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Autore: Tielyannawen    23/06/2017    1 recensioni
Caradoc Dearborn, scomparso sei mesi dopo, non abbiamo mai ritrovato il corpo…
Cosa è accaduto realmente a Caradoc Dearborn? Questa è la sua storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caradoc Dearborn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAPITOLO 4: Cammino

 

Sede Segreta dell’Ordine della Fenice, Inghilterra - 2 agosto 1981

Dall’alto della sua finestra, Dorcas scrutava due figure identiche allontanarsi lungo il vialetto, a passi rapidi e con le bacchette in pugno.
Gli ultimi raggi del sole si impigliavano nei loro capelli ramati, perennemente in disordine dato che se li tagliavano da soli senza però possedere alcun senso estetico. Aveva sempre pensato che così combinati sembrassero dei buffoni, almeno fino al momento in cui le avevano mostrato una fotografia che testimoniava come li avesse conciati la sorella maggiore per anni. Da quando possedevano una bacchetta vietavano a chiunque di avvicinarsi ai loro capelli, specialmente a Molly Prewett in Weasley. E nonostante sembrasse impossibile, era stato un notevole miglioramento.
Se da bambina le avessero detto che avrebbe trovato i suoi migliori amici tra simili personaggi, si sarebbe fatta una bella risata. Era assurdo che proprio lei, Dorcas Meadowes, severa e intransigente fin dall’infanzia, potesse avere qualcosa in comune con i sorridenti e scanzonati gemelli Prewett. Nessuno avrebbe scommesso un singolo zellino di bronzo su una tale bizzarra possibilità. Eppure il caso, e Albus Silente, avevano deciso diversamente.
Erano ormai giunti al limite della proprietà e Dorcas li vide discutere animatamente, quasi certamente su chi dovesse smaterializzarsi per primo. I loro vecchi mantelli rattoppati ondeggiavano sulla ghiaia, svolazzando allegri nell’aria del tramonto, nonostante di certo avessero visto giorni migliori.
Pochi minuti prima, Gideon era salito di corsa, fermandosi davanti alla porta; aveva bussato con esitazione, implorandola di aprirgli, ma lei non si era mossa, restando seduta in silenzio. C’era ancora troppa rabbia, troppa delusione, troppa tristezza nel suo cuore. O forse, semplicemente, non voleva salutare un altro amico con il rischio di non rivederlo più.
Quando li osservò roteare e scomparire nel nulla, un singhiozzo le mozzò il fiato e le sue gambe cedettero, facendola finire in ginocchio. Fu allora che decise. Al loro ritorno li avrebbe abbracciati e avrebbe chiesto perdono per la durezza con cui si era comportata. Poi nulla le avrebbe impedito di accompagnarli in missione e sarebbero rimasti insieme, come era giusto che fosse.
E per Natale avrebbe comprato due mantelli nuovi. Arancione per Fabian e verde per Gideon, perché essere gemelli non significava certo essere copie.


Riva del Fiume Hudson vicino ad Albany, New York - 4 agosto 1981

Le prime luci dell’alba non erano ancora sorte quando Caradoc si svegliò. Si era riparato in un boschetto di aceri, poco distante dal fiume che stava seguendo verso nord ormai da giorni. Allungò le gambe intorpidite e scosse il mantello, per liberarlo dall’umidità della notte.
Non gli dispiaceva dormire all’addiaccio. Da bambino attendeva l’estate con trepidazione e appena possibile implorava suo padre di portarlo in campeggio per il weekend. Ovviamente insieme a Benjy Fenwick, il suo migliore amico.
Nonostante le origini scozzesi, la famiglia Fenwick viveva poco lontano da loro e lui e Benjy erano diventati ben presto inseparabili. Durante le avventure in tenda nelle brughiere gallesi, i due scorrazzavano liberi in cerca di Berretti Rossi o di qualche Jarvey, sotto l’occhio vigile del signor Dearborn. La notte invece se ne stavano sdraiati con la testa fuori dalla tenda, intenti ad osservare le stelle, con la vana pretesa di riuscire a leggervi il loro futuro.
Nulla di quanto avevano immaginato si era minimamente avvicinato alla realtà. Come potevano due bambini pieni di sogni credere che pochi anni più tardi la guerra avrebbe sconvolto le loro vite?
«Eravamo soltanto degli sciocchi», mormorò infine, alzandosi con non poca fatica e dirigendosi verso il fiume. Si sciacquò il viso con l’acqua gelida e si sporse, tentando di scorgere il suo riflesso, ma ciò che vide era un estraneo pallido ed emaciato che non riconobbe. Nessuno lo avrebbe riconosciuto, forse nemmeno i suoi genitori. La maledizione lo stava consumando.
Il dilemma che lo tormentava da quando aveva lasciato l’Inghilterra riprese a rimbalzargli nella testa. Ciò che aveva scoperto poteva essere fondamentale per cambiare le sorti della guerra, anche se non lo comprendeva appieno. Era qualcosa di oscuro. E di sbagliato. Tremendamente sbagliato.
A quel punto la sua decisione era presa. Avrebbe tentato di contattare l’Ordine, anche se significava esporsi al pericolo di essere rintracciato. E conosceva un unico modo per farlo senza utilizzare la magia.

Quando entrò nel piccolo bar a ridosso della stazione di servizio, l’orologio appeso al muro segnava le sei del mattino. Il locale era quasi deserto, ad eccezione di un vecchietto che addentava una fetta di torta e di una coppia che litigava sottovoce in un angolo.
Si sedette al bancone e ordinò una tazza di caffè, che un cameriere assonnato e dalle mani particolarmente sudice gli servì senza nemmeno guardarlo in faccia.
Caradoc sorseggiò la bevanda, incurante che fosse troppo calda o troppo amara. Si guardò intorno, studiando i tavolini bianchi e rossi e il pavimento scrostato, alla ricerca di qualche segno di magia, di un mondo che gli sembrava sempre più lontano.
Dopo alcuni minuti si ritenne soddisfatto. Se di magico c’era qualcosa, poteva essere solo il fatto che quel bar fosse ancora in attività, nonostante la scarsa igiene e il pessimo caffè.
Si schiarì la voce e poggiò alcune delle banconote avute dal signor Seemann accanto alla tazzina, sperando con tutto il cuore che fossero sufficienti.
«Potrei utilizzare l’apparecchio per le comunicazioni telefoniche?», chiese scandendo la frase con attenzione.
Il cameriere lo guardò stranito e Caradoc si pentì di non aver mai seguito le lezioni di Babbanologia durante gli anni trascorsi ad Hogwarts. Gli sarebbero tornate senza dubbio utili. Sbuffò fingendo impazienza e prese a tamburellare con le dita sul bancone rovinato, finché l’altro non si riscosse, pur continuando ad esibire un’espressione perplessa.
«Inglese eh?», borbottò, e quando nessuna risposta giunse indicò una malconcia tenda grigiastra sulla parete opposta del locale. «Il telefono è laggiù».
Con un cenno del capo Caradoc si alzò, dirigendosi a grandi passi verso “il marchingegno infernale”, come lo chiamava Moody. Si concesse un sorriso ripensando ai giorni dell’addestramento, durante i quali avevano subissato di chiamate alcune ignare casalinghe del Sussex. I gemelli erano addirittura riusciti a farsi passare per venditori di scope, sotto lo sguardo esasperato di Dorcas.
Allora tutto appariva semplice.
Compose il numero e attese, stringendo il ricevitore più del necessario. Un debole ronzio, seguito da un attimo di silenzio, poi finalmente si udì un click e un motivetto prese a diffondersi dalla cornetta. «Studio legale Law&Lawson, sede di Londra, come posso aiutarla?».
Qualcosa non andava e Caradoc se ne accorse immediatamente. La voce che aveva appena parlato era fredda e posata, per nulla simile a quella squillante che si aspettava di sentire. Dovette riflettere in fretta, ma provare a trasmettere il suo messaggio poteva essere vitale, perciò decise di tentare ugualmente. Forse gli incarichi dell’Ordine erano cambiati in sua assenza.
«Salve, chiamo in merito alla pratica Sherbet Lemon. Ho alcune informazioni urgenti da riferire».
«Sherbet Lemon? Sta scherzando vero?», chiese la sua interlocutrice, il cui tono non suonava affatto divertito.
«Le assicuro di no. Chieda alla signora Figg, lei saprà di cosa sto parlando», tentò Caradoc, iniziando a sentire la disperazione montargli nel cuore. Cosa stava succedendo?
«La signora Arabella Figg non lavora più presso di noi. Quanto a lei, le consiglio di non disturbare oltre questo stimato studio legale con simili sciocchezze. Buona giornata».
Caradoc rimase immobile a fissare il ricevitore ormai muto. Una gelida consapevolezza si fece strada nel suo animo: stavano perdendo la guerra. E lui era dall’altra parte dell’oceano.


Campo del Fiume Lucente, Montana - 4 agosto 1981

Si svegliò con la fastidiosa sensazione che qualcuno la stesse osservando. Sbuffò e si girò su un fianco, decisa a non interrompere il suo sonno per nessuna ragione.
Cinque minuti dopo rinunciò all’impresa e socchiuse gli occhi, trovandosi di fronte il sorriso beffardo del fratello, che se ne stava comodamente disteso accanto alla porta, afferrando biscotti da un barattolo che volteggiava a mezz’aria.
«Buongiorno pigrona!».
«Vattene Pay, è il mio giorno di riposo!», si lamentò Macawi, tirando il cuscino in faccia al ragazzo nella vana speranza di allontanarlo.
«Qualcuno si è alzato di pessimo umore oggi», ghignò di rimando suo fratello, sventolando alcuni fogli sgualciti. «Forse una lettera del tuo fidanzatino riuscirà ad addolcirti».
La ragazza scattò a sedere e si lanciò su Paytah, tentando di strappargli la pergamena dalle mani. «Non è il mio fidanzato, è il mio migliore amico! Si può sapere perché voi tre impiccioni continuate ad aprire le mie lettere?».
«Come fratelli maggiori è nostro preciso dovere controllare la tua corrispondenza Tanksi», si difese il giovane divincolandosi. La giocosa zuffa durò un paio di minuti, finché Paytah non decise di essersi divertito abbastanza e allentò la presa sui fogli, permettendo alla sorella di appropriarsene.
Finalmente vittoriosa, Macawi rubò un biscotto e si accomodò sul tappeto. La pergamena era ricoperta da una calligrafia minuta e ingarbugliata che conosceva ormai da anni.

Ciao Mac!
(E ovviamente un saluto anche a Takoda, Kangee e Paytah, dato che di sicuro leggerete questa lettera prima di lei! Come state ragazzi? Qualche novità all’orizzonte?)
Il tirocinio estivo al MACUSA è davvero grandioso, sto iniziando a farmi conoscere e ho persino avvistato alcune personalità di spicco, anche se purtroppo non ho ancora avuto modo di avvicinarmi al piano della Presidenza.
Per il momento sono stato assegnato all’Ufficio Permessi Bacchette insieme alla tua compagna di stanza, Charlotte Taylor. È piuttosto simpatica, dovrebbe solo ricordarsi di respirare tra un discorso e l’altro. Il nostro superiore è un certo signor Abernathy, avrà quasi novant’anni, ma ricorda a memoria ogni permesso emesso dal 1925 ad oggi! Riesci a crederci?
Naturalmente New York è impressionante, ma non ho avuto tempo di visitarla perché preferisco passare le serate a riordinare i miei appunti, saranno di vitale importanza in vista delle lezioni di Diritto Magico. Il settimo anno non è uno scherzo e ormai il mio incubo ricorrente è fare una figuraccia agli esami finali.
Scusa ma ora devo proprio salutarti, il signor Abernathy mi ha affidato l’intera catalogazione delle richieste respinte negli ultimi dieci anni, potrebbe essere il mio primo vero incarico al MACUSA!
A presto,
Tim

Macawi sorrise dell’entusiasmo di Tim; lei si sarebbe sentita del tutto inadeguata in un simile ambiente, ma l’amico sembrava perfettamente a suo agio nei meandri della burocrazia. Un giorno avrebbe fatto carriera, ne era certa.
«A proposito, nella posta di stamattina c’era anche questa», le disse improvvisamente Paytah, posandole in grembo una busta rosso mirtillo ancora sigillata.
Con mani tremanti la ragazza sfiorò il nodo gordiano impresso nella ceralacca blu: il simbolo di Ilvermorny. Un’ondata di emozioni la travolse e per un istante si rivide bambina, con quella lettera stretta al petto, terrorizzata ed elettrizzata all’idea di varcare le porte della scuola.
«Voglio tornarci. A settembre tornerò ad Ilvermorny», mormorò infine.


Riva del Fiume Hudson vicino ad Albany, New York - 4 agosto 1981

Dopo il fallimento di quella mattina Caradoc aveva ripreso a camminare.
Non avrebbe dovuto esserne in grado ormai. La maledizione che Evan Rosier gli aveva scagliato era annidata in profondità e lo stava uccidendo. Eppure riusciva ancora a mettere un passo dietro l’altro.
Qualcosa lo attirava verso est, una traccia fragile e sconosciuta, che portava con sé una luminosa sensazione di pace. Forse era solo un’altra illusione creata dalla febbre, ma gli era parso giusto seguirla.
“Se in questa oscurità dovessi incontrare qualcosa di giusto, afferralo e non lasciarlo andare. Sarà la tua salvezza”, gli aveva detto Benjy poco prima di morire.
Così Caradoc Dearborn si allontanò dal fiume e si diresse verso le montagne.


Quartiere di Brixton, Londra - 6 agosto 1981

Fabian arretrò nel vicolo, reggendosi il braccio destro. L’ultima esplosione lo aveva colto di sorpresa e non era stato abbastanza rapido da evitare le macerie; doveva essere una brutta frattura, dato che non riusciva più a stringere la presa sulla bacchetta. E come Battitore se ne intendeva parecchio di ossa rotte.
Nonostante il dolore impegnasse gran parte dei suoi pensieri, il mago non poté evitare di chiedersi cosa fosse andato storto. Erano stati attenti, non avevano dimenticato nessuna delle solite precauzioni. Eppure li avevano scoperti immediatamente. Sembrava quasi che li stessero aspettando.
Alcune scintille verdi illuminarono il cielo notturno e vide suo fratello Gideon svoltare l’angolo con un balzo. Aveva un profondo taglio sulla fronte e il fiato corto, ma il suo sguardo era risoluto. Poteva ancora salvarsi se agivano in fretta.
«Gideon, devi andartene», disse in un sussurro che non ottenne risposta.
«Gideon, devi andartene ora», insistette, mentre diversi schianti indicavano che le loro barriere stavano per cedere.
«Sai che non lo farò, perciò taci e pensa a restare in piedi», gli rispose secco il fratello. Non aveva mai usato quel tono, mai in tutta la loro vita.
«Uno di noi deve ritornare. Per Dorcas. E io non posso Smaterializzarmi in queste condizioni. Mi spezzerei come un pivellino». E purtroppo era la verità. Lui era spacciato.
«Lei capirà», mormorò Gideon, ma la sua voce tremava piena di rimpianti. La vita era così ingiusta. «Lei sopravvivrà e noi combatteremo un’ultima volta, insieme».
«Insieme», annuì Fabian, facendo qualche passo avanti.
I loro cinque avversari li trovarono spalla contro spalla, le bacchette levate e il sorriso di chi non si sarebbe mai piegato.






NOTE:
* Luoghi. Il quartiere di Brixton a Londra fu teatro nel 1981 di diversi scontri sociali, perciò l’ho immaginato come terreno ideale in cui i Mangiamorte potessero agire indisturbati, mascherando i loro attacchi magici senza creare ulteriore scalpore agli occhi dei Babbani.
* Il Jarvey è una creatura magica simile a un furetto, che vive sottoterra ed è in grado di articolare brevi frasi; i Berretti Rossi invece sono esseri simili a nani, che amano vivere in zone che sono state teatro di battaglie sanguinose. Entrambe queste specie sono diffuse in Gran Bretagna.
* Sherbet lemon è il nome di un dolce Babbano molto amato da Silente, tanto che il preside lo userà anni più tardi come parola d’ordine per accedere al suo ufficio ad Hogwarts. Mi sembrava verosimile che venisse usato anche durante le operazioni dell’Ordine.
*Arabella Doreen Figg è una Maganò, facente parte dell’Ordine della Fenice. Il suo ruolo durante la prima guerra magica è ignoto, perciò ho immaginato che lavorasse come segretaria in uno studio legale a Londra, fungendo da referente d’emergenza per i membri in difficoltà.
* Per quanto possa risultare scontato, secondo me Fabian e Gideon giocavano come Battitori ai tempi della scuola. Inoltre mi piace l’idea di creare una sorta di legame con i gemelli Weasley: anche se avevano solo tre anni quando gli zii morirono, credo che andassero molto d’accordo.

   
 
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