Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Cassandra Morgana    13/06/2009    3 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 21

In caduta libera

 

 

Auguste socchiuse le palpebre sotto le lame di luce che occhieggiavano nella stanza; lentamente, cercò di convogliare la propria attenzione su quanto si muoveva intorno a lui, sforzandosi per quanto possibile, fra le spire di quell’inquietudine ormai attecchita nella sua mente, di allontanare da sé la sensazione martellante che qualcosa non andasse; che qualche oscuro, basilare, sconosciuto tassello gli fosse stato taciuto.

Il suo sguardo si concentrò sulla figura di Fernand, curva al capezzale di Dorian, la mano pallida strettamente allacciata a quella dell’amico; profusa in quel gesto, quella dolcezza fraterna che difficilmente avrebbe attribuito proprio a lui, così misurato e trattenuto nelle sue esternazioni d’affetto.

In silenzio, nella discrezione che quell’angolo in disparte gli aveva fortuitamente offerto, li aveva osservati confabulare fitto fitto, ed un’incomprensibile nota allarmata nella voce gli aveva fatto aguzzare i sensi su quel mormorio concitato e sconnesso del quale era riuscito a captare poco e nulla.

Poi Raphäel aveva fatto nuovamente ingresso nella stanza, scuro in volto, e Fernand si era affrettato a troncare la conversazione, lo sguardo palpitante di sospettosa frustrazione fisso su di lui.

Ora Dorian si era leggermente assopito – doveva fingere, ne era sicuro – inconsapevole cuscinetto fra i due contendenti che, uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra, continuavano a scrutarsi di sottecchi con fare ostile.

Un quadro non poco esaustivo, considerò Auguste, nel tentativo d’ingannare le incontrollabili riflessioni che sentiva affiorare nella sua mente, al limite del delirio. E la mano di Fernand indugiava ancora, troppo insistente, su quella di Dorian. Troppo a lungo. Auguste cercò d’ignorare il nodo di bruciante amarezza che, inaspettatamente, aveva preso a tormentarlo alla bocca dello stomaco.

D’istinto, si schiarì voce, ricacciando indietro quell’impressione di soffocamento che, in un’alienante reazione a catena, gli aveva indotto da principio la vista del sangue, denso suggello di allucinanti reminiscenze e suggestioni, i cui effetti affievolivano lentamente la presa su di lui. Detergendosi la fronte, si costrinse a concentrare la propria attenzione su un qualche dettaglio, un pensiero qualsiasi che non fosse l’esile contatto tra Fernand e Dorian.

Le dita bianche di Raphäel che scorrevano agili nell’intrico dei lunghi riccioli bruni.

Fernand non aveva completamente torto, rifletté: tutto in Raphäel, riscossosi dalla sorpresa iniziale, faceva pensare ad un sadico piacere nel reggere con indefessa ostinazione lo sguardo astioso di quello che, senza ragioni apparenti, era divenuto il suo naturale antagonista. E non si preoccupava di alimentare così la collera dell’altro, ogni istante di più, mentre con la mano seguitava a giocherellare insistentemente sui propri capelli come in uno strano rituale.

 

Gli piace il controllo sugli altri; vuole tastare le mosse altrui, avere la situazione in pugno. Ciò che a te non è mai riuscito.

 

Stai diventando paranoico, Auguste, maledettamente paranoico ed ossessivo, perché ti ostini a vedere segreti, complotti e cattive intenzioni dovunque metta piede. E poi, magari, riesci persino a far quadrare i conti, se è vero che dieci minuti non sono stati sufficienti né a Raphäel né a Dorian a sciorinare una versione chiara e coerente sull’accaduto.

 

- Sta meglio ora? – biascicò a mezza voce, giusto per spezzare la tensione.

Fernand si limitò ad annuire distrattamente.

Raphäel intercettò il suo sguardo con espressione vagamente smarrita, come distolto senza preavviso dalla trama di arcane congetture.

- La febbre è calata del tutto; è strano, per com’era stanotte, ma penso che entro domani sarà come nuovo.

- Da quando sei diventato più esperto del medico del borgo, Raphäel? – lo pungolò Fernand con intento esplicitamente polemico.

Raphäel gli rivolse un sorrisetto sarcastico, le sopracciglia inarcate in un cipiglio non troppo indulgente.

- Da quando studio medicina – si affrettò a puntualizzare.

- Tu? – Fernand arricciò il naso – Amico, sarei felice del tuo “salto di qualità”; ma vedi, con i fedelissimi del duca infiltrati ovunque ed ogni aspetto della vita in città tenuto sotto controllo capillare… Non vedo per noi grandi prospettive. Università, accademie, corporazioni: ai loro occhi, fucine di potenziali cospiratori da asserragliare sotto la loro supervisione. Con rispetto, e visti gli infelici precedenti, non sono così convinto che uno come te… – il suo sguardo scivolò rapidamente lungo la figura di Raphäel – sarebbe il benvenuto. Senza ricchezze, intendo dire, senza nessuno che garantisca per te. A meno di cospicue donazioni come lasciapassare, e non mi pare questo il tuo caso.

Raphäel fece spallucce, tradendo tuttavia l’espressione piccata.

- Forse che gli stracci, amico mio, non precludono la passione e l’intelletto; sarà pure che sono bravo e non mi manca l’intuito. Ad esempio, Fernand, ultimamente ti vedo un po’… debole, emaciato. Sembreresti quasi un po’ anemico, se l’apparenza non mi trae in inganno.

Fernand fissò sbigottito il sorriso di cera che stirava le labbra di Raphäel. Benché lungi dal godere della sua piena stima – e Fernand doveva riconoscerlo – Lemoine non era un individuo meschino, capace di giocare sporco sfruttando i punti deboli dell’avversario; ciò nonostante, la sua lapidaria sentenza tradiva in sé una tale sicurezza, frammista ad una sorta di malcelato dispiacere, che Fernand parve smarrirsi.

Pericolosamente vicino a lui, una luce sibillina in fondo alle pupille, Raphäel allungò la mano e tastò con due dita il collo di Fernand.

Il giovane represse un moto di fastidio.

- Ti si legge in faccia – gli soffiò Raphäel, serafico – Il consiglio più semplice che posso darti, Fernand, è di farti un bicchiere di vino rosso alla nostra salute. Bello tranquillo – concluse con una pacca sulla spalla troppo affettata per poter dirsi amichevole.

Fernand si portò una mano alla gola, in soggezione.

Troppo tardi. Aveva già visto quanto c’era da vedere.

- Fernand, che hai?

Senza che il ragazzo potesse impedirlo, Auguste gli aveva allentato il colletto fino a scoprire la parte incriminata, radunando tutta la sua attenzione su quelle che parevano due minuscole punture quasi cicatrizzate.

Auguste trattenne un ansito di sollievo, sebbene quel sordo, indecifrabile sospetto, incuneato a fondo nella sua mente, non l’avesse sciolto completamente da un dubbio che rifiutava di prendere una forma ben distinta nella sua testa.

- Cos’hai fatto?

Fernand indietreggiò, eludendo la sua presa, il volto alterato.

- Cosa vuoi che ne sappia! L’unica cosa che mi viene in mente è che mi sia tagliato radendomi.

- È strano. Pensare che non l’avevo notato. A prima vista, non sembrano esattamente dei tagli.

- Allora non ne ho assolutamente idea – tagliò corto il ragazzo – Piuttosto – riprese in capo a qualche secondo con rinnovata prontezza – Credo sia ora di andare.

- No, non così in fretta, mon ami.

 

Fernand sentì il proprio cuore saltare un battito, quando quelle brevi parole strascicate lo raggiunsero sul limitare della porta.

- Troppa fretta – mormorò Dorian, la voce roca ed impastata di chi, con scarso successo, tenta a più riprese di recuperare un po’ di sonno perduto – Perché, sai, a questo punto, e bando ai segreti idioti, sarei curioso anch’io di conoscere la ragione di quei dannati segni sul collo che, al contrario di me, sembrano lasciarti tanto indifferente. Sì, è successo anche a me, se ancora non lo sapessi.

Fernand impallidì. Prima che supposizioni di qualsiasi natura si facessero largo in lui, volse lo sguardo in direzione di Dorian e lo fulminò con un’occhiata al veleno.

 

Di’ dello svenimento e ti ammazzo!

 

- Lascia perdere! – biascicò a labbra strette.

 

- Che avete ancora da confabulare, voi due?

 

Auguste. Ora siamo al completo.

 

In silenzio, Fernand fissò Dorian con occhi imploranti. Nonostante tutto, Raphäel non l’aveva tradito – non del tutto, perlomeno. Si era limitato a tirare il sasso e poi sorvolare abilmente. Perché avrebbe dovuto farlo proprio Dorian?

- Raphäel, arriviamo al dunque. Penso che almeno tu sappia dirmi cosa… – incalzò Auguste.

- Te ne ho parlato, Auguste – lo interruppe Raphäel – Dorian non stava bene, la febbre deve avergli provocato qualche mezza allucinazione. Non è un evento così singolare.

- Raphäel, diglielo! – lo aggredì Dorian, puntellandosi sui gomiti – Hai visto anche tu i segni sul mio collo? Magari, se provi ad osservare meglio… – con la mano sana, si slacciò la camicia fino al petto, lasciandola ciondolare molle sulle spalle.

- Che cosa, Dorian? – lo fronteggiò Raphäel con fare esasperato.

- Ero senza camicia – scandì Dorian con voce gelida – È praticamente impossibile che non abbia notato la stessa cosa che ho notato io; a giudicare poi dalla… “attenzione” con cui mi hai soppesato – un violento rossore gli crebbe rapidamente sulle gote, contrastando con il piglio strafottente – Dubito ti sia lasciato sfuggire qualcosa di così lampante.

Per poco Fernand non cadde dalla sedia. Non vide l’immediata reazione di Raphäel.

Un intenso formicolio all’altezza del petto, come un disperato frullare di ali, si tradusse rapidamente in una specie di sussulto seguito dal liquido, soffocante calore di un impulso indefinito, privo di aggettivi, che in un primo momento non riuscì a focalizzare.

Dorian! A cosa diavolo stava alludendo? La sua voce era piombava su quell’affermazione come un fendente; un sussurro lascivo e beffardo ed il luccichio che preannuncia il colpo di grazia.

E poi la rabbia, come uno schiaffo in pieno volto, a bruciare su di lui; un inspiegabile, corrosivo rancore verso Raphäel ed i suoi occhi impertinenti, verso Dorian e la sua espressione ambigua, e la flebile speranza che quell’immagine fuorviante abbandonasse al più presto la sua mente.

Dorian, nudo. O quasi, la pelle d’avorio sottile tesa sulla delicata impalcatura di ossa e muscoli, fremente e vulnerabile sotto il fuoco ingannevole dello sguardo di Raphäel che, distratto, la accarezzava con occhi sfuggenti senza mai sfiorarne le fragili trame.

C’era qualcosa che non andava. Era tutto distante, capovolto. Nulla quadrava, tutto cambiava. Tutto da riscrivere, il ruolo di Raphäel in primo luogo.

Osservò Dorian, le sterminate iridi di cielo in fondo a quelle palpebre gentili, i capelli scomposti sulle spalle. L’amico che l’aveva protetto ed accarezzato, che l’aveva stretto a sé quando Auguste gli aveva vomitato addosso la sua rabbia. Il dolore bruciava ancora. Frammenti di un desiderio taciuto che, ferendolo, gli sfuggivano come sabbia fra le dita; e quella sua parte di mondo, quel fragile, sconosciuto nido di serenità e certezza, sconvolto, minato alle fondamenta e spazzato via da un paio d’occhi di fredda ardesia.

- Raphäel – riprese Auguste – è vero?

Fernand seguì minuziosamente le mosse di Raphäel, intento a fissare soprappensiero il volto di Dorian contorto in collerica trepidazione, soffermandosi poi su Auguste, sul suo sguardo fermo e inflessibile che lo rendeva, ad un’occhiata sommaria, tutto fuorché propenso ad accettare bizzarre teorie suffragate dalla parola di un ragazzo in palese stato d’agitazione, febbricitante fino a poche ore prima, e di uno che, messo tra due fuochi, pareva non sapere da che parte guardare. Attese.

- Non ricordo, Auguste, non posso confermare – Raphäel deglutì rumorosamente, a disagio – Dorian sembrava terrorizzato da qualcosa, non lo nego; ho provato a tranquillizzarlo, ma non sono riuscito a capire cosa l’avesse sconvolto a tal punto. Era molto debole, ha avuto un capogiro e si è ferito con lo specchio. È tutto quello che so.

- Dorian, fa’ vedere! – proruppe Auguste, spazientito, trascinandosi verso di lui.

- Non aspettavo altro – gli soffiò il giovane con petulanza, esponendo il collo alla vista – Ora vi convincerete che non sono un visionario.

- Dorian, per favore! – mormorò Fernand con un filo di voce.

- Lascia che veda con i suoi occhi – lo interruppe Dorian, mellifluo – Se non altro si convincerà che io la dico, ogni tanto, la verità – lo sguardo allucinato aleggiò a più riprese su Auguste, mentre una sfumatura astiosa gli modellava il volto in una smorfia carica di veleno – Chi meglio di te, Auguste, che ne sei il detentore?

Auguste indietreggiò come percosso da una frustata, mentre un cupo strascico di dolore calava sul suo viso, scavando un abisso di nebbia nei suoi occhi.

Fernand si sentiva confuso, impotente di fronte a quei tasselli privi di una propria collocazione che gli piovevano sul capo come gocce di un temporale estivo, senza lasciargli il tempo di trovare un riparo, di inquadrarli in un contorno provvisorio. Non capiva. Vide Raphäel frapporsi tra i due, plausibilmente ad un passo dalla lite, ed Auguste, rigido, limitarsi a scoccare una breve occhiata di trasverso in direzione di Dorian, sussurrandogli con voce piatta:

- Dorian, non hai nulla; sarà stata la tua impressione, un sogno o chissà cos’altro, credimi.

- N-nulla? – il viso di Dorian divenne cinereo.

- È tutto a posto, Dorian – Raphäel gli arruffò gentilmente i capelli, prima di avviarsi verso la porta in un vago cenno di saluto.

Sembrava non desiderare altro che andarsene al più presto.

- Ma… Non è vero, non può essere, io… – Dorian sembrava stordito, la voce ridotta ad un sussurro.

Fernand riuscì ad infilare lo sguardo nell’incavo del collo di Dorian, esaminandolo da ambo le parti. I forellini rossi erano spariti. O non vi erano mai stati.

- Te lo sarai immaginato, è così – rincarò la dose, in attesa che Raphäel e Auguste varcassero la porta.

Dorian restò per un istante ammutolito a fissare il vuoto. Poi, di scatto, prese a risistemarsi la camicia con fare alterato.

- Fernand? – gli soffiò – Vattene a fanculo anche tu!

- Ti dico di calmarti! – gli ingiunse Fernand tra i denti, afferrandolo poco cerimoniosamente per un braccio e costringendolo a sdraiarsi – Ne parliamo. Aspetta soltanto che vadano via!

- Fernand! – la voce roca di Auguste lo raggiunse dall’angusto pianerottolo.

Raphäel stava compunto al suo fianco, bianco e nero nella penombra incolore, e Fernand riuscì a cogliere per un istante l’espressione stranamente sollevata sul suo volto. Le labbra rosee gli conferivano un aspetto quasi sensuale.

- Cominciate pure ad andare. Io… Preferisco restare con lui.

- Buona idea, Fernand. Già che ci sei, assicurati che se ne stia a letto e non faccia qualche altra cazzata – soggiunse Auguste con fare irritato, accennando brevemente col capo al riottoso occupante della stanza attigua.

 

Fernand non riuscì a far altro che tirare un sospiro di sollievo, quando la porta si fu richiusa alle sue spalle, un gelido ammasso d’amarezza che gli s’insinuava lungo la schiena.

Dorian l’avrebbe spellato vivo. Se non altro, non sarebbe stato l’unico ad aver da chiarire, rifletté, mordendosi nervosamente il labbro.

- Spiegami che cosa diavolo ti è preso! – Dorian l’aveva raggiunto di soppiatto nella sala d’ingresso, contro ogni raccomandazione, vestito e calzato di tutto punto.

- E tu cerca di filare a letto, se non vuoi che ti ci spedisca a calci – lo rimbeccò Fernand con voce ferma, cercando di assumere su di sé una parvenza d’autorità.

Dorian gli rise in faccia.

- Punto numero uno, sono in casa mia. Punto numero due, non prendo ordini da un ragazzino.

Fernand lo fissò accigliato, incassando tacitamente la provocazione: sapeva quanto odiasse essere definito “ragazzino”.

- Errore. Chiamarmi “ragazzino”, ottenendo così di mandarmi in bestia, è un privilegio speciale di cui può godere soltanto il tuo amico Auguste.

- E tu rispondi alla mia domanda: hai per caso deciso di coalizzarti con lui contro di me?

Fernand sollevò gli occhi verso il soffitto.

- Non hai capito. Cercavo solo di evitare di mettere in piazza gli affari miei e tuoi in loro presenza. Volevo mandare all’aria il discorso quanto prima, senza destare sospetti, e parlarne direttamente con te.

Dorian annuì con espressione scettica.

- Come ti senti ora? – incalzò Fernand.

- Quantomeno riesco a reggermi in piedi. Meglio, rispetto a prima.

Non convinto, Fernand allungò la mano e gli tastò la fronte.

- Non sei caldo. È molto strano, stando al resoconto di Auguste.

- Auguste esagera sempre – lo precedette Dorian con una punta d’asprezza.

- Concorderai però con me quanto non sia perfettamente normale che una persona che brucia di febbre, in capo a qualche ora non solo sia fresca come una rosa, ma sembri essersi rimessa di tutto punto.

- Di tutto punto, non esattamente, ma concordo con te che forse non è del tutto normale. Io… non lo so. Mi sembra d’impazzire.

Fernand prese un respiro profondo, guadagnando tempo. Neppure lo stesso Dorian, in fin dei conti, sembrava avere un’idea chiara.

- Mi racconti cos’è successo?

- Non sono stato bene. Quando mi sono svegliato, stamattina, sembrava fosse tutto finito, e mi sono alzato per darmi una rinfrescata… Forse ho avuto una ricaduta, ma l’unica cosa che ricordo con esattezza sono quei forellini insanguinati sul collo, proprio com’è successo a te – Dorian si tastò istintivamente la gola, là dove le minuscole ferite sembravano non aver lasciato alcuna traccia, e la pelle era levigata sotto il suo tocco.

Non contento, si osservò scrupolosamente allo specchio.

- Poi… – proseguì – Raphäel dice che ho avuto una crisi di nervi.

- E lui che faceva? Dormiva? – lo pungolò Fernand, e l’assurdo sospetto che aveva ripreso a serpeggiargli nella mente gli fece contrarre istintivamente i muscoli del viso.

- Stava lì e basta. Mi ha riaccompagnato a casa ed è restato con me durante la notte. È stato gentile. Ah, prima che ricominci con le solite requisitorie, ti annuncio che non è affatto stronzo come… “alcuni” lo dipingono.

- Bene – Fernand annuì nell’atto di ravviarsi distrattamente i capelli.

Ignorò quell’oscuro groppo di tristezza che lo tormentava con insistenza.

- Basta, Dorian: puoi dirlo – sbottò.

- Dirti cosa? – Dorian sbatté le palpebre, disorientato.

Fernand ebbe la sensazione che la terra fosse in procinto di cedere sotto i suoi piedi e dovette fare appello a tutta la sua forza d’animo per dar voce alle torbide supposizioni che gli si accalcavano nella mente. Sapeva di essere sul punto di inoltrarsi per sentieri malagevoli, ma la volontà di cavarsi dal dubbio aveva concretamente prevalso su una ragionevole reticenza. Svelata la propria diffidenza, non gli restava in pugno neppure la manciata di secondi necessaria ad imbastire un’alternativa compatibile con la luce equivoca che gli era balenata negli occhi, dritta su Dorian.

- Avete… Insomma, avete fatto l’amore, o qualcosa del genere? – sputò fuori, quasi d’inerzia.

Era fatta.

Un attimo, ed una parte di lui rimpianse di aver parlato avventatamente, quando vide Dorian avvampare in viso.

- Oh, dannazione! Fernand, fottiti!

- Touché! Ti ha praticamente spogliato con gli occhi, amico mio, stando almeno a ciò che tu stesso mi hai inavvertitamente confermato – Fernand assaporò con una venatura sadica il prepotente imbarazzo di Dorian, il retrogusto amaro della sua stessa frustrazione incollato alle labbra.

Sarebbe stato quasi divertente proseguire su quella scia, simulando abilmente una disinvoltura in realtà lungi da lui.

- Ero spogliato.

- Peggio.

Dorian nascose il volto fra le mani con plateale esasperazione.

- Mio Dio, Fernand, che diavolo hai nella testa? Segatura?

- Ti avrà toccato, baciato… – proseguì – Come immaginavo. Vi sarete divertiti.

 

Idiota, idiota, idiota! Perché vuoi farti del male a tutti i costi?

 

- Davvero pretendi una risposta? – Dorian quasi gridava, i begli occhi cerulei deliziosamente luccicanti sul volto in fiamme – No. No! Nulla di tutto questo. Dio, Fernand, questa è follia! Hai un’opinione assurda di Raphäel, di me… di tutto, se davvero hai pensato a questo. Capisco da parte tua non ritenerlo un buon rivoluzionario, ma se per ipotesi fosse andata davvero come tu dici, tecnicamente lo stai accusando di un abuso in piena regola.

Fernand socchiuse le labbra, per poi costringersi definitivamente a tacere. La stanza era divenuta all’improvviso troppo piccola intorno a lui, le pareti troppo strette, nauseanti schermi di quell’incubo insensato in cui era caduto con tutte e due le gambe. Sconfitto, si affrettò a distogliere lo sguardo, meditando fra sé di non aver mai desiderato come in quel momento che le losanghe scure del pavimento si aprissero in una voragine sotto i suoi piedi, lasciandolo sprofondare fra le macerie. Lui, le sue folli congetture e la deviante, irragionevole insicurezza che gli lasciava dar voce ad uno sproposito dopo l’altro.

 

Bel colpo, Fernand. Il migliore di una lunga serie. Semplicemente patetico.

 

Sospirò, ipnotizzato dalla punta delle proprie scarpe. Si stava giocando per pochi scudi la fiducia di Dorian.

- Io… Perdonami – azzardò.

Dorian gli posò una mano sulla spalla. Era freddo, scostante, palesemente a disagio.

- Lascia stare.

- Non intendevo appioppargli difetti secondo la mia immaginazione – insistette – È solo che, per un attimo, ho avuto l’impressione che...

Dorian lo osservò di sguincio, dissimulando l’espressione tagliente in un sorriso spazientito.

- D’accordo, proviamo a semplificare un po’ tutto: il fatto che io sia affascinante non implica necessariamente che abbiamo scopato – replicò con una punta di caustica supponenza.

- Ma va’ al diavolo!

- Sei monotematico.

Fernand distolse lo sguardo. Neppure la pressante inquietudine riguardo agli ultimi eventi impediva a Dorian di darsi da fare a logorare la sua pazienza in una sofisticata alchimia di affermazioni a doppia chiave di lettura.

 

- Fernand?

Dorian era tornato serio, le iridi offuscate da una patina di gravità che a Fernand parve quasi innaturale, dissonante sul suo viso.

- S-si vede così tanto? – biascicò, la voce resa instabile da un singulto soffocato.

 

Cosa, Dorian?

Che sei confuso, che temi di essere impazzito, che non riesci più a fissare coordinate plausibili, a districare i labili confini fra ciò che è realtà e ciò che, con ogni probabilità, potrebbe a tempo debito rivelarsi l’accidentale reflusso di una tua fuorviante suggestione?

Che sei caduto preda di un’angoscia indefinita, subdola, paralizzante, uno stillicidio privo di contorni entro cui prendere forma, ma in grado di rendere vano ogni tuo slancio vitale e di inchiodare la tua volontà in una tela dalle trame di metallo?

Che vorresti negare, cancellare per sempre, catalogare come un parto malato della tua testa, l’essenza di Raphäel, la sua immagine tenacemente ancorata nella tua mente ed ogni singola manifestazione della sua presenza radicata in te fino a procurarti dolore? Che vorresti fuggire, mentire fino alla follia, negare a te stesso il fatto che in lui c’è qualcosa che non riesci ad afferrare con mano, rifiutare la possibilità che tutto questo sia in grado di farti male.

E non lo diresti, nessun logorante sospetto ti sconvolgerebbe la mente, se già non fossi caduto nella tua stessa rete, se già non ti fossi inconsapevolmente aggrappato alla mutevole corrente d’aria di un desiderio irragionevole.

Allora è così: ho visto giusto, dopotutto. Se fossi saggio, lo ammettesti senza girarci intorno, perché, vedi, ho visto abbastanza: ho colto il semplice dettaglio, sono stato tratto in inganno, ma, da qui in poi, non è stato difficile estrapolare la sostanza. Ti aggrapperai a lui. Seguirai la scia di Ambrosie.

Ed io perderò uno dei pochi appigli che mi restano.

 

- Va tutto bene, Dorian – mormorò con voce assorta, soppesando distrattamente una ciocca bionda dei suoi capelli.

 

Non convinci neppure te stesso, Fernand. È il dubbio che ti rende evasivo, facile alla menzogna, ma troppo inadatto a recitare una parte soddisfacente.

 

Gli occhi di Dorian luccicarono febbrili.

- Attento, Fernand – proruppe in una strana cantilena.

- A cosa dovrei… Stare attento?

Dorian spalancò gli occhi nella luce vivida che colpiva in pieno il suo volto dall’espressione indecifrabile.

- Tu… Mi credi? Mi credi, quando ti dico che ho visto quei segni rossi spiccare sulla mia gola, quasi come il morso di un animale?

Fernand lasciò scorrere le dita tremanti su di lui, fra le onde irregolari dei suoi capelli, fino a sfiorare prudentemente il collo dal candore incontaminato. Gli accarezzò distrattamente la nuca e lo esaminò in silenzio.

Era bello. Un’avvenenza oggettiva, priva d’implicazioni, disegnata con pennellate sottili di vivace immediatezza, ora pervasa di un’impronta consunta, languida, sofferente. Era pallido come se avesse addosso la tisi, i solchi della stanchezza marcati intorno alle orbite scure, come se le pieghe di una profonda estenuazione gli avessero scavato i lineamenti.

- Non hai nulla, Dorian, come avrai visto tu stesso – gli ribadì con espressione incolore.

- Ma io ho visto! – la voce di Dorian divenne un sibilo acuto saturo d’angoscia – Le ho viste, quelle strane ferite, le ho toccate con queste mani, non stavo sognando!

Fernand deglutì, a disagio: Dorian gli aveva piantato in faccia un’occhiata bruciante, gli occhi sgranati nelle orbite arrossate, segno che non avrebbe tollerato obiezioni, come un ultimatum.

- Non ho detto che stai mentendo, Dorian: non avendo visto con i miei occhi ciò che mi hai descritto, concedimi il beneficio di mettere in conto l’eventualità che tu stesso sia stato tratto in inganno!

Indietreggiò, atterrito, quando vide Dorian sollevarsi di scatto. Per un attimo temette una reazione impulsiva da parte sua.

- Accidenti, Fernand! – lo incalzò, un sorriso tagliente appena abbozzato, in attesa di colpire – A sentirti parlare così, giuro, per un attimo ho temuto che Auguste avesse preso il controllo della tua mente. O ti avesse rifilato un qualche raffinato lavaggio del cervello. Sono felice che non sia davvero così… Se è tutto come credo, se queste sono le tue parole e non le sue. Un solo consiglio, Fernand: non lasciarti trarre in inganno da lui e dal suo modo di capovolgere la realtà pur di far quadrare i conti come più gli aggrada. Non dare per scontata la sua buona fede – sussurrò, gli occhi gonfi di una gelida frustrazione – Ha sempre cercato di mostrarsi affidabile e ragionevole; da qui, guadagnarsi la fiducia, e poi colpire una volta al riparo. Il tuo adorato Auguste, con ogni probabilità, starà preparando il terreno per la mia disfatta, e presto vedrai con i tuoi occhi quali pretesti tirerà fuori pur di dipingermi come un paranoico. Se i miei calcoli non m’ingannano, Auguste ha troppo interesse, stavolta, a minare la mia credibilità… Per un sacco di motivi che ora, davvero, non mi va di raccontare – s’interruppe.

- Stupendo, Dorian! In queste condizioni, a chi dovrei credere?

Dorian gli rivolse un gesto vago con la mano, come a voler allontanare da sé qualche dettaglio di scarsa importanza. Sembrava stanco.

- Fa’ finta di non aver sentito l’ultima parte. Ora come ora, per me Auguste può andarsene bellamente a farsi fottere. Sappi soltanto che non è sincero come vuole far credere. Non con me.

Fernand sospirò, stremato: d’un tratto, era come venuto a gravargli sulle spalle il desiderio insopprimibile di un istante di normalità, senza discorsi fumosi e assurde congetture a tormentargli il sonno e la veglia. Un altro segreto ancora, un’altra teoria stravagante come goccia finale, ne era sicuro, e si sarebbe abbattuto al suolo in preda ad un collasso.

- Basta così, Dorian! – lo supplicò – Io non ci capisco più nulla. È… è assurdo, con te che continui a trascurare dettagli che non ti fanno comodo e a propinarmi frammenti sconnessi. Cambiamo discorso, per favore; non ti obbligo a rivelarmi qualcosa che non vuoi, ma finiamola qui.

- Come desideri tu – Dorian non pareva troppo dispiaciuto – Volevo solo che almeno tu mi credessi.

- Non ho mai dubitato un solo momento che tu dica il vero. Il problema è stabilire fino a che punto fossi lucido in quel momento.

Dorian scosse mestamente il capo, rassegnato.

Sapeva come la pensava: quello era un discorso che avrebbe visto volentieri e con maggior immedesimazione sulla bocca di Auguste, non su di lui. Auguste che, senza mezzi termini, Dorian doveva ritenere poco più che un intrigante, e al quale non doveva riserbare una miglior considerazione di quella che lui nutriva nei riguardi di Raphäel Lemoine. Dorian e Auguste erano in pericolosa rotta di collisione, e lui non riusciva a comprendere le reciproche implicazioni. Nessuno, a dire il vero, si era preoccupato che lui capisse.

Dorian era troppo confuso, centellinava gelosamente le informazioni, sorvolando su tutto ciò che desiderava tenere per sé; Auguste troppo ermetico, inquadrato in prospettive troppo discordi l’una dall’altra, di volta in volta, a seconda di colui che parlava.

 

Dorian si lasciò andare ad un accorato sospiro, le braccia mollemente incrociate come uno scolaretto svogliato, le spalle curve sotto il peso di un alienante abbandono.

Lo vide radunarsi i capelli dietro la nuca in un gesto nervoso – e si rese conto che sarebbe stato in grado di ripercorrere fedelmente ognuno di quei singoli gesti, basandosi unicamente sulla propria memoria. Gli occhi erano velati di un cupo sconforto, le dita affusolate annaspavano incerte fra i riccioli scomposti.

Un incontenibile, doloroso riverbero di dolcezza gli accelerò il battito, recando con sé un familiare calore all’altezza del petto, mentre scorreva con lo sguardo sul broncio tipicamente infantile che campeggiava sulle labbra sottili di Dorian, in antitesi con l’espressione troppo dura su quei contorni levigati, troppo vecchia su quegli occhi dalla fredda, giovanile bellezza; troppo grave su quei laghi dalla luce mutevole.

E il sorriso rassegnato che si aprì sul suo volto, la triste consapevolezza nei suoi occhi, fu sufficiente per un attimo ad arrestargli il sangue nel suo circolo forsennato, scavando un baratro d’angoscia davanti a lui. Gli occhi erano lucidi, frementi in quel pallido sprazzo d’ombra, ma Dorian non piangeva, le mascelle contratte nel rifiuto sdegnoso della manifestazione stessa del suo dolore, fiero rigetto di ogni accessoria sublimazione. Una realtà, il guizzo di un miraggio dal quale lui, Fernand, per il momento era escluso.

- Dorian…

Il suo viso era caldo, la pelle sottile sotto il suo tocco; i capelli che ricadevano disordinatamente sulle spalle gli insinuarono fra le dita la sensazione di soffice seta. Chiuse gli occhi. Anche la sua bocca avrebbe mantenuto intatto il suo tepore, l’intrinseca possibilità di regalargli l’illusione dell’oblio. E, forse, nel dischiudere le labbra sulle sue, catturandole in una fluida carezza, sarebbe riuscito persino a sentirlo un po’ più suo.

Avvertì il suo respiro sfiorargli il viso; istintivamente, socchiuse le palpebre nella luce viva che lo colpiva di lato, proiettando un ricamo di luminescenze rosso acceso dinnanzi ai suoi occhi. Ammiccò nervosamente, scacciando la sensazione che l’aveva fastidiosamente distolto dal suo intento.

Le ciglia di Dorian scintillavano debolmente in controluce, i contorni così vicini da apparirgli sfocati. Lo accarezzò attraverso la camicia. Era bello tenerlo stretto ancora una volta, affondare il volto nell’incavo fra collo e spalla, sentire i suoi capelli sfiorargli il viso, le labbra fremere sotto le sue, malgrado non fosse riuscito a ricacciare in un remoto cantuccio della sua mente quella spiacevole sensazione di distanza, di barriere invisibili.

Non era come con Auguste. Auguste era desiderio taciuto, bruciante, acuto; era una stilettata in pieno petto nel suo irrealizzabile, utopistico appagamento; era fumo in faccia dal profumo cui non poteva rinunciare, era la sistematica negazione di ogni certezza. E faceva male.

Dorian era stato per lui quanto di più simile vi fosse ad un nido accogliente, ad una colonna in grado, seppure in mancanza di supporti accessori, di tenere in piedi la sua esistenza. Era l’unica fonte di luce rimastagli, così fragile e delicata, e lui non l’avrebbe perduta.

Fernand sentì la presa sulle labbra venir meno, la sua bocca incresparsi debolmente in una sorta di sorriso, le mani strette su di lui all’attaccatura del bacino. Gemette.

- Dorian? Dorian, io… – la voce fuggì dalle sue labbra come un mormorio indistinto.

Dorian lo baciò con impaziente voluttà, la nostalgia del distacco impressa nel contatto fulmineo.

- …Credo di dover andare.

- Vai via di già? – ora giocherellava sui merletti della sua camicia, riassettandola distrattamente.

Fernand si sfiorò istintivamente le labbra arrossate. Si strinse nelle spalle.

- Gliel’ho promesso. Sono da te appena possibile. Tu non…?

Dorian lo precedette, scrollando svogliatamente il capo in segno di dissenso.

- Non credo che Auguste mi voglia in mezzo alle scatole.

- Era soltanto preoccupato per te.

- Mah, fa lo stesso – Dorian gli rivolse un gesto annoiato con la mano, come a voler scivolare su una questione non troppo rilevante.

- Che fai, ora? – Fernand raccattò il proprio soprabito e se lo sistemò sulle spalle con studiata lentezza.

Non si sentiva tranquillo al pensiero di lasciarlo solo.

- Ne approfitto per darmi una sistemata come si conviene. Tu, piuttosto, tieni a mente quel che ti ho detto – gli ingiunse Dorian, sibillino.

 

Che non siamo più al sicuro? Che Auguste si rigira intorno al dito mignolo le nostre insicurezze, o chissà quali altre fantasiose teorie.

La paura, Dorian, non è la carta giusta per barcamenarsi agevolmente fra le trame di ciò che non si arriva a comprendere. E tu hai tradotto tutto nel dubbio, da ogni prospettiva.

 

Fernand barcollò nella penombra lungo la scalinata irregolare della vecchia abitazione, sfiorando con dita incerte la parete ruvida, in cerca di potenziali appigli. Si volse indietro, verso Dorian immobile sulla porta. Non sorrideva più.

 

* * *

 

Il campanile a vela svettava bianco contro il chiarore malato del cielo, la piccola chiesa era per lui una visione sfocata in fondo allo stretto vialetto ricoperto di ghiaia, incastonata nel proliferare indiscriminato di pericolanti edifici gli uni a ridosso degli altri nel quartiere ovest della città, le mura severe che incombevano al di là delle fronde degli alberi.

L’acciottolato irregolare aveva reso precari i suoi passi, tanto che Auguste dovette più e più volte ricercare un appiglio provvidenziale su Raphäel. Accecato dalle gocce di sudore che gli scivolavano prepotenti fra le ciglia, gli occhi che bruciavano, si liberò del proprio cappello. Non ne avrebbe avuto bisogno. Immobile, lasciò vagare il proprio sguardo lungo il percorso serpentino di quel viottolo periferico ormai in stato d’abbandono, sui lunghi fili d’erba che spuntavano impertinenti fra i ciottoli, e poi su, lungo il nastro di cielo che emergeva a stento, stretto fra gli alti cornicioni e l’angustiante distanza che divideva i due opposti lati della via.

Annaspando in un ovattato tumulto di sensazioni, la paura del vuoto annegata nel gelo di un disperato, viscerale impulso di difesa, Auguste si sforzò di allontanare il proprio sguardo dalla mano affilata di Raphäel che indugiava sulla sua spalla in un gesto intrinsecamente rassicurante, come a voler captare la sua tristezza e convogliarla in un indolore, rasserenante fluire di ricordi.

Auguste era certo che in un altro momento, con ogni probabilità, non avrebbe esitato a confermare la fiducia riposta su quel ragazzo né si sarebbe lasciato sfuggire l’eventualità di scandagliare l’uomo Raphäel dietro la figura sfuggente di Raphäel Lemoine il rivoluzionario. Se solo Fernand non gli avesse insinuato un dubbio così assillante, e se lo stesso Raphäel non fosse divenuto così inspiegabilmente fumoso dinnanzi a domande precise, messo alle strette di fronte al delirio di Dorian.

Sarebbe forse stato altrettanto piacevole approfondire la sua conoscenza in altra sede, si ritrovò a domandarsi, la sua attenzione strettamente allacciata all’eloquio allettante di Raphäel, tanto da dissipare in lui, per un istante, il pensiero di Lucien. E di Fernand.

 

“La cappa immacolata del buon rivoluzionario non credo resterà incontaminata ancora a lungo, seguitando a fare di Raphäel, agli occhi di tutti, la persona di cui potersi fidare a scatola chiusa”.

Attento, Auguste.

 

Perché, Fernand, perché ti ostini a non voler guardare alla realtà che sta dinnanzi ai tuoi occhi, preferendo accanirti sull’esile filo di spiegazioni alternative che qualche labirintico recesso della tua mente non vuole abbandonare?

Il vero Raphäel è quello che vedi dinnanzi a te, e l’ho sempre saputo: non esiste discrimine fra la persona generosa, capace di ascoltare e di prendersi a cuore le difficoltà di chi gli sta accanto, ed il rivoluzionario di ghiaccio dalla volontà indefessa e dagli oscuri propositi. E non vi è nulla da temere in tutto ciò.

 

Auguste strinse le palpebre come insopportabilmente ferito dai raggi del sole; vacillò, quando il pensiero di Fernand e Dorian lampeggiò nella sua mente in tutta la sua devastante chiarezza, le loro dita che si sfioravano, i segreti ed i progetti che li univano a doppio filo, chiusi fra quelle quattro mura soltanto per loro, gli sguardi complici, l’ansia febbrile di pianificare quelle che sarebbero state le loro mosse successive, di condividere una realtà.

Fernand non aveva dimenticato chi poteva considerare amico, a chi poter palesare le proprie incertezze, e lui era rimasto fuori senza appello, occasionale intruso.

Era stato un imprudente abbaglio, da parte sua.

 

Stai andando a seppellire Lucien, e neppure in certi frangenti il tuo cuore è immune dal pensiero ossessivo di te stesso, dall’angoscia ammorbante e terribilmente egoistica che l’idea della solitudine continua a provocare in te.

 

Scosse il capo, cercando d’ingannare la propria mente scorrendo con lo sguardo sulla gente che sostava sul sagrato della chiesa. Raphäel pareva completamente assorto su un qualche punto lontano e impreciso dinnanzi a sé, le braccia incrociate sul petto in una posa indolente. Il caldo e la mancanza di riposo durante la notte sembravano averlo sfiancato, eppure non erano del tutto vani i suoi sforzi nel dissimulare l’incipiente stanchezza. Inconsciamente, Auguste si ritrovò ad imitarne l’atteggiamento.

- Arrivano – gli sussurrò Raphäel, assorto, accennando impercettibilmente alla piccola processione che si era formata dinnanzi a loro – Strano non riesca a individuare Ambrosie.

- Temo le prenderà un colpo nel vedermi qui. Non sono sicuro che Fernand si sia dato una gran pena per informare gli altri del cessato allarme – ribatté Auguste con una punta d’acidità.

Raphäel lo perforò con lo sguardo.

- Credo che i convenevoli con Dorian lo impegneranno più del dovuto.

Auguste distolse il viso: Raphäel aveva tanti pregi, ma fra questi non doveva propriamente rientrare il buon senso di sorvolare su considerazioni spiacevoli.

- Ecco tua moglie.

Auguste socchiuse le labbra nell’atto quasi meccanico di correggere quell’improprio “moglie” con qualche termine che meglio rendesse l’idea, ma qualcosa trattenne ogni sua esternazione sul nascere. Perfino Raphäel ammutolì vistosamente, il volto più pallido di quanto non fosse di consueto.

Emilie, impronta familiare e sbiadita confusa nella moltitudine, una fugace apparizione nel lento andirivieni di ombre e figure che si muovevano dinnanzi ai suoi occhi con enfatica gravità. Ipocriti.

E lei. Un’andatura da regina, il velo scuro che frusciava al suo passaggio, adombrando il viso altero.

Che diavolo ci fa?

Auguste seguì rapito quell’incedere sinuoso, quell’apparizione discreta, fino a quando la sua figura non fu inghiottita nella penombra della chiesa, in un denso viavai di stoffe scure e di occhi ignari dall’artificiosa parvenza contrita.

Emilie. Al suo fianco, un giovane sconosciuto dai tratti nordici la scortava compito.

Auguste avvertì come di riflesso una fitta bruciante, priva di strascichi emozionali, attraversargli il cuore ormai assuefatto, insensibile ad ogni caparbia sollecitazione, la gola arida, il freddo nelle ossa. Remoto, distante, come un sogno dai contorni sfumati che lascia dietro di sé un indecifrabile vuoto nel petto al risveglio.

Lui l’aveva compreso da subito, e quello non era altro che il prevedibile rovescio, ideale risposta alla sua perenne assenza.

Auguste fu distolto soltanto dalle dita di Raphäel che gli si chiusero sul polso. Sembrava impressionato.

- Ch… chi era quel…? – riuscì a proferire con voce stentata.

Raphäel socchiuse gli occhi finché le iridi sottili non si ridussero a specchi d’intellegibile oscurità nella fessura delle palpebre. Scosse il capo.

- Non ho idea. È un forestiero, mi pare si chiami Etienne Giroud, ma non so nient’altro, solo che è in città da poco tempo.

Auguste si sentì girare la testa in una vertiginosa alternanza di collera e indifferenza. Scrollò le spalle.

- Auguste, io… – gli occhi di Raphäel scintillarono umidi.

Sentì la sua stretta farsi irruente sul polso e si costrinse a sorridere, senza poter impedire alla propria mente d’inerpicarsi altrove.

Ma Raphäel non era Lucien: così bello e gentile, fragile solo nell’apparenza, ma non era Lucien, come non lo era Fernand – così esasperante e sfuggente – e non lo era neppure Emilie.

Etienne Giroud o come diavolo si chiamava. Sembrava giovane. Improvvisamente, Auguste sentì i suoi ventinove anni gravargli sul petto come un macigno insopportabile, come se qualcosa d’indefinito gli stesse sfilando via la vita fra le mani, ogni istante più inarrestabile.

Vissuto, vecchio persino per Emilie che, quasi come naturale decorso della loro parabola discendente, aveva finito per trattare con lui né più né meno di come avrebbe fatto con un fratello più giovane di sei anni.

 

Bugiardo, contraddittorio, fedifrago, cospiratore, criminale. E vecchio.

Buono soltanto a celare dietro un fragile velo tutto ciò che lo riguarda, escluso il suo nome di battesimo, nonché a servirsi di te per mascherare agli occhi di tutti, te compresa, l’amore per un altro uomo.

Non potevi trovare di meglio, Emilie.

 

Inspiegabilmente, Auguste sentì il principio di una risata isterica solleticargli la gola. Annaspando, abbandonò con uno strattone il braccio di Raphäel e raggiunse un angolo solitario del viottolo deserto, un lembo del mantello a contenere il debole sussulto di quell’accesso di risa senza senso.

Pensò a Lou. A quel legittimo dolore, cristallizzato sotto la sua pelle, che egli si sforzava di alimentare con enfasi ossessiva, indugiando fra le pieghe più profonde del proprio animo; a quell’unica angolatura emotiva capace di farlo sentire vivo, ancorché vulnerabile.

Ed era soltanto l’inizio. L’inizio della sua rovina.

Ritornò composto sui propri passi.

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Cassandra Morgana