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Autore: Hidalgo_Aragorn    13/06/2017    1 recensioni
avevo 13 anni quando successe, quando tutto cambiò, quando io cambiai e dovetti cominciare ad accettare l'idea di essere chiamata "puttana" pure dalla mia stessa madre. 13 anni, niente, avevo appena iniziato a vivere...
~dalla storia~
-Joans quanti anni avevano i tuoi genitori quando ti hanno avuto?- mi chiede il professore quando è il mio turno. Io faccio spallucce e cambio la direzione dello sguardo; "e a questo come glielo dico?"
Genere: Dark, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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La mia sveglia personale, è sempre stata Emma e quel giorno, quel 14 ottobre, un mercoledì, non tardò ad arrivare. Mamma era una precisina, calcolatrice e... E commercialista, a quel proposito, non tardava una virgola soprattutto se era nervosa, come quel giorno che entrò nella mia stanza, in accappatoio, ammonendomi di farmi una doccia, che non tardai a consumare. Calda, rilassante, una culla di tranquillità e pace. Il mio bagno era composto da basi e mobili scuri, sopra una superficie color perla. Armadietti a specchio e per l'appunto la doccia. Mi avvolsi in un asciugamano e poi analizzai se i vestiti che avevo scelto la sera prima li volevo ancora. Sì, andavano bene: una camicia nera, una polo bordoux, la felpa del giorno prima e dei jeans chiari, scoloriti con qualche buco. Avevo particolarmente freddo e mentre mi asciugavo i capelli cercavo di rubarmi tutto il calore possibile del phon. Mi guardai allo specchio mentre mi sistemavo: non mi definivo bello per principio, somigliavo poco a mia madre, avevo i capelli castano chiaro e occhi cerulei. La pelle e la forma degli occhi uguali a mamma, ma il naso, le labbra, i miei toni chiari dovevano essere di mio padre. Non lo avevo mai conosciuto e per quanto fossi curioso, non lo ero abbastanza per buttarmi in quel genere di impresa. Ma ero pronto per buttarmi sulla mia colazione, ma prima lo zaino. Non avevo idea delle materie della giornata, l'orario non mi era dato saperlo e infilai semplicemente un cambio e dei quaderni per prendere appunti nel mio scolorito zaino color senape, ormai sporco e frusto. Non ero mai stato popolare o visto di buon occhio, un pò per via di mamma e un pò perchè non ero un tipo così socievole. La scuola non mi piaceva ma frequentavo per Emma, lei ci teneva e io lo facevo solo per lei, per quanto spesso in classe non fossi sempre il più bravo o corretto, avevo preso le mie note e i miei richiami e a volte avevano pure chiamato mia madre. 
Ed ero terrorizzato di dover ricominciare da capo, ricominciare a sentirmi piccolo, per quanto fossi 1.75 al momento e non avessi nemmeno finito la crescita. La scuola mi riduceva in un cumulo di carne, anonima e piccola, che non aveva una voce o un'identità. Strinsi a me i vestiti e mi venne l'impulso di alzare il cappuccio e nascondermi, ma ero ancora a casa e non mi sembrava il caso. Scesi di sotto, dopo essermi messo le scarpe e trovai mia madre a rigirare la cucina dai toni chiari di fretta senza avere un vero obbiettivo. Mi venne incontro. -rosso o blu?- mi chiese mostrandomi le due camice di chiffon, quasi identiche. 
-blu, sopra i jeans bianchi- commento. -con i platò blu- 
Lei annuisce e torna di sopra di fretta. Io armeggio, cercando del succo. Mamma aveva preparato delle frittelle e tutto felice, spolverai uno strato di zucchero a velo e addentai la colazione. Erano ancora calde, invitanti, mi si scioglievano in bocca. Un sapore zuccheroso e invitante, con un pizzico di cannella che mi ricordava quando ero molto più piccolo. Mamma me le preparava sempre quando stava per succedere qualcosa di importante. Tornò a scendere e applaudí, era davvero bella e il colore chiaro della sua pelle risaltava sotto i toni freddi. Le bacia la guancia: -come hai dormito ma'?- le chiedo. 
Mi baciò la tempia: -bene amore, e tu piccolo?- 
-bene, ero molto stanco- dichiaro. -e hai ragione, il gelsomino è molto buono come deodorante- 
Sorride. -te l'avevo detto, sarò una mamma giovane, ma qualcosina la so- sorrido, lei non lo sa, ma quello lo sapevo già. 
-tra venti minuti partiamo, okay?- mi chiede. -non so quanto ci metteremo ad arrivare e così hai tempo di fare le cose in segreteria... O vuoi che venga?- 
Faccio no con la testa: -nono ce la faccio, tu vai al lavoro, stai calma e non preoccuparti me la caverò- mi scompiglia i capelli e torna a baciarmi. 
-finisci di mangiare pulcino, così ci avviamo- si siede a fianco a me e controlla di avere tutte le sue carte. Mangio con calma, succhio tutto succo d'arancia e pulisco gli utensili, torno di nuovo di sopra e mi lavo i denti. Scendo di nuovo e aspetto che mia madre finisca di prepararsi. Controlliamo di avere tutto e uscendo, tiriamo fuori l'auto dal garage e monto dalla parte del passeggero e inizio ad analizzare l'accurata collezione di CD a nostra disposizione: -Paul McCartney o Michael King Jackson?- le chiedo mostrandole la mia scelta. 
-il nostro re, Edward, mi sembra ovvio- dichiara e accendo lo stereo inserendo il CD, da cui "Black and White" parte trionfante. La nostra tensione era palpabile, io continuavo a passarmi le mani tra i capelli e lei, si tortura le pellicine e muove le mani più schiettamente del solito. -andrai bene- le dico -sei brava, la migliore nel tuo campo, altrimenti non ti avrebbero preso... Ti chiamo appena ho un momento, così mi dici se ho ragione- lei mi sorride e annuisce. 
-tu fai il bravo, non mi va di litigare con i tuoi professori anche qui- mi ammonisce. 
-tranquilla, qui nessuno mi conosce, di certo non mi sfideranno- mi guarda male e le sorrido. 
-Edward, ti prego... Comportati bene, grazie- mamma non urla, non tiene il muso, non mi mette in punizione, ma si fa capire. O almeno io capisco. Si arrabbia solo con nonna, perché sin da quando sono piccolo, cerca di mettermi dalla sua parte. E mamma urla. Lei non ha mai voluto che nonna si occupasse di me, anche se lei era molto giovane, io ero suo, non di qualcun'altro. Nonna in quei momenti le tirava uno schiaffo, così mamma prendeva me di peso -per quanto l'avrei seguita ovunque- e ce ne andavamo. Lei piangeva, ma ero io con lei e in qualche modo sarei riuscito a farla ridere e lei avrebbe sorriso per me. 
"Billie Jean" parte, ricordandomi che Emma mi ha avvisato. -cercherò di renderti fiera- 
Lei torna a guardarmi male. -Edward Joans, io sono sempre fiera di te, vorrei solo non ricominciare a fare avanti e indietro dal tuo preside come l'anno scorso- so che ha ragione ma avevo le mie ragioni. Annuisco e ci concediamo qualche minuto di musica prima di svoltare dentro il campus recintato scolastico. Parcheggia in mezzo al piazzale e per un momento rimango a fissare il vuoto. -devo proprio?- chiedo retorico, lei annuisce e ci rinuncio; mi avvicino per farmi dare un bacio che non tarda ad arrivarmi su una guancia. -ti voglio bene, ti chiamo piú tardi- le dico.
-te ne voglio anche io amore, fai il bravo, ci vediamo verso le 4 o le 5- mi comunica mentre scendo dall'auto. Le do un bacio veloce e la saluto con la mano prima che parta. Mi avvio verso la porta ed entro alzandomi il cappuccio. Cerco velocemente la segreteria e sono più tranquillo quando sono conscio che sta succedendo e che mi sembra una giornata normale. La segreteria è un piccolo ufficio dalla porta arancio con due balconi distinti e qualche sedia per l'attesa, nere. Le segretarie ci sono già e mi avvicino ad uno dei balconi. Sopra volantini e avvisi, dall'altra parte tutti i documenti. La donna è una classica segretaria, vestita elegante ma alla bell'e meglio, con capelli raccolti e occhiali sottili sul naso.
-cosa posso fare per te?- mi chiede e mi si secca la bocca. 
-sono nuovo, mi hanno detto di venire a ritirare documenti e orario qui- dichiaro. -sono Edward Joans- la avviso. 
Lei fruga tra le carte fino a trovare un fascicolo e me lo passa; -qui c'è tutto, orario, predisposizione delle aule, i professori, i prossimi compiti, quelli che devi fare e il programma svolto con le dispense di appunti- annuisco e lo apro. Quel giorno avrei avuto: chimica-storia×2-lettere-matematica. Mi indica la prima aula e mi disse che all'interno c'era un modulo da far firmare alla famiglia per i dati. 
Ringraziai e me la filai, per girare un pò a vuoto alla ricerca dell'armadietto in cui gettare il cambio e magari per familiarizzare con gli spazi. 
Appena lo trovai, litigai con la chiave na dopo l'apertura gettai alla bell'e meglio tutto ciò che era il troppo e analizzai velocemente la cartina: c'erano 3 edifici, due a 3 piani e uno a 4. Io mi trovavo nell'edificio 3 e per la prima lezione dovevo andare nell'aula 1.03 dell'edificio 1. Mi avviai subito lungo quel che era il corridoio principale. Seguì le indicazioni e mentre uscivo nel cortile suonò la prima campanella e le gambe mi divennero molli ma accellerai il passo. Iniziò a popolarsi di ragazzi e divenni più nervoso di prima e cominciai a correre. Entrai da una porta a vetri e continuai dritto, salì mezza rampa di scale e svoltai a sinistra per poi entrare subito a destro. Lì, mi resi conto di essere entrato in classe e mi sentì avvampare. Mi voltai verso la cattedra e sorrisi alla prof che mi guardava confusa. Consegnai il modulo, si annotò il mio nome e mi ammonì di mettermi a seduto, senza tante cerimonie per poi iniziare a parlare. Come mio solito, cominciai a prendere appunti senza guardarmi in giro e senza fregarmene più di tanto. 
Non era l'inizio che mi aspettavo, ma andava più che bene. Scoprì in giro di 10 minuti che stava spiegando esattamente quel che avevo iniziato a Montgomery, entusiasta mi sentì più a mio agio di prima e feci addirittura un paio di domande. 
Al termine della lezione, capì di essere fottuto, storia, era al terzo piano dell'edificio 2.
-ehi straniero- fece quel che doveva essere una mia compagna di corso. 
-dove devi andare?- mi chiede. 
-a storia, alla 2.23- dichiaro dopo aver consultato l'orario. 
-ti accompagno, così non ricominci a correre inutilmente- mi dice. -a proposito, sono Elena Dallas- annuisco. 
-io, Edward Joans- lei mi indica un corridoio che percorriamo totalmente, fino a passare per un tunnel sospeso per raggiungere l'altro edificio. Saliamo le scale sulla destra per due piani e svoltiamo a sinistra poi ancora a destra e davanti ho l'aula. 
-eccoci, spero che ti troverai bene Edward- mi dice. 
-grazie Elena, lo spero anche io- e detto questo entrai in classe, più sollevato e dopo aver dato il modulo al professor Banner di storia, lui mi sorrise e si alzò: -ragazzi, lui è Edward Joans, appena trasferito dall'Alabama, spero gli darete un buon benvenuto- e dalle facce contrariate dei miei compagni di quell'ora, capì che non ero benvenuto. 

  
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