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Autore: indiceindaco    27/05/2017    1 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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XXXIV. Pronti.
 
“In the midst of winter,
I finally learned that there was in me
an invincible summer.”
Albert Camus
 
-Non so che intenzioni tu abbia, ma tutto questo mi sembra una pessima idea - esordì Harry, quando Draco gli porse il suo braccio, in un’evidente e tacita richiesta. Gli chiedeva di fidarsi di lui, senza porre alcuna domanda, senza neppure aver la minima idea delle intenzioni dell’altro.
-E io che pensavo tu fossi il principe delle pessime idee- ribatté Draco nel suo tipico tono sarcastico, solo lievemente intriso di scherno.
-Sarebbe da idioti chiederti dove siamo diretti?
-Beh, non che mi aspettassi qualcosa di diverso da te, Potter.
Harry, senza fare altre domande allungò la mano verso l’avambraccio di Draco, e tanto gli bastò per sentire una sorta di metaforica scossa elettrica, al contatto con il tessuto della camicia dell’altro.
-Niente trucchi, Potter, sul serio.
Ma, prima ancora che Harry potesse sentire l’intera frase, sentì il familiare strappo all’ombelico, e Grimmauld Place rimase deserta, come non lo era dai tempi della guerra.
 
***
 
Blaise era troppo concentrato sulla fiala di sangue di salamandra, saggiandone le proprietà ricostituenti, per accorgersi di ciò che stava accadendo. Il suo obbligo da Medimago, avendo prestato giuramento, gli imponeva di curare il proprio paziente. In nessun manuale Blaise avrebbe trovato le istruzioni adatte per quell’occasione: da una parte era tentato di infrangere la fragile fiala di vetro, contenente un farmaco abbastanza comune, contro lo spigolo del comodino. Dall’altra, sapeva che se il suo supervisore lo aveva assegnato a quel compito c’era un motivo ben preciso. E quello, fra le righe, era non tanto testare le sue competenze come Medimago sul fronte teorico, ma esaminarlo sul fronte etico. Garantire a quello che era un criminale, prima ancora che un suo amico, le cure necessarie, a discapito del tempo che poteva essere dedicato a degli innocenti. Un Medimago, Blaise lo sapeva bene, non doveva far di quelle distinzioni, quelle che il senso comune avrebbe definito nettamente e senza alcuna ombra di esitazione. Il compito di un Medimago era quello di alleviare o porre fine alle sofferenze di un altro mago. La vita andrebbe salvaguardata in ogni caso, no?
E così Blaise si trovava a titubare, a incedere in quella cupa incertezza, lì di fronte al letto di quello che era stato un suo compagno di casa, un suo amico, un suo –seppur sofferto- commilitone. La sola differenza, questa volta, era che Blaise non si trovava da solo, lì in bilico tra quella che era la scelta giusta da compiere.
Hermione, al suo fianco, stava esaminando uno spesso fascicolo di pergamena, borbottando fra sé e sé di tanto in tanto, e lanciando fugaci sguardi apprensivi a Blaise, senza che l’altro se ne accorgesse. All’interno della stanza spoglia, i due Auror, vigili, seguivano tutte le loro mosse con fare disinteressato, compostamente poggiati ai lati della pesante porta blindata. Blaise registrò inconsciamente le loro espressioni attente e indifferenti. Che il prigioniero morisse, fosse destinato per sempre a quello stato d’incoscienza, o aprisse gli occhi, per loro non doveva fare tutta questa differenza. Per entrambi i maghi in servizio, quella esile figura, inchiodata sul letto, non era altro che un altro caso da archiviare il prima possibile, per tornare alle loro incombenze quotidiane giù al dipartimento di sicurezza del Ministero. Quella prospettiva, però, non poteva essere condivisa dall’altro individuo, accomodato su uno sgabello a tre piedi, all’angolo della stanza.
 
Esattamente venti minuti prima, Il Medimago Dixon, assegnato al caso, li aveva raggiunti al settimo piano, con quel suo proverbiale cipiglio analitico e con fare sbrigativo, aveva informato i propri tirocinanti che il paziente sarebbe stato affidato alle loro cure.
-Trovo questa possa essere un’ottima occasione per testare le vostre conoscenze. Per di più, Zabini, mi par di capire che il paziente…
-Il prigioniero, signore. – lo rimbeccò impulsivamente l’Auror, con tono lievemente aspro
- Al di fuori di questo ospedale, signor Lewis – rispose Dixon, calandosi lievemente gli occhiali sul naso, per leggere il nome sulla targhetta azzurra dei visitatori assegnata all’Auror, - quando il signor Nott si ritroverà nuovamente sotto la sua giurisdizione, e quando verrà affidato nuovamente alla giustizia, potrà appellarsi a lui come meglio crede. Ma finché si troverà in questa stanza, affidato alle cure dei miei tirocinanti, e sotto la responsabilità del San Mungo, per me il signor Nott, è un mago che necessita del nostro intervento. E ne converrà, non posso che riferirmi a lui con l’appellativo di “paziente”.
L’Auror, al tono pratico ed asettico del Medimago, inasprì la propria espressione e fece per controbattere, ma il collega, mettendogli una mano sull’avambraccio lo zittì prontamente, aggiungendo:
-Si capisce, dottore. Resteremo qui sulla porta, per qualsiasi evenienza. Non le impediremo di fare il suo lavoro, se lei ci lascerà fare il nostro.
Dixon scoccò la lingua, quasi scocciato, e si rivolse ai tirocinanti.
-Stavo dicendo, Zabini, prima di questa breve disquisizione terminologica, che mi par di capire che il paziente sia stato fra le tue conoscenze. E questo, ci da’ un bel vantaggio, non trovate?
-Un…vantaggio, signore? – disse Hermione, dubbiosa e corrugando la fronte.
-Naturalmente, Granger. Conoscere i precedenti di un paziente ci risparmierà molto tempo, soprattutto perché data l’attuale situazione, non possiamo porre lui direttamente le solite domande di routine. Cosa sappiamo fino ad ora?
- Il paziente, intorno alle 4.30 di questa notte, ha tentato di impiccarsi, con una cappio rudimentale ricavato da una corda da lui prodotta. – lesse Hermione, dal fascicolo consegnatole da uno degli Auror.
- La morte per soffocamento, si ha in media tra i 5 e i 7 minuti. Il paziente è stato rinvenuto alle 4.57, nella propria cella. Vivo. Dunque, ben oltre i 7 minuti di media  - continuò la ragazza.
-Questo cosa ci indica, Granger?
-Nott era allenato a trattenere il respiro, signore? – rispose titubante, Hermione.
Blaise, in disparte, stava esaminando i campioni di sangue raccolti, prima che fosse convocato, dal Medimago Dixon.
-Ottima supposizione, Granger. Proseguendo, con questa ipotesi, e tenendo conto delle doti d’apnea, possiamo azzardare un’ipotesi in merito a quale stadio dell’asfissia si trovasse il paziente quando è stato rinvenuto?
Dixon, con un cenno d’incoraggiamento ad Hermione, affiancò Blaise, appropriandosi delle provette, e sedendosi sullo sgabello all’angolo della stanza, armeggiando con una fiala recuperata dal taschino del proprio camice.
-Il terzo stadio, signore: la fase apnoica. Come osservato da Hermione, il paziente era allenato a trattenere il respiro, fino agli 8 minuti, che io sappia. Considerate le condizioni in cui verteva al momento della scoperta, gli orari citati nel rapporto, e il normale decorso temporale dell’asfissia, il paziente era entrato nel terzo stadio del trauma, signore.- rispose prontamente Blaise.
-Esattamente, Zabini. Da appena 17 secondi, stando ai miei calcoli. Ed è qui che arriviamo alla nostra domanda: perché il paziente non ha ancora ripreso conoscenza?
- Durante il terzo stadio, si ha la perdita assoluta di conoscenza, il rilasciamento muscolare e un conseguente deterioramento delle attività cerebrali, signore. – disse Hermione, con ovvietà.
Blaise inarcò un sopracciglio, facendo scorrere lo sguardo da Dixon ad Hermione, che adesso aveva incrociato le braccia al petto. La ragazza sembrava adesso aver assunto una posizione difensiva, probabilmente perché l’eccessiva praticità del loro supervisore stava mancando di tenere in considerazione lo stato d’animo di Blaise. Quest’ultimo, per tutto il tempo dell’indagine, aveva volutamente evitato di soffermarsi sulla figura stesa inerte sul letto, ed Hermione non aveva mancato di accorgersene.
-E questo, Granger, ci porta a desumere che…?- disse Dixon, accompagnando le proprie parole con un gesto d’incoraggiamento della mano, nella quale stringeva ben salda una tra le provette.
Finalmente, Blaise, guardò il volto candido e disteso di Theodore, che inerme e scheletrico occupava nemmeno la metà del lettino ospedaliero. Gli sembrò così fragile, indifeso, innocuo. Nella sua mente si dipinse il ricordo della primavera dei suoi dodici anni, quando nel cortile della scuola, Blaise aveva trovato Theodore accovacciato ai piedi di un albero, con un’espressione attenta e concentrata.
-Vi è stata una insufficienza nell’afflusso di sangue al cervello. Ischemia cerebrale, signore. – disse Blaise, meccanicamente, ormai perso ad inseguire quel ricordo: si era avvicinato al ragazzino, chiamandolo, senza però sortire alcun effetto. Affiancatolo, con disappunto, si ritrovava a condividere quella strana aria intorno a lui. Come sempre, Theodore, era freddo e distaccato, con uno sguardo indagatore ed impersonale. Blaise non era neppure riuscito a chiedergli cosa stesse osservando, gli si era semplicemente accovacciato accanto, prima di scorgere l’oggetto di una così meticolosa attenzione. Ai loro piedi, stava un uccello, che Blaise immaginò fosse una rondine, che si muoveva appena, l’ala sinistra in una posizione innaturale, probabilmente spezzata, e si udiva un pigolare sommesso. Theodore sembrava completamente assorbito nell’osservare gli occhietti della creatura, il cui pigolio andava spegnendosi.
- E quindi cosa ne deduci, Zabini?
La voce di Dixon arrivò a Blaise come ovattata, mentre mettendo a fuoco il volto di quello che era stato un dodicenne attento, Blaise non poté far a meno di pensare a quella rondine, che Theo avrebbe senz’altro potuto salvare. Si era invece limitato ad osservarla, ad ascoltare il suo ultimo cinguettio, senza far nulla. E adesso stava steso su un letto candido, l’espressione distesa, che non tradiva alcuna emozione, e un cuore dentro al petto che si rifiutava di arrestarsi, flebile come il pigolio della rondine.
-Il paziente è in coma, signore.- rispose Zabini, senza distogliere lo sguardo dalla figura scura che macchiava il lettino.
La mano al fianco di Blaise serrò la presa sulla provetta nel suo palmo, in un inspiegabile rabbia che gli stava montando in corpo: perché avrebbe dovuto decidere di uccidersi? Fra tutte le domande, quella era la più angosciante per Blaise. Forse perché non avrebbe mai ricevuto risposta. Quando le parole di Dixon lo raggiunsero, Blaise si ritrovò la mano insanguinata, la provetta spaccata ai suoi piedi. Doveva aver esercitato una pressione tale da averla rotta senza rendersene conto. Quando le parole di Dixon riecheggiarono per la stanza, fu lo stupore a dipingersi nei volti dei presenti, meno che in quello di Blaise, dove aleggiava un misto tra ira e speranza:
-Ed è qui che ti sbagli, Zabini.
 
 
***
 
-Signor Malfoy, è sempre un piacere rivederla. Le faccio preparare subito il solito tavolo?
Si erano smateriallizzati proprio all’ingresso di quel locale non lontano da Diagon Alley, di cui settimane prima Harry era venuto a conoscenza. Varcata la soglia, era stato il vecchio cameriere impettito ad accoglierli. Harry era rimasto dapprima interdetto: si aspettava quello fosse un pub, ma a quanto pareva i servizi erano estesi anche alla caffetteria ed alla ristorazione. Un po’ come il Paiolo Magico, rifletté assorto.
-Potter?
La voce di Malfoy lo raggiunse ridestandolo, mentre ancora si guardava in giro,
-Per quanto l’espressione da troll di montagna ti si addica, Potter, Gregory qui gradirebbe sapere se hai preferenze sul tavolo…
Harry arrossì d’imbarazzo, e scosse velocemente la testa senza proferire parola, ancora stranito dalla scelta di Malfoy di portarlo lì. Il locale era semideserto, e solo un paio dei numerosi tavoli sembravano occupati. Harry non mancò di registrare che nessuno degli ospiti sembrava aver prestato loro attenzione. Continuando a guardarsi intorno, mentre seguiva Malfoy ed il cameriere attempato, notò che il mobilio sembrava del tutto diverso questa volta. I tavoli erano più ampi, e apparecchiati di tutto punto in maniera sobria, con un tovagliato color crema, mentre Harry ricordava perfettamente che la prima volta aveva avuto l’impressione di entrare in una sala da thé di fine Ottocento. Mentre prendeva posto, di fronte a Malfoy, e raccoglieva il menu che Gregory, con un sorriso affabile, gli porgeva, Harry lanciò un ultimo sguardo alla sala. Il loro tavolo si trovava esattamente all’opposto dell’ingresso, e si affacciava su un ampia vetrata, che Harry non aveva notato l’ultima volta che era stato lì. Era, considerò, senz’altro una posizione strategica, perché da lì poteva osservare tutto il locale, senza essere necessariamente visto. Non lo sorprese quello fosse il solito posto riservato a Malfoy, pensò mentre un sorriso gli si affacciava sulle labbra.
-Pensavo di averti già portato qui…- disse Malfoy, cauto, mentre studiava il menù, alludendo all’atteggiamento guardingo di Harry.
-Sì, ma…era diverso.
-Oh, quello. Diciamo che ai proprietari piace variare in base alla clientela.- rispose Malfoy divertito, portando lo sguardo negli occhi dell’altro.
Harry deglutì a vuoto, sentendo una familiare stretta alla bocca dello stomaco, quando le iridi dell’altro lo raggiunsero. Non era nelle parole di Malfoy il segnale che implorava ad Harry di mettersi in allerta: la conversazione era stata lapidaria, innocua. No, forse era più lo sguardo di Malfoy che, inspiegabilmente, sembrava più argenteo e limpido del solito, come fosse velato di aspettativa. Quel pensiero gli fece correre un brivido lungo la schiena, ed Harry riconobbe subito quel sussulto: adrenalina.
-Signori, siete pronti per ordinare o avete bisogno di qualche altro minuto?- la voce di Gregory, sempre composto e garbato, li raggiunse, quasi sedando il ribollire dei pensieri di Harry.
-Siamo entrambi pronti…- rispose Malfoy quasi con urgenza, quando era chiaro che Harry non si era nemmeno preoccupato di leggere il menù, e senza distogliere lo sguardo da quello dell’ex-Grifondoro. Di nuovo Harry sentì una scossa, e capì che quella sarebbe stata la cena più breve della storia.
 
***
 
Blaise si passò stancamente una mano sul viso, rilasciando l’ennesimo sospiro, mentre, seduto sulla panca della saletta dei tirocinanti, ripercorreva le ultime ore passate al settimo piano. Il suo turno era finito da un pezzo, ma Dixon gli aveva “caldamente consigliato” di rimanere al San Mungo, quella notte. Il consiglio, ovviamente, si estendeva anche alla Granger, che al momento si trovava in piedi a pochi passi da lui, intenta a fissare all’interno del proprio armadietto.
-A meno che tu non abbia una sfera di cristallo nascosta lì dentro, ed ottimi poteri divinatori, Hermione, non credo che fissare l’armadietto ci aiuti a risolvere il caso…- disse sarcastico Blaise, gettando la testa all’indietro e fissando il soffitto.
-Non sono mai stata granché con Divinazione. Ho mollato il corso della Cooman dopo un paio di lezioni – rispose la ragazza, chiudendo l’armadietto, e prendendo posto accanto a lui.
- Ricapitoliamo…- cominciò la ragazza, ottenendo solo un mugugno da parte dell’altro – Nott, è stato ritrovato nella sua cella, durante il terzo stadio dell’asfissia, e questo ci porta ad ipotizzare che sia rimasto incosciente per più di due minuti, secondo i calcoli di Dixon, e che le sue attività cerebrali abbiano accusato uno scompenso. Naturalmente, questo ci portava a desumere che fosse in coma, spiegando anche come mai non abbia ancora ripreso conoscenza. Ma Dixon è stato chiaro. Nott non è in coma, e la causa dell’incoscienza è un’altra.
-Controllando tutti i parametri, Dixon ha ragione di credere non sia in coma, Hermione. Tutti i valori magici sono assolutamente nella norma. Sta persino meglio della metà dei pazienti qua dentro! Quelli biologici, di contro, sembrano essere rallentati: il battito, e la respirazione, sono quelli di un bradicardico. Ma dovrebbe comunque rispondere agli stimoli magici…e allora perché non si sveglia, dannazione?!- esplose esasperato l’altro.  
Hermione poggiò una mano sulla sua spalla, come a rassicurarlo, e sospirò prima di aggiungere:
-Preparo un altro caffè, e poi torniamo a studiare la casistica in materia. Prima o poi salterà qualcosa…
-Prima troviamo la soluzione, prima potrà tornarsene ad Azkaban, nel pieno delle sue facoltà metali, si spera. Hai sentito gli Auror, se non troviamo una causa, non avranno motivo di trattenerlo né di riportarlo in cella. Perché non è più un pericolo per sé e per gli altri, hanno detto. Sai cosa significa? Significa che lo appiopperanno all’assistenza magica. Ovvero rimarrebbe in quella stanza al settimo piano, senza o con minima sorveglianza.
Hermione annuì grave, prima di rivolgergli un sorriso conciliante:
-Vedrai che ce la faremo. 
  
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