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Autore: Ortensia_    01/07/2017    2 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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IX


Mi aggrappo a te, come edera fragile su di un tronco




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S e n d a i __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Era estate, e anche nelle grandi città come Sendai si celebrava il Tanabata, una delle maggiori festività del calendario giapponese.
Nella sua oscurità, il cielo era limpido, quella notte. Al di là di yukata colorati e capigliature elaborate, se Tooru alzava lo sguardo riusciva a vedere con chiarezza le stelle, grossi cristalli bianchi incastonati sopra le loro teste e piccoli aloni dispersi in lontananza, come se la luna si fosse lasciata alle spalle vecchie lacrime e ora ne stesse versando di nuove.
Le dita della madre, strette attorno alle sue, erano calde e gentili, e lo yukata azzurro della donna ondeggiava leggiadro a pochi centimetri dal suo viso, come la vela di una barca in mezzo al mare. Lei camminava lentamente, con un sorriso sereno stampato sulle labbra, ma non era interessata alle bancarelle; sembrava, piuttosto, che volesse trascorrere più tempo possibile lontano dalla monotonia di casa, mano nella mano con il figlio di appena sei anni. Aveva promesso a Tooru che gli avrebbe comprato una mela caramellata e che poi sarebbero andati a vedere i fuochi d'artificio, per questo lui – per quanto corte le sue gambe e scomodi i geta – camminava molto più in fretta di lei.
Tuttavia vi fu un momento in cui Tooru rallentò.
La voce disperata di una bambina era giunta alle sue orecchie, e per un istante lo aveva pietrificato. Sua madre sembrava non essersi accorta di nulla, ma lui aveva notato quasi immediatamente ciò che stava accadendo: una bambina con indosso uno yukata giallo e bianco di almeno una taglia più grande di lei stava strattonando sua madre per il braccio, urlava e la supplicava di fermarsi, mentre con la mano sinistra cercava di afferrare qualcosa che si trovava a terra.
«Il mio pesce rosso! Mamma! Il mio pesce rosso!» la bambina era disperata, scoppiò a piangere e Tooru lasciò la mano della propria madre.
­«Te ne comprerò un altro,» la madre della bambina non si voltò neppure a guardare, ma continuò a trascinare la figlia «forza! Dobbiamo andare, adesso!»
Tooru balzò in avanti di un paio di passi, mentre la bambina con lo yukata giallo e bianco scomparve nella folla – e il rumore del suo pianto appena qualche secondo più tardi, sovrastato dallo sfrigolio dei takoyaki e dalle risate delle persone.
Sentì sua madre chiamarlo, non in tono angosciato o spazientito, ma come se fosse rimasta spaesata dalle loro dita sciolte così improvvisamente, tuttavia continuò ad avanzare, giungendo nel punto in cui il sacchetto contenente il pesce rosso della bambina era caduto.
La plastica del sacchetto si era lacerata e l'acqua aveva bagnato l'asfalto. Al centro della chiazza di umidità, il pesce rosso agonizzava, spalancando e richiudendo la bocca tonda sempre meno frequentemente.
Tooru si chinò, le labbra dischiuse in una piccola smorfia, turbato dalle branchie del pesce rosso che si aprivano e si richiudevano in continuazione e dalla coda, che ogni tanto si sollevava e si riabbassava in un piccolo spasmo: stava per morire.
Non pensò di raccogliere il pesce rosso, ma lo fece.
Lo lasciò scivolare lentamente sulle dita, senza badare a sua madre, che avendolo raggiunto gli chiese immediatamente cosa avesse intenzione di fare. Il sacchetto di plastica era rotto e l'asfalto aveva assorbito l'acqua al suo interno: in effetti non c'era niente che si potesse fare, il pesciolino sarebbe morto da un momento all'altro, strappato crudelmente al suo elemento naturale. Poteva succedere anche a loro, poteva accadere che grandi titani extraterrestri rinchiudessero gli umani in scatole di vetro e poi, per errore, le frantumassero, abbandonando i loro nuovi acquisti a morire nello spazio, lontani dalla loro casa: Tooru la pensò così, in quel momento; si sentì estremamente affine a quella minuscola e viscida creatura sofferente.
Proprio in quell'istante, senza che facesse o dicesse nulla, la conca formata dalle sue mani unite si riempì d'acqua, e il pesce rosso riacquistò subito vigore. Tooru lo vide dimenarsi, ritrovandosi a rabbrividire ogniqualvolta la coda viscida gli sfiorava i palmi delle mani.
A un certo punto capì che sua madre si era fermata proprio dietro di lui; doveva essersi arrestata in una silenziosa rigidità che, tuttavia, era durata appena qualche secondo. Lo aveva afferrato per un braccio, conducendolo in fretta al lato della strada, dietro una piccola bancarella di maschere e bambole Daruma.
«Mamma...» Tooru l'aveva chiamata, mormorando, ma senza staccare mai gli occhi dalle proprie mani e dal pesce rosso che si dimenava nell'acqua, alla ricerca di una profondità maggiore.
«Stai fermo, Tooru» sua madre era agitata: le tremava la voce, e le sue dita erano conficcate con forza nel suo braccio. «Non fare niente. Non pensare a niente.»
Gli lasciò il braccio e si allontanò solo per pochi istanti, quindi si inginocchiò di fronte a lui, tenendo spalancato un sacchetto di plastica trasparente.
«Ecco.»
Tooru lasciò scivolare con cautela il pesce rosso nel sacchetto, ritrovandosi poi a osservare la mano delicata di sua madre muoversi appena oltre il sottile strato di plastica, un rivolo d'acqua che sgorgava dal suo palmo bianco.
Pochi secondi dopo, il sacchetto fu riempito per metà d'acqua e il pesce smise di dimenarsi: nuotava serenamente, come se non fosse accaduto nulla.
Tooru e sua madre, mentre questa provvedeva a chiudere il sacchetto con un nodo, osservarono il pesce rosso senza parlare, poi lui sollevò gli occhi timidamente, spaventato.
«Mamma?»
Sua madre lo guardò, gli angoli delle labbra leggermente piegati all'ingiù e la fronte aggrottata: era evidente che aveva considerato quella possibilità, che si era preparata a quel momento, ma era preoccupata e sembrava perfino dispiaciuta. Forzò le labbra in un sorriso, accarezzando con dolcezza il viso di Tooru.
«Sono come te, mamma?»
«Sì, tesoro. Sei come la tua mamma.»



«Tooru!»
Si era preparato all'idea che, appena aperta la porta, sua madre gli avrebbe distrutto i timpani, eppure Oikawa non riuscì a non chiudere gli occhi e strizzarli appena, come un bambino spaventato.
«Si può sapere dove sei finito?!» sua madre continuò a strepitare, per poi incrociare le braccia al petto e arretrare di qualche passo, così da farlo entrare. «Non hai neppure idea di quanto mi hai fatto preoccupare!»
«Scusami» Tooru entrò, borbottando fra i denti per paura che sua madre riprendesse a gridare da un momento all'altro; fortunatamente, questa chiuse la porta e si limitò a rivolgergli un'occhiataccia, esalando un grande sospiro.
Nonostante sua madre lo stesse incenerendo con lo sguardo, Tooru si sentiva sollevato di trovarsi lì, al sicuro nella sua vecchia casa.
In quei quattro giorni di lontananza da Sendai, aveva cercato di non pensare troppo a quello che era accaduto, come se avesse sigillato la parte più fragile della sua mente in una bolla, ma ora, trovandosi finalmente al sicuro, era divenuto paradossalmente più vulnerabile; poteva lasciarsi sopraffare dalle emozioni, ricordare ancora una volta il peso morto di Hoshiko fra le proprie braccia, il dolore lancinante alla gamba, dilaniata dai denti di un mostro, e – infine – l'inquietudine di trovarsi circondato da tre temibili fuochi: Yahaba, il dotato di cromosoma Z con il potere dell'elettricità e l'Unità Speciale di Polizia.
Stava cominciando a mancargli il respiro, ma il ticchettio delle zampe di Grey contro il pavimento lo riportò alla realtà.
Quando vide il cane corrergli incontro, scodinzolando energicamente, sorrise e si chinò per accarezzarlo – ritrovandosi poi ad abbracciarlo, estasiato dal pelo folto e morbido.
«Oh,» la madre di Oikawa emise un piccolo sbuffo «grazie per la considerazione, figlio mio!»
Tooru sciolse la stretta attorno al collo di Grey, quindi guardò sua madre e ampliò leggermente il sorriso.
«Mi hai sgridato.»
«Per tutta l'ansia che mi hai fatto provare in questi giorni, mi merito comunque un abbraccio» con aria sostenuta, la madre di Oikawa socchiuse leggermente gli occhi e protese le labbra in avanti, piegandole in una smorfia offesa.
Tooru si alzò e ampliò il sorriso, ma, ancora prima che potesse muovere un passo, sua madre lo trascinò a sé e lo abbracciò con forza.
In un primo momento, Tooru si irrigidì leggermente: era evidente che c'era qualcosa di diverso in quell'abbraccio, sua madre doveva essersi preoccupata davvero.
Le poggiò il mento sulla spalla, inspirando con forza dalle narici e poi chiudendo gli occhi.
«Scusami» poi ricambiò l'abbraccio.
Lei restò in silenzio, accarezzandogli affettuosamente la testa.
Se non ci fosse stato Iwaizumi, probabilmente sarebbe ritornato a vivere con sua madre, perché dopotutto il loro era un legame davvero molto forte.
«Tooru...»
La voce tremante della madre gli gelò il sangue. Oikawa sciolse lentamente l'abbraccio, e anche la madre si scostò leggermente, così da poterlo guardare negli occhi.
«Temo dovrò farti qualche domanda, adesso.»
Oikawa strabuzzò gli occhi, per poi sbattere le palpebre un paio di volte, velocemente, come se una polvere invisibile stesse ammantando le sue ciglia, irritandolo: le domande di sua madre sarebbero state scomode, era ovvio, ma lui fino a che punto poteva raccontarle la verità? Se c'era il rischio di mettere in pericolo la vita di sua madre, non avrebbe risposto.
«Cosa sta succedendo, Tooru?»
Oikawa la guardò e serrò le labbra con forza, pensieroso: cosa avrebbe dovuto risponderle?
Prima ancora che aprisse bocca, però, fu sua madre a continuare.
«Ti hanno dato un quaderno?»
Oikawa si pietrificò, per poi schiudere appena le labbra e ritrovarsi a boccheggiare pateticamente: come faceva a saperlo?
«Tooru, cerca di rispondere almeno a questa prima domanda, dopo potrai limitarti ad ascoltare quello che ho da dire» sua madre fece una breve pausa, prendendo una piccola boccata d'aria e chiudendo gli occhi per un istante. «Allora,» risollevò le palpebre «ti hanno dato un quaderno o no?»
Oikawa si portò una mano al viso, per poi massaggiare la radice del naso con un movimento circolare delle dita.
«Che cosa...» si schiarì la voce, ancora indeciso se avere o meno quella conversazione «cosa sai, di preciso?»
Sua madre serrò con forza le labbra, per poi dischiuderle ed emettere un piccolo sospiro.
«Un bel po' di cose, a meno che le regole non siano cambiate.»
Oikawa restò immobile, in silenzio: sua madre parlava di quaderni e regole, quindi non era da escludere che sapesse degli shinigami.
Iwaizumi gli aveva detto che solitamente i dotati di cromosoma Z venivano scelti una generazione sì e una no, ma c'erano stati casi straordinari in cui gli shinigami erano discesi in terra a distanza di pochi anni, anche più volte nell'arco di una sola decade. Era quindi possibile che fosse accaduto anche a sua madre, ma come mai non gliene aveva mai parlato? Era sopravvissuta senza uccidere tutti gli altri e rubare loro i poteri? Non aveva espresso alcun desiderio? Adesso era lui a essere curioso.
«Qualcuno che non fa parte di questo mondo ti ha dato un quaderno.»
Ormai esasperato, Tooru annuì senza aprire bocca.
«E quel qualcuno ti ha detto che esaudirà un tuo desiderio a patto che tu uccida gli altri dotati di cromosoma Z e raccolga i loro poteri.»
«Sai troppe cose» la interruppe, le labbra increspate in una piccola smorfia. «Devo dedurre che in realtà siamo ancora più simili di quanto abbia mai creduto?»
Sua madre non si era mai fatta problemi a mostrargli i suoi poteri, ancor prima che lui scoprisse di essere come lei. Ricordava ancora vagamente le immagini d'acqua che sua madre creava quando era bambino, per divertirlo o distoglierlo dai capricci, ed era stata proprio lei, dopo quella sera a Sendai, a insegnargli a controllare la propria abilità. Per qualche giorno era stata preoccupata ed era divenuta più protettiva, ma era una buona insegnante e una madre premurosa che era riuscita a instaurare un ottimo dialogo fra lei e il figlio, ecco perché a Oikawa pareva strano avesse nascosto una parte così importante del suo passato.
Sua madre serrò le labbra e annuì con aria sconsolata, le braccia incrociate al petto e le palpebre semiabbassate.
«Anche io ho conosciuto gli shinigami. Avevo ventun anni.»
Oikawa restò in silenzio, la fronte leggermente aggrottata, le labbra arricciate in una smorfia corrucciata.
«Questo non me lo hai mai detto» disse a bassa voce, notando subito che sua madre aveva chinato lo sguardo: sembrava dispiaciuta. «Perché?»
«Forse credevo che se te lo avessi tenuto nascosto non sarebbero venuti anche da te» rispose d'un fiato, le labbra tese in un sorrisino nervoso.
«A quanto pare siamo stati sfortunati» la contrazione delle sue labbra si ammorbidì, come se perfino i suoi muscoli facciali si stessero rassegnando.
«Se è successo anche a te e tu sei qui...»
La madre di Oikawa negò con un leggero cenno del capo, per poi adagiare una mano sulla schiena del figlio, per invitarlo a seguirla fino in cucina, dove si sarebbero seduti e avrebbero discusso con più calma.
«Rispetto agli altri prescelti, sono stata molto fortunata, Tooru.»
«Che cosa è successo?»
Appena Oikawa si sedette, sua madre sollevò il coperchio della teiera di acciaio che si trovava sui fornelli e vi versò dell'acqua, poi accese il fuoco.
«So che era estate, anche se non ricordo il giorno preciso. Ero seduta su una panchina, sotto un grosso albero, e lui è venuto da me.»
Tooru non fiatò. La guardò sedersi di fronte a lui, congiungere le mani e posarle sul tavolo.
«Credevo fosse il solito idiota intenzionato a importunarmi, invece mi diede un quaderno e mi chiamò per nome.»
«All'inizio è abbastanza inquietante» Tooru commentò senza pensarci troppo.
«Già» sua madre accennò un sorriso, riprendendo a parlare poco dopo. «Nel giro di pochi giorni scoprii che altri nove dotati di cromosoma Z erano in possesso di quel quaderno, e che ognuno di noi avrebbe dovuto uccidere gli altri per impossessarsi dei loro poteri e infine concretizzare un proprio desiderio.»
Tooru annuì.
«E gli uomini amano il potere. Ne siamo attirati come falene da una candela accesa» sua madre sospirò, ignorando – almeno in un primo momento – il fischio stridulo emesso dalla teiera. «Sono morti quasi tutti, sai?» si alzò per spegnere il fuoco, restando in piedi a fissare il proprio riflesso nel profilo arrotondato della teiera.
«Qualcuno desiderava riunire in sé più poteri possibili, e qualcun altro lo ha aiutato.»
«E tu sei... ti stanno ancora cercando, per caso?»
La labbra della donna si contrassero, tremando appena.
«No...» sussurrò, il naso arricciato a causa della tristezza appena riaffiorata «io ero l'aiutante.»
Oikawa spalancò gli occhi, ma non fu in grado di parlare. Riuscì soltanto a pensare a quanto forte fosse il suo battito cardiaco.
«Ho aiutato un pazzo finché qualcuno non mi ha salvato» sua madre si voltò lentamente, il viso contratto, una smorfia triste e addolorata a segnarle le labbra.
«Mamma...» era strano vederla così: di solito era una donna sorridente e un po' civettuola; mai il suo sorriso – gentile o malizioso che fosse – aveva lasciato trasparire il dolore che Tooru stava scorgendo sul suo viso in quel momento.
«Ci sono stati gruppi di dotati di cromosoma Z che si sono distrutti a vicenda, e in ogni generazione c'è sempre un pazzo che cerca di riunire più poteri possibili anche per il solo gusto di essere più forte degli altri» una lacrima le solcò la guancia destra. «Non essere quel pazzo, Tooru. Non aiutarlo. Trova degli alleati e siate coloro che lo fermeranno.»
Stava ancora respirando? Oikawa non lo sapeva. A malapena riusciva a comprendere le parole di sua madre.
«Fermate il pazzo» la voce tremante della donna lo scosse.
Oikawa aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, rialzandolo pochi istanti più tardi.
«Mamma,» affondò i denti nel labbro inferiore, una smorfia amareggiata a contrargli il viso «credo che il pazzo sia Yahaba.»
La madre di Tooru schiuse appena le labbra, boccheggiando; le braccia distese mollemente lungo i fianchi, in segno di resa. Guardò il figlio, lasciando che le lacrime sgorgassero copiosamente dai suoi occhi.


❋ ❋ ❋


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S h i b a t a __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Kageyama non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Per tutto il tempo aveva pensato a quello che gli aveva detto Oikawa e, soprattutto, a ciò che gli aveva raccontato Hinata una volta che era tornato a casa.
Sua madre aveva parlato. Dopo tanto tempo, la triste figura aveva emesso un suono che l'aveva resa nuovamente reale, vicina, ma perché era successo quando lui non si trovava a casa? Era convinto che, se mai sua madre avesse ripreso a parlare, sarebbe stato lui il primo ad ascoltare la sua voce, e invece era stato Hinata. Perché? Si era dimenticata che Kageyama Tobio era suo figlio? Che gli voleva bene?
Cercando inoltre di vagliare tutte le possibili ragioni che gli avevano permesso di attirare a sé l'odio di Oikawa, Kageyama aveva tenuto gli occhi aperti per tutto il tempo, chiudendoli soltanto al primo ingresso di luce, ma senza addormentarsi. Esausto, aveva perfino rinunciato ad andare all'università, quella mattina.
Cosa poteva fare? Chiedere direttamente a sua madre? Come l'avrebbe presa se questa fosse rimasta in silenzio? Cosa potevano dirsi, dopo così tanto tempo?
Non sapeva cosa fare. Sbuffò: aveva proprio bisogno di una sigaretta. Forse poteva cominciare a fumare un po' più spesso, dopotutto tre o quattro pacchetti di sigarette in tutto l'arco dell'anno non gli avrebbero di certo impedito di pagare le rette universitarie, no?
Sbuffò di nuovo, il palmo della mano sinistra aderente al vetro della finestra di camera sua e gli occhi fissi sulla strada, la striscia di asfalto scuro che si distendeva fra i rimasugli sporchi della neve, ormai quasi totalmente sciolta.
«Cosa dovrei fare, papà?» si ritrovò a sussurrare quasi senza rendersene conto, come se la sua lingua si fosse mossa pur non ricevendo alcun impulso dal cervello.
Socchiuse le palpebre e increspò le labbra in una piccola smorfia, aggrottò la fronte e si massaggiò la radice del naso.
«Potresti provare a parlare con tua madre, no?»
«Ah?!» Kageyama sussultò, per poi voltare le spalle alla finestra, incenerendo Hinata con lo sguardo.
«Non sei mica mio padre!» sbottò, per poi incrociare le braccia al petto e borbottare. «E poi bussa prima di entrare in camera mia.»
Hinata restò a fissarlo per qualche istante, ancora impegnato a reggere la porta, poi sospirò e si andò a sedere sul suo letto. Kageyama, invece, indispettito dall'evidente disappunto espresso dal suo shinigami, si ritrovò a protendere le labbra in una smorfia.
«Kageyama,» tuttavia, il tono di voce di Shouyou gli parve fin da subito quello di una persona preoccupata, piuttosto che infastidita «la guerra è appena cominciata, perciò nuotiamo ancora in acque tranquille.»
Tobio aggrottò nuovamente la fronte, per poi tornare a guardare la strada.
«Ma arriverà il giorno in cui, affacciandoti alla finestra, vedrai la tempesta.»
Hinata tese entrambe le gambe, sollevando i piedi in un rapido movimento alternato, solo per un attimo.
«E sai cosa significa, Kageyama?»
«Che cosa significa?» Tobio gli stava dando ancora le spalle, ma non guardava più la strada. Stava fissando il suo riflesso nel vetro della finestra, i suoi occhi, lasciandosi inebetire dall'evidente traccia di rassegnazione al loro interno. In quella contemplazione di se stesso cercava soltanto un po' di coraggio, un briciolo di determinazione, ma sapeva che non avrebbe trovato altro se non il desiderio di scappare da quel destino confuso che improvvisamente si era abbattuto su di lui.
«Significa che prima o poi dovrai andare via da questo posto. Che io e te dovremo andare lontano, così da proteggere tua madre. Se io avessi una madre e iniziassi a sentire l'eco della tempesta, beh, cercherei di parlarle. Non avete più molto tempo a vostra disposizione.»
Tobio restò in silenzio e immobile per un po', poi si voltò lentamente verso Hinata, si appoggiò al davanzale interno e incrociò le braccia al petto.
«Hai detto: “Se avessi”...» esordì poco dopo, sorprendendo Hinata.
«Cosa?»
«Su tua madre.»
«Oh!» Hinata sollevò l'indice, per poi mostrare i denti in un sorriso allegro. «Noi shinigami non abbiamo né madre né padre. Comprendiamo l'importanza che queste figure hanno nella vita delle persone, ma nel nostro mondo l'idea di essere figlio di qualcuno è inconcepibile.»
«E quindi cosa...» Kageyama esitò: non c'era ragione di interessarsi; forse Hinata era solo una persona che si stava prendendo gioco di lui, altrimenti perché non lo aveva ancora visto utilizzare i suoi poteri? Eppure, a prescindere dal fatto che Hinata si stesse vestendo di fantasie o meno, voleva saperne di più. «Insomma, com'è che venite al mondo? Qualcuno vi crea? Vi riproducete per scissione? O forse per... come si dice? Gemmazione?»
«Non ho la più pallida idea di quello che stai dicendo, e poi questi discorsi non ti si addicono!»
«Eh? Mi stai dando dello stupido, Hinata?»
«Beh.»
«Hinata!»
La risata che Shouyou stava per lasciarsi scappare si tramutò in un rantolio di terrore: il suo protetto faceva davvero paura quando si arrabbiava!
«Comunque» riprese a parlare poco dopo, schiarendosi la voce «la nascita di uno shinigami è un po' difficile da spiegare. Ti svegli, come se fosse mattina e avessi dormito fino a quel momento, e non vedi niente, ma senti rumore. È tutto buio ma senti rumore, e poi, all'improvviso, entra la luce» Hinata fece una pausa, la mano destra a massaggiare il mento. «Cominci a vedere tanti rami neri che scricchiolando si scostano, aprendosi e distendendosi in avanti, verso la luce, come braccia.»
Kageyama restò in silenzio, cercando di capire se Hinata stesse dicendo la verità o delirando.
«E in effetti, una volta sveglio, ti rendi conto di essere stato per davvero sotto una coltre di rami intrecciati, dentro un tronco cavo per un tempo che non puoi immaginare. Abbiamo solo questi tronchi cavi avvolti da rami nerissimi, che rimangono per sempre protesi in avanti, nella luce.»
«Solo i tronchi cavi? Ci sarà pur qualcos'altro intorno, no?»
«C'è solo una grande luce, è tutto bianco.»
«Tutto?» Tobio rifletté per qualche istante, poi batté la punta del piede destro a terra. «Vuoi dire che non avete un pavimento? Camminate nel vuoto?»
«Non c'è distinzione fra terra e cielo come da voi, ma la sensazione che provo quando cammino nel mio mondo è identica a quella che sento stando qui, perciò, anche se è tutto bianco, non camminiamo davvero nel vuoto.»
Kageyama inspirò dalle narici, voltandosi nuovamente verso la finestra.
«Chissà se è vero, quello che dici» borbottò, ma Hinata lo sentì, perché alle sue parole piegò le labbra in una smorfia, offeso che il suo protetto stesse dubitando di lui.
«Allora, Kageyama?»
Tobio tornò a guardarlo senza battere ciglio.
«Le parlerai o no?»

❋ ❋ ❋


La madre di Kageyama era in cucina, girata di spalle. A giudicare dal movimento lento del gomito, era probabile che stesse affettando qualcosa sul tagliere, dopotutto – Kageyama lo constatò dando una rapida occhiata all'orologio da parete – era quasi l'ora di pranzo.
Con le labbra increspate in una smorfia amareggiata, pensò che un tempo sua madre si sarebbe preoccupata di non vederlo andare all'università e si sarebbe assicurata che stesse bene, ma ora lei era solo un guscio vuoto. Aveva cucinato davvero poco, nell'ultimo anno, e per quanto vederla tagliare un pomodoro potesse considerarsi un progresso, agli occhi di Tobio il movimento del suo gomito sembrava fin troppo automatico, paurosamente meccanizzato, come se sua madre fosse stata sostituita da un anaffettivo robot.
Restò in silenzio, fermo all'ingresso della cucina, a fissare le spalle magre della donna divise dalla coda di cavallo corvina.
Temeva che sua madre non gli rispondesse, che non si voltasse neppure a guardarlo, come se nemmeno lo sentisse.
Inspirò dalle narici, per poi espirare rumorosamente. Proprio in quel momento, il gomito di sua madre si immobilizzò. Kageyama udì il rumore del coltello contro il tagliere, e poi la vide voltare leggermente il viso.
Non appena sua madre lo guardò, Kageyama sussultò, restando però fermo all'ingresso della cucina.
La presa delle dita della madre sul manico del coltello si fece blanda, fino a divenire totalmente assente, quindi la donna mosse due timidi passi in direzione del figlio, congiungendo le mani al grembo, come se anche lei stesse pensando a cosa dire e quella situazione la stesse gettando in un profondo stato di disagio.
Forse anche lei aveva paura che il figlio non le avrebbe risposto, magari che le stesse serbando rancore per il suo comportamento.
Kageyama schiuse le labbra e si ritrovò a boccheggiare: di fatto, gli ci volle qualche secondo per trovare la voce.
«Mamma?» la chiamò semplicemente, come un bambino, e si stupì di come suonò quella parola, pronunciata dopo tanto tempo dalla sua bocca.
Kageyama tacque, constatando con sollievo che sua madre stava reggendo il suo sguardo apparentemente senza difficoltà.
Avrebbe voluto chiamarla ancora una volta, pronunciare di nuovo la parola “mamma” per verificare se l'effetto strano che gli suscitava persisteva, ma lei mosse ancora un passo, annichilendolo del tutto.
Sua madre aggrottò leggermente la fronte, le labbra tremarono per un istante, increspandosi in una piccola smorfia: sembrava mortificata e anche un po' imbarazzata.
«Ci ho provato, ma...» a sua madre tremò subito la voce, ma Tobio non vi diede peso: spinto dalla gioia di averla finalmente sentita parlare, si mosse subito verso di lei, stringendola non appena la vide allargare le braccia.
«Ho provato a parlarti, davvero» sua madre singhiozzò, ricambiando con affetto l'abbraccio.
«Non preoccuparti» Kageyama rafforzò la stretta, serrando i denti per non singhiozzare a sua volta.
«Mi dispiace,» sua madre gli prese il viso fra le mani, e Kageyama si ritrovò a fissarla con un leggero fremito sulle labbra, come commosso «mi dispiace averti lasciato solo per tutto questo tempo.»
Sua madre lo accarezzò, gli occhi leggermente lucidi.
«Tobio, quel ragazzo...»
«Eh? Hinata?» Kageyama sollevò appena le sopracciglia: possibile che sua madre fosse contraria alla presenza di Hinata in casa? Dopotutto non aveva mai espresso un'opinione a riguardo, ma allora perché, dopo tanto tempo, proprio Shouyou era stato il primo con cui aveva ritrovato il coraggio di parlare?
«Andrà via presto» rispose senza pensarci troppo, temendo che sua madre sentisse la necessità di indagare su Hinata e sulla sua presenza in casa loro.
«No,» sua madre scosse appena il capo, accennando un sorriso «non fa niente, dico davvero, ma... ecco, stai at‒»
Lo squillo acuto del telefono fece sobbalzare entrambi, interrompendo di netto le parole di sua madre.
Kageyama girò il viso per guardare fuori dalla cucina, da dove giungeva il suono del telefono, quindi sbuffò appena e, dicendo a sua madre di aspettare, uscì fuori in corridoio.
«Pronto?» dall'altra parte della cornetta rispose il silenzio, e nel frattempo Hinata si affiancò a lui, come se avesse voluto conoscere più particolari possibili riguardo quella telefonata.
«Yahaba è pericoloso.»
Tobio sussultò, ritrovandosi a boccheggiare, la gola secca.
Hinata si avvicinò ancora un po', un sopracciglio sollevato e uno sguardo indagatore puntato sul suo protetto.
«O-Oik‒»
«Sh!» l'altro lo zittì immediatamente, e Kageyama capì all'istante la pericolosità di parlare al telefono, finendo per mordersi il labbro inferiore con colpevolezza.
«Però io...» dall'altro capo del telefono vi fu esitazione «io non sono così forte, contro di lui.»
Vi fu una pausa, Kageyama ancora immobile, quasi incapace perfino di respirare.
«È davvero scocciate ammetterlo,» Oikawa sfiatò dalle narici «ma tu, per quanto fastidioso, saresti davvero utile contro di lui
Kageyama prese fiato.
«Che cosa mi stai chiedendo?»
Silenzio. A Oikawa costava molta fatica chiedere determinate cose.
«Ti sto chiedendo di...» Tooru esitò nuovamente: probabilmente stava stringendo i denti, frustrato e umiliato da quella spiacevole situazione – in effetti proseguì con tono leggermente alterato, annichilendo del tutto Kageyama «di allearti con me, almeno finché Yahaba non sarà sconfitto.»




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Nonostante il capitolo fosse terminato, ieri non sono riuscita a revisionarlo tutto, quindi eccomi qui con un giorno di ritardo (meglio un giorno che un mese come la scorsa volta, però! xD)
Ci tenevo molto a scrivere questo capitolo. Sono consapevole del fatto che spezza un po', ma ora mai si sarà capito che Wonderwall non è solo combattimenti e poteri speciali. Volevo davvero scrivere delle pagine per fare un po' più di luce sul rapporto che le mamme di Oikawa e Kageyama hanno con i loro figli (e ci sarebbe un'altra ragione perché ho dato particolare peso a loro piuttosto che ad altre, ma questo si scoprirà molto più avanti /con tanto di spin off, probabilmente).
Spero che questo capitolo, per quanto piuttosto diverso dagli altri, non stoni troppo all'interno della fanfiction e che, soprattutto, vi sia piaciuto.
Alla prossima (e felici vacanze estive! /o in bocca al lupo per esami di maturità e sessioni universitarie negli altri casi/)
   
 
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