu il tintinnio delle arrugginite catene spostarsi per un attimo. E l'unica cosa che sentì Eren fu il potente calcio di Levi arrivatogli direttamente al centro del petto, con un movimento perfettamente districato tra le sbarre, quasi sembrasse un ballo molto movimentato.
Un calcio. L'ennesimo...

Ancora prima di rendersene conto, Eren si ritrovò con la vista annebbiata dalle lacrime di umiliazione e un dolore lancinante nel punto colpito. Lacrime che non uscirono mai dagli occhi di giada: l'orgoglio era l'unica cosa che poteva salvare il ragazzo in quel momento.
< Bastardo...>
Questa semplice parola formata da otto lettere, bastò per riportare l'attenzione di Levi alla realtà, dapprima concentrata sul volto contorto dalla sofferenza di Eren. Il suo sguardo si posò sulle indisciplinate labbra che avevano osato rivolgergli parole che  neppure il suo peggior nemico in punto di morte avrebbe avuto il coraggio di pronunciare. Di conseguenza, lo sguardo colmo d'odio di Eren si posò con pesantezza sulle spalle di Levi, non che non avesse il coraggio di controbattere, si sa, ma il terzo calcio lo avrebbe definitivamente fatto crescere di quindici metri, e di certo non per lo sviluppo giovanile.
D'altro canto, in barba alla puntualità disarmante dell'abbiocco di Erwin, il Caporale ebbe una reazione molto più spontanea e, oserei dire, alquanto spaventosa...

La calma più totale. Come se un giardino zen si fosse insinuato nel suo cervello e avesse posato fiori di Loto sul suo cranio. Anche il suo sguardo, sembrava tale, ma le piante bruciano in fretta: e questo Eren lo sapeva, e aveva pagato molte volte per certi incendi provocati nella testa del suo superiore. 
Con un delicato colpo di reni, il Caporale girò leggermente il busto e prese le chiave, attaccate al muro con un gancio fatto passare in mezzo a due lembi legati di spago. Le pose sul palmo della mano e le osservò, facendo passare il polpastrello del pollice su tutto il perimetro dello spago, saggiandone la consistenza ruvida e dura. Notò anche che lo spago, prima di essere legato, era stato avvolto su se stesso e che, quindi, una volta srotolato, sarebbe stato molto più lungo. Un'idea balenò in testa al moro, assecondato da un ghigno sadico in grado di far sentire le gambe molli ad Eren, che per tutto il tempo, aveva osservato i movimenti del suo superiore aspettandosi di tutto. O quasi.

La porta della cella si aprì, quasi con dolore visto il suono macabro che emise quando la delicatezza angelica del Caporale si abbattè su di essa, per cercare di estrarre la chiave dalla toppa. Gli servivano ancora. A grandi falciate, in meno di venti secondi si ritrovò la faccia di Eren che lo scrutava da sotto il ciuffo color cioccolata, lasciando intravedere solo per qualche secondo le iridi smeraldine, grazie ad un respiro lasciato con troppa foga.
< Così, sarei un bastardo, e non hai ancora visto nulla. Non pensare che io mi sia dimenticato di ciò che ti ho detto dopo il processo, in quella stanza. > disse Levi, mettendosi a sedere sul bordo del letto, accavallando le gambe. 
< Caporale...> esalò Eren, alzando lo sguardo e mostrando un ghigno agghiacciante.
< Cosa vuoi?> rispose scocciato Levi.
< Alzi il culo e se ne vada.> detto questo, Eren si lasciò andare ad una risata che di divertimento non aveva neanche l'ombra. Isteria, rammarico, sfogo, rabbia... uscì tutto con quella risata.

Ma Levi non era certo tipo da concedersi il lusso di stare tranquillo e non reagire.
Facendo guizzare i muscoli alla velocità della luce, Levi si ritrovò alle spalle del ragazzino da educare,  in piedi sul materasso, stivali compresi. Prese nuovamente in mano la chiave e la slegò dallo spago. Prese il filo e lo srotolò con maestria, lo avvolse sulle nocche e si sedette. Il ragazzo davanti a lui era scosso da un tremore incontrollato: evidentemente tutto si aspettava fuorché quello. Quello cosa? Non è dato saperlo, in quanto dentro alla sua testa, Levi sapeva di essere un ottimo improvvisatore, nonché maestro di persuasione.

< Senti moccioso rompipalle, te lo dico da soldato, per me sei come un insetto. Una cosa da cacciare al più presto, prima che inizi a ronzare e dare fastidio. E da uomo, ti dico che se non ti calmi un po' e mostri del rispetto verso chi potrebbe ucciderti con la stessa facilità con cui può liberarti, sarà peggio per te. Le ali servono solo a chi ha spalle abbastanza forti da reggerle. Se per un misero calcio ti fai venire le lacrime, allora non so davvero con che coraggio potresti mettere la tua cazzo di faccia fuori dalle mura.> in tutta la durata delle parole del Caporale, la vittima davanti a lui non smise di tremare. La situazione si fece molto tesa, e quella non era la sera giusta per far incazzare l'ufficiale seduto dietro a lui. La mano fasciata dallo spago si posò sulla bocca del ragazzo, dando dei leggeri colpetti sulle labbra e sfregando le dite contro di esse.
La testa di Levi si posò sulla sua spalla, scostando la maglietta con i denti e mordicchiando la pelle olivastra sottostante, inebriandosi del profumo naturale (fin troppo per lui). Mentre i denti dell'uomo pizzicavano la pelle giovane del ragazzo, Eren era come ipnotizzato. Come se davanti a lui si fosse trovata la reincarnazione di una bellissima dea. Il suo respiro discontinuo non faceva altro che incitare il lavoro del moro che presto si spostò dalla spalla a collo. La mano sulla bocca di Eren si levò in aria, per tornare davanti al volto di Levi, che slegò lo spago dal suo palmo per poi metterlo sulle labbra di Eren, che aprì la bocca per protestare e fece un accenno di ribellione. I riflessi pronti del Caporale gli impedirono di dire alcunché e con una leggera pressione verso se stesso spinse lo spago dentro la bocca dei Eren, facendolo passare da un lato all'altro delle labbra. Strattonò il ragazzo verso di lui, che lo fulminò con lo sguardo non appena incontrò le iridi dell'uomo. Legò le due estremità dello spago dietro alla testa di Eren, cercando invano di non tirargli i capelli. Per ora.

< Forse non hai ben capito in che situazione ti trovi. - Levi accarezzò la gola del ragazzo titano e parlò a fior di pelle - puoi ancora tornare in dietro, sai.> e morse la delicata pelle del ragazzo, facendo uscire un gridolino dalla bocca del ragazzo. In tutta risposta, Eren sputò nella direzione del Caporale, centrando in pieno il collo, appena sotto la rasatura.
< Quindi è così. Te ne pentirai, eccome - tirò uno schiaffo ad Eren, gli prese il volto e lo portò davanti al suo- mi implorerai di darti salva la vita - morse il labbro inferiore fino a sentire un leggero sapore ferroso - sei come un vaso di cristallo nelle mie mani - prese i lembi della maglietta e ci giocò - posso farti tutto ciò che voglio - passò dalla maglietta al ventre, portandole verso l'alto e trascinando anche la maglietta - e ora stai buono buono, così tutto passa in fretta.>
Levi gli fece mettere la maglietta dietro al collo, lasciando scoperto petto e ventre. Le gambe, ormai addormentate da un pezzo, del ragazzo si trovavano ai lati del suo corpo in una posizione molto infantile se non fosse per le gambe vergognosamente allargate. Con le mani iniziò ad accarezzare la pelle liscia del mutaforma, sentendo la sua schiena irrigidirsi sul suo ventre ad ogni tocco.

Rispondeva come una ragazzina alla prima esperienza, o forse era solo paura. 
Come un vero master, prese per i capelli Eren e lo baciò con prepotenza. Senza dolcezza. Senza sentimento. Mentre con le dita arpionava i fianchi semi-ossuti di Eren e li stringeva forte, fino a lasciarne delle striature rosse. Morse le labbra e giocò con la sua lingua. Danzarono tra ansiti irregolari di Eren e tocchi impetuosi di Levi. Senza neppure accorgersene, il Caporale si trovò davanti al corpo del ragazzo, con la piena visuale del ventre magro e del viso deturpato del ragazzo. I pantaloni di Eren iniziavano a mostrare un leggero rigonfiamento, cosa che a Levi non sfuggì. Ma nemmeno dispiacque, anzi, allargò ancora di più le gambe del ragazzo, le sollevò e le mise sui suoi fianchi. Avanzò strisciando le ginocchia sul letto sfatto, fino a toccare l'erezione celata dai pantaloni di Eren, con la sua. Strofinò il bacino contro quello del compagno e un gemito strozzato dilagò per la stanza, mentre Levi, tra un bacio rubato dalla bocca del ragazzo e un'altro, chiuse semplicemente gli occhi.
Quando i gemiti di Eren si fecero più acuti e più irregolari, Levi si allontanò dal corpo del ragazzo lasciando andare le sue gambe.

Dopo essersi ricomposto, ed essersi accorto che tra due ore doveva tornare a lavorare, il Caporale si avvicinò nuovamente ad Eren, gli prese il viso tra le mani e baciò prima le palpebre, scese agli angoli della bocca e infine un bacio a fior di labbra. Molto meno irruente del primo, ma pur sempre ruvido. 
< Inutile dire che se ne fai parola con qualcuno ti ammazzo prima che sorga una nuova alba. Basterà inventare un fantomatico "attentato alla vita dei miei sottoposti" davanti alla Corte Suprema e il tuo nome verrà accantonato, e il tuo corpo dato in mano a quei porci della Gendarmeria. Fammi vedere il tuo istinto di sopravvivenza, Eren, cerca di rivestirti da solo. Se non ce la farai, prepara una buona scusa davanti alla mia squadra.> disse Levi alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta della cella con lo stesso ghigno di una mezz'oretta fa. 

< Moccioso, domani ti farò visita di nuovo, vedi di non metterti in testa strane idee e ricorda, più cerchi di scappare da me e più io ti farò male. Ora dormi e se ti sento muovere troppo dalla mia camera, sarà peggio per te.> si girò, chiuse la porta della cella dietro di se e appesa la chiave al muro, senza lo spago, ancora in bocca al ragazzo.
Oltre alla saliva che iniziava a sgorgare dai lati della sua bocca, non c'era nient'altro a fargli compagnia in quella fredda cella. Inoltre, aveva il petto completamente nudo e un rigonfiamento troppo doloroso.

Una notte schifose. La prima di tante altre...
 
 
   
 
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