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Autore: Machaira    06/06/2017    1 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14
 
Quando Merle uscì dal numero 37 di King Street si ritrovò con cinque chiamate perse da parte di Daryl. Gli avevano detto di metterci il meno possibile ed era passata più di un'ora e mezza, ma dubitava che fosse quella la preoccupazione più grande del suo fratellino.
 
Dopo che “Daisy” si era convinta a farlo entrare in casa, l'aveva portato in salotto, si erano accomodati sui divani e passato qualche istante di silenzio gli aveva chiesto se volesse un caffè. “Corretto!” le aveva detto a voce alta mentre lei raggiungeva la cucina. Dopo pochi minuti era tornata con un vassoio tra le mani, su cui erano posate due tazzine e una zuccheriera.
 
“Non ho trovato la grappa, mi spiace, ma questa non è casa mia.” si scusò accennando un sorriso imbarazzato; l'uomo di fronte a lei si limitò a sollevare leggermente le spalle in un gesto che le risultò terribilmente familiare.
 
Merle prese la tazza dalle mani della ragazza e dopo un sorso la osservò insistentemente: “Allora, in che cosa ti sei cacciata?” sogghignò.
 
“Ehm... non le hanno raccontato niente di quello che è successo?” chiese a sua volta, incerta.
 
“Mi hanno mandato proprio per scoprirlo.” ammiccò lui.
 
“Da dove comincio?” sospirò lei, ripensando alla strana giornata appena trascorsa.
 
“Dall'inizio.” le strizzò l'occhio e dopo aver svuotato la tazzina si era sistemato meglio tra i cuscini morbidi del divano.
 
Tirando su la lampo della tuta per ripararsi dal freddo, digitò il numero di Daryl e fece partire la chiamata. Gli rispose dopo a mala pena uno squillo.
 
“Merle. Ma dove diavolo eri?” chiese glaciale l'uomo dall'altra parte.
 
“Lo sai benissimo.” gli disse innocente. “Ho solo sentito la sua storia.”
 
“E ci hai messo un'ora e mezza?” domandò innervosito.
 
“Forza, dove ci incontriamo?” cambiò discorso.
 
“Ti mando l'indirizzo.” e poi aveva chiuso la chiamata senza tante cerimonie.
 
Merle salì sulla sua vecchia auto - che i poliziotti erano andati a recuperare qualche ora prima - accese il riscaldamento e con un tonfo sordo posò la valigetta sul sedile posteriore; su quello in mezzo trovò un fagotto di cui non si era accorto prima.
 
Cambiati.
          -D
 
Quando riuscì a capire cosa conteneva, strinse le labbra e gli occhi si assottigliarono in uno sguardo infastidito. L'aveva fatto apposta. Con uno sbuffo nervoso salì in auto e richiuse con uno scatto frettoloso la portiera. Qualche minuto dopo ne uscì completamente stravolto: ai piedi aveva un paio di scarpe comode e semplici; non che fossero di cuoio lucido ma per lui erano fin troppo da fighetto rispetto agli scarponi da lavoro a cui era abituato. Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni scuri che - doveva ammetterlo - almeno gli mettevano in risalto il sedere. Il tutto si completava di maglietta bianca a maniche corte e giubbotto di jeans con il pelo. Sembrava un poliziotto conciato così, si sentiva la maledettissima brutta copia del vicecapitano della centrale, quel Rick.
 
Ritornò al posto del guidatore e si immise nel traffico, che non abbandonava mai il centro di Atlanta, per andare verso il luogo d'incontro; dopo circa una decina di minuti arrivò davanti a un bar pasticceria. Doveva essere uno scherzo. Parcheggiò, scese dall'auto assicurandosi di averla chiusa e poi entrò.
 
Nel locale riscaldato dal tepore dei caloriferi c'erano solo un paio di coppiette e un trio di amici, oltre a suo fratello che lo aspettava in un angolo isolato, rivolto verso l'ingresso; probabilmente si era messo lì per vederlo non appena sarebbe entrato. Infatti, quando il campanello suonò, Daryl alzò la testa e gli fece un cenno a metà tra un invito e un saluto.
 
“Fratellino!” disse Merle sedendosi di fronte a lui.
 
“Si può sapere dov'eri finito?” gli chiese quello con un tono che non ammetteva repliche.
 
“Tempo al tempo...” rispose, non smettendo di sorridere. “Ma dove cazzo mi hai portato?” gli domandò gettando uno sguardo attorno al locale. “Che dici, posso considerarmi anche la tua ragazza?” si indicò i vestiti.
 
“Cosa c'è che non va?” ribatté l'altro annoiato.
 
“Nemmeno nostra madre mi avrebbe vestito così, e lei aveva davvero dei gusti di merda.”
 
“Smettila, mi conoscono qui.” mormorò Daryl a bassa voce.
 
“Hai paura che ti rovini la reputazione?” ammiccò.
 
“No, ma siamo- ... puoi evitare di dare nell'occhio?” domandò innervosito.
 
“Contaci.” Merle gli strizzò l'occhio; suo fratello stava già per replicare, ma fu interrotto dall'arrivo della cameriera.
 
“Buonasera, cosa vi porto signori?” chiese gentilmente, tutta strizzata in un vestitino bianco e rosa.
 
“Un caffè.” rispose Daryl.
 
“E per lei?” domandò la ragazza, voltandosi verso di lui.
 
“Mmm... vediamo.” disse con una vocina acuta e costruita. Prese il menù tra le mani e dopo aver stretto la bocca in una smorfia, aveva picchiettato il mento con il dito indice. “Per me un muffin, tesoro. E un latte macchiato tiepido, senza schiuma e con poco caffè. Tiepido eh, non freddo.*1” per tutto il tempo aveva parlato con la testa leggermente inclinata, un sorriso zuccheroso e un atteggiamento che lo faceva sembrare la caricatura di una donnicciola.
 
“Va bene, torno subito.” si congedò la cameriera, prendendo i menù e allontanandosi dal tavolo.
 
Quando Merle si girò di nuovo verso Daryl, lo trovò che l'osservava con le braccia incrociate al petto e un sopracciglio sollevato. Quanto si divertiva a innervosirlo.
 
“Che c'è?” gli chiese, come se fosse sorpreso da quello sguardo.
 
“Raccontami quello che ti ha detto.” rispose, tralasciando il suo comportamento.
 
“Cosa?” domandò, fingendo di non capire.
 
“Raccontami tutto quello che ti ha detto.” precisò.
 
“Vediamo...”
 
 
 
Dopo aver finito a sua volta il caffè, la ragazzina aveva cominciato a raccontare.
 
“Sono uscita dalla centrale di polizia in tarda mattinata e mi sono allontanata a piedi, non seguendo una via precisa. Alla fine mi sono ritrovata vicino al parco a nord-ovest della città, mi sono fermata su una delle panchine che punteggiano il viale e sono rimasta lì da sola per circa un'ora. Poi un ragazzo si è avvicinato a me e mi si è seduto accanto; l'ho riconosciuto subito e dopo essermi presentata con un nome falso - Daisy, appunto - abbiamo cominciato a  chiacchierare.” aveva detto, chiaramente tentando di riordinare i pensieri in modo da essere il più fedele possibile ai fatti.
 
“Mi ha chiesto se mi fossi persa, perché gli sembrava strano che qualcuno si fosse fermato in un posto così insolito; normalmente su quelle panchine stanno solo le vecchiette durante le loro passeggiate e mai con quel tempo. Gli ho risposto che avevo solo voglia di uscire di casa e che ho perso la cognizione del tempo. Poi gli ho domandato cosa ci facesse lui da quelle parti e mi ha detto che stava per tornare al lavoro. Non so se fosse la verità o meno, ma mi è sembrato sincero.” aggiunse sicura.
 
“Ad un certo punto è salita una folata di vento e dato che avevo dimenticato il cappotto mi ha fatta rabbrividire; allora lui si è tolto il giubbotto e mi ha dato la sua felpa. Ha detto che non si sarebbe perdonato di far ammalare una bella ragazza. La situazione stava diventando un po' imbarazzante, e probabilmente a quel punto doveva tornare davvero a  lavorare. Mi ha chiesto se non volessi un passaggio a casa e gli ho risposto che non ce n'era bisogno, anche perché dovevo vedermi con una mia amica - sperando che non mi desse buca anche quella volta. Mi ha risposto con un sorrisino che lui non dà mai buca a nessuno, e sicuramente non la darebbe a me. Così ho colto l'occasione e con la scusa di restituirgli la felpa ci siamo dati appuntamento per domani mattina da Starbucks per colazione. Per il resto... nient'altro, mi sembra di non aver dimenticato nulla: ci siamo salutati, lui è andato da una parte e io dall'altra.” aveva concluso con un'alzata di spalle imbarazzata.
 
 
 
“È tutto, non so altro.” concluse Merle, guardando suo fratello. Daryl aveva gli occhi fissi su un punto di fronte a sé non meglio specificato; le altre persone avrebbero potuto pensare che lo stesse osservando, ma in realtà aveva lo sguardo perso nel vuoto. Le spalle erano contratte in una postura rigida, i muscoli tesi sotto la maglia, una mano era chiusa a pugno e le dita dell'altra erano strette con forza attorno alla tazzina ormai vuota.
 
Adesso ne era sicuro.
 
“Sei cotto di questa ragazza..!*2” mormorò con un sorriso incredulo, appoggiandosi allo schienale della sedia.
 
Daryl si riscosse dai suoi pensieri, alzò di scatto il suo sguardo su Merle e dopo aver allontanato in malo modo la tazzina, aveva ripreso la sua solita espressione impassibile. “Non dire stronzate.”
 
“Ti piace davvero!” rise, guardandolo soddisfatto “E bravo fratellino! Be, sappi che approvo; finalmente tiri fuori anche tu il gene Dixon...”
 
“Non vedevo l'ora.” borbottò sarcastico.
 
“...e poi ho sempre avuto un debole per le bionde.” gli strizzò l'occhio, complice. In tutta risposta, l'altro rimase con lo sguardo basso, pur cominciando a tamburellare le dita sul tavolo in un gesto nervoso. “Ha anche un bel culo.” lo stuzzicò dopo qualche istante di silenzio.
 
“Basta.” Daryl si alzò di scatto, andò a grandi passi verso la cassa e si fece dare il conto; pagò per entrambi e si diresse verso l'uscita senza nemmeno guardarsi alle spalle. Merle lo seguì con un sorrisino divertito in volto. In trent'anni era la prima volta che vedeva suo fratello così, ma non ci voleva un mostro d'ingegno per capire che quella situazione lo imbarazzava. Quanto si sarebbe divertito.
 
Entrambi salirono ognuno sulla propria auto e si diressero verso casa di Daryl.
 
“Cosa ci fai qui?” chiese quest'ultimo quando vide che Merle lo aveva seguito.
 
“Non vorrai abbandonarmi!” rispose fingendosi offeso.
 
“Ma non ce l'hai una casa?” ribatté allora il minore dei Dixon.
 
“Sì! ...Be, no.” di fronte allo sguardo dubbioso dell'altro, sbuffò e precisò. “Tecnicamente sì, ma praticamente ho litigato con Shila e dato che l'appartamento è suo non posso mica buttarla fuori! Quella è matta, se mi vede in casa sua chiama la polizia!”
 
“Chissà come mai.” rispose.
 
“Dai, posso stare da te? Solo un paio di notti! Nel frattempo mi cerco un altro posto, davvero.” disse facendosi la croce sul cuore con il pollice.
 
Daryl sollevò gli occhi al cielo e scuotendo la testa entrò in casa, lasciando però la porta aperta; Merle lo prese come un assenso e con un sorriso soddisfatto lo seguì a sua volta.
 
§§§
 
Quella mattina Beth si svegliò presto e fece una doccia calda. Non voleva essere troppo elegante per una colazione, anche per non dare un'idea sbagliata di sé a quel ragazzo, ma le piaceva sentirsi in ordine, le dava la sensazione di poter controllare meglio le cose.
 
Per fortuna lei e Kelly avevano quasi la stessa taglia quindi si fece prestare un paio di jeans panna a vita alta e un maglioncino rosa antico. L'unico problema era sorto per l'intimo: avevano trovato subito un paio di slip, ma in quanto al reggiseno non se ne parlava proprio. La sua migliore amica aveva una fiera quarta di seno - che era sempre stata la sua invidia - e probabilmente da un suo reggipetto Beth avrebbe potuto ricavarne tre per sé, così aveva dovuto indossare quello del giorno prima. Asciugò i capelli e li raccolse in una coda alta e spettinata. Giusto un filo di mascara ed era pronta per uscire.
 
Non si era ricordata di non poter usare la sua auto, anche perché le chiavi erano rimaste nel cappotto appeso al manichino dell'ufficio di Rick - motivo per cui ora indossava un giubbottino scovato nel fondo dell'armadio di Kelly - finché non uscì di casa e, tastando una delle tasche, la trovò vuota.
 
Prese il cellulare che le avevano portato la sera prima e digitò il numero del servizio taxi cittadino. Dopo una decina di minuti la macchina bianca, con la caratteristica scritta luminosa sul tettuccio, arrivò sotto casa e si fece portare da Starbucks. A quell'ora il locale non era molto affollato; erano le dieci del mattino e la maggior parte delle persone - che fossero lavoratori o studenti - erano già andati ai loro doveri. Aveva scelto quell'orario anche perché così era sicura che in centrale ci sarebbero stati tutti senza bisogno di fare i salti mortali, primo fra tutti Rick.
 
Nonostante la disavventura con l'automobile ritardò solo di un paio di minuti, ma comunque Nico era già lì che l'aspettava seduto a uno dei tavolini davanti all'entrata. Quando la vide si alzò e aspettò che lo raggiungesse.
 
“Ciao, Daisy.” la salutò, dandole un bacio sulla guancia e porgendole un garofano giallo.
 
“Grazie, aspetti da molto?” chiese con la stessa voce zuccherosa con cui gli aveva parlato il giorno prima.
 
“No, sono appena arrivato. Entriamo?” sorrise lui di rimando.
 
“Certo.” rispose con gli occhi dolci.
 
Si sedettero ad un tavolo e dopo che decisero cosa prendere, lui si alzò e andò al bancone per ordinare. Non le sembrava un cattivo ragazzo; era pronto alla battuta, simpatico e gentile. La ascoltava mentre parlava e si era rivelato essere anche un gentiluomo quando prima le aveva aperto la porta o ora mentre aspettava che i barman gli servissero la colazione sul vassoio.
 
Prese il telefono dalla tasca e con aria annoiata scrisse un messaggio:
 
A: Shawn.
Siamo appena entrati al bar. Vi faccio sapere.
 
Finse di guardare altro sul cellulare e poi, quando Nico tornò al tavolo, si mostrò sorpresa di vederlo e posò il telefono.
 
“A chi scrivevi?” chiese lui mentre le posava di fronte il suo latte e la brioche.
 
“A mio fratello; abita qui vicino ma non ci vediamo spesso a causa del lavoro...” mormorò un po' dispiaciuta “E se non gli scrivo io non si fa sentire mai! Devo sempre prenderlo per i capelli!” sorrise, alleggerendo l'atmosfera. “E tu? Hai fratelli?” domandò incuriosita.
 
“Per forza! Tutti e quattro i miei nonni vengono dall'Italia, ho quattro zii da parte di mia madre e sette da parte di mio padre; era praticamente destino!” rise, scuotendo la testa  “Sì, ho un fratello e due sorelle, ma io sono il più grande.”
 
“Io sono la più piccola invece.” gli strizzò l'occhio.
 
“Ah, la principessina di casa quindi!” scherzò lui.
 
“Me lo dicevano tutti.” annuì lei di rimando. “Adoro i fiori e - anche se non sono molto da principessa - amo le orchidee. Quando avevo sette anni poi, ho chiesto un pony per Natale ma non potevamo permettercelo, così mi regalarono un cavalluccio a dondolo. Ero contentissima, me ne prendevo cura come se fosse vero. Un paio d'anni dopo hanno organizzato la festa per il mio compleanno in un maneggio; lo ricordo come uno dei giorni più belli della mia vita.” sorrise nostalgica.
 
Non che niente di tutto quello fosse vero; i cavalli in fattoria c'erano sempre stati, anche prima che lei nascesse e l'unico cavalluccio a dondolo che avesse mai visto in vita sua era un vecchio giocattolo di sua madre, che tenevano come oggetto d'arredamento. Le dispiaceva mentire, ma non poteva raccontargli cose di Beth; d'altra parte doveva trovare un modo per farlo rilassare e scoprire qualcosa su di lui.
 
“Ma non parliamo solo di me, tu che mi dici?” sorrise dolcemente.
 
“Vediamo...” ci pensò lui “Sai già che vengo da una famiglia numerosa; sono allergico allo sciroppo d'acero, anche se solo il profumo mi fa venire l'acquolina in bocca, e lavoro in un negozio di fiori.” snocciolò “Non so che altro potrei dire.” sorrise imbarazzato.
 
“Come inizio non è male.” approvò lei. Ormai avevano finito la colazione già da un paio di minuti, così si fece coraggio e chiese: “Per caso devi andare a lavorare?”
 
Nico guardò l'orologio e rispose: “Tra una mezz'ora, perché?” domandò.
 
“Se vuoi possiamo fare una passeggiata; anzi, magari ti accompagno!” gli propose sorridendo. Non era abituata a vedersi in quelle vesti, proprio lei che di esperienze con l'altro sesso ne aveva avute poche e niente.
 
“Certo! Se non ti dispiace camminare...” aggiunse lui.
 
“No, assolutamente.”
 
Si diressero verso il bancone e lui insistette per pagare la colazione ad entrambi; alla fine la spuntò. Passeggiarono sotto i viali alberati, percorrendo anche parte della via dove si erano conosciuti il giorno prima. Chiacchierarono del più e del meno, ridendo e scherzando mentre lei si rigirava il fiore tra le mani. Quella mattina il tempo era stato più clemente e un sole delicato illuminava la strada. Dopo circa un quarto d'ora, arrivarono di fronte al negozio.
 
“È questo?” domandò con un sorriso. Lui annuì e lei chiese, fingendo un momento di timidezza “Posso?”
 
“Certo.” le sorrise lui; tirò fuori un mazzo di chiavi da una delle tasche interne del giubbotto e dopo un paio di giri nella toppa, spalancò la porta d'ingresso. Beth entrò lentamente, osservando tutto rapita con un sorriso estasiato, mentre lui accendeva le luci. Fece correre lo sguardo ovunque, attenta a captare qualsiasi dettaglio.
 
“Guarda pure ovunque, io vado un secondo sul retro; ma non andare in magazzino, c'è troppo disordine.” disse in uno strano tono. Chissà perché questa cosa del magazzino non la convinceva nemmeno un po'.
 
Fece il giro del negozio, camminando tra i tanti vasi vuoti impilati ai piedi del bancone e i fiori freschi e colorati che davano bella mostra di sé come delle ballerine in tutù. Ad un certo punto si trovò vicino a una porta semiaperta. Stava per sporgersi in modo da vedere cosa c'era dall'altra parte quando un urlo la fece saltare per lo spavento.
 
“EHI!” la richiamò lui. Beth si voltò di scatto e si trovò a pochi passi da Nico che la guardava con uno sguardo arrabbiato. Dopo meno di un secondo, la sua espressione mutò e, tornando come prima, disse a mo di scusa “Quello è il magazzino; davvero, mi imbarazza.” il tono non era arrabbiato come poco prima, ma poteva ancora sentire una nota di tensione nella voce.
 
“Oh, scusami.” mormorò con un sorriso innocente “Stavo guardando le orchidee e non me ne sono accorta.” disse indicando i fiori che, per sua fortuna, si trovavano sulla mensola lì vicino.
 
Lui sembrò crederci e le sorrise. “Non c'è problema e scusami tu; dovrei davvero pulire lì dentro.” disse ridendo per poi cambiare discorso “Ti offro qualcosa? Un bicchiere di succo, del the freddo, un'aranciata...” le domandò gentilmente.
 
“Un'aranciata, grazie.” gli sorrise lei “E, ehm... posso usare il bagno?”
 
“Sì, ti accompagno.” la guidò nel retro, lasciando indugiare una mano sulla sua schiena e guidandola fino a una porta, nascosta dietro a una pianta piuttosto rigogliosa. “Fa con comodo, io vado a prendere da bere.”
 
“Grazie.” gli sorrise e quando si richiuse la porta alle spalle, lo sentì andarsene. Si sedette sulla tazza e tirò un sospiro di sollievo, tentando di recuperare la calma. La reazione di Nico l'aveva un po' spaventata; era subito tornato il ragazzo dolce e gentile che aveva conosciuto il giorno prima, ma il modo in cui l'aveva apostrofata con quell' “Ehi” l'aveva sorpresa. Doveva ricordarsi il motivo per il quale si trovava lì, e doveva aguzzare tutti i sensi per trovare qualcosa.
 
A: Shawn
Siamo da lui; quando mi sono avvicinata al magazzino-
 
Interruppe il messaggio a metà perché, mentre scriveva facendo scorrere velocemente i polpastrelli sullo schermo del cellulare, aveva sentito un rumore strano. Si era immobilizzata e aveva prestato ancora più attenzione a ciò che stava attorno a lei. Sembrava... uno scroscio, come il rumore di uno sciacquone. L'unico problema è che lei non aveva tirato l'acqua e anzi, aveva tutta l'aria di provenire dal piano di sotto. Rimase in silenzio ancora qualche istante, ben sapendo che comunque non avrebbe potuto trattenersi per molto, ma non sentì più nulla. Aprì il rubinetto del piccolo lavello e poi si dedicò di nuovo al cellulare. Cancellò il messaggio che aveva scritto fino a quel momento e riprese a digitare veloce.
 
A: Shawn
Controllate le piantine del palazzo e vedete se il negozio ha un piano di sotto. Chiamo io.
 
Si inumidì le mani sotto il getto di acqua fredda, giusto per far sembrare che se le fosse lavate realmente, tirò lo sciacquone e uscì.
 
Trovò Nico che l'aspettava con due bicchieri pieni di bibita gialla tra le mani. “Facciamo un brindisi?” propose.
 
“A cosa?” chiese incuriosita, stringendo la spremuta tra le mani ancora umide.
 
“Direi... ai nuovi incontri.” sorrise guardandola dritta negli occhi.
 
Avvicinarono i bicchieri finché non si sfiorarono.
 
“Sei stato troppo gentile.” disse lei, dopo aver bevuto un secondo sorso. “Mi hai offerto la colazione, mi hai portata in questo negozio pieno di fiori bellissimi e ora anche il succo. Ah, non dimentichiamoci il garofano.” aggiunse. Lui rimase a guardarla con un sorriso incerto sulle labbra e poi scosse la testa, non capendo cosa intendesse. “Perciò stavo pensando: se non hai nulla in contrario, domattina potrei portarti la colazione per ricambiare. E potremmo mangiarla qui, così non saresti costretto ad aprire dopo a causa mia.” disse sicura di sé.
 
“Credo sia un'ottima idea.” annuì.
 
§§§
 
Quando alle nove in punto Rick era entrato in ufficio, aveva trovato Daryl accomodato al suo solito posto, con tutta l'aria di essere lì già da un po'. Senza dire nulla appese il giubbotto e si sedette di fronte a lui. Per una volta tanto la scrivania era miracolosamente sgombra e ordinata; sospettava che Juliet c'entrasse con tutto ciò. Proprio a metà tra di loro c'era il cellulare di Daryl, l'unico numero che avevano inserito nella rubrica di quello di Beth.
 
“Novità?” chiese l'agente dopo essersi seduto al suo posto. L'altro si limitò a scuotere lentamente la testa, senza togliere gli occhi dal telefono, restando con i gomiti puntellati sui braccioli della sedia e il mento posato sui pugni chiusi.
 
“Cosa ti ha detto Merle ieri sera?” tentò di nuovo, ma venne ignorato. “Daryl?” lo richiamò. Il diretto interessato non disse nulla nemmeno a quel punto, accennando solo un movimento con le spalle.
 
“Daryl, potresti rispondere? Il fatto che noi due parliamo, non le impedirà di chiamare o mandare messaggi.” alzò la voce Rick leggermente alterato. Sapeva che il suo migliore amico stava morendo di preoccupazione, anche se non voleva darlo a vedere, ma non poteva rinchiudersi nel mutismo!
 
“Si sono visti tra Ollie e Lena Street, vicino a Washington Park. Hanno parlato, lui le ha prestato la felpa perché non aveva il giubbotto, e con la scusa di riportargliela stamattina vanno a fare colazione insieme.” snocciolò rapidamente, senza perdere di vista il cellulare. Anche se non aveva specificato il soggetto, era scontato a chi si riferisse.
 
Rick annuì pensieroso. “Altro?” chiese dopo un paio di minuti passati in silenzio. Daryl scosse di nuovo il capo, degnandolo di un briciolo d'attenzione. L'agente rimase fisso a guardare l'uomo di fronte a sé e quando non poté più trattenersi, lasciò andare uno sbuffo annoiato e si alzò dalla poltrona.
 
“Vado a prendere un caffè.” disse, piuttosto sicuro che comunque l'altro l'avrebbe a mala pena sentito.
 
Attraversò la strada e andò nella tavola calda lì di fronte per ordinare un caffelatte e un caffè amaro; cinque minuti dopo uscì con due bicchieri alti colmi di liquido fumante. Al bancone c'era solo Juliet; un paio di agenti erano tornati di turno, ma la maggior parte era a casa ammalata.
 
“Buongiorno.” la salutò.
 
“Buongiorno Rick, tutto bene?” domandò gentile, sollevando lo sguardo dal computer con un sorriso.
 
“Speriamo di sì ma chi può dirlo, la giornata è appena cominciata.” rispose semplicemente.
 
“Beth come sta?” Da quando il giorno prima aveva scoperto che la ragazza era corsa via dalla centrale per un problema personale piuttosto importante (così le avevano detto), si era dispiaciuta di averle urlato dietro e aveva chiesto di lei almeno una volta ogni paio d'ore.
 
“Stiamo aspettando sue notizie; dovrebbe mettersi in contatto con noi da un momento all'altro.”
 
“Se ci sono novità fammi sapere.” chiuse la conversazione, tornando a battere velocemente le dita sulla tastiera.
 
Dopo la sfuriata del giorno prima aveva quasi ammazzato Jesus quando le aveva offerto uno spinello, asserendo che lei era calmissima e che, piuttosto, gli agenti dovevano rivedere le loro priorità. Quando il ragazzo le aveva gentilmente fatto notare che era lei a doverlo fare dato che era “una semplice centralinista”, la ragazza era andata su tutte le furie ed era tornata all'interno dell'edificio diretta verso i bagni. Pochi secondi dopo era ricomparsa nell'ingresso con uno scatolone del detersivo tra le mani e, dopo averlo posato sul bancone con rabbia, aveva cominciato a riempirlo con tutte le sue cose.
 
“Col cazzo che rimango in questo posto di merda!” gli aveva urlato.
 
“Jesus, cos'hai fatto?!” l'aveva fulminato Rick con lo sguardo.
 
“Io?” aveva chiesto con un'espressione innocente.
 
Lui ha detto che devo rivedere le mie priorità; come se non stessi mandando avanti questa baracca da più di una settimana!” rispose Juliet mentre metteva due piccole cornici nella scatola. “Mi avete stancata, me ne vado.”
 
“Come te ne vai?!” aveva chiesto allarmato il vicecapitano, guardando la ragazza ad occhi spalancati. “No Juliet, aspetta! Non puoi andartene, come facciamo?”
 
“Lo dici solo perché manca metà squadra, sennò mi avresti salutata agitando un fazzolettino bianco!” scosse la testa, aprendo un cassetto.
 
“No, davvero! Non andare, il tuo aiuto è prezioso e poi sei una delle centraliniste migliori che abbiamo avuto negli ultimi tempi! Sei anche stata eletta impiegata del mese due settimane fa!” cercò di fermarla.
 
“Certo, me lo merito!” si era girata verso di lui, indicandosi con il dito.
 
“Hai ragione, ti abbiamo data un po' per scontata e ti abbiamo sovraccaricata di mansioni. Ma ora ci siamo accorti del nostro sbaglio; dai, non andartene per una giornata storta...” aveva aggiunto Rick con voce bassa, tentando di persuaderla.
 
Lei sbuffò e incrociò le braccia al petto. “Voglio un aumento. Sono qui da tre anni e non ho mai visto un dannatissimo bonus.”
 
“Farò il possibile.” Juliet assottigliò gli occhi e dopo un sospiro lui rispose “Va bene, va bene!”
 
“E cominciate a trattarmi come una persona; non sono Anne Hathaway.” disse riferendosi al famoso film "Il diavolo veste Prada" che tanto le piaceva guardare i sabati sera invernali.
 
“Più che giusto.” concordò.
 
“Ecco cosa faremo: adesso vado di là e quando uscirò faremo finta di niente. Non parlate dell'argomento, della discussione e soprattutto non parlate della canna; mi manderebbe in bestia. D'accordo? E mettete a posto.” aveva concluso indicando lo scatolone, prima di chiudersi nel bagno.
 
In effetti erano stati talmente presi dal caso che avevano riversato su di lei tutte le responsabilità senza nemmeno rendersene conto, ed era questa la cosa peggiore. Tuttavia la loro discussione sembrava aver dato i suoi frutti: Juliet era quasi un'altra persona e il clima era molto più tranquillo e famigliare. La ragazza aveva mostrato un lato di sé che, nonostante lavorasse con loro da un po', non avevano mai visto; paradossalmente le cose andavano anche meglio di prima.
 
Quando tornò in ufficio, tutto era rimasto come quando era uscito: Daryl era sulla sedia, con lo sguardo immobile sul cellulare che non dava segni di vita. Posò il suo bicchiere di caffè accanto a lui e si sedette di nuovo.
 
“Ancora niente?” chiese nonostante sapesse già la risposta. Come prima, l'amico si limitò a scuotere la testa.
 
Erano da poco passate le dieci quando arrivò il primo messaggio. Veloce come un fulmine Daryl prese il telefono e lo sbloccò leggendo rapidamente le poche parole che la ragazza gli aveva mandato. Dopo qualche secondo lo posò di nuovo, spingendolo verso Rick che lesse a sua volta.
 
“Be, almeno sappiamo dov'è e ora... aspettiamo.” esordì il vicecapitano. L'altro lo sentì a mala pena, quelle quattro parole in croce non l'avevano tranquillizzato per nulla.
 
Quell'attesa sembrava non finire più. Rimasero in silenzio in quell'ufficio per quasi un'altra ora, bevendo il caffè che man mano si raffreddava e scambiandosi solo qualche sguardo ogni tanto, prima che arrivasse un altro messaggio. Come prima Daryl lesse il testo per poi saltare su dalla sedia come un pupazzo a molla e uscire dall'ufficio. Rick lesse a sua volta e lo seguì, portando il cellulare con sé.
 
Quando arrivò al pian terreno, Daryl era già davanti a Juliet che teneva la cornetta del telefono tra la guancia e la spalla e scarabocchiava qualcosa su un foglietto.
 
“Va bene, arriveremo quanto prima. Buona giornata, grazie.” salutò per poi attaccare. Poi alzò lo sguardo sull'uomo di fronte a lei e gli disse: “Dovete andare all'ufficio del catasto con questo codice e vi daranno ciò che vi serve.”
 
“Daryl, aspetta!” lo fermò Rick quando vide che stava già per prendere la porta. “Daryl!” Solo allora si fermò, voltandosi verso di lui.
 
“Aspetta, ci andiamo insieme.” andò di sopra nel loro ufficio per prendere i giubbotti e le chiavi dell'auto e poi tornò di sotto, dove trovò Daryl ad aspettarlo. Salirono subito in macchina, diretti verso l'ufficio del catasto. Il messaggio di Beth arrivato poco prima gli chiedeva di controllare se sotto il negozio di fiori ci fossero altri locali.
 
Quando arrivarono in quel dannato ufficio però trovarono una coda lunghissima, che nemmeno alle poste, così presero un numerino: settantotto. Gli operatori erano appena al quaranta. Rick e Daryl si scambiarono uno sguardo urgente e quando uno degli sportelli si liberò, l'agente si avvicinò subito.
 
“Agente Rick Grimes, Distretto 23. Abbiamo chiamato poco fa, ci servirebbe una consulenza piuttosto urgentemente.” disse serio rivolto all'omino che gli stava di fronte. Era un vecchietto con pochi capelli bianchi in testa e la pelle chiara che si stirava sottile sul viso e sulle mani dalle dita ossute. Non doveva pesare più di cinquanta chili, in più il maglione enorme e sformato che indossava lo faceva sembrare un bambino in fasce.
 
“Un momento.” disse e dopo aver preso il telefono digitò un paio di numeri e rimase in attesa. “Pronto?” gracchiò quando gli risposero. “Ciao sono Charlie. Ci sono qui due agenti a cui serve una consulenza. ... Un momento.” allontanò il telefono dall'orecchio e chiese rivolto ai due uomini “Vi hanno dato un codice?” Rick annuì e l'uomo tornò al telefono. “Sì. ... Sì. ... Sì, va bene. Ciao.” Riattaccò e li guardò. “Andate al quarto piano, lì potranno aiutarvi.”
 
Senza farselo ripetere entrambi si allontanarono verso l'ascensore e una volta dentro schiacciarono il pulsante con il numero quattro, che si illuminò. Dopo un paio di minuti le porte si aprirono su un atrio luminoso, in mezzo al quale stanziava un omone mastodontico: era molto alto e grasso, tutto il contrario dell'ometto allo sportello.
 
“Buongiorno agenti!” li accolse con un sorriso a trentadue denti, stringendogli vigorosamente la mano. “Piacere, Frank Evans. Ditemi tutto, in cosa posso esservi utile?” chiese con il fiato un po' corto.
 
“Ci servirebbero le piantine di questo edificio.” rispose Rick porgendogli il bigliettino su cui c'era scritto il codice.
 
L'uomo se lo rigirò tra le mani, socchiudendo gli occhietti piccoli che sembravano annegare in quel faccione e facendo una smorfia con le labbra talmente sottili da sembrare inesistenti. “Certo, seguitemi!” disse poi, recuperando il sorriso.
 
Dopo una decina di minuti tutti e tre erano attorno ad un lungo tavolo pieno di grandi fogli su cui erano disegnate la struttura e le quotature del palazzo.
 
“Vi serve qualcosa in particolare?” domandò Frank.
 
“Ehm... sì, a dir la verità. È possibile sapere se sotto il pian terreno ci sono altri locali? Magari delle cantine, un seminterrato...”
 
“Controlliamo subito.” rispose gioviale. Prese un foglio arrotolato in un tubo e lo dispiegò sulla superficie del tavolo; lo osservò attentamente per un paio di minuti e poi scosse la testa.
 
“No, non c'è nulla, solo fognature. Ma forse c'è un dettaglio che potrebbe interessarvi.” l'agente gli fece un cenno per continuare a parlare e quello riprese. “Nei primi anni del Novecento, in quei pressi sorgeva una bottega e il proprietario di allora aveva costruito un piccolo rifugio antiaereo in caso ci fosse stato un bombardamento mentre era al lavoro. Non doveva essere grande più di una ventina di metri quadri. Però qui risulta che, con la ricostruzione del palazzo, è stato chiuso.” concluse guardandoli. “Pensate vi possa essere utile?”
 
“Moltissimo signor Evans, grazie davvero. Ora ci scusi, ma dobbiamo proprio andare.” lo ringraziò Rick stringendogli la mano. Frank la porse anche all'altro uomo che, dopo averla osservata un po' sospettoso, gli batté il cinque.
 
Il viaggio di ritorno alla centrale fu silenzioso tanto quanto quello d'andata. Era mezzogiorno e mezzo quando si ritrovarono in ufficio; Daryl riposizionò il telefono nel centro della scrivania, si sedette e si rimise nella stessa posizione di prima. Rick si sedette di fronte a lui con un sospiro.
 
Dopo pochi minuti, lo schermo nero si illuminò e il telefono cominciò a squillare.
 
“È lei.” disse Rick alzando lo sguardo di scatto.
 
Daryl afferrò il cellulare e rispose. “Pronto?” mise in vivavoce.
 
“Siamo usciti ed andava tutto bene, era tranquillo. Dopo mi ha portata in negozio e mi ha detto di non andare nel magazzino; quando mi sono avvicinata ha avuto una strana reazione che poi ha cercato di mascherare senza tanto successo.” raccontò lei sintetica. Daryl strinse la mano libera in un pugno. “Quando sono andata in bagno, ho sentito il rumore di uno sciacquone provenire dal piano di sotto; per quello che vi ho chiesto di controllare. Allora? Avete saputo niente?” domandò sbrigativa.
 
Fu Rick a rispondere. “Sì, non ci sono locali lì sotto. Ma all'inizio del secolo scorso un uomo ha costruito un piccolo bunker personale. Il tizio del catasto però ci ha detto che è chiuso da anni.”
 
“No, scommetto che lì sotto c'è Chacòn. Era troppo nervoso, si è comportato in modo strano e in più avrei potuto dubitare di un rumore qualsiasi, ma lo scroscio dello sciacquone non può passare di lì per caso. Domani mattina ci vediamo di nuovo; gli porto la colazione in negozio e vedo se riesco a scoprire qualcos'altro. Voi in ogni caso tenetevi pronti.” disse velocemente.
 
“È troppo pericoloso! Abbiamo fatto questo azzardo, ora però è il momento di farsi indietro.” disse duramente Rick.
 
“Ma non ha senso mollare adesso! Ormai siamo in ballo e poi ci siamo! Lo sento, siamo vicini. Fidati di me.” ribatté con foga la ragazza.
 
Calò il silenzio per qualche secondo. “Stai attenta.” rispose lui con un sospiro.
 
Daryl tolse il vivavoce ed avvicinò il telefono all'orecchio, dopo un momento di tentennamento la chiamò. “Beth?”
 
“Devo andare.” disse lei, chiudendo la chiamata.
 
Lui si mise il telefono in tasca e si risedette con un sospiro. Era un giorno che non si vedevano; non avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo ma si sentiva in colpa per come le aveva urlato addosso il giorno prima. Ed era dannatamente preoccupato per lei, maledizione. Quella ragazza lo stava facendo diventare matto. Sembrava passata una vita da quando erano andati al Festival, invece era accaduto appena due giorni prima. Si era sentito così strano quella sera, e non era riuscito a chiudere occhio una volta arrivato a casa di Rick. Il giorno prima poi, era esploso come una bomba ad orologeria: la confusione, il nervoso, suo fratello e non da ultimo quella strana sensazione di disagio che gli cresceva nel petto quando la vedeva, lo avevano fatto sbroccare. Ed oggi... che casino. Lei non gli aveva nemmeno dato il tempo di spiegarsi, che aveva subito riattaccato.

“Daryl?” sentì Rick chiamarlo, e sospettava che non fosse nemmeno la prima volta. Sollevò lo sguardo su di lui e gli fece un cenno. “Andiamo a pranzo.” disse l'altro, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
 
§§§
 
Era tornato a casa controvoglia, aveva la sensazione che rimanendo in centrale avrebbe potuto fare di più; in realtà sapeva che non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Non si era fatta sentire al di fuori di quel paio di messaggi e la chiamata, ma ogni tanto si scopriva a controllare automaticamente il cellulare, senza nemmeno farci caso.
 
“Allora Darylina? Come va con la tua ragazza?” chiese Merle appena uscito dal bagno, girando per il salotto in maglietta e boxer.
 
“Non è casa tua.” lo avvisò lui.
 
“Questa è solo la seconda notte, ogni promessa è debito.” gli schiacciò l'occhio in tutta risposta.
 
“Parli proprio tu?” ribatté scettico.
 
“Ah... Quindi non si è fatta sentire?” ammiccò. Il diretto interessato non rispose, ma pochi secondi dopo, quando Merle era appena riemerso dal frigo con una birra in mano, il cellulare sul tavolino cominciò a vibrare leggermente. Si voltò verso suo fratello e ammiccò. “Oh - oh! A quanto pare invece sì.”
 
In un primo momento Daryl rimase immobile, nonostante si accorse di aver lasciato il cellulare davanti a sé proprio per tenerlo sott'occhio. Non aveva voglia di guardare che messaggio fosse arrivato; non voleva leggere un altro messaggio secco e conciso in cui lei spendeva tre parole per il lavoro.
 
“Ti lascio con la tua bella.” si congedò Merle con un sorriso ambiguo in volto, andando a passo deciso verso la camera.
 
Le parole di suo fratello lo innervosirono, ma furono anche come una doccia fredda: se avesse voluto parlare di lavoro avrebbe contattato Rick in qualche modo, e non lui; arrabbiata com'era, lo stava evitando come la peste da tutto il giorno.
 
Daryl si decise quindi ad aprire il messaggio e vide una foto: una bottiglia di birra mezza piena. Guardò l'ora: le due passate. Non riusciva a dormire! Si raddrizzò nella poltrona e fece una foto alle otto bottiglie vuote che affollavano il tavolino. Invio. Rimase per un po' a guardare lo schermo, agitato come un bambino la mattina di Natale. Era fottuto.
 
Dall'altra parte della città, Beth era sdraiata sul divano della sua migliore amica, imbacuccata nella coperta pesante, con un sorriso felice che le illuminava il volto. Aveva imparato ad amare i gesti di quell'uomo e quello era il piccolo gesto più grande che le avesse mai rivolto.




Angolo autrice:
 
*1 Tre uomini e una gamba, 1997. Giovanni.
*2 2 single a nozze, 2005. Jeremy Grey.
 
Innanzitutto mi scuso per il ritardo >.< Ma la sessione estiva si avvicina (inesorabilmente) e il tempo sembra non bastare mai! Secondo poi: vi giuro che non guardo solo film comici e The Walking Dead ma - come vi sarete ben accorti nel corso di questa storia - i film più leggeri si prestano meglio alle citazioni. D'altra parte sarebbe surreale se ad ogni minima difficoltà Rick dicesse "Perché la notte è oscura e piena di terrori." (per quanto mi piacerebbe ahahahaha) oppure se prima di una missione facesse un discorso di incoraggiamento degno di Massimo Decimo Meridio (con tanto di voce di Luca Ward)! E a proposito della storia: non ho mai dato indizi riguardo a quanto sarebbe durata (perché io stessa non lo sapevo in effetti), ma penso proprio che questo quattordicesimo capitolo sia il penultimo. Oltre al prossimo ho in testa anche l'epilogo, giusto per chiudere il cerchio e non lasciare nulla di "aperto" perché, per quanto belle siano le storie che lasciano spazio all'immaginazione, noi poveri fan di TWD abbiamo avuto abbastanza cliffhanger per una vita. Come sempre ringrazio chiunque abbia messo la storia tra le preferite/seguite/ ricordate e chi ha recensito. (Spero) a presto!
·Machaira·
   
 
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