I Sannin - II
Parte
Solitudine
Tsunade e Jiraiya amavano mostrarsi
e, soprattutto, amavano la gente. Li si vedeva spesso per le strade di Konoha a
ricambiare sorrisi e saluti, con quelle espressioni compiaciute e bonarie,
orgogliosi della loro fama e consapevoli della loro reputazione. I due Sannin
erano un punto fermo nella città, una presenza solida, amata dagli abitanti. La
amavano, la gente.
Orochimaru, invece, sembrava evitarla. Lui non era una
certezza, era un’incognita. La sua presenza impauriva, anche senza far niente.
Spariva improvvisamente nel nulla e riappariva il giorno dopo con il solito viso
assorto e le labbra serrate. Poi si dileguava di nuovo, senza una parola.
Nessuno sapeva cosa facesse, o dove andasse. E nessuno osava
chiederglielo.
Io, invece, sapevo dove cercare quando volevo vederlo. Lo
avevo visto qualche volta sedersi all’ombra di un grande ciliegio, ai margini
della foresta. Se ne stava da solo, a leggere i suoi interminabili rotoli
antichi che trattavano chissà quali argomenti sconosciuti, con quell’espressione
pensierosa e l’aria rapita.
Quel posto, evidentemente, gli piaceva.
La
prima volta che lo avevo scorto laggiù, il mio cuore aveva sussultato e mi ero
istintivamente nascosto dietro un grande albero. Poi ero rimasto a guardarlo.
Non mi trattenevo a lungo e non osavo seguirlo oltre. Lo avevo semplicemente
scovato perché ero solito andare in quel luogo, piaceva anche a me.
Così, le
poche occasioni che lo vedevo là seduto, mi fermavo ad osservarlo per qualche
minuto. Poi, cercando di non far rumore, me ne andavo piano.
Certe volte
avevo la sensazione che sapesse esattamente dov’ero nascosto a spiarlo. Però,
finché le mie supposizioni non fossero diventate certezze, sarei rimasto al mio
posto.
Non avevo detto a nessuno della mia scoperta. Non vedevo perché
condividerla, era solo mio il merito e mi era parso giusto godermi il mio
premio in solitudine. Ne ero orgoglioso: Orochimaru era un mistero per tutti e
io ero riuscito ad afferrare qualcosa di lui, anche se quasi
insignificante.
Ai miei occhi, sotto quel ciliegio, la sua figura solitaria
mi trasmetteva in qualche modo la sua malinconia. Non che il suo viso esprimesse
qualcosa di simile, ma quando l’avevo visto là sotto avevo percepito il suo
fascino nostalgico.
Da un lato, provavo dispiacere per lui. Dall’altro,
speravo sempre di vederlo solo.
Il fatto che nessuno lo avvicinasse mi
tranquillizzava e ogni volta che mi recavo in quel luogo gioivo in silenzio nel
vedere che nessuno fosse in sua compagnia.
(400 parole)
***
Mi fa piacerissimo avere così tante visite!
Grazie
a tutti :)
@ RedFraction: tranquilla, non ti deluderò! In un modo o
nell'altro si finisce sempre lì a parare, come quando si è in compagnia si
finisce sempre a parlare di...
Il tuo commento centra il mio pensiero, sono
commossa! Grazie!