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Autore: queenjane    02/05/2017    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Il mio nome, nella polizia segreta, era di Cassiopeia 130, come le più luminosa costellazione dell’universo in cui ballavano gli astri .. da bambina, Olga sosteneva che erano lampade accese dagli spiriti amici.
Ed io ero solo buio.
Quando mi addestravano, poche, intense settimane,  benedicevo la stanchezza fisica, ero un automa che non si concedeva il lusso delle lacrime, mio zio era il mio diretto superiore che si rendeva complice di un azzardo, di una follia di cui si era pentito, ma ormai era andata.
Un bagno caldo, un letto morbido, un bicchiere di vino bianco, non badai ai particolari, ero tra amici, o aspiranti tali, mi fidavo .
Per quella sera non chiedevo di meglio.
Mi sdrai supina, le braccia aperte, aspettando un sonno senza stelle o sogni, come Felipe de Moguer, il mio antenato, in attesa delle battaglie.
Io sono Catherine e questa è la mia storia.
Dalla mia avevo la fortuna dei Rostov-Raulov, ero una giocatrice d’azzardo senza carte, giocavo con la vita, senza fallo, arrogante e egocentrica come mio solito.
 
Era passato un anno, era il settembre 1915 ed ero a Mogilev, il quartier generale dello zar.
Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, che mutò nome in Pietrogrado, molto più slavo,  ai concerti vennero espunti i musicisti come Bach e Beethoven, venne abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica.
Idiozie.. detto da quella che odiava i tedeschi era una suprema ironia. Anzi, un sarcasmo estremo.
Poi erano cominciate le perdite, i lutti e i morti, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di cappotti, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere le armi e  i cappotti e via dicendo.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, ovvero Rasputin, lascivo, senza misura, spiato e che spiava.
Le truppe russe combattevano le forze della  Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, perdendo perdite immani.
Il generale Denikin, ritirandosi dalla Galizia, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, che i reggimenti erano finiti a colpi di baionette, che i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano. Chi sopravviveva, era a rischio per le infezioni  e chi non riportava lesioni fisiche aveva incubi duraturi.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia.
Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, recandosi al quartiere generale di Mogilev, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo delle truppe.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia di suo cugino Guglielmo, Kaiser di Germania.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del suo governo si erano dimessi per protesta e non era servito, che era lì.
Rasputin, nelle more, aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, esibendo en plein air i suoi genitali, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze del gestore del locale, aveva ribattuto che era intoccabile, la vecchia (la zarina?) gli permetteva di fare tutto.  Uno scandalo più grande dei soliti, pardon, che si aggiungeva a quelli che creava con monotona regolarità.
Pensavo a quelle cose, il giorno dopo, le palpebre socchiuse, tra le mani una tazza smaltata di caldo caffè, godendomi il calore del sole e il profumo delle foglie, il semplice privilegio di essere sempre viva, un cavaliere con i quattro arti intatti, un proiettile da esplodere che era in carica.
“Principessa, che hai combinato?”
“Ho combattuto, Maestà, sono un soldato” Mi inchinai, tra le mani la tazza di caffè. Erano circa le sette di mattina, lui era giunto in anticipo, ma io ero sveglia da una ora abbondante.
Le parole fluirono automatiche, per un breve momento mi chiesi cosa facesse Olga, lei si era augurata di non vedermi mai più, io continuavo a pensarla, nessuno poteva vietarmi quell’esercizio dolente. Speravo che stesse bene, al meglio, pardon, considerate le circostanze, lei come le sue sorelle, scacciando il pensiero di Alessio e del mio fratellino. Che se li avessi rivisti, li avrei portati via con me, dispersi per sempre verso l’orizzonte, una fantasia, come avrei fatto con  un ragazzino di otto anni, curato un emofiliaco, per favore.. appena sapevo badare a me stessa, figuriamoci se ero in grado di gestire lo zarevic.
“Oh.. Principessa. Catherine. Figlia mia”Quelle frasi penetrarono la mia dura scorza, capivo ma non volevo capire, il segreto che aveva spartito con mia madre per tutta la vita, avevo evitato con cura una idea così assurda che poteva essere vera.
Figlia mia poteva essere un eufemismo, che lui ero lo ZAR, il piccolo Padre, detto Batiuska, padre del suo popolo, io una sua suddita, sua figlia, ero tanto brava a raccontare storie che alla fine finivo pure io per credervi.
“Chiamatemi lupo, tempesta, o meglio Cassiopeia.”
“Catherine” Mi posò le mani sulle spalle, mi ero rialzata, una stretta salda e ferma. “Sei solo Catherine, il resto..”una pausa “Catherine, alla francese, lingua che parli benissimo.. Catherine e non ti sminuisco, sei una amazzone, un tornado..”
I suoi occhi chiari alla stessa altezza dei miei, scuri come miele.
Non mi sottrassi a quella limpida occhiata, tutto scemò nel silenzio.
Rievocai il suo braccio che mi accompagnava a un ballo, il permesso di poter sposare mio marito, la stretta al suo funerale, compresi .. o cominciai a capire.
Posai una mano sulla sua schiena, mi strinse le dita.
 
Se il destino fosse stato diverso sarei stata Ekaterina Nicolaevana Romanova, figlia dello Zar, sorella di Olga, Tatiana, Marie e Anastasie Romanov, oltre che di Alessio Romanov.
La  sua primogenita concepita in una luminosa primavera, così lontana che pareva già una leggenda.
La figlia segreta, la bastarda dello Zar.
 
 
   
 
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