Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: nanamiart    08/06/2017    4 recensioni
[Idol!Eren/Manager!Levi] [Modern!AU]
“Pronto, Levi?”
“Dove cazzo sei?”
“Ciao angelo mio, è sempre piacevole sentire la tua voce.”
“Non farmi incazzare, Jaeger! Tra un quarto d’ora hai un appuntamento con la Teen Pop Radio, te ne sei dimenticato? Accidenti, sono il tuo manager, non tua madre. Vedi di essere qui entro subito o ne pagherai le conseguenze. E tu sai di cosa sono capace.”
Eren deglutì. “Va bene, va bene. Arriviamo subito in albergo. Che strazio.” Commentò infine, allontanando il cellulare dall’orecchio.
“Ti ho sentito,” la voce del manager tuonò di nuovo dall’altra parte dell’apparecchio.
“Cazzo, Levi. Sei un’ansia. Arrivo.”
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Two.
 




Eren chiamò un taxi per ritornare in albergo, dopo pranzo.

Domandò a Hanji e Mike di sorvegliare la porta della sua stanza e di non far entrare nessuno.

Senza eccezioni.

Rapidamente si liberò della t-shirt e dei pantaloncini. Si diresse verso il bagno e strada facendo si levò calze e scarpe da ginnastica, sfilò i boxer e, senza nemmeno lasciare che la temperatura dell’acqua si facesse più calda, si buttò sotto la doccia.

Chiuse gli occhi e cercò di ripercorrere l’ora appena trascorsa, sperando di capire per quale motivo fosse così arrabbiato.

Non se l’era mai presa davvero per colpa di Levi, mai, ma questo non vuol dire che non gli avesse mai dato motivo di infastidirsi.

Lo insultava continuamente affibbiandogli i nomi più insopportabili, come “moccioso”, “ragazzino”, “piaga” e molto altri termini più variopinti.

Tuttavia era sempre andato oltre, perché da un lato ci era abituato e dall’altro lo facevano ridere, in qualche modo, e rendevano unica la personalità burberissima del suo manager.

Ma non quella volta, perché di una cosa Eren era certo, ovvero di potersi fidare ciecamente di quattro persone: Armin, Hanji, Mike e Levi, nonostante il suo carattere insopportabile.

Invece quel pomeriggio, a pranzo, Eren si era sentito tradito da una di quelle persone in cui credeva di più.

Non che avesse un vero motivo per considerarlo un tradimento, Levi non gli aveva mai giurato che sarebbe rimasto con lui per sempre e d’altra parte sapeva che quel suo prendersi cura di lui era dopotutto un lavoro.


“Ho ricevuto un’offerta di lavoro a Yokohama,” gli aveva detto Levi. “Ed è perché non voglio mentirti che ti dico che la sto seriamente valutando. Ma ho pensato di parlarne con te, prima di prendere qualsiasi decisione. Alla fine il tuo lavoro è strettamente legato al mio, quindi è giusto che anche tu ne sia informato.”

E, a pensarci bene, Levi aveva tutto il diritto di farlo. Era la sua rabbia, a dire il vero, quella a non essere giustificata.

Eppure non riusciva a calmarsi e più ci pensava più gli veniva voglia di andare da Levi e urlargli contro quanto l’avesse deluso.

Senza contare che fino a un’ora prima gli aveva rifilato la cazzata del “devo farti arrivare al concerto in ottima forma, è questo il mio dovere” e poi gli aveva dato un’ulteriore batosta subito dopo. La coerenza, Levi, pensò Eren, è la coerenza che ti manca.

Fece pressione sulla leva di fronte a sé e il getto d’acqua si bloccò. Uscì dalla doccia e, indossando solamente un asciugamano attorno alla vita, si lasciò cadere contro il materasso.

“Vaffanculo, Levi,” sussurrò, prima di chiudere gli occhi.



***



Eren

Era buio. Totalmente buio. Era tutto così nero che gli sembrò che i colori non fossero mai esistiti.

Eren.

E poi eccola. Proprio lì, in mezzo al vuoto totale, una luce. Scintillava in solitudine e sembrava che nessuno potesse avvicinarla. Ma questo non gli importò; provò a fare un passo in avanti e tese la mano.

Eren…

La luce smise di splendere e impercettibilmente cominciò a prendere forma. Ad Eren fu sufficiente una manciata di secondi per fare mente locale.
 
 
Levi…

“SVEGLIATI, EREN!”

Gli occhi di Eren si spalancarono ma la luce era scomparsa.

Era di nuovo a Tokyo, nella stessa stanza d’albergo in cui si era addormentato qualche ora prima.

“Lo sai che ore sono?”

“Eh?”

“Sono le 18, Eren. Le 18. E non hai ancora fatto le prove.”

Eren si passò rapidamente le mani sul viso, cercando di dare un senso al fiume di parole di Hanji.

“Perché non è venuto Levi a svegliarmi?” fu tutto ciò che riuscì a dire dopo alcuni secondi, mettendosi seduto.

Lei sospirò. “Hai chiesto di non fare entrare nessuno, così quando Levi è venuto in albergo a cercarti gliel’ho detto.”

“E lui?”

“Ha annuito ed è andato via. Non so dove sia ora, ma ho capito che dev’essere successo qualcosa tra di voi se non ha aperto la porta con un calcio per insultarti.” Hanji si mise seduta ai piedi del letto, proprio accanto ad Eren.

“No, non è successo nulla,” il ragazzo si alzò, dirigendosi verso il bagno. “Scusami se mi sono svegliato tardi.

Ora mi vesto e vado al palazzetto per le prove.”

Hanji annuì, poco convinta, e uscì dalla stanza per permettere a Eren di cambiarsi in santa pace. Si chiuse la porta alle spalle, per poi guardare Mike con fare serio.

Levi deve averglielo detto.



***



Eren non si sorprese più di tanto quando vide che Levi era già in sala prove assieme alla band che avrebbe accompagnato la sua esibizione quella sera.

Impeccabilmente elegante come al solito, imperturbabile, niente sembrava poterlo scalfire.

I suoi occhi grigi incontrarono per un attimo quelli di Eren, che invece non riuscì a reggere e distolse subito lo sguardo.

“Sei in ritardo,” commentò il manager, dando un’occhiata all’orologio attorno al polso.

“Lo so,” Eren si liberò della giacca, gli occhi fissi a terra. Continuò solo dopo qualche attimo e Levi si domandò se stesse valutando se insultarlo o meno. “Scusami. Mi sono addormentato.”

Levi aggrottò le sopracciglia. A quanto pare Eren aveva scelto di non dargli alcuna colpa.

Dunque non ce l’aveva con lui?

Ma allora… perché non riusciva ancora a guardarlo negli occhi?

Dov’era finito quel ragazzo che, con spavalderia, solo quella mattina l’aveva chiamato “angelo mio”, uno “strazio” e “un’ansia”? Quello che gli faceva le battute spinte quando lo vedeva arrivare a lavoro, quello che gli preparava il caffè quando era di cattivo umore, quello che aveva dedicato una canzone a sua madre Kuchel quando Levi l’aveva persa per malattia, e aveva accettato (pur con gli occhi lucidi) di cantarla al funerale quando il manager gliel’aveva chiesto?

 
 

Eren non disse più nulla dopo quel breve scambio di battute e Levi non indugiò oltre.

Si limitò ad appoggiarsi alla parete con le braccia incrociate, rilassando la sua espressione corrucciata quando
Eren prese in mano il microfono e cominciò a cantare.

Quello di Eren non era assolutamente il suo genere, ma ne era stato sicuro quando aveva accettato di diventare il suo manager e ne era ancora più convinto adesso che erano passati diversi anni e l’aveva visto maturare sia come persona che come artista: quel ragazzo aveva davvero talento e avrebbe fatto molta strada, con o senza di lui.
 
“I never thought that you would be the one to hold my heart, but you came around and knocked me off the ground from the start,” cantò Eren, per poi posare un istante gli occhi sul suo manager. Levi si era distratto per qualche secondo, immerso com’era nei suoi pensieri, ma il testo di quella canzone (un “inedito”, aveva annunciato Eren poco prima di afferrare la sua chitarra) l’aveva rapidamente riportato alla realtà. “You put your arms around me and I believe that it’s easier for you to let me go. You put your arms around me, and I’m home.”*
 
“It’s easier for you to let me go,” sussurrò Levi, tra sé e sé. “È più facile per te lasciarmi andare, eh?”
Il manager strinse i pugni. Si avvicinò alla porta e, quando Hanji gli rivolse uno sguardo interrogativo, si limitò a giustificarsi con “Vado a fumare, torno subito.”

Dannato moccioso.




***



 
Fu quando Eren vide Levi lasciare la stanza che improvvisamente capì il perché del suo malessere e fu piuttosto sollevato nello scoprire che il motivo per cui ce l’aveva tanto con lui non era l’offerta di lavoro, ma la ragione era molto più profonda… più intima, in un certo senso.

Aveva scritto quella canzone un paio di giorni prima di partire per Tokyo, e aveva buttato giù testo e melodia nel giro di tre ore. Un record, non gli era mai successo prima.

Ricordava che, mentre la sua mano scorreva sulle pagine del taccuino, l’immagine del suo manager aveva preso forma nella sua mente e non era stato in grado di spiegarsene il motivo.

Fu però consapevole di pensare a lui quando scrisse la frase “I believe that it’s easier for you to let me go”, perché era quello che credeva e, dall’altro lato, temeva.

Levi era un uomo grande e quello che faceva per lui era pur sempre parte del suo lavoro.

Niente gli impediva di andarsene, e per quanto Eren non l’avesse ancora ammesso ad alta voce, aveva impiegato in quella frase (e nelle parole che susseguirono nella canzone) la grande speranza che non lo facesse e quel dubbio profondo che allo stesso tempo lo faceva rabbrividire.

Quel giorno, a pranzo, Levi aveva dato vita alla sua paura ed Eren l’aveva odiato per non avergli dimostrato di essersi sbagliato.

Non aveva mai desiderato tanto di essere in errore.
 


***



Fu alle 19.30 che, concluse le prove, Eren domandò di rimanere solo nella stanza per rivedere alcuni dettagli prima dell’esibizione.

C’erano alcune frasi nella nuova canzone che doveva assolutamente cambiare, dopo aver capito quelle cose su se stesso e Levi.

Doveva fare quell’ultimo tentativo, per impedirgli di cambiare lavoro e rendere assolutamente più difficile lasciarlo andare.
 



***


 
“Bene. È perfetta.”

Eren ridiede una lettura veloce al testo, posò la pena accanto al taccuino, lo chiuse, lo rimise nella borsa e si alzò per andare a prepararsi.

Mancava mezz’ora al concerto.
 



 








…to be continued
 
 
 
 
 
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*”I never… home.” = “Non avrei mai pensato che saresti stato tu a tenere il mio cuore, ma sei arrivato e mi hai messo a terra fin dal principio. Tu metti le tue braccia attorno a me e credo che sia più facile per te lasciarmi andare. Tu metti le tue braccia attorno a me, e mi sento a casa.”
È una parte della canzone “Arms” di Christina Perri.
 


​Spazio Autrice
​Oggi non era nei miei programmi scrivere, lo giuro. 
​Ma quei bastardi dei produttori hanno fatto uscire una nuova immagine ufficiale Ereri e niente, ho sentito il bisogno di sfogare i miei feels e parlare di questi due.
​Nonostante la canzone non sia proprio del mio genere (sono un po' come Levi) ho trovato il testo bellissimo e perfetto per la situazione tra l'Eren cantante e il Levi manager che valuta di cambiare lavoro.
​Niente, scappo lasciandovi qui sotto l'immagine che ha causato questo capitolo in anticipo.
​Bacioni :3

morgainedelilth.




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