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Autore: Carme93    23/06/2017    1 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo terzo

La famiglia non si sceglie
 
Jack sfogliò il giornale per trovare la continuazione dell’articolo sugli arresti avvenuti durante la notte, ma anche le fughe. In prima pagina capeggiava la foto di un infuriato Harry Potter: alcuni pesci grossi gli erano sfuggiti ancora e nemmeno l’ovazione della comunità magica avrebbe potuto sollevargli l’umore. Per quanto lo riguardava il fatto stesso che fossero scappati a gambe levate e fossero costretti alla latitanza dopo aver vissuto a lungo nel lusso e nella bambagia, era un successo!
«Jack? Potresti aiutarmi con il futuro?».
Il ragazzo sollevò gli occhi: una figuretta minuscola era in piedi accanto al suo letto con un’espressione dolce e preoccupata al tempo stesso. Sorrise e le fece spazio. «Nyah, stai tranquilla! Stai migliorando a vista d’occhio!».
«Ho paura» mormorò la ragazzina, appoggiando il libro di grammatica sul letto.
«E di che cosa? Qui sei al sicuro! Te l’ho detto un milione di volte».
«Della Scuola. Prendono me in giro perché non parlo bene».
«Mi prenderanno» la corresse Jack con pacatezza. «Se lo faranno è solo perché sono stupidi e non comprendono quello che hai passato tu. Andrà bene. Gli insegnanti ti aiuteranno. Intanto ci esercitiamo insieme» disse risoluto.
Rimasero sdraiati sul letto uno accanto all’altro per almeno un’oretta. Jack non avrebbe mai immaginato che sarebbe finito a insegnare inglese a una ragazzina di undici e meno che mai che avrebbe mai accettato di trasferirsi in quella struttura di accoglienza per minori.
«Ragazzi». Aveva pensato di poter ignorare l’inserviente, entrata nel dormitorio, ma a quanto pare era lì per loro. «Miss Fleming vuole vedervi». Miss Fleming era la Direttrice della struttura e visto e considerato che neanche due giorni prima le aveva fatto venire una crisi di pianto, Jack non era sicuro che fosse una buona cosa essere convocati da lei.
«Non fare nulla» mormorò preoccupata Nyah.
«Coniuga i verbi» la riprese Jack alzandosi. «Non ti preoccupare. Vorrà parlarci di qualcosa». Era tranquillo: non aveva fatto nulla. Veder piangere la giovane psicomaga, che si era spaventata da morire non vedendolo tornare dalla sua passeggiata non autorizzata, l’aveva scosso. Il punto è che lui era abituato a fare ciò che voleva quando era a casa. E nessuno si era mai preoccupato. Per pura bontà aveva deciso di adeguarsi alle regole di quel posto. Dopotutto doveva starci solo fino all’inizio della Scuola. La ragazzina lo tallonava strettamente e forse solo la mancanza di confidenza le impediva di appiccicarsi a lui direttamente. Avrebbe dovuto parlarle: se faceva così per la Fleming, che era severa ma gentile, come si sarebbe comportata con la loro professoressa di Incantesimi, Elisabeth Shafiq? Scesero a piano terra dove si trovava l’ufficio della donna in pochi minuti. Seduta su un divanetto sedeva ostentatamente un’altra ragazzina africana. Zari Fadiga. Sia Zari sia Nyah avevano perso tutta la famiglia a causa dei Neomangiamorte e di un altro tizio Purosangue che credeva di poter spadroneggiare nella loro terra natia. Le due, però, non potevano essere più diverse. Zari era vissuta in una famiglia ricca e Purosangue, sfortunatamente per lei rivale di quella che comandava, per cui aveva avuto una buona educazione e conosceva quasi perfettamente sia l’inglese sia il francese. Nyah, la cui dolce perspicacia aveva immediatamente colpito Jack, era di origini molto povere.
«Dobbiamo aspettare qui» li avvertì Zari.
«Grazie» replicò Jack appoggiandosi al muro. Nyah rimase accanto a lui. Non le disse nulla, se non si era seduta aveva i suoi motivi. La Fleming non li fece attendere troppo a lungo.
«Bene, siete già qui!» li accolse con un sorriso dopo aver spalancato la porta. «Accomodatevi».
L’ufficio non era molto grande, ma essendo affollato sembrava ancora più piccolo. Con una smorfia riconobbe l’addetta del Ministero che l’aveva trascinato lì. Insieme a lei c’erano due coppie di mezz’età.
«Ragazzi, sono felice di comunicarvi che vi abbiamo trovato una famiglia» annunciò miss Fleming con un enorme sorriso in volto. L’unica che sembrò contenta fu Zari. Nyah cercò lo sguardo di Jack, il quale fece una smorfia. Stava bene lì e da lì a un anno avrebbe compiuto diciassette anni: non aveva bisogno di una nuova famiglia. La Direttrice non si scoraggiò di fronte alla loro reazione.
«I signori Finnigan prenderanno in affidamento Zari».
Jack osservò di malavoglia il Direttore della Gazzetta del Profeta presentarsi alla ragazzina insieme alla moglie. In fondo doveva ammettere che avevano scelto bene: la ragazzina era sempre stata abituata al meglio, i Finnigan erano abbastanza ricchi da poterle garantire una vita per lo meno simile a quella precedente. 
«Invece i signori Edwards», riprese miss Fleming, «sono qui per Nyah».
Jack si turbò a quelle parole. Per un attimo una parte di lui si era illusa che sarebbe andato insieme alla ragazzina. «Perché ci sta separando?» chiese ferito. Nyah stessa fissava lui e non aveva mosso un solo passo verso quelli che da quel momento in poi sarebbero stati i suoi genitori. «Noi vogliamo rimanere insieme» sottolineò. «A settembre andremo a Hogwarts, se non ci vogliono entrambi possiamo anche rimanere qui. Non daremo fastidio. Le giuro che d’ora in avanti rispetterò sempre le sue regole». Si maledì per il suo stramaledetto vizio di affezionarsi alle persone in poco tempo. L’avevano già allontanato dai Vance e quindi dal piccolo Samuel, facendo soffrire entrambi. Ora perché lo allontanavano anche da Nyah?
«Per noi non ci sono problemi» disse con tranquillità il signor Edwards. Jack non sapeva dove, ma aveva già sentito quel nome.
«Abbiamo scoperto chi è tua madre. Tu devi andare da lei» disse sbrigativamente l’addetta del Ministero. La Fleming le lanciò un’occhiataccia.
«Avrei preferito parlartene in privato» disse infastidita.
Il ragazzo era incredulo. Lo stavano prendendo in giro! Non c’era alcun dubbio! «State scherzando!» sbottò con voce rauca. Anche Nyah sobbalzò e gli mollò la mano, che aveva stretto in precedenza.
«No, Jack. Parliamone con calma, però. Saluta Nyah, prima».
«No! Io non voglio conoscere mia madre!». Era una bugia, ma questo non era importante. Non era pronto. Aveva atteso sedici anni, avrebbero potuto cercarla prima! Dov’era il Ministero quando suo padre spariva per giorni per fuggire dalla Squadra Speciale Magica e lui rimaneva a digiuno? Dov’era quando imparava a rubare per poter sopravvivere? Quando veniva trattato come un appestato dagli altri ragazzini di Diagon Alley e dai loro genitori? E quando tentava di sfuggire alla polizia babbana?
«Non hai scelta!» sbottò l’addetta.
«Ti prego, Jack, provaci. È la tua opportunità. Sei grande abbastanza per esprimere la tua opinione. Se non ti troverai bene, la proposta dei signori Edwards sarà ancora valida. Dico bene?» tentò, invece, conciliante miss Fleming.
Jack non voleva cedere facilmente, ma al cenno d’assenso dell’uomo si convinse di poter ancora scegliere. E soprattutto era curioso di vedere in faccia la donna che l’aveva abbondonato. «Come volete, tanto non mi interessa» disse mostrando indifferenza.
«Allora possiamo procedere. Ti accompagneremo io e la mia collega» gli comunicò la Fleming. «I vostri effetti personali sono già stati portati all’ingresso».
Si avviarono tutti insieme verso l’uscita.
«Voglio vedere Nyah comunque» disse con un tono autorevole.
La signora Edwards gli sorrise timidamente, il marito lo squadrò e infine annuì. «Miss Fleming ha il nostro indirizzo».
«Grazie» si forzò a dire Jack.
I saluti furono veloci. Sarebbe andata a trovarla e comunque tutti e tre si sarebbero rivisti a Hogwarts. E soprattutto Jack non sopportava quel genere di saluti. Trascinò il suo baule fuori e porse il braccio alla Fleming per una Materializzazione Congiunta. Pochi secondi dopo riapparvero davanti a un’immensa villa. Jack fissò le sue accompagnatrici a bocca aperta. Stavano scherzando? Non era possibile che sua madre abitasse in un posto simile e l’avesse abbandonato.
«Siamo arrivati» disse, invece, l’addetta del Ministero come a rispondere alla sua muta domanda. «Sei fortunato. Gli Spencer-Moon sono molto ricchi».
Il ragazzo la guardò in cagnesco, ma la donna non se ne accorse e toccò con la mano l’imponente cancello. Non comprese quale fosse il meccanismo, sorprendendosi del fatto che si fosse subito aperto.
«Ma questi sono così sicuri di sé da non mettere alcuna protezione sulla casa?».
La Fleming, l’unica che mostrò di averlo sentito, si strinse nelle spalle.
«Attenti!» urlò una voce infantile.
Jack fece appena in tempo a voltarsi in quella direzione che una pluffa lo colpì in pieno viso. Decisamente doloroso.
«Scusa!» strillò la stessa voce di prima, stavolta più vicina. Strinse i denti e riaprì gli occhi. Era un bambino piccolo, che lo fissava spaventato. Aveva la faccia di uno che mangiava i bambini?
«Comunque ti aveva avvertito» disse un’altra voce, decisamente più arrogante.
Spostò lo sguardo su due bambine: erano identiche. Chi delle due aveva parlato?
«Ti fa molto male?» chiese preoccupata miss Fleming.
«No, non è nulla» borbottò. Si era fatto di peggio. E per far vedere che era tutto ok, si abbassò e recuperò la pluffa. «Sta più attento la prossima volta» disse lanciandola al bambino.
«Voi chi siete?» domandò una delle due gemelle.
«Oh, noi siamo qui per conto del Ministero. Vorremmo parlare con i signori Spencer-Moon» ne approfittò all’istante la signora del Ministero.
«Mio padre è in casa. Robin, accompagna i signori dentro» rispose sempre la stessa gemella gettando un’occhiata eloquente al bambino.
Robin non sembrò felicissimo, ma obbedì. «Prego, seguitemi» mormorò educatamente.
Lo seguirono oltre la porta di quercia e Jack fissò a bocca aperta l’ampio e arioso ingresso. Il bambino li condusse in un salotto, arredato con gusto, ma quasi asettico. Non sembrava molto vissuto. Se quello era l’inizio, a Jack non piacque. Non era abituato a vivere in una casa bomboniera.
«Accomodatevi, vado a chiamare mio padre».
E neanche diventare un damerino.
«Hai visto che bella casa?».
Ma quella non stava mai zitta? Jack la lasciò blaterare senza ascoltarla minimamente.
«Ricordati, nessuno ti sta costringendo a fare nulla» gli sussurrò la Fleming, proprio mentre un uomo entrava nel salone con Robin alle calcagna. Aveva i capelli brizzolati e molto folti e indossava una semplice veste da mago di un azzurrino chiaro con delle bruciature.
«Buongiorno, vi chiedo scusa se vi ho fatto attendere. Sono Sylvester Spencer-Moon. Come posso aiutarvi?».
I tre si alzarono dal divano e gli strinsero la mano. «È un piacere conoscerla signor Spencer-Moon. Mi chiamo May Robins. Io e la mia collega, Fleming, siamo qui per parlarle di una questione molto delicata e personale».
«Ma prima», intervenne la Fleming, «non avrebbe del ghiaccio da mettere sulla guancia di Jack? Gli si sta gonfiando».
«Non l’abbiamo fatto apposta» mormorò Robin crucciato.
«Non c’è bisogno» borbottò Jack, non abituato a tutte quelle attenzioni.
«Tin» chiamò Sylvester. Un elfo domestico, con una specie di tunica colorata addosso, apparve.
«Il padrone ha chiamato?».
«Sì, per favore, porta qualcosa per guarire la guancia del ragazzo». L’elfo s’inchinò e scomparve. «L’avete colpito con la pluffa?» chiese poi al figlio.
«Sì, ma non l’ho fatta apposta» ripeté il bambino.
L’uomo sospirò e gli scompigliò il capelli. «Ti devo delle scuse… Jack, giusto?».
«Vostro figlio si è già scusato» ribatté. I genitori proprio non riusciva a comprenderli. D’altronde non aveva molta pratica. Nessuno sano di mente avrebbe considerato suo padre come tale. E non voleva problemi con i genitori degli altri.
«Cosa posso offrirvi?» chiese allora il padrone di casa, quando l’elfo riapparve e consegnò un involucro contenente ghiaccio a Jack. Il ragazzo cominciava a seccarsi di tutti quei convenevoli. Perché non andavano dritti al punto? Ringraziò di malavoglia quando l’elfo gli portò un bicchiere di succo di zucca ghiacciato.
«Sarebbe meglio se il bambino uscisse» disse la Robins.
Sylvester si accigliò. «Si tratta di qualcosa di grave?».
«No, ma non sono argomenti da affrontare di fronte a un bambino».
L’uomo non ne sembrò convinto, ma decise di non polemizzare. «Robin, per favore, torna a giocare fuori con Ella e Abigail». Appena il bambino ebbe lasciato il salone, Sylvester chiese: «Ditemi tutto».
«Sua moglie Vivienne non è in casa?».
«No, probabilmente rientrerà per cena» rispose Sylvester. «Qualunque cosa potete dire a me. Qualunque guaio abbia combinato con il Ministero tanto toccherà a me risolverlo».
«Ecco vede, questo ragazzo è Jack Fletcher. Il Ministero ha svolto le dovute indagini nel momento in cui il padre è stato arrestato. Si è scoperto che la madre è vostra moglie Vivienne».
Sia Jack sia la Fleming fissarono la donna inorriditi: era questo il modo di comunicare simili notizie? Quella donna non aveva proprio tatto!
Sorprendentemente Sylvester non sembrò né turbato né sorpreso. «Sono al corrente del fatto che mia moglie mi ha tradito sedici anni fa e so anche che rimase incinta. Il nostro è stato un matrimonio combinato. I primi anni ho creduto che avremmo potuto costruire qualcosa di buono. Abbiamo avuto due bambini a distanza di un anno e questo mi rendeva felice e speranzoso. Poi sono iniziati i problemi. Non che la voglia giustificare, lungi da me, ma quando mi ha tradito eravamo proprio alle strette. Visto e considerato che mi ha tradito con Mundungus Fletcher credo che sia stata più che altro ripicca nei miei confronti. Diciamo che avevo sperato di poterla cambiare almeno un po’, renderla meno superficiale. Lei non l’ha presa bene».
Jack si alzò. «Andiamocene» sbottò sprezzante. Lo sapeva che la moglie era incinta. L’avevano abbondonato consapevolmente, avevano rimesso insieme il loro matrimonio e tanti saluti. Non avrebbe elemosinato nulla da nessuno.
«Aspetta!» lo bloccò la Fleming. Lo spinse a sedere con risolutezza. «Perché avete abbandonato Jack, allora? Se ho capito bene, lei non ama sua moglie e viceversa. Che problema avrebbe avuto a crescere un altro bambino?».
«Nessuno» ammise pacato Sylvester. «Non io comunque. Gli avrei dato il mio cognome e via. I pettegolezzi sarebbero durati un po’ e poi la gente avrebbe trovato altro di cui sparlare».
«E allora perché?» insisté la donna.
«Vivienne non era convinta. Decise di trascorrere la gravidanza a casa di sua madre. Quando tornò qui aveva già partorito e non volle dirmi nulla del bambino, se non che l’aveva consegnato al padre. Litigammo. Non mi piaceva come ragionava. Impiegammo qualche anno per trovare un equilibrio o meglio una specie d’accordo, come preferite voi».
«Quindi per lei non è un problema assumere la tutela di Jack?» intervenne la Robins.
«No, nessun problema».
«Ma è magnifico! Sei contento, Jack?».
Come no, contentissimo pensò amaro il ragazzo.
*
«Ciao, papà. Quando sei tornato?» trillò Dorcas e dopo aver posato le buste della spesa sul tavolo gli si avvicinò e gli scoccò un bacio sulla guancia.
«Ciao, tesoro. Come mai ci avete messo tanto? Iniziavo a preoccuparmi».
«Mi dispiace, è colpa mia» mormorò Dorcas. «Ho chiesto a mamma e nonna di fermarci in un internet caffè».
«E che sarebbe?» chiese Gabriel Fenwick aggrottando la fronte.
«Una roba babbana» borbottò la moglie, mentre sistemava la spesa. Nonna Joanne si sedette sul divano accanto al figlio.
«Si possono usare i computer pagando poche sterline» spiegò Dorcas.
«Bel modo di usare la tua paghetta» borbottò l’uomo fissando la figlia severo.
«Avevo bisogno di trovare un’informazione importante e non so se l’avrei trovata su un libro… e poi ti ho chiesto un milione di volte di comprarmi un computer».
«E io un milione di volte ti ho risposto di scordartelo».
«Tentar non nuoce» replicò Dorcas scrollando le spalle.
«Tua figlia ti deve chiedere una cosa» annunciò nonna Joanne, bloccando la mano del figlio che stava recuperando il giornale.
Gabriel sollevò un sopracciglio e fissò Dorcas in attesa.
La ragazzina per un momento esitò non ricordando di che cosa la nonna stesse parlando.
«Suvvia, tesoro. Si tratta solo di una festa di compleanno! Gabriel, la bambina ha bisogno di stare con i suoi coetanei».
«Io non sono una bambina!» disse indignata Dorcas. «E ti ho detto che non voglio andarci!».
«Vedi, dovresti spingere tua figlia a essere più socievole».
«Ma se non vuole andarci» borbottò Gabriel, con la faccia di chi non sa come togliersi dall’impiccio.
Dorcas avrebbe voluto chiudere la questione immediatamente. La sua attenzione fu attratta, però, dal giornale. Il cuore iniziò a batterle in modo anormale e non sentì più la discussione tra il padre e la nonna. Strappò il giornale dalle mani del padre e fissò l’immagine in prima pagina. Non si era sbagliata. Era lui.
«Dorcas?» la chiamò suo padre. «Ma che fai?».
Si era lasciata cadere sul tavolino dietro di lei, facendo cadere alcuni colori di suo fratello Doc.
«Stai male?» chiese allarmata la nonna. Dorcas percepì anche la presenza della mamma, ma si rivolse a suo padre quando ritrovò la voce: «C-che cos’è successo a Jesse?».
«Steeval? Da quand’è che lo chiami per nome? Non state nemmeno in classe insieme. Lui è molto più grande di te». La moglie gli tirò una gomitata. «A quanto pare la Selwyn ha capito che lui non era più convinto di unirsi al suo esercito e non l’ha presa bene. Comunque si riprenderà» si affrettò a dire vedendo la figlia diventare ancora più bianca.
«Tesoro, Jesse è tuo amico?» chiese dolcemente la mamma.
«Sì… Voglio andare a trovarlo al San Mungo».
«Non se ne parla!» ribatté Gabriel con forza e si riprese il giornale.
«Ma papà! Perché?».
«Appena starà un po’ meglio affronterà un processo del Wizengamot e probabilmente sarà condannato».
«Che cosa?! Devi fare qualcosa! E poi suo padre è il Capitano della Squadra Speciale Magica!».
«Che importanza ha? Ha confessato di aver partecipato all’omicidio di Sibilla Cooman!».
Dorcas fu presa in contropiede dalle parole arrabbiate del padre, ma fu un attimo. «Ha cambiato idea e sono sicura che non è stato lui a ucciderla!».
«SMETTILA!» urlò suo padre. «IL FATTO CHE NON L’ABBIA UCCISA DI PERSONA NON GIUSTIFICA LA SUA PRESENZA! NON AVREBBE NEMMENO DOVUTO AVVICINARSI A CERTA GENTE! HA DISTRUTTO LA SUA FAMIGLIA! CHI SIA SUO PADRE NON CONTA NULLA! È CHIARO?».
Dorcas lo fissò scioccata: non le aveva mai urlato contro in quel modo. «Lui si è pentito! Ne sono sicura! Mi ha fatto vedere che ha messo l’anello d’argento, che suo padre gli ha regalato per il diciottesimo compleanno, al dito indice della mano sinistra! L’ho cercato su internet e indica sottomissione! Capisci?».
Gabriel la fissava incredulo. «Non capisco che cosa ti sia preso» borbottò arrabbiato.
In realtà non lo capiva neanche lei, ma non riusciva a dimenticare il fiordaliso che Jesse le aveva donato.
*
«Avada Kedavra» urlò Dumbcenka.
«Fianto duri» pronunciò contemporaneamente James. Tenne duro respingendo la maledizione dell’altro. Per la forza del colpo perse l’equilibrio e cadde in ginocchio. Vide, però, Dumbcenka cadere a terra a sua volta.
James si svegliò di soprassalto. Respirava affannosamente. Si sedette di scatto sul letto, dopo aver allontanato con foga le lenzuola che sembrano essersi appiccicate addosso. Accese la luce, ma a differenza del solito non fu sufficiente a rallentare il battito del suo cuore, che sembrava volergli scoppiare nel petto.  Rivedeva quella scena in sogno da settimane. Non ne poteva più. Decise di alzarsi e scendere in salotto. Magari un po’ di televisione l’avrebbe fatto riaddormentare.
Si gettò sul divano e accese la tv, tenendo il volume molto basso. Ci mancava solo che svegliasse tutta la famiglia. Non che a quell’ora vi fosse molto da vedere.
Sbuffò e tentò di schiarirsi i pensieri. In quelle settimane non aveva fatto altro che ripensare a quella maledetta Terza Prova del Torneo Tremaghi. Aveva riflettuto su ogni particolare dello scontro con Dumbcenka, sia da solo sia con Caspar Shafiq, che sarebbe stato il suo magiavvocato al processo: non avrebbe potuto comportarsi altrimenti. Mors tua, vita mea. Non gli piaceva, ma era così. Quel ragazzo aveva tentato di ucciderlo e lui si era semplicemente difeso. Si coprì il volto con le mani. Era stanco, stanco di quella situazione. Com’era arrivato fino a quel punto? Meno di due anni prima il suo unico interesse era vincere il Campionato di Quidditch e diventare Capitano della squadra di Grifondoro. Ora invece si trovava in un macello assurdo.
«Jamie?».
«Mamma? Ti ho svegliato? Scusa…».
Ginny Potter sospirò: «Diciamo senso sesto materno. Non hai fatto rumore. Ora capisco tua nonna, diceva che sapeva sempre quando stavamo male».
«Non sto male» borbottò James.
Ginny sollevò un sopracciglio scettica. «Sì, e io sono Baba Raba». Lo abbracciò stretto e James non si divincolò come ormai faceva spesso, affermando di essere troppo grande per certe cose. «Hai rifatto quell’incubo?» domandò preoccupata. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi e aveva appoggiato la testa sulla sua spalla. Era diventato molto alto negli ultimi mesi e l’aveva completamente superata. Gli accarezzò i capelli.
«Lo faccio ogni notte» sospirò esasperato. «Non ne posso più».
«Mi dispiace, Jamie… quello che ti è successo… è terribile… e non so come aiutarti…».
«Dopo il primo momento di shock… io… io non mi sento più tanto in colpa per averlo ucciso… cioè non volevo morire al posto suo… e lui se l’è cercata… sono un mostro?».
«No, che non lo sei! E vedrai che anche il Wizengamot ti riconoscerà innocente!».
«Papà mi sta evitando…».
«Non farti venire strane idee in testa! Tuo padre è distrutto per non averti protetto da questo dolore ed è assorbito totalmente dal lavoro. Non ti sta evitando, vuole solo darti il tempo di elaborare quello che è successo. Abbiamo chiesto anche a Lily e Al di lasciarti in pace…».
«Grazie» mormorò James, abbracciandola con forza. «Vi voglio bene».
*
Jack non aveva mai partecipato alle esequie di un Auror, ma erano impressionanti. O almeno lo erano per lui. Quasi l’intero corpo Auror era presente con le divise scarlatte perfette. Il Capitano Potter era in prima fila, insieme al vice Capitano Weasley e tre dei suoi sotto vice capitani. Probabilmente il quarto era rimasto al Quartier Generale. Ai coniugi Burke era stato permesso assistere, ma erano circondati da uomini della Squadra Speciale Magica. Una ragazzina di circa dodici anni era sconvolta dal pianto e si stringeva disperatamente a un Auror che lui non conosceva.
Chissà chi era stato veramente Edward Burke. Non erano mancate le fughe di notizie, purtroppo anche anonime, ciò significa da qualche Auror che in realtà era una spia. E allora perché quelle esequie in pompa magna? Ci credeva che Williamson non si fosse presentato come insinuava qualche giornalista pettegolo. Ora il caprio espiatorio era Jesse Steeval. La comunità magica puntava il dito contro di lui, non potendo puntarlo più contro il giovane Burke.
Era andato al funerale sia per curiosità sia per vedere se riusciva a scoprire qualcosa di interessante. Qualcosa che magari sarebbe sfuggita agli Auror, emotivamente troppo coinvolti quel frangente. In realtà il suo piano si era rivelato un buco nell’acqua. E avrebbe dovuto immaginarlo: dopo gli ultimi arresti, nessun possibile sospettato si sarebbe presentato in un luogo pullulante di Auror. Un esperto non avrebbe commesso errori stupidi. Si erano presentati solo i famigliari dei Burke, ma naturalmente nessuno dei latitanti come per esempio i coniugi Avery.
Quando i convenuti iniziarono ad andarsene, decise di fare altrettanto. In fondo non aveva motivo di trovarsi lì, ci mancava solo di attirare l’attenzione degli Auror su di sé. Voltandosi, però, si comprese che era ormai troppo tardi.
«Non dovresti essere qui. È possibile che tu faccia sempre quello che vuoi? Il professor Williams non è stato chiaro?».
«Salve, Capitano».
«La famiglia cui sei stato affidato sa che sei qui?» chiese Harry retoricamente.
«No, non chiedo il permesso a nessuno io».
Harry sbuffò. «Ora ti riporto a casa e poi vediamo se non chiedi il permesso a nessuno finché non compi diciassette anni» borbottò prendendolo per il colletto e smaterializzandosi.
«Ma che fa?» sbottò con ancora addosso la nausea della smaterializzazione.
«Devi smetterla di rischiare la pelle per nulla!».
«Quel posto pullulava di Auror! Quasi l’intero Dipartimento! Un luogo più sicuro? Non certo questo! Qui vive una famiglia di straricchi. E il vecchio non è interessato se le moglie gli ha messo le corna!».
«Io credo che tu stia sottovalutando il vecchio» replicò Harry, mentre procedevano lungo il viale del giardino. Jack lo fissò scettico. «Molti dei nuovi incantesimi difensivi gli dobbiamo a lui».
«Cosa?!».
«Ha sentito» replicò seccamente, mentre l’elfo domestico Tin li faceva strada verso lo stesso salotto asettico del mattino.
«Io non ho bisogno di una famiglia» sbottò Jack.
Harry lo guardò malissimo. «Ne abbiamo bisogno tutti, a maggior ragione alla tua età».
«Capitano Potter! Jack!». Sylvester Spencer-Moon li andò subito incontro.
«Come sta?» chiese Harry stringendogli la mano.
«Non mi lamento. Mi ha riportato Jack, vedo. Ero preoccupato, infatti ho chiamato miss Fleming. Mi ha detto che purtroppo ha questo vizio».
Jack fece una smorfia di fronte a quella che era palesemente un rimprovero. Non aveva bisogno che qualcuno gli facesse la morale!
«Io sono abituato a fare quello che voglio» dichiarò.
«Beh, mi dispiace contraddirti… anzi no… ma adesso hai degli adulti, oltre i tuoi docenti, cui rendere conto. Fattene una ragione» disse serio Harry.
«Ma chi si crede di essere?!» sbottò Jack.
«Un giorno me ne sarai grato» disse Harry, alzandosi. «Io devo andare. Buona fortuna». I due adulti si strinsero di nuovo la mano e Sylvester accompagnò personalmente l’ospite alla porta.
Jack percorse a grandi passi la stanza, senza sapere come comportarsi. Se il tizio adesso aveva intenzione di trattarlo come un figlio disobbediente si sbagliava di grosso. Non era suo padre. E glielo disse appena rimise piede nel salotto. Sylvester aggrottò la fronte e annuì.
«Hai le tue ragioni. Possiamo fare un accordo, però».
«Che tipo di accordo?» chiese sospettoso.
«Avrò diritto di veto sulle tue uscite, ma qui in casa sei libero di fare tutto ciò che vuoi… naturalmente senza trascinare i miei figli…».
«Nel senso che non devo contaminarteli?» chiese sprezzante.
«No» sospirò l’uomo. «Intendevo dire che loro devo continuare a seguire le mie regole. Per il resto puoi instaurare con loro il rapporto che preferisci… personalmente sarei felice se fosse un rapporto amichevole e non conflittuale. E ora vieni, ti stavamo aspettando per cenare».
Il resto della serata fu strano per Jack. La madre non gli rivolse neanche un’occhiata e questo lo ferì profondamente; ma quelli che, a quanto pare erano i suoi fratellastri, si mostrarono fin da subito socievoli e simpatici. Il più grande, Aaron, frequentava l’Accademia Auror e non si era mostrato per nulla infastidito dal terzo grado cui l’aveva sottoposto per tutta la cena. Addirittura aveva partecipato alla difesa di Azkaban ed era anche rimasto ferito: teneva il braccio appeso al collo con una fascia, proprio come i Babbani quando si rompevano un braccio. Gli aveva spiegato che i Neomangiamorte avevano una nuova maledizione, che poteva essere curata solo con metodi babbani. Poi c’era Phoebe, una ragazza un po’ strana ma apparentemente simpatica, studiava lingue come il marinese. Abigail ed Ella le aveva già conosciute insieme al più piccolo della famiglia, Robin. Erano delle vere chiacchierone! L’unico che non aveva proferito parola fino al momento di andare a letto era stato il tredicenne Nathan. A quanto aveva detto una delle gemelle, non riusciva a distinguerle, era un magonò e questo naturalmente non lo rendeva felice.
La sua camera, perché sì ne aveva una tutta sua, era enorme. Doveva solo convincere il vecchio a lasciarlo andare a trovare Nyah. Odiava non mantenere le promesse. E sarebbe stato tutto perfetto.
*
«Ragazze, avrei bisogno di parlarvi di una questione importante» esordì Adrian Wilson fissando le due figlie: Virginia e Lauren.
Virginia sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo e si spostò una ciocca dei suoi lunghi capelli neri dietro l’orecchio. Era una Corvonero in tutto e per tutto, come sua sorella Lauren non mancava di sottolineare, e da settembre avrebbe frequentato il quinto anno. L’anno dei G.U.F.O. E lei voleva dimostrare di essere la migliore.
Sua sorella stravaccata sulla poltrona con il suo kneazle in grembo non si era neanche mossa.
«Vedete io…» iniziò Adrian nervosamente.
«Papà» sbottò Lauren. «Sembri me quando ti devo spiegare perché sono rientrata dopo l’orario concordato…».
Adrian tentò di sorridere, ma gli uscì più una smorfia. «Il punto è che…» prese un bel respiro e continuò: «mi sto frequentando con una donna».
Virginia si irrigidì. Per un attimo credette di star avendo un incubo. Non era possibile una cosa del genere! Purtroppo, però, era sveglia.
«Una donna?» disse Lauren. «Meno male, pensa se ti stessi frequentando con un petardo cinese… insomma sarebbe interessante… ma baciarlo…».
Come diamine faceva sua sorella a reagire in quel modo? «Perché non fai la seria una volta tanto!» s’irritò.
«Sì, infatti Lauren. Virginia, ha ragione. È importante per me. Potresti smettere di giocare con il gatto e prestarmi attenzione?» chiese Adrian.
«Mr. Simon non è un gatto, è uno kneazle. Dovresti sapere che non è la stessa cosa! E comunque sono attentissima. Hai appena detto che stai frequentando una donna. Grazie di avercelo detto e non tenuto nascosto».
«Da quanto tempo?» chiese, invece, Virginia.
«Quasi un anno» mormorò Adrian.
«Che cosa?! E meno male che non ce l’avevi nascosto!».
«Non l’hai mai portata a casa, vero?» domandò Lauren seria.
«No, non mi sarei mai permesso senza dirvelo».
«Se ce lo stai dicendo significa che è una cosa seria?» continuò Lauren. Virginia trovava insensata l’intera conversazione: loro padre non poteva frequentare una donna!
«Sì, infatti. Inoltre è stata sfrattata e vorrei invitarla a vivere qui. Naturalmente solo se voi siete d’accordo».
«No» sbottò Virginia con forza.
«Dipende» rispose contemporaneamente Lauren.
Le due ragazze si fissarono.
«Ma sei pazza?» sibilò Virginia.
«Non credo di essere io quella che ha problemi qui dentro» replicò Lauren squadrandola con sospetto.
«Virginia, tesoro, che problema c’è?» chiese Adrian.
«Come che problema c’è?! Tu sei mio padre, non puoi uscire con le donne!».
«No, scusa, non per ripetermi. Ma dovrebbe uscire con un petardo cinese?».
«Non può uscire con una donna! I padri non fanno queste cose!» insisté.
«Ma sei scema? Nostro padre non ha neanche quarant’anni! Ha tutto il diritto!».
Virginia incrociò le braccia al petto e fissò il padre.
«Posso farvela conoscere. Potete almeno provarci?» chiese supplichevole Adrian.
«Sì. Se ci starà simpatica, la potrai portare qui» concesse Lauren.
Virginia rimase in silenzio.
*
Albus accarezzò Smile la sua fenice e si lasciò cullare dal suono lento e lamentoso della chitarra di Alastor.
«Al, il tuo speculum si è illuminato» lo avvertì l’amico, smettendo di suonare.
Il ragazzo si voltò verso la scrivania e si affrettò ad aprire lo speculum. Il volto rosso e lacrimoso di Dorcas Fenwick lo fissava. «Dor, che succede?».
Alastor si avvicinò per ascoltare meglio.
«Jesse è ferito! E mio padre non vuole che io vada a trovarlo!» singhiozzò la ragazza.
«Jesse?» replicò interrogativo Alastor.
«Intendi Steeval?» chiese, invece, Albus.
«Sì! A quanto pare si è ribellato alla Selwyn ed è riuscito a sfuggirle per un pelo! Voglio vederlo! Che devo fare?».
Albus si scambiò un’occhiata con Alastor: a nessuno dei due era mai piaciuto quel ragazzo. «Intanto calmati… Magari tuo padre sa qualcosa che non vuole dirti… Ecco perché non vuole che tu vada a trovarlo…».
«Non l’ho mai visto così irragionevole! Non ne vuole neanche parlare!» si lamentò Dorcas.
«Gli adulti sono bravi a non parlare» borbottò contrariato Alastor. «Per loro le cose stanno sempre e solo come vogliono loro, mai che ascoltino!».
Albus sospirò: non aveva la minima idea di come aiutare i suoi amici.
«Ti prego Al, cerca di scoprire qualcosa in più da tuo padre».
«Ok» acconsentì, sebbene fosse consapevole che suo padre non avrebbe parlato facilmente.
«Grazie» sussurrò Dorcas prima di chiudere la conversazione.
Albus chiuse lo speculum e fissò Alastor, che aveva ripreso in mano la sua chitarra. Quell’estate era iniziata da schifo, ma non stava minimamente migliorando…
*
Roxi rabbrividì. Per essere fine luglio a quell’ora faceva veramente freddo. Era stata una stupida a non prendersi una giacca. Si accucciò un po’ di più dietro il muro per non essere vista e continuò a osservare i ragazzi. Erano davvero bravi. Peccato che stessero sfruttando il loro talento per provocare la gente di Diagon Alley. Non che lei avesse nulla contro la sfida alle autorità, ma in quel modo era fine a sé stessa. Che cosa volevano ottenere? Semplicemente farsi notare?
Dalla sua bocca fuoriuscì un mugolio strozzato quando qualcuno la tirò fuori dal suo nascondiglio premendole una mano sulla bocca. Il battito del suo cuore rallentò lievemente quando si rese conto che era stato uno dei ragazzi ad acchiapparla. Per un attimo aveva pensato ai Neomangiamorte: ormai non si sapeva più di chi fidarsi. I suoi le avevano detto che ventitré anni prima era iniziato tutto così.
«Ragazzi, abbiamo una piccola spiona!» annunciò il ragazzo.
Roxi scalciò per indurlo a mollarla.
Uno dei più grandi, quello che doveva essere il capo, si avvicinò con una bomboletta in mano. Aveva una guancia macchiata di rosso. Era così adorabile! Roxi sgranò gli occhi e si diede della cretina: come poteva pensare una cosa del genere in quel momento?
«È una Weasley, mollala. Ragazzina, non azzardarti a urlare, però».
Roxi, finalmente libera, si ricompose. «Se ti preoccupa il vecchio Hackett, era vicino al Paiolo Magico… Mi è sembrato intenzionato a farsi una bella bevuta…».
«Meglio così… Tu cosa vuoi?».
«Mi piacciono i vostri disegni… siete davvero bravi!».
«Grazie. Io mi chiamo Rod».
«Roxi» disse sorridente la ragazzina. «Mi fareste disegnare con voi?». Gli altri ragazzi risero di lei, che si imbronciò. «Guardate che me la cavo bene. Ho portato alcuni miei disegni se volete vederli».
«Roxi, tornatene a casa. Questo non è posto per te» disse freddamente Rod, con l’approvazione degli amici.
«Noi i maghi non li vogliamo!» sibilò un altro, il cui volto era in penombra. A Roxi, però, non interessava vederlo. Le parole di Rod l’avevano profondamente delusa.
«Se non te ne vai con i tuoi piedi…» minacciò un ragazzo alto e massiccio. Rod le aveva voltato le spalle e aveva ripreso a colorare.
La ragazzina sospirò: «Me ne vado, tranquilli». Strinse al petto lo zaino con i suoi disegni, chiedendosi che cosa ci fosse di sbagliato in tutto quello. Perché non volevano i maghi? Le loro famiglie erano magiche, anche se loro erano maghinò. E se la società tendeva a emarginarli, lei che cosa c’entrava? Non era giusto. Si passò una mano sugli occhi per scacciare le lacrime. No, non era proprio giusto.
 

Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo! Spero che vi piaccia!
Ci sono parecchi riferimenti alla fanfiction precedente, quindi penso di dover qualche chiarimento (per chi non l’ha letto ;-)):
  1. Jack è il figlio di Mundungus Fletcher, che è stato arrestato da qualche mese. Durante le vacanze di Natale era stato ospite di Samuel Vance (qui ancora non apparso), nipote di Bellatrix Selwyn.
  2. Bellatrix ha cercato mercenari e combattenti in Africa, gli Auror stanno indagando. Ormai però devo occuparsi di chi è arrivato in Inghilterra, anche per questo è stata convocata la Confederazione Internazionale dei Maghi, e non tutti possono essere rimpatriati.
  3. Jack, Virginia, Roxi e Albus sono coinvolti in una Profezia pronunciata nell’800 da Cassandra Cooman.
  4. Jesse, come si intuisce dal cognome, è figlio di Terry Steeval.
  5. Gli speculum sono una mia invenzione (marca Tiri Vispi Weasley): sono degli specchietti che servono per comunicare.
 
Il cognome Spencer-Moon non è di mia invenzione. La Rowling ha indicato Leonard Spencer-Moon come uno dei Ministri della Magia del passato.
 
Spero che la storia vi stia interessando almeno un pochino… Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) 
   
 
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