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Autore: SheDark    12/04/2017    1 recensioni
Tratto dal testo:
"Michael era capace di mettermi a disagio con la sola sfrontatezza, era una sensazione che odiavo e con cui allo stesso tempo avevo imparato a convivere.
«Tu mi odi vero?» formulai la domanda che mi frullava in testa da tempo con una semplicità che lasciò di stucco anche me.
Sapevo che avrei dovuto aspettare per avere una risposta."
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Prima storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Afferrai il cellulare che squillava fastidiosamente sul comodino: che cosa voleva Samantha a quell'ora della notte?
Stavo per ignorare la chiamata e rimettermi a dormire quando una strana sensazione mi invase il petto all'altezza della bocca dello stomaco: doveva essere successo qualcosa, altrimenti non mi avrebbe chiamato. Cosi accettai portandomi il telefono all'orecchio.

“Ti prego, vienimi a prendere.” mi raggiunse la sua voce rotta dai singhiozzai, stava piangendo.  Inizia a sudare freddo: le miei paure si stavano avverando.
“Cosa pensi di fare, puttanella?” un'altra voce, una maschile.  Come si permetteva a chiamare la mia Sam così?
“Fa preso!” di nuovo la sua voce supplichevole.

«Samantha? SAMANTHA!» provai a chiamarla senza avere alcuna risposta. Mi alzai di scatto lanciando il cellulare in un attacco d'ira: non avrei dovuto lasciarla andare a quella festa.
Indossai le prime cose che trovai a portata di mano mentre i sensi di colpa iniziavano ad impossessarsi di me, presi le chiavi della Mini e mi precipitai fuori casa. Ignorai tutti i semafori rossi che trovai sulla strada, il piede premuto incessantemente sull'acceleratore.  Nel giro di dieci minuti, che mi erano sembrati eterni, fermai bruscamente l'auto davanti all'indirizzo che mi aveva dato Sam prima di uscire. Non mi curai nemmeno di chiudere la macchina, mi limitai a togliere la chiave mettendomela nella tasca della tuta mentre raggiungevo a passi pesanti la casa.
Iniziai a cercare disperatamente Samantha con lo sguardo, incurante delle occhiatacce incuriosite dei presenti. Finalmente la trovai: era in fondo alla stanza messa spalle al muro da un ragazzo che riconobbi come il quarterback della scuola, Daniel Honeycut, ad osservare la scena altri due ragazzi della squadra. Mi precipitai da lei chiamandola e il suo viso si illuminò appena mi vide, gli occhi rossi e le guance umide di lacrime.
«Lasciala stare.» gridai al ragazzo che spostò l'attenzione da lei a me.
«Ehi, chi ha invitato un evidenziatore?» commentò qualcuno alludendo al colore dei miei capelli.
«Lasciala stare, stronzo!» ripetei stringendo i pugni, ignorando le risate.
«Chi ti credi di essere?» chiese Honeycut puntando gli occhi nei miei nel tentativo di intimidirmi. «Gira a largo: l'ho vista prima io.» continuò afferrando le guance di Samantha tra pollice e indice e posando le sue schifose labbra su quelle di lei, che cercò di divincolarsi dalla sua presa. Si voltò nuovamente di me, sorridendo compiaciuto.
Non ci vidi più. Caricai il braccio destro chiudendo la mano e colpendo il viso di quel bastardo con tutta la forza che avevo,  Honeycut indietreggiò preso alla sprovvista. Mi guardai poi la mano: l'avevo colpito forte, mi facevano male le nocche.
«Sono suo fratello!» dissi con orgoglio mentre quello puntava gli occhi furenti nei miei massaggiandosi il naso, da cui stava uscendo un rivolo di sangue. «Vieni Sam, andiamo?» la chiamai. Si precipitò immediatamente tra le mie braccia, iniziando a singhiozzare, la cinsi protettivo con un braccio.
Ancora scossa, Samantha si tenette aggrappata a me mentre si faceva accompagnare docilmente fuori da quell'inferno sotto gli occhi di tutti i presenti che si scostavano al nostro passaggio, ignorando le parole forti che Honeycut ci stava lanciando. Mentre uscivamo notai il suo cellulare abbandonato per terra così mi chinai per raccoglierlo, l'aiutai a salire sulla macchina e mi misi al posto guida.
«Stai bene?» le chiesi.
Lei si voltò verso di me, gli occhi gonfi colmi di gratitudine, annuì impercettibilmente.  «Credo di si.» rispose mentre una lacrima le scivolava su una guancia.
«Mi dispiace così tanto.» dissi posando il dorso dell'indice sul suo viso fermando la corsa di quella lacrima. «Non avrei dovuto lasciarti venire qui da sola.»
«Tu non ne hai colpa,» rispose prendendo la mia mano per farla abbassare delicatamente, «avrei dovuto darti ascolto.» continuò tenendo gli occhi bassi, con il pollice le accarezzai il dorso della mano per rassicurarla. «Io mi fidavo di D...» le parole le morirono in gola sostituite dai singhiozzi.
«Shh, non piangere.» cercai di tranquillizzarla, stringendole la mano.
Lei alzò lo sguardo su di me annuendo, mi tuffai in quel mare che erano i suoi occhi liquidi.
   
 
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