Primo
Anno
Tregua
La
sala comune di Grifondoro era caotica e
colorata. Albus la trovava piacevole, a piccole dosi, come avrebbe
trovato
piacevole una foresta pluviale. Effettivamente, la maggior parte dei
Grifondoro
erano anche piuttosto simili a belve, soprattutto la sera, soprattutto
coloro
che facevano parte della cricca di James.
«Full!»
urlò Cavendish, che era un ragazzo
vergognosamente bello per essere appena un dodicenne.
«Hai
barato!» lo accusò James. Albus scosse la
testa. Non perché Cavendish non avesse barato, ben inteso,
più che altro perché
James lo aveva fatto persino peggio di lui.
L’asso
di Cavendish ingiuriò James dal mazzo. Le
carte magiche di James lo odiavano, e lui tentava di sostenere che
fosse per
quello che perdeva ogni partita.
Cavendish
mise da parte le carte e diede un
buffetto alla mano di James con queste. «Può
essere. O forse no, Jaimie.»
Albus
dovette trattenere un sorriso alla vista del
modo in cui le orecchie di James si imporporavano, come ogni volta in
cui
veniva chiamato in quel modo.
«Jaimie
Jaimie Jaimie» continuava a canticchiare
il ragazzo, con aria malefica e affettuosa insieme.
«Hai
mai provato con Jessie? Gli piace da matti» lo
consigliò il fratello minore.
«Albus!»
lo riprese James. «Canaglia! Traditore del
tuo sangue! Si può sapere cosa ci fai ancora nella mia sala
comune?»
«Aiuto
Rose a fare i compiti» le sopracciglia
dell’intera sala comune si alzarono fino a sfiorare
l’attaccatura dei capelli.
Tutte tranne quelle di Rose, il volto scomparso dietro a un libro
dall’aria
pesante.
«Okay,
copio i compiti di Rose.»
«Sai
che la nostra accoglienza ha un prezzo, vero
serpeverde?» Albus si sarebbe potuto arrabbiare se non avesse
saputo che le
prese in giro di suo fratello sarebbero sempre state assolutamente
indipendenti
dalla casa in cui sarebbe finito.
«Tanto
affetto?»
«Quale?»
«Non
dire a mamma del pacco dei tiri vispi Weasley
arrivato giusto ieri?»
«E
tu come lo sai?» domandò Cavendish sorpreso.
Albus pensò che stare a stretto contatto con James dovesse
creare un’opinione
ben poco lusinghiera delle capacità di osservazione dei
Potter, ma la sua
risposta fu coperta da James: «Non oseresti.»
«Scommettiamo?»
«Sì,
dato che io ho preso il mio pacco mentre tu
prendevi il tuo. Non puoi prendere in giro un Potter, Potter.»
«Touché.
Okay, ti passo i turni delle ispezioni
delle stanze a sorpresa che Gazza ha intenzione di fare per scovare
caccabombe
illegali.»
«Esistono
caccabombe legali?»
Cavendish era sempre più sorpreso.
«Perché
non sapevo niente di queste ispezioni?»
«È
questo che significa sorpresa, James.»
«E
tu come faresti a saperlo?»
«Ho
contatti che hanno contatti…»
«Tu
non parli con nessuno, Albus» gli fece notare
James. Albus non se la prese per la mancanza di tatto quanto per il
fatto che
Cavendish e tutta la sala comune avessero sentito.
«Temo
che non lo saprai mai, allora.»
«No,
dai, aspetta… »
«Scommetto
che te l’ha detto Georgette
Rosier, prefetto Serpeverde del quinto anno, credo che sia una cugina
di
Malfoy, no? Sono tutti cugini fra loro. Mi sorprende che gli parli,
pensavo tu
fossi l’unico» intervenne Cavendish, pacato e
sorridente.
«È
un obbligo fra famiglie,
credo. Tu come fai a saperlo?»
«Forse
stare a stretto contatto
con un Potter è poco lusinghiero per le mie
capacità di attenzione, ma io
sempre tutto» si strinse nelle spalle. Albus non ebbe tempo
di considerare
quanto quelle parole fossero simili a quelle che lui stesso aveva
pensato
qualche minuto prima.
I
loro discorsi furono interrotti
da uno sbuffo. E poi da un altro.
«Rose?»
si azzardò a chiedere
Albus. La cugina aveva assunto un improvviso colorito pulce.
«Credo
che sia…» iniziò a
spiegare Cavendish.
«Malfoy»
sputò la ragazzina come
fosse stato un insulto.
«C’è
sempre di mezzo un Malfoy»
intervenne James con lo sguardo di uno che pregusta una sfuriata made
in
Weasley che, per una volta, non era destinata a lui.
«Non
lo sopporto! È così… supponente. Non
capisco
proprio come tu possa riuscire a passare intere lezioni con lui che
ti-ti… hai
visto come ti guarda? Merlino se ha degli occhi inquietanti! E comunque
si
crede chissà chi, come tutti quelli della sua famiglia:
spocchiosi, boriosi,
antipatici. Credo che dovresti dirglielo, sai, che ti da fastidio
averlo
intorno.»
Albus
fissava Rose da sopra le lenti degli
occhiali. I capelli sembravano allargarsi alle sue spalle come il pelo
di un
gatto stizzito e continuava ad aggrottare e sollevare le sopracciglia
con un
ritmo allarmante. La parte peggiore, poi, era che aveva continuato a
leggere
“Storia di Hogwarts” tutto il tempo.
«Allora?
Quando lo farai?»
Albus
doveva aver quantomeno perso un pezzo molto
importante di conversazione.
«Fare…
cosa, di preciso?»
«Oh,
Albus, dire a quell’irritante e borioso
cretino cosa pensi di lui.»
«E
cosa penso?»
«Che
sia un irritante e borioso cretino, Albus! Mi
ascolti? Ti rendi conto che oggi ha persino criticato il libro che
stavo
leggendo?»
L’attenzione
di Albus riuscì a reggere solo
qualche altra parola, prima che l’interminabile tirata di
Rose lo facesse
tornare in uno stato di incoscienza. James e il suo amico guardavano lo
scambio
come fosse stata una partita a ping pong.
«Rose»
Albus tentò di richiamare la sua attenzione
mentre lei s’imporporava al pensiero di chissà
quale affronto che le aveva
arrecato Malfoy. «Rose, Rose, ascoltami.»
Lei
sollevò brevemente lo sguardo dalle pagine, e
ad Albus bastò. «Non è così
male.»
«Albus,
non scherzare. È un Malfoy!»
«Non
è poi così male. Non è un
chiacchierone,
certo, ma non credo che abbia mai anche solo pensato di offenderti.
Ecco, in
realtà credo che non offenderebbe nessuno neanche se
costretto.»
«Cosa?»
«Non
te ne sei accorta, Rose? Lui non piace alle
persone.»
«Certo
che non piace! C’è un motivo più che
ottimo
ed è, Albus, che è un Malfoy!»
«E
io sono un Potter. E tu una Weasley. Senti,
Rose, non dico che ti debba piacere. Ma provaci. Non giudicarlo senza
prima
conoscerlo, lui non lo fa!»
L’espressione
di Rose, a sentirsi minore di un
Malfoy in una qualsiasi cosa, fu terribile. Serrò la bocca,
le sopracciglia che
continuavano ad animarle il volto tinto di rosso. Albus la trovava
buffa, con
la stessa espressione di quando da piccola non riusciva a far levitare
un
biscotto via dal barattolo della cucina ma non poteva lamentarsene ad
alta
voce. Fu quasi sicuro di sentire il suono di una macchina fotografica
magica
alle sue spalle, ma non si arrischiò a girarsi per
controllare chi fosse tanto
spericolato. James, quasi certamente. Stupidità grifondoro.
«Non
mi piace. Non ne verrà nulla di buono, Albus,
ci metterà nei guai. E non mi piace.»
Albus
si tirò via gli occhiali con stizza.
Abbandonò la sala comune Grifondoro con un tema
sull’algabranchia mezzo
sbavato.
L’unica
cosa che si sentì, dopo che il quadro
della signora grassa si chiudeva alle sue spalle, fu James che chiedeva
i turni
di Gazza.
Non
parlò con Rose per alcune settimane, dopo
quella discussione. Rose tendeva ad evitare Malfoy il più
possibile, e di
conseguenza Albus, che invece si trovava splendidamente a suo agio
nella bolla
d’invisibilità e calma di Scorpius.
L’allontanamento con la cugina un po’ gli
dispiaceva, ma al momento non era nella lista delle faccende principali
che
affollavano la sua testa (un carico di Merendine Marinare a suo nome
appena
giunto e finito nelle mani di James lo rendeva decisamente
più nervoso). Dunque,
all’inizio Albus non ci aveva fatto caso: Rose si gettava in
ogni progetto con
la foga di una Granger, ed era una ragazza intelligente. Non si sarebbe
preoccupato dei suoi Eccellente. Fu Scorpius a farglielo notare, quando
a cena
Rose si presentò con delle orribili occhiaie violacee e
finì a gambe all’aria
prima di riuscire a raggiungere la sua tavolata, inciampando con gli
occhi
incollati alle pagine di un volume dall’aria pesante.
Scorpius era accorso a
darle una mano, le aveva raccolto i libri e le aveva chiesto se si
fosse fatta
male. Rose aveva rifiutato la mano che il ragazzo le porgeva e solo
allora
Scorpius sembrava essersi ricordato dell’asprezza che Rose
provava nei suoi
confronti. Ad ogni modo, quella fu l’ultima sera in cui Albus
vide Rose. La
mattina successiva, alla lezione di Difesa che avevano in comune lei
non si
presentò. E così a quella di incantesimi del
giorno successivo.
Allora,
forse, aveva pensato che fosse venuto il
momento di preoccuparsi. Rose non avrebbe mai saltato una lezione di
sua
spontanea volontà. D’altra parte, parlarne con le
sue compagne di dormitorio
non era un’opzione per il timido Albus, che le aveva viste
proprio quella
mattina leggere un articolo sui peggiori Serpeverde della storia.
La
soluzione migliore che gli venne in mente fu di
parlarne con qualcuno che sicuramente avrebbe saputo ciò di
cui parlava.
«Tu
sai sempre tutto o sbaglio?»
«Ciò
che so ha un prezzo, Potter.»
«Gazza
ha intenzione di…»
«Ispezionare
le camere mentre siamo a lezione di
Pozioni. Dimmi qualcosa che non so.»
Albus
non sapeva davvero cosa avrebbe potuto dire
a qualcuno che sapeva tutto.
«Come
fai a sapere queste cose?»
«Segreti
del mestiere. Allora?»
«James
ha il terrore…»
«Dei
piccioni e delle bambole di porcellana. Lo
so, non ho potuto fargli vedere la mia collezione senza che gli venisse
una
crisi isterica.»
«Tu
hai una collezione di bambole?»
«No,
di piccioni. Piccioni di classe, eh. Un
allevamento. Lunga storia piuttosto divertente.»
Albus
scosse la testa. Davvero non voleva sapere
nulla in merito. «Cosa c’è che non
sai?»
«Malfoy.
Parlami di lui.»
«Lo
conosco appena. Non siamo amiconi o cose del
genere, solo compagni di banco.»
«Non
importa. Mi piace conoscere le persone che mi
stanno attorno, e di Malfoy non si sa letteralmente nulla, anche se
è a scuola
da più di un mese e il suo arrivo è stato tutto
un pettegolezzo.»
«È
una persona discreta.»
«Forse»
si strinse nelle spalle. «Ma io non lo
sono, e neanche tu. Dimmi qualcosa che non so.»
«È
bravo in incantesimi ma è parecchio nonviolento.
Non si pettina mai. Non è mai salito su un manico di scopa,
benché abbia un
ultimo modello a casa.»
Cavendish
lo ascoltava ad occhi socchiusi, come se
stesse visualizzando un quadro nella sua testa, pennellata per
pennellata. «Cos’altro?»
«Da
vicino si vede che ha gli occhi gialli, li ha
ereditati dalla nonna materna. Sono carini, ma credo di aver letto su
un qualche
giornale scadente che sono un simbolo del suo essere demoniaco. Credo
che ne
sia convinto anche lui» Cavendish storse la bocca.
«Di essere demoniaco, non
carino, intendo.»
«E
poi?»
«Nient’altro.»
«Un’informazione
per un’informazione, Albus. Lo so
che c’è qualcosa che devi dirmi.»
Albus
pensò che forse non fosse il caso. Si
sentiva male, sporco e pettegolo, a rendere pubblica
quell’informazione, come
se in qualche modo l’avesse resa meno importante,
nient’altro che un gossip per
avere notizie di sua cugina. Pensò di andarsene, per un
attimo, e lasciare il
ragazzo di fronte a sé senza segreti. In fondo, poteva
parlare con le compagne
di sua cugina. Si sarebbe persino potuto arrampicare fino alla torre
Grifondoro
a mani nude, meglio che dire quello
ad alta voce.
Ma
Cavendish aveva aperto gli occhi e lo guardava,
serio, il riflesso del fuoco ancora nelle pupille. Albus
capì che lo sapeva
già, come sapeva ogni cosa. Ripeterlo ad alta voce non lo
avrebbe reso più
vero.
«Sta
morendo. Sua madre sta morendo.»
Cavendish
non abbassò lo sguardo, adombrato. «Ha
preso Troll. In erbologia. Si è addormentata sul banco e il
suo fiorellino ha
fatto gonfiare la mano ad una sua compagna.»
Albus
non si rese neanche conto di cosa un Troll
poteva essere per sua cugina. Improvvisamente, sembrava molto meno
importante.
Albus
non avrebbe voluto sapere niente di nessuno,
per inciso, ma essere il figlio di Harry Potter aveva un prezzo che la
maggior
parte delle persone non poteva comprendere o immaginare. I suoi
fratelli
sembravano non farci caso, erano troppo distratti o disinteressati, o
forse
erano semplicemente più interessati ai lati positivi della
faccenda. Albus non
ci riusciva. Assorbiva ogni informazione, ascoltava, faceva caso a
coloro che
gli stavano attorno in qualunque situazione. L’aveva saputo
una mattina di
agosto assolutamente insignificante. Dean era passato per raccogliere
delle
dichiarazioni di suo padre in merito alle recenti candidature come
Ministro
della Magia di alcuni suoi colleghi, e Harry non aveva saputo trovare
un angolo
di tempo se non a colazione, solo perché Dean era suo amico
e la Gazzetta del
Profeta avrebbe arrangiato qualcosa di molto peggiore, se lui non
avesse fatto
alcuna dichiarazione interessante di sua spontanea volontà.
A
un certo punto, però, le discussioni avevano
preso una piega molto meno politica. «La nuova segretaria del
ministro, eh,
l’hai vista Harry? Per quella lì mi candiderei
io» aveva dichiarato Dean, ma
prima che suo padre potesse rispondere uno scappellotto neanche troppo
leggero
l’aveva raggiunto.
«Stai
bene attento a come rispondi,
Ragazzo-che-no-potrà-sopravvivere-a-tutto»
gli aveva intimato sua madre, e Albus aveva sorriso sotto i baffi di
latte.
«Io
ci andrei piano con i commenti, Thomas. Quella
lì è impegnata. Con Zabini.» Dean aveva
alzato le sopracciglia. Zabini era il
genere di persona che non avrebbe contrariato per niente al mondo, per
altro
perché se non l’avesse fatto fuori sul colpo
sarebbe comunque rimasto il suo
spaventoso capo.
«Daphne
Greengrass. Chi l’avrebbe mai detto? Tu te
la ricordi, a scuola?»
«No»
rispose Harry schietto, che pure aveva avuto
molti spiacevoli contatti con la sua cricca di serpeverde.
«Esattamente.
Sua sorella, invece…» ed era stato
allora, schivando una seconda pacca di Ginny, che Dean aveva tirato
fuori un
pettegolezzo parecchio esclusivo sulla signora Malfoy, fra un commento
alle sue
grazie e il lamento che ne conseguiva.
Albus
aveva sentito tutto, prima di poter capire
che non avrebbe voluto sapere niente. Era troppo tardi. Oblivarsi, ora,
sarebbe
potuta essere l’unica soluzione.
Stare
a contatto con Scorpius, in quel modo, era
anche più strano di quanto sarebbe potuto essere. Non era
sicuro che Scorpius
sapesse, e certamente non avrebbe potuto chiederglielo. Lo guardava,
osservava
la piega dolente delle sue labbra e i suoi occhi liquidi, cercando di
ricavarne
risposte.
«Albus?»
lo richiamava infine lui, perplesso, e riaffondava
nel dubbio.
D’altra
parte, Scorpius Malfoy non riempiva del
tutto i suoi pensieri. Rose, sebbene Albus trovasse la sua reazione
esagerata e
melodrammatica, sembrava aver preso molto sul serio il suo Troll in
erbologia.
Dopo che il suo eremitismo aveva avuto fine –
poiché c’era un limite alle
lezioni di trasfigurazione che poteva saltare – aveva
ricominciato a vagare per
i corridoi con un’aria afflitta nascosta dalle pagine pesanti
da cui non si
staccava un attimo. Albus aveva poi notato, solo quel pomeriggio, un
sorriso
niente affatto rassicurante che le scintillava in faccia, non dissimile
da
quello che sfoggiava solitamente zio George. Quello lo preoccupava
più di tutto
il resto.
«Scorpius?»
cercò di richiamare le attenzioni del
compagno, assorbito da un trattato di Storia della Magia che Albus era
sicuro
avrebbe dovuto ricordare dalle lezioni nebbiose del professor Ruf.
«Sì,
Albus?»
«Credo
che andrò a fare un giro nella sala comune
di Grifondoro, forse Rose ha bisogno di sfogarsi…»
si strinse nelle spalle.
«Certo.
Nessun problema, io ho quasi finito. Mi
raggiungi in sala Grande?»
«Sicuro»
annuì Albus, alzandosi. Si lisciò
un’invisibile piega della divisa, facendo un passo verso la
porta. Dure, tre.
Si fermò.
«Vuoi
venire?»
Gli
occhi di Scorpius erano sempre
imperscrutabili, per Albus, perché sembravano persi nella
polvere delle righe
che leggevano senza sosta, ma c’erano dei momenti in cui lo
guardavano,
davvero, come non era mai stato guardato ed erano brillanti e Albus si
sentiva
spogliato e inerme.
Sorrise
un po’. Albus si ritrovò a pensare che
quella era forse la prima volta che lo vedeva sorridere davvero. Le sue
labbra
non poterono fare a meno che inarcarsi di riflesso. «Lo
prendo per un sì.»
I
grifondoro, forse per onorare il loro nome o il
loro spirito, erano sovente parecchio simili a bestie selvagge. Albus
lo
pensava spesso. Quando poi si trovavano di fronte a ingiustizie, al
quidditch o
a dei serpeverde, allora erano anche feroci. Albus non poteva fare a
meno che
paragonare la loro sala comune a una foresta amazzonica, ma, beh, non
in modo
letterale. Non così.
O
almeno, non fino a quel giorno.
«Weasley è
il nostro re» disse alla Signora Grassa, che
rivolse uno sguardo torvo alla
cravatta grigio-verde di Scorpius, ma li lasciò passare. O
meglio, lasciò
uscire uno sbuffo di rami verdastri, che non appena la porta si
aprì invasero
un tratto di corridoio.
«Cosa
diavolo..?» chiese Albus ad alta voce,
spostando con la punta della scarpa quella che sembrava
un’enorme liana,
verdastra e viscida. Dall’interno della sala comune proveniva
un insolito e
agghiacciante silenzio tombale.
«Dovremmo
avvertire qualcuno» commentò Scorpius.
Albus,
che essendo dopotutto un Potter tendeva a
pensare di avvertire le autorità competenti solo come ultima
alternativa, gli
rivolse uno sguardo sorpreso.
«Ehy!»
chiamò ad alta voce Scorpius. «Ehy,
potresti…?» ma il ragazzino di corvonero non gli
rivolse attenzione e fuggì
prima che potesse chiedergli di chiamare un professore.
«E
poi saremmo noi, i codardi» sbuffò Albus.
«Okay,
allora, credo che dovrò andare io a…»
«Albus?»
Il sussurro veniva dalle fronde, e per un
breve attimo Albus si chiede come la pianta potesse conoscere il suo
nome. «Albus?
Ci sei? C’è qualcuno?»
«Rose?
Sono io! Cosa diavolo è successo?»
Il
piagnucolio che ricevette in risposta non fu
affatto incoraggiante. «Oh Albus, mi dispiace così
tanto… io volevo solo… volevo…
e poi questa stupida pianta…» un urletto stridulo
interruppe il lamento di
Rose.
«Rose?
Rose!» gli occhi di Albus, dietro le lenti,
si erano fatti allarmati.
«Depulso»
provò Scorpius, la bacchetta puntata
alle fronde che sbarravano l’entrata. Quelle si ritirarono
per un breve attimo,
prima di allungarsi a schiaffeggiarlo.
«Diffindo!
Dissendio! Rosie, ci sei?» urlò Albus,
grato alle serate in biblioteca con Scorpius che gli avevano fornito
una
discreta conoscenza di incantesimi e ai litigi con James, che in
particolare lo
avevano introdotto agli incantesimi che tagliavano o facevano esplodere.
Scorpius
iniziò a ripetere quello che faceva lui,
ma appena si allungo per spostare una liana quella si avvolse intorno
al suo
polso, e in breve era scomparso nel buio verdastro.
«Scorpius?»
chiese esitante Albus alle fronde, ma
l’unica risposta fu un colpo diretto alla sua testa e
finalmente, come non gli
era successo con l’imbarazzo dei primi giorni né
quando gli avevano tolto il
cappello parlante dalla testa, sebbene allora lo avesse sperato di
cuore,
svenne e sprofondò nel cuore pulsante della terra.
Si
risvegliò con un gran mal di testa e la bocca
impastata, come se si fosse addormentato dopo essersi riempito la bocca
di
terriccio secoli prima. Cosa che, per inciso, non era del tutto
improbabile,
considerando che sentiva la pelle del viso sporca di fango indurito ed
era
immerso in un buio fitto che sembrava che il mondo intorno a lui fosse
morto.
La liana, pensò, non doveva essere stata particolarmente
attenta alle sue
condizioni mentre lo fagocitava.
Si
arrischiò allora ad aprire gli occhi, ma nel
buio non riusciva a scorgere assolutamente niente.
«Rose?
Scorpius?» chiese all’oscurità.
Inaspettatamente, il vuoto gli rispose.
«Oh,
Albus, mi dispiace così tanto…»
singhiozzò
Rose. «Moriremo qui?»
«Non
essere sciocca, Rose, qualcuno si renderà
sicuramente conto della nostra assenza prima che moriamo.»
«Oppure
potrebbero accorgersi dell’improvvisa
presenza di flora tropicale nella torre di Grifondoro»
considerò Scorpius con
una vena di sarcasmo che Albus trovava assolutamente indecente da
mostrare per
la prima volta in una situazione come quella. O almeno, era
ciò che avrebbe
dovuto pensare. In realtà gli venne solo da ridere
istericamente per la
situazione assurda in cui si trovava, che sembrava portare il marchio
di sfiga
registrato Potter in ogni foglia.
«Attento
a quello che dici, Malfoy, credo che sia…
senziente.»
«Non
le piace sentirsi chiamare stupida pianta?»
chiese retoricamente, e poi tossicchiò un po’,
segno del fatto che no, a quella cosa
non piaceva per niente.
«Allora
sei scemo! L’avevo detto, io, che un
Malfoy ha il cervello che fa contatto con le mutande oppure non ce
l’ha
proprio.»
«Shh…»
la zittì Scorpius. Albus poteva immaginare
distintamente il rossore che riempiva di chiazze il collo di Rose, la
vena
sulla tempia che iniziava a pulsare furiosa a ritmo degli epiteti
destinati a
un qualunque Malfoy che si fosse arrischiato a zittirla.
«Sto
provando a… ecco» esclamò con inutile
entusiasmo. «Lumos» mormorò, e Albus
poté finalmente vedere ciò che aveva
intorno. Rose era appesa a testa i giù, del tutto
avviluppata in spire
dall’aria pesante che sembravano mozzarle il respiro. La
avvolgevano fino a
sotto il mento, e aveva un rametto uncinato ad ogni ciocca. Albus
sospettava
che se avesse detto qualcosa di scortese si sarebbe trovata pelata e
soffocata
in un battibaleno. La testa di Rose era esattamente allo stesso livello
di
quella di Scorpius, che però stava dritto, per quanto le sue
gambe fossero
immobilizzate da un tronco solido. Non li separavano che qualche
centimetro e
la bacchetta che Scorpius era riuscito a recuperare. Anche Rose dovette
essersene accorta, perché mugolò e
cercò di mettersi da parte, ma una stretta
della liana parve farle cambiare idea.
«Ottimo,
Malfoy. Hai la bacchetta. Ora devi solo…
tagliare tutto.»
«No»
scosse la testa. «No, non è una buona idea.
Lo hai detto anche tu, no? È senziente. Non credo che le
piacerebbe se
provassimo a sminuzzarla.»
«Cosa
proponi, allora?» chiese Albus. In un altro
momento si sarebbe sorpreso del fatto che Scorpius, il timido e
taciturno
ragazzino smilzo che lo accompagnava per condividere con lui la
necessità di
silenzio, avesse preso il comando con tanta semplicità. In
quel momento
sembrava naturale, l’evidente e unica scelta logica.
«Non
so… depulso?» ma una liana lo
schiaffeggiò
offesa, sulla guancia opposta a quella che aveva centrato la volta
precedente e
su cui ancora spiccava un segno rosso.
«Allora…
rictusempra» puntò la bacchetta contro il
grosso tronco che avvolgeva Rose, che per un secondo parve stringersi
attorno
al suo corpo facendola diventare ancora più rossa di quanto
già non fosse, per
poi lasciarla e contorcersi a mezz’aria.
«Soffre
il solletico, a quanto pare» sorrise
Scorpius. «Accio bacchetta di Rose»
provò, ma la bacchetta non lo raggiunse.
Arrossì, imbarazzato. «Mi dispiace, ancora non mi
viene.»
Ma
Rose lo guardava con gli occhi spalancati.
Albus pensava che forse era perché mentre l’albero
la lasciava era caduta di
testa, ma più probabilmente era perché Scorpius
aveva sistemato in qualche
minuto un casino di dimensioni epiche. A Rose piaceva
l’ordine, sì, e anche gli
incantesimi di livello avanzato.
«Evanesco»
pronunciò il biondo, ancora rosso
d’imbarazzo, che di quello sguardo pareva non essersene
proprio accorto. Il
ramo che teneva Albus scomparve.
Albus
si chinò a raccogliere le bacchette dalla
pozza di melma in cui erano finite, mentre Scorpius sillabava incanti
immobilius e impedimenta ad ogni ramo che vedeva, per evitare una
ritorsione.
«Mobiliarbus»
dissero infine Rose e Scorpius,
senza essersi in alcun modo messi d’accordo, e i rami si
spostarono riluttanti
a formar loro un passaggio. Lo sguardo che si scambiarono sembrava il
preludio
della nascita di qualcosa di importante, ma Albus non se ne rese conto
perché
dall’altra parte del corridoio di arbusti,
l’espressione un po’ arcigna e tanto
tanto esasperata, stava la professoressa McGrannitt affiancata dal
professor
Paciock.
«Non
avevo nessun dubbio, signor Potter, che lei
c’entrasse qualcosa. Signorina Weasley. Signor-»
ingoiò un singhiozzo a
riconoscere il signor Malfoy, impiastricciato di terriccio, affiancato
agli
altri due. Apparentemente, non sembrava felice del ricongiungimento fra
case
rivali, né tantomeno era commossa dalla fine della faida
ultracentenaria fra
Malfoy e Weasley che stava avvenendo proprio in quel momento, proprio
in quello
sguardo.
«Credo
che, signorina Weasley, i suoi genitori
dovranno venire a conoscenza di ciò che combina, e
chiaramente la punizione che
riceverà sarà… adeguata. Si
può sapere cosa aveva in mente?» e Rose
sbiancò sotto
lo sguardo deluso della vecchia professoressa, gli occhi che sembravano
nuovamente sul punto di riempirsi di lacrime.
«Io…io…»
«Sono
stato io» la interruppe Malfoy sotto lo
sguardo sorpreso di tutti i presenti. «Sono stato io. Mi
dispiace, pensavo che
fosse uno scherzo innocente, non avevo pensato che sarebbe successo
tutto
questo. Me ne prendo tutta la responsabilità.»
Aveva
molti sguardi incollati addosso: quello
sorpreso e ancora lacrimoso di Rose, quello furente della McGrannitt,
quello
intenerito di Neville. Albus lo guardava come al solito, come se fosse
stato un
libro di antiche rune. Da leggere al contrario
«Non
essere sciocco, signor Malfoy, riconosco il
tocco della mia studentessa peggiore» intervenne il prefessor
Paciock, e Rose
abbassò lo sguardo vergognosa.
«E
io riconosco l’orgoglio di una Granger e
l’avventatezza di un Weasley» continuò
la McGrannitt. Albus era convinto che
non sembrasse arrabbiata quanto avrebbe dovuto.
«Sono
stato io» ripeté Scorpius con più
fermezza
di quanta Albus ne avesse mai sentita nella sua voce.
«Se
il signor Malfoy ritiene però una buona idea
addossarsi la colpa, che faccia pure. Meno trenta punti a serpeverde
perché è
uno scherzo stupido, meno dieci ciascuno perché non dovreste
mettere piede nel
dormitorio di Grifondoro e meno cinquanta punti perché manca
poco a mezzanotte ed
è un orario indecente. Dunque, voi, filate a letto. Domani
sceglieremo con il
signor Gazza la punizione più adatta a non farvi mai
più credere che sia lecito
fare scherzi innocenti in queste mura. Per quanto riguarda lei,
signorina
Weasley, ci aiuterà a liberare la sala comune e i suoi
compagni. E per domani
voglio sulla mia cattedra il tema sulle trasformazioni corporali
semplici
previsto.»
«Sì
signora.»
«A
voi avevo detto di andare, o sbaglio? Nel
vostro dormitorio, preferibilmente.»
«Certo,
professoressa, buonanotte.»
E
scomparvero nel corridoio. Il rapido sguardo che
si scambiarono rivelò che stavano entrambi trattenendo una
stessa fragorosa risata
che sarebbe stata quantomeno indecente data l’occasione e che
gli avrebbe fatto
perdere abbastanza punti da perdere la Coppa delle Case
finchè fossero vissuti.
L’indomani
mattina, la situazione si presentò
alquanto bizzarra agli occhi dei due ragazzi. Scesero in ritardo, gli
occhi
gonfi, diretti alla classe in cui avrebbero avuto la prima ora di
lezione,
poiché di mangiare non c’era più tempo.
La loro camera era silenziosa, gli
altri compagni erano già andati. La sala comune di
Serpeverde, al contrario,
era più rumorosa di quanto non fosse mai stata.
Albus
e Scorpius si scambiarono uno sguardo
confuso dagli schiamazzi che venivano dal piano di sotto. Prima che
potessero
decidere di scendere, qualcuno gli venne incontro. Nott, riconobbero i
ragazzi,
e anche Collins, con cui condividevano la camera, e Georgette Rosier,
che era
cugina di Malfoy di secondo o terzo grado. Non avevano mai sprecato una
parola
con nessuno dei tre.
«Malfoy»
si avvicinò Nott saltellante. «Malfoy, Malfoy, Maloy. Oh, favoloso.
Meraviglioso!
La sala comune di Grifonodoro… me l’hanno
raccontato, ‘sta mattina a colazione
ne parlavano tutti, la professoressa McGrannitt è diventata
viola, tipo, sembrava
che stesse per esplodere!»
Le
sopracciglia di Scorpius scomparvero nel ciuffo
scombinato, quando Nott gli strinse la mano e gli diede una pacca
cameratesca.
«Non
dovrei dirlo» continuò la ragazza «dato
che
sono prefetto non dovrei proprio dirlo… ma è
stato un ottimo, ottimo modo per
iniziare l’anno. Orgoglio Serpeverde!»
urlò con il braccio alzato, e dal piano
inferiore si sentì un urlo di approvazione.
Persino
Collins gli fece un cenno, e dato che non
l’avevano mai sentito spiccare parola lo interpretarono come
un grande segno. Mentre
cercavano di uscire ricevettero pacche e sorrisi. Sorrisi da serpe,
poi, che
Albus non aveva mai visto rivolti a se e non gli fecero certo
dispiacere.
«Credo
che ti abbiano rivalutato, Malfoy.»
«Ma
io non ho fatto niente!» Scorpius aveva ancora
un’aria stralunata, probabilmente al pensiero che qualcuno
potesse gioire
dell’esplosione della McGrannitt, oppure perché
non era abituato a tutto quel
rumore.
«Loro
questo non lo sanno» gli fece un occhiolino.
Un
altro piccolo miracolo si presentò a loro
qualche ora dopo, davanti all’arrosto, con la sua divisa
perfetta e i capelli
che, per contrasto, rimbalzavano sulle spalle, riccioluti.
«Albus!
Malfoy… volevo solo…» Rose prese un
respiro, sollevò lo sguardo azzurro. «Dirvi
grazie. Sono stata una vera stupida»
sputò fuori quella parola
aspramente.
«Tregua?»
chiese, porgendo una mano a Malfoy.
Non
erano un granché, come scuse, ma Albus sapeva
che per l’orgoglio di Rose ammettere uno sbaglio al proprio
peggior nemico non
era cosa da poco. Anche se forse, a quel punto, non si potevano
più chiamare
nemesi. Una volta qualcuno disse che non si può affrontare
un pericolo mortale
insieme senza diventare amici. Beh, nel caso di una Weasley con sangue
Granger,
c’è solo un rischio peggiore della morte. L’espulsione.
«Tregua.»
NdA:
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, e che
non odiate troppo la mia piccola Rose: comprendo che per il momento
possa
essere insopportabile, ma garantisco che nel corso della storia
subirà un
cambiamento parecchio radicale. Per quanto riguarda gli altri: aspetto
opinioni!
L’ultima
volta che ho aggiornato era Natale, e
spero che il prossimo aggiornamento non mi impieghi così
tanto tempo e che voi
vogliate seguirmi ancora, quindi alla prossima!