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Autore: ___Page    12/06/2017    2 recensioni
Sorgeva spontaneo chiedersi cosa ci facesse un caffeinomane come Law in un luogo simile. Se doveva essere completamente sincero, se lo stava chiedendo anche lui.
*Fanfiction partecipante al contest "Caffè o Tè" a cura di Fanwriter.it*
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Clown, Koala, Monet, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Caffè o Tè?” a cura di Fanwriter.it! 
 Numero Parole: 3.939
 Prompt/Traccia: 11) “A cup of tea solves everything”




 
TRIMETILXANTINA
*...con una tazza di tè*




 
«Sono tornato.»
«Perché, eri uscito?» domandò sorpresa Koala, sollevando di scatto la testa, fino a un attimo prima immersa nei libri, per puntare gli occhi sul muro oltre il quale si trovava l’ingresso in mezzo al quale Law si era immobilizzato, gli occhi fissi nel vuoto e l’espressione atona.
Già.
Quella era la sua vita sentimentale da più di venti giorni.
Avrebbe potuto rispondere “In realtà avevo già comprato un biglietto di sola andata per Dressrosa dove mi aspetta la mia amante ma a quanto pare il mio visto è scaduto e sono dovuto tornare a casa.” e Koala si sarebbe limitata a mormorare un disattento “Ah. Capito.”, gli occhi di nuovo incollati alla pagina.
Dieci giorni. Solo altri dieci giorni e poi sarebbe tutto finito. E con un pizzico di fortuna quell’ultimo periodo sarebbe trascorso più liscio di quello da cui arrivava. Law strinse i manici del sacchetto di carta e prese un profondo respiro di auto-incoraggiamento.
Si mosse verso il corridoio che si apriva con un open-space sul salotto. Fece una rapida panoramica della stanza prima di posare gli occhi su Koala, appollaiata sulla sedia, una matita appoggiata dietro l’orecchio destro e l’espressione concentrata.
 
«Sapevi che la quantità di trimetilxantina  di una tazza di tè è inferiore di quasi il 50% rispetto alla quantità contenuta in una tazza di caffè?»
Law, le braccia conserte, osservò sua cugina allungarsi per recuperare tre ampolle dalla scaffalatura di fronte al tavolo del retro a cui lui si era appoggiato con le reni.
«Hai per caso frequentato un corso per Testimoni di Kuma applicato al tè?»
Monet gli lanciò un sorriso etereo da sopra la spalla, segno che non aveva alcuna intenzione di cogliere la provocazione, prima di caricarsi tra le braccia anche un grosso barattolo con il tappo color bronzo e tornare verso il tavolo.
Law continuò a seguire silenzioso le sue mosse mentre si allontanava di nuovo e recuperava stavolta due scatole di latta, una ornata  da una semplice scritta verde, “DON’T WORRY, BE HAPPY”, in cima e sul lato e contenente un misurino e dei sacchetti di mussola, l’altra con un bassorilievo sul coperchio e l’interno diviso in venti scomparti. Quella Law la conosceva, era una scatola regalo che i clienti potevano riempire con bustine di tè a loro scelta, comprese miscele preparate al momento, proprio come si accingeva a fare Monet.
«Non è necessario, posso portare a casa anche solo le bustine.» le fece notare Law.
Monet, accanto a lui, gli rivolse un’occhiata saputa mentre inforcava gli occhiali che aveva tenuto in testa a mo’ di cerchietto fino a quel momento. «Ma come? Non vuoi farle un regalo?»
 
Qualsiasi cosa.
Se doveva essere onesto, Law avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, altro che un regalo. Non che lo avesse mai detto o lo avrebbe mai detto ad alta voce.
Ma era solo perché era lei che aveva sopportato, con una pazienza che mai avrebbe scommesso di avere, quell’ultima ventina di giorni e le innumerevoli liti senza senso, in cui Koala lo aveva trascinato con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non avrebbe tollerato quel comportamento da nessun altro, ne era certo. Fosse stata Lamy, Pen, Sabo, Monet o Ishley. Non c’era legame di sangue o affettivo che avrebbero reso accettabile quell’atteggiamento da parte di nessuno, a parte Koala. Avrebbe preso e se ne sarebbe andato dopo il terzo bisticcio campato in aria, invitando il proprio interlocutore a informarlo non appena avesse fatto pace con il cervello e il ciclo fosse finito. Eppure, in quel frangente, l’opzione di andarsene altrove non gli era balenata in testa nemmeno una volta finché non lo aveva suggerito Monet e lui subito l’aveva scartata.
In fondo Koala si rendeva conto di essere intrattabile e scattare per ogni sciocchezza, gli aveva chiesto scusa più di una volta ma era troppo impulsiva per riuscire a evitare di esplodere la volta successiva, soprattutto con tutta quella caffeina in corpo. E non era come se Law la stesse giustificando, lui non giustificava proprio nessuno, però questo non cambiava il fatto che anche così, anche se era sfinente, non voleva lasciarla sola.
Sì, Law avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Insomma stava addirittura per suggerirle di sostituire il caffè con il tè. Se non era amore quello…
 
«Il tè bianco è quello che contiene meno trimetilxantina in assoluto ma ha un rilascio energizzante costante che dura a lungo. Se lo lasci in infusione almeno quindici minuti, le basteranno due tazze in orari strategici per non avere più bisogno di bere caffè. Ovviamente con anche l’aiuto di un paio di altre erbe.» spiegò Monet mentre con un misurino prelevava un po’ di foglie di tè sbriciolate grossolanamente dal barattolo e le travasava, con mani esperte e delicate, nel primo sacchetto di mussola.
Law, ancora accanto a lei e ancora di spalle al tavolo, studiò per un attimo le tre ampolle appoggiate vicine al barattolo ora aperto. Gli sembrava quasi di essere in presenza di una strega impegnata a preparare un qualche strano intruglio. «E quelli?» chiese, indicando le ampolle con un cenno del capo.
Non era come se gli interessasse più di tanto, si parlava pur sempre di tè e l’invasato in famiglia non era certo lui, ma quella mistica associazione che il suo cervello aveva appena fatto non gli era piaciuta molto e ora voleva sapere esattamente cos’avrebbe dato da bere a Koala. Non era disposto a rischiare di propinarle qualche schifezza.
 
Si fermò di fronte al tavolo, senza dire nulla per una manciata di secondi.
Non era come se avesse paura di interromperla o come se si aspettasse di venire salutato per primo. Era già tanto se aveva notato la sua presenza e nemmeno lo faceva per cattiveria o egoismo. Koala era fisiologicamente incapace di essere egoista. Semplicemente era concentrata e Law sapeva bene quanto fosse importante non distrarsi per fissare le informazioni il più profondamente possibile nella mente.
Rubò un’occhiata alla pagina del libro che stava assorbendo tutta l’attenzione e le energie di Koala e ghignò interiormente quando vide che stava leggendo l’ultima pagina del capitolo oggetto di studio in quel momento. Un minuto ancora al massimo e avrebbe avuto la sua piccola finestra temporale in cui infilarsi per attirare la sua attenzione e darle ciò che doveva darle.
 
«Liquiriza.» Monet indicò l’ampolla contenente una polvere marroncina. «Serve per la concentrazione e il sapore è perfetto per equilibrare gli altri due ingredienti della miscela. Le piacerà.» assicurò, prima di alzare gli occhi sul viso da sopra il bordo degli occhiali. «Con il caffè non si possono mica fare tutti questi esperimenti…»
«Appunto.» ribatté lapidario Law. «È per questo che mi piace il caffè. È semplice, lineare e non c’è il rischio che una volta pronto l’acqua non abbia preso il sapore di niente.»
 
«Come va?» chiese non appena la vide cominciare a sollevare il capo, segno che aveva finito il paragrafo conclusivo. C’era il rischio concreto che si buttasse subito a capofitto sul capitolo successivo se non la fermava al momento giusto.
Koala sollevò lo sguardo su di lui, uno sguardo stanco ma determinato, con quella punta di dolcezza che la contraddistingueva sempre e comunque e che compensava l’assenza del suo solare sorriso, che da due settimane ormai era sostituito da una smorfia tirata, intrisa di stress e preoccupazione.
«Non mi ricordo niente.» ammise Koala, stringendosi nelle spalle come a voler minimizzare.
Law si irrigidì. C’erano almeno cinque risposte diverse con cui avrebbe normalmente ribattuto alla sua affermazione. “Sono sicuro che non è così.”, “Questa è l’impressione, in realtà le cose le sai.”, “Devi dare tempo al tuo cervello di fissare le nozioni.”, “Se è così lascia perdere il ripasso e concentrati sugli argomenti che non ricordi.” e per finire “Smetti di studiare, tanto così non serve a niente.”.
 Ora, il punto era che Law era sì stanco della situazione ma ciò non toglieva che fosse genuinamente convinto che Koala si stesse sovraffaticando per niente, che ricordasse già alla perfezione tutto ciò che aveva studiato e che, in definitiva, quel ripasso fosse del tutto superfluo. Ma se Law avesse dato voce ai propri pensieri o risposto con una qualunque delle cinque battute possibili, questo avrebbe inevitabilmente portato a una nuova lite. Già sapeva come avrebbe reagito Koala a ciascuna delle sue affermazioni.
“Puoi essere sicuro di quello che ti pare ma sarebbe carino se ti fidassi di quello che ti dico visto che sono io quella che sta studiando.”.
“Oh scusa, non mi ero accorta che conoscessi il contenuto della mia mente meglio di me.”.
“Non sapevo ti fossi specializzato anche in neurologia.”
“E come faccio a sapere quali sono gli argomenti che non ricordo se non ripasso tutto? Scienza infusa?”
“Non lo decidi tu se serve o non serve a qualcosa.”
Non che lui fosse mai stato da meno prima di un esame. Semmai si comportava anche peggio. Ma pur capendola e pur parlando con il solo intento di fare il suo bene non sarebbe che andata a finire con una discussione inconcludente e Koala ben più nervosa di quanto già non fosse. Nervosa e stanca. Stanca come non l’aveva mai vista prima, neppure quando faceva le notti in bianco per lavorare a un qualche caso particolarmente spinoso, perché alla stanchezza mentale bisognava aggiungere anche le poche ore di sonno pessimo e per niente riposante a causa della troppa caffeina.
Santo Roger, quella donna riusciva persino a fargli maledire il caffè.
 
«Eleuterococco.» proseguì Monet. «Sembra argilla bianca ma tranquillo. Non darei mai da bere niente di tossico alla tua ragione di vita.» ne prelevò un po’ con il misurino, ignorando la reazione del cugino che non sopportava alcun riferimento ai propri sentimenti, o anche al solo semplice fatto di possederne, in particolar modo quando ciò che veniva detto era vero almeno quanto il fatto che lui fosse il miglior chirurgo pediatrico del suo ospedale. «Lo chiamano anche il “Ginseng delle donne”. È uno stimolante che non sollecita il sistema nervoso e diminuisce lo stress.»
 
«Ti ho portato una cosa.»
Law decise di cambiare argomento ed estrasse la scatola di latta dal sacchetto per tenderla a Koala. Koala lo fissò sorpresa un paio di secondi prima di afferrare con entrambe le mani ciò che le veniva offerto, studiare qualche istante il bassorilievo sul coperchio prima di passare all’analisi del contenuto.
«Sei andato da Monet.» mormorò accarezzando con il polpastrelli i venti sacchettini di mussola elegantemente disposti nei loro scomparti. «Mi hai comprato del tè?» domandò, questa volta perplessa.
«È una miscela su misura.» rispose prontamente Law che aveva memorizzato tutto a beneficio unicamente di Koala non perché avesse trovato di alcun interesse la spiegazione dettagliata di Monet. «Tè bianco, liquirizia, eleutorecocco e…»
Law si bloccò appena in tempo ma tanto la congiunzione che gli era sfuggita quanto il tono lasciavano intendere che la frase non era completa. Per lo stato mentale in cui versava Koala forse poteva avere una speranza che non se ne accorgesse se non si fosse trattato proprio di Koala.
«E…?» indagò immediatamente la ragazza, le sopracciglia corrugate.
 
«E quello cos’è?» domandò Law, le sopracciglia corrugate.
Monet si voltò per un attimo con espressione maliziosa verso di lui prima di tornare a misurare sapientemente l’ultima polvere di un color ocra dai riflessi rossastri. «Guaranà.»
Law si accigliò ancora di più. «Una volta ho assaggiato il caffè al guar…»
«Non è la stessa cosa.» lo interruppe lapidaria Monet. Le iridi di Law sbiancarono per il fastidio. «Il caffè copre troppo il sapore per poterlo apprezzare a fondo.»
«E tu che ne sai?» chiese il moro, girandosi lento a guardarla con un sorriso psicopatico e le pupille ridotte a due capocchie di spillo. «Hai mai bevuto il caffè al guaranà o anche solo del caffè?»
«Ovviamente no.» ribatté Monet, squadrando il cugino con un’espressione indignata che sembrava voler dire “per chi mi hai preso?”. «Lo so e basta.»
Law inspirò profondamente e strinse impercettibilmente le dita intorno agli avambracci, imponendosi la calma. Per il bene di Koala e di sua cugina, a cui dopotutto voleva bene anche se era una teinomane senza speranza, doveva calmarsi. «Comunque a che serve?»
«Mi hai detto che tu e Koala non fate che litigare, giusto?»
Law si limitò a un cenno secco del capo. Non gli piaceva ripeterlo e nemmeno pensarci perciò perché Monet insisteva su quel punto? Averlo detto una volta non era sufficiente?
«Immagino che per evitare le discussioni il più possibile ormai le vostre interazioni saranno ridotte al minimo indispensabile. Anche perché lei non avrà molto tempo da dedicarti.»
Non si stupì che Monet ci fosse arrivata tutta da sola. Che Koala non avesse molto tempo era facilmente intuibile, persino Sabo e Ace ci erano arrivati con il solo ausilio del loro neurone condiviso. Che le loro interazioni fossero ridotte all’osso era qualcosa che Monet poteva dedurre perché sapeva fin troppo bene che Law odiava discutere – che fosse perché non gli piaceva sprecare energie con degli  emeriti imbecilli che tanto mai avrebbero capito cosa stava dicendo o perché, molto più umanamente, non gli piacesse discutere con la persona che amava faceva molta poca differenza in quel momento – e che la sua strategia preferita era il silenzio e la limitazione entro limiti socialmente accettabili di qualunque genere di comunicazione, verbale e non, con il soggetto a rischio.
«Sì infatti.» confermò con tono piatto.
«Quindi è giusto da parte mia dedurre e affermare che la vostra relazione si trova attualmente in una fase… astensiva?» concluse Monet, girandosi apertamente verso di lui mentre tirava il cordino di cotone del primo sacchettino per chiuderlo. Law si irrigidì, il viso una maschera di impassibilità che non ingannò Monet neppure per un attimo e non le impedì di sorridere tra il soddisfatto e il divertito. «Te lo si legge in faccia. Non ti vedevo così teso da quella volta che papà ha cercato di farti figurare come suo socio in affari contro la tua volontà.»
«Stai mettendo un afrodisiaco nel tè per Koala?» sbottò Law, pacatamente.
«Perché? La cosa ti dispiace?»
 
«E niente, Monet dice che se ne bevi due tazze al giorno non troppo vicino ai pasti non ti servirà più il caffè. Così non ti sentirai più così tesa e nervosa e riuscirai a dormire meglio.»
Koala sbatté le palpebre interdetta per circa cinque secondi, durante i quali Law si domandò se non avesse appena fatto un madornale errore e se Koala non si fosse resa conto che gli stava nascondendo qualcosa e non stesse valutando se torchiarlo o meno. Ma per quanto bene Koala lo conoscesse, Law rimaneva un campione indiscusso di impassibilità e il dettaglio che le stava nascondendo era talmente piccolo e insignificante da non riuscire a risvegliare il suo istinto di detective.
«Sei andato da Monet a farti preparare un tè su misura per me?» chiese alla fine in un soffio la ragazza.
«Esatto.» mormorò Law, monocorde.
«Ma tu odi il tè.»
«Il caffè ti sta facendo troppo male.» rispose con fermezza Law, con quel suo tono da “non c’è alto da aggiungere”.
Il che andava bene perché Koala non voleva in effetti aggiungere niente. A dire il vero, non avrebbe saputo nemmeno cosa dire. Per la prima volta da giorni si sentì sopraffatta da emozioni positive.
E anche Law si sentì sopraffatto da qualcosa di molto interessante per la prima volta da giorni quando Koala, senza una parola, si issò sul tavolo e aggirò scatole e computer per raggiungerlo, gattonando sui fogli che ricoprivano il tavolo. Pietrificato, la gola secca, Law la osservò avvicinarsi a quattro zampe, con addosso solo una canotta che usava in casa perché troppo scollata per andare in giro e un paio di calzoncini di cotone che usava in casa perché troppo corti per andare in giro.  
Quando faceva quelle cose, Koala non ci metteva nessuna malizia e questo non faceva che renderla ancora più sexy. Semplicemente, dopo un’infanzia trascorsa ad arrampicarsi sugli alberi e rotolare tra l’erba, lei era così. E, dopotutto, se si fosse atteggiata a quel modo con il preciso intento di eccitarlo e sedurlo non ci sarebbe riuscita.
Ma non lo stava facendo di proposito e quindi Law si sentiva eccome eccitato e sedotto e anche parecchio gonfio e costretto, una sensazione che aumentò esponenzialmente quando Koala si rimise dritta con il busto e agganciò le mani dietro il suo collo, gli soffiò un “grazie” sulle labbra e poi lo baciò come se non lo vedesse da tre settimane.
Il che poteva anche essere vero.
Di vero c’era senz’altro che Koala non lo baciava così da almeno tre settimane e non era come se il suo cervello o lui avessero alcuna volontà di resistere. La afferrò per i fianchi e rispose deciso al bacio, strinse tra le mani il cotone della canotta, dominando a stento la voglia di strappargliela di dosso, spogliarla e fare quello che doveva e voleva e che il suo corpo gli stava gridando a gran voce di fare lì, su quel tavolo, in quel momento.
Alla faccia del guaranà.
Spinse il bacino in avanti ma fece appena in tempo a strusciarlo contro il ventre di Koala che si ritrovò a dover fare i conti con una sensazione molto fastidiosa. Una specie di pizzicore alle labbra quando Koala interruppe il bacio senza preavviso.
Cercò rapido i suoi occhi con i propri, pronto a chiedere cosa ci fosse che non andava ma Koala lo precedette. «Amore…»
Law sentì l’eccitazione pervaderlo di nuovo e mandargli in pappa le sinapsi.
«Dimmi…» la invitò con voce roca.
Stava per chiedergli di fare l’amore, era evidente che stesse per chiedergli di…
«Mi metti a scaldare una tazza che provo subito una bustina? Grazie!» esclamò, felice – almeno quello, almeno era felice e stava sorridendo come non faceva da giorni –, prima di dargli un veloce bacio sul naso e sgusciare via dalle sue braccia per tornare davanti al libro e sulla sedia.
Law rimase immobile all’altra estremità del tavolo, cercando di metabolizzare cosa fosse appena successo e come fosse appena successo. Cercando di capire quando esattamente lui, il maniaco del controllo, aveva perso qualunque minimo potere avesse mai avuto sulla propria vita sentimentale.
Quando fu chiaro che Koala non avrebbe avuto neppure il tempo o la concentrazione necessaria per accorgersi che la stava ancora fissando tra l’incredulo e il disperato, Law si impose di reagire. In silenzio, riprese la scatola di tè, appuntandosi mentalmente di lavarsi le mani con molto sapone più tardi, casomai l’odore di tè gli fosse rimasto addosso, e si avviò verso la cucina per mettere l’acqua a scaldare.
«Grazie Law.»
Non si voltò nemmeno verso di lei, ormai sulla porta del salotto. «Fig…»
«Ti amo.»
Law si fermò e un brivido di piacere e gratitudine lo percorse lungo la schiena, come ogni volta quando Koala pronunciava quelle parole, non importava quante volte le avesse sentite lasciare la sua bocca.
Lanciò un’occhiata da sopra la propria spalla verso di lei ma Koala era di nuovo immersa nel suo mondo di ripasso matto e disperatissimo. Law abbassò gli occhi sulla scatola di latta che teneva in mano. Non aveva ancora pienamente realizzato che stava davvero per mettersi a preparare un tè, per la prima volta in assoluto in vita sua.
Sospirò, sapendo che tanto Koala non lo avrebbe sentito. «Sì. Ti amo anche io.»
 

§
 

Con il respiro grosso e gli occhi sgranati, Law fissava il soffitto della loro camera, immersa nella penombra notturna, ancora sconvolto.
Non riusciva a capacitarsi di quel che era appena successo.
Girò piano la testa verso la sua sinistra, dove Koala dormiva serena e tranquilla, girata su un fianco, i corti capelli sparsi sul cuscino e il corpo nudo coperto solo dal sottile lenzuolo di cotone. Law si passò una mano sulla fronte, ancora sotto shock.
Era stato sconvolgente.
Bellissimo in modo sconvolgente. Ma anche solo proprio puramente sconvolgente.
Una roba del genere non l’aveva mai vista e nemmeno avrebbe mai osato immaginarla. Considerate le dimensioni di Koala poi…
Sì a un certo punto aveva desistito nel tentare di ribaltare le loro posizioni ma solo perché aveva capito che era uno sforzo inutile. E sì era stato incredibilmente bello lasciarle il comando per una volta, più di quel che avrebbe mai potuto immaginare o supporre, ma anche, appunto, sconvolgente. Nessuno stupore che poi fosse crollata, vittima del sonno.
Lui, d’altro canto, aveva ancora troppa adrenalina in circolo per mettersi a dormire.
La stava ancora ammirando, tra il rapito e lo scioccato, quando il suo cellulare si mise a vibrare sul comodino, facendolo scattare come una molla.
Erano le tre del mattino, chi lo stava chiamando a quell’ora?
Senza guardare, lanciò il telefonino sul cuscino il tempo di infilarsi i boxer, per poi recuperarlo e precipitarsi fuori dalla stanza mentre rispondeva senza neanche guardare lo schermo.
«Pronto?»
«Hai passato una serata piacevole, cuginetto?»
Law si fermò sulla porta della cucina, metabolizzando rapidamente le deduzioni in cui il suo cervello si era già lanciato.
«Secondo i miei calcoli questo doveva essere più o meno il momento giusto per chiamarti.» mormorò, impregnando quell’apparentemente innocente frase di un’infinità di implicazioni nascoste e non dette.
Law considerò per un attimo quanto riuscisse a essere inquietante a volte sua cugina e a si domandò se anche lui facesse quell’effetto da fuori. Di certo non voleva sapere di che razza di calcoli parlasse.
«Monet, cosa diavolo hai messo in quel tè, si può sapere?» sibilò nel microfono, mentre attraversava in tre falcate la cucina per accostarsi alla portafinestra aperta sul balcone e con la tapparella alzata, per creare corrente e far girare un po’ d’aria in casa.
«Credevo fossi stato attento alla mia spiegazione, Law.»
«Non vorrai farmi credere che è bastato quel pizzico di guaranà per provocare… provocare… tutto questo!»
Una risata cristallina esplose nel suo orecchio. «Cuginetto, ti facevo più arguto di così. Proprio tu poi, che non credi nella fitoterapia.»
Forse avrebbe dovuto rivalutare quella sua ultima convinzione alla luce dell’ultima ora appena trascorsa.
«Si è rilassata, Law. Certo il guaranà aumenta la libido, l’eleuterococco stimola ma senza il caffè di mezzanotte si è rilassata e le sue voglie represse sono tornate alla carica tutte insieme. Una notizia buona e una cattiva per te. Le ha fatto quell’effetto solo perché era in astinenza pure lei, non succede ogni volta che lo beve. Ma questo significa anche che anche lei ti ha desiderato disperatamente negli ultimi venti giorni, anche se non lo ha dato a vedere o non se n’è resa conto. Non sei felice?»
Law sbatté le palpebre interdetto, il cellulare appiccicato all’orecchio e assolutamente nessuna idea su cosa dire o controbattere.
«Beh, ero solo curiosa di sapere se era andato tutto come speravo. Ora se non ti spiace vado a dormire. Oggi Baby mi è mancata particolarmente.»
«Monet.» la fermò d’istinto Law, prima di riuscire a fermarsi.
Monet non rispose, in attesa, dall’altra parte del filo. Law si passò una mano tra i capelli madidi di sudore. Forse era meglio se si faceva una doccia prima di tornare a letto. Ma ora il problema era trovare il modo di dire ciò che aveva dire.
Non che fosse facile.
Già più di una volta, nelle ultime tre settimane, era stato così al limite da avere la sensazione che la sua vita coniugale fosse stata sempre quella e, da bravo pessimista qual era, che non sarebbe cambiata mai. Poi, nell’arco di una manciata di ore, tutto era tornato come prima. Anzi meglio di prima.
Sua cugina gli aveva aperto un mondo.
E tutto con una tazza di tè.
Non che lui ne avrebbe mai bevuto anche solo un sorso, però…
Ghignò, protetto dall’ombra. «Puoi prepararmene un’altra scatola? Passo a prenderla domani.» 

 
  
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