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Autore: Nina Ninetta    04/05/2017    4 recensioni
Lord Voldemort ha vinto, i suoi nemici sono costretti a vivere nell'ombra. Harry è scomparso, Ron è stato fatto prigioniero a Hogwarts, Hermione è sotto tortura a Villa Malfoy. Tuttavia, Draco e i suoi non se la passano meglio. L'unica speranza - per tutti - è allearsi con i "vecchi" nemici.
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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2.


 
 
Spesso Draco la sentiva piangere. Accadeva di notte. I gemiti soffocati di sua madre gli facevano accapponare la pelle, mentre una rabbia irrefrenabile gli ribolliva dentro. Più volte si era chiesto se anche suo padre la sentisse e se come lui provasse il forte desiderio di salire ai piani superiori e illuminare le camere con lampi di luce verde. Si, ucciderli nel sonno, proprio come un vigliacco, ma talvolta fare il codardo è l'unico modo per rimanere in vita. Sua madre Narcissa Black Malfoy piangeva come una bambina quando calava la notte, forse per la fine miserabile che aveva fatto, o forse per l'umiliazione toccata a lei, a suo marito e al suo unico figlio. Draco sapeva benissimo che i suoi genitori avevano sfidato il Signore Oscuro per salvarlo, quando nell'ultima guerra l'avevano creduto morto. Poi le parole di Harry Potter sussurrate a Narcissa nella Foresta Proibita avevano dato loro nuova speranza, ma avevano sbagliato a fare i calcoli: Lord Voldemort aveva vinto. Oramai il loro nome era compromesso, non sarebbero stati più considerati tra le maggiori famiglie Purosangue, chiunque avesse avuto la meglio in battaglia.
Certo, la schiera di Harry Potter non li avrebbe mai condannati a morte o umiliati in quel modo, al contrario di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato: un essere che non conosce le parole perdono e commiserazione. Per punire tutti e tre aveva dato ordine che solo Draco venisse ucciso. Narcissa e suo marito gli erano strisciati ai piedi, baciandoglieli, supplicandolo di risparmiare il loro unico figlio, di prendere le proprie vite, ma di avere pietà del giovane Malfoy. Quest'ultimo era rimasto muto per tutto il tempo nella Sala Grande, dove una vita fa si era seduto al tavolo dei Serpeverde a prendere in giro chiunque gli andasse a tiro. Un incubo, ecco quello che stava vivendo, solo un incubo. Poi le enormi porte si erano spalancate e sua zia Bellatrix aveva attraversato di gran carriera l'intero salone, fino ad inginocchiarsi davanti al suo Signore, sciorinando una serie di motivi per i quali era meglio tenere in vita la famiglia di Lucius, figlio compreso. Lord Voldemort aveva ascoltato fino alla fine ciò che il suo braccio destro, il Mangiamorte più fidato, aveva da dirgli, quindi ci aveva pensato su qualche minuto e infine aveva accettato le sue condizioni, a patto che non vivessero da padroni nella loro casa, ma alla stregua di un elfo domestico.
«Così sia, mio Signore» aveva concluso Bellatrix lanciando uno sguardo di rimprovero a sua sorella Narcissa che a quella sentenza era svenuta fra le braccia di Lucius.
Quando la donna aveva riaperto gli occhi si era ritrovata nella cucina di casa sua, un'enorme camera spoglia, eccetto per i fornelli e le pentole appese al soffitto. Qualcuno le aveva preparato un letto d'emergenza con della paglia e qualche cuscino logoro. Draco era al suo fianco, mortificato e pallido, un colorito quasi grigiastro.
«Come schiavi ci trattano» aveva detto con un filo di voce, ma lei lo aveva abbracciato, sussurrandogli che non importava, essere tutti e tre ancora insieme era un grande successo.
 
Poi i giorni erano trascorsi, trasformandosi in mesi e infine in anni. Due lunghi anni e non c'era stata una sola sera che sua madre non avesse pianto in silenzio. In quegli anni la signora Malfoy era invecchiata di dieci, i capelli biondi stavano diventando grigi, aveva perso diversi chili e trascorreva le giornate a cucinare, pulire, servire e ubbidire non solo ai capricci di sua sorella, ma anche a quelli di esseri inferiori e viscidi come Fenrir Greyback, il Lupo Mannaro. Lucius Malfoy non se la passava meglio, il suo compito era portare a termine praticamente tutto ciò che gli veniva chiesto: andare a caccia, fare da gufo trasportando le missive da un Mangiamorte ad un altro, torturare i prigionieri quando glielo ordinavano.
Draco invece trascorreva le sue giornate come un'ombra, mimetizzandosi negli angoli e ascoltando in silenzio le conversazioni (spesso accese e violente) fra gli scagnozzi di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Nessuno sembrava badare a lui, ogni tanto sua zia Bellatrix lo punzecchiava affermando che gli serviva una donna:
«Certo, nessuno vorrebbe più accostarsi ad un Malfoy dopo quello che siete diventati. Che peccato, sei così un bel ragazzo...»
A quelle parole il Lupo Mannaro sghignazzava, facendo venir voglia a Draco di cancellargli quel ghigno a suon di pugni, ma puntualmente interveniva sua madre che lo allontanava con una scusa, spaventata dalla reazione a catena che poteva generarsi.
 
Quella mattina Draco si svegliò con le solite voci dei suoi genitori che bisbigliavano fra loro, in sottofondo udiva lo scroscio della pioggia. Come sempre il ragazzo non diede peso alle parole di Lucius e Narcissa, poi però qualcosa gli fece drizzare le orecchie:
«Narcissa, davvero credi che Potter sia l'unica soluzione? Credi davvero che con lui le cose andrebbero meglio per noi?»
«Si, lo penso davvero Lucius. Sei tu che ce l'hai a morte con i nati babbani, non…»
«Sanguesporco» la corresse il marito
«...loro con te» concluse Narcissa scoccandogli un'occhiataccia, quindi notò il piatto con la cena della prigioniera che giaceva intatto sul lavabo «Povera ragazza, la stanno ammazzando, non ha neanche più la forza di mangiare» Draco intuì che stavano parlando di Hermione Granger, rinchiusa nella cantina di Villa Malfoy da una quindicina di giorni.
«E comunque Potter non ci salverebbe» riprese Lucius «Tutti i suoi alleati sono morti, o sono rinchiusi da qualche parte, o sono fuggiti chissà dove»
«Allora affrontiamolo noi, Lucius!» esclamò Narcissa d'improvviso, sbattendo i palmi sul tavolo «Siamo degli ottimi maghi»
«Tu sei pazza!»
«Tendiamo una trappola a Tu-Sai-Chi ...»
«Tu non capisci» Lucius scosse il capo
«O alleamoci con l'Ordine della-»
«SMETTILA!» le urlò contro suo marito, Draco serrò la mascella sotto le coperte «E a lui non pensi?» suo padre lo stava indicando, il ragazzo biondo ne era sicuro «Se siamo in questa situazione, se tu sgobbi come un'elfa domestica qualunque è per salvare lui!»
Narcissa non rispose, il suo spirito bellicoso si spense così come si era acceso, in un attimo. Anche se non poteva vederla Draco sentì lo sguardo di sua madre sulla propria schiena, immaginò i suoi occhi riempirsi di lacrime e stringere le labbra. Così non poteva continuare, doveva inventarsi qualcosa.
Attese che la cucina fosse vuota per alzarsi, mangiucchiò qualcosa al volo, si cambiò d'abito, rubò cinque o sei biscotti secchi dalla credenza e li avvolse in un fazzoletto di tessuto, quindi raggiunse l'entrata della cantina. Come sempre nessuno lo notò, passò inosservato perfino davanti a sua madre e sua zia che stavano discutendo animatamente: ogni volta che succedeva (cioè ogni santo giorno) Bellatrix ricordava a Narcissa che se erano vivi lo doveva a lei. Solo quando si ritrovò dinnanzi alla porta di ferro Draco si rese conto che non sapeva cosa fare, non aveva alcun piano, eppure quello gli pareva l'unico punto di partenza per cambiare le cose. Fece un profondo respiro, inserì nella serratura la chiave infilata in un gancio lì vicino ed entrò. All'inizio il buio lo rese cieco, poi quando gli occhi si furono abituati all'oscurità notò un piccolo ammasso di vecchi stracci raggomitolato nell'angolo in alto a destra.
«Adesso mandano te a torturarmi, Furetto»
Il timbrò di voce di Hermione era flebile e rauco, quello di una persona malata e tremante. Sforzandosi di non risponderle a tono, Draco chiuse la porta della cantina accompagnandola con la mano, per evitare di far rumore. Era tranquillo, oramai conosceva a memoria ogni movimento della casa e sapeva che tutto si svolgeva seguendo un programma ben preciso, quindi nessuno si sarebbe occupato della prigioniera fino al pomeriggio. Le si avvicinò, improvvisamente ogni dubbio, ogni incertezza sul da farsi erano spariti, per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva il Malfoy di sempre, forte e baldanzoso. Nonostante tutto, quando le fu davanti provò una punta di vergogna per quella consueta sensazione di superiorità, che aveva provato anche durante gli anni ad Hogwarts trovandosela fra i piedi.
Hermione Granger era così malmessa che gli abiti davano l'impressione di essere di tre taglie più grandi, l'ammasso di capelli cespugliosi sembravano decisamente troppi per il suo viso magro e gli occhi scavati nelle orbite. Sua madre aveva ragione, presto l'avrebbero uccisa, un giorno aprendo la porta della stanza l'avrebbero trovata senza vita. Draco si chinò sulle ginocchia, infilò la mano nella tasca dei pantaloni e d'istinto la ragazza si tirò ancor di più le gambe al petto, gli ricordava un animale terrorizzato dalle continue frustate:
«Uccidimi, ti scongiuro. Uccidimi, ma non-» Hermione si zittì di colpo quando lui le porse un mucchietto di biscotti avvolti in un tovagliolo, qualcuno si era sbriciolato
«Mangia o morirai davvero, Granger»
Hermione alzò lo sguardo, il terrore nei suoi occhi era stato sostituito da incredulità, solo allora Draco poté notare che le labbra erano gonfie e violacee, il viso ricoperto da tagli dove il sangue si era incrostato. Possibile che quel mucchietto d'ossa fosse proprio Hermione Granger, la So-Tutto-Io di Grifondoro?
«Mi vuoi avvelenare»
«No, voglio salvare me e la mia famiglia e per farlo mi servi viva».
Hermione continuò a fissarlo sbigottita, allora il ragazzo mangiò un pezzetto di biscotto per dimostrarle che poteva fidarsi, solo così lei ne prese uno e piano, come se provasse dolore anche solo a tenerlo in mano, lo sgranocchiò. Draco si sedette al suo fianco, con le spalle al muro e le gambe piegate a formare un angolo retto, adagiando il fazzoletto con i biscotti sul pavimento. Entrambi erano consapevoli che mai - in così tanti anni ad Hogwarts - si erano ritrovati l'uno di fianco all'altro e, soprattutto, nella stessa stanza senza che lui la insultasse. Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, lei riprese la conversazione lasciata in sospeso:
«Hai un piano immagino»
«Diciamo»
«Diciamo? Che vuol dire "diciamo"? O ce l'hai o non ce l'hai, altrimenti non saresti qui a-»
«È difficile, ok?! Questa casa brulica di Mangiamorte oramai e non è possibile Smaterializzarsi al suo interno, bisogna oltrepassare il cancello».
Hermione ci pensò su qualche istante, era da tanto che non ragionava per farsi venire un'idea, gli ingranaggi del suo cervello si erano arrugginiti.
«E una volta fuori?» chiese poi
«Troviamo Potter» Draco lo disse con una tale naturalezza che lei sorrise a quell'assurdità
«Nessuno, e dico nessuno sa dove sia» la ragazza lesse la delusione sul viso di lui, evidentemente credeva che lei lo sapesse e che lo stava nascondendo
«Tu sei sua amica, qualcosa ti verrà in mente».
Hermione mangiò l'ultimo biscotto, scoprendo di avere ancora fame, la fiamma della speranza si era riaccesa. Rimuginò a lungo e poiché Draco non sembrava avere idee ne azzardò una:
«Devi trovare la mia bacchetta e la mia borsa»
«Perché?»
Hermione alzò gli occhi al soffitto, per certi versi era più ottuso di Ron:
«Perché tu non hai più una bacchetta, ricordi? E perché nella borsa ho tutto l'occorrente per affrontare un viaggio. E devi trovarle subito se ti servo viva, non resisterò ad altre Maledizioni Cruciatus» su quello aveva ragione, anche Draco doveva ammetterlo.
Il ragazzo si alzò, scrollandosi i vestiti dalla polvere dello scantinato:
«Bene» disse solo e uscì.
Hermione guardò oltre la finestrella inferriata alla sua destra, le nubi iniziavano a diradarsi.
 
  
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