CAPITOLO 2. PRESTON
WALKER
“Ah, sa, abbiamo vissuto qui per ben
trent'anni. Siamo arrivati qui dall'est. La terra non era mai stata
colonizzata. Per 10 anni abbiamo combattuto gli indiani. Gente dura.
Poi sono arrivati i fuorilegge, la siccità, abbiamo sofferto
il vaiolo, sopportato inverni terribili, il colera. Ho seppellito
più bambini di quanti ne ho cresciuti. Ho visto uomini forti
appassire e morire, sotto quel sole spietato. Intere mandrie di
bestiame ammalarsi e crepare. Ma nemmeno una volta ho messo in dubbio
la mia vita qui.”
Red Dead Redemption
“E fu così che lo uccisi. Un solo proiettile. Centrai il bersaglio.”
“Cuore.”
“Ma quale cuore. Quella è roba da gente di
città, tutti quei pagliacci che credono di essere migliori
di noi solo perché vestiti come degli idioti. Parola mia,
loro non sanno niente su cosa significhi essere uno di noi. Non sei un
uomo se non hai un'arma e se non la sai usare. La testa, Terrence. E'
quello il bersaglio per uccidere un uomo. Rod, un altro giro!”
Il proprietario del
saloon si avvicinò al tavolo camminando al ritmo a cui era
abituato, e sentire i scricchiolii del pavimento ogni volta che
avanzava di un passo, gli dava un senso di pace, una tale pace a cui
era abituato da anni, e a cui era difficile rinunciare.
Arrivato al tavolo, porse agli uomini i boccali fumanti di alcool, per
poi riporre lo sguardo su l'unico dei quattro che non aveva ancora
parlato.
“Walker, non mi aspettavo di vederti oggi.”
Preston Walker
alzò lo sguardo verso di lui, lentamente, quasi a
rallentatore.
“Ah, sì?” si limitò a dire,
la voce era impastata, un po' per l'alcool, un po' per il sigaro che
teneva in bocca, ma d'altra parte era un uomo di poche parole, il
genere d'uomo che preferiva far parlare i fatti, ma quando parlava lo
faceva in modo chiaro e lento, quindi riusciva a farsi capire comunque.
Da chiunque.
“Non dopo quello che è successo ieri.”
“Perché cosa è successo?”
intervenì Terrence, sinceramente curioso.
“Nulla che ti riguardi.” rispose prontamente
Walker, sempre lentamente, come se gli costasse fatica pronunciare ogni
singola lettera e cercasse quindi di parlare il meno possibile.
“E' caduto. Svenuto, per la precisione.” fece il
barista.
“Giura!”
“Sua
figlia è passata di qui. Sono sorpreso che ti abbia permesso
di uscire.”
Preston fece un piccolo sospiro, cercando di mascherare tutta
l'irritazione che si sentiva addosso.
“Johanna dovrebbe smettere di raccontare i cazzi miei in
giro.”
“Si preoccupa per te.”
“Mm.. certo.” concluse Walker, mettendosi il
cappello e uscendo dal saloon, per poi montare sul suo cavallo,
affrettandosi a lasciare la zona.
Cosa gli stava
succedendo? Fino a un paio di giorni prima, nonostante i suoi
cinquantacinque anni, era pieno di energia, come lo era sempre stato
per tutta la sua vita. Nel giro di una giornata visitava diversi
luoghi, incontrava diverse persone, faceva cose su cose. Era sempre
stato lento nei movimenti così come nel parlare, tranne
quando si trattava di sparare o difendersi da un pericolo imminente,
quindi faceva le cose al suo ritmo, ma le faceva, e ne era sinceramente
soddisfatto.
Ma poi? Poi era svenuto. Svenuto. Lui. Lui che aveva affrontato
sparatorie, banditi, che gestiva un ranch. E perché poi? Non
lo sapeva nemmeno lui. Il caldo? La stanchezza? Il clima era sempre
stato quello e la stanchezza era fuori discussione, non aveva fatto
praticamente nulla per stancarsi quel giorno. Ricordò il
viso preoccupato di sua figlia e quello del medico, che concluse di non
avere idea del perché fosse svenuto, azzardò solo
ipotesi. Ipotesi inaccettabili per Preston.
Si era alzato dopo
ore. Stordito. Con il mal di testa. Non era estraneo a queste
sensazioni, d'altronde beveva spesso e questi erano tutti effetti di
una sbornia colossale, e di quelle lui ne aveva avute tante. Ma non
aveva bevuto. Né fumato, nonostante lo facesse molto spesso.
Così era andato al saloon alla ricerca di distrazioni, di
qualcosa da fare, qualcos'altro a cui pensare, ma le chiacchiere dei
suoi vecchi amici erano sembrate così lontane, e il dolore
alla testa, che non se n'era mai andato e che non aveva fatto altro che
aumentare, diventava sempre più forte, così forte
che gli era impossibile pensare ad altro.
Iniziò a grattarsi la fronte, sentì sempre
più caldo, così tanto che gli sembrava di avere
dietro di sé il Sole che gli dava la caccia, alla sua
destra, una zona d'ombra. Bene. Mosse le redini per cambiare strada al
cavallo, ma ciò che vide lo spaventò ancora di
più.
Vide sé stesso. Il suo volto. Vide i suoi tratti duri, i
suoi piccoli occhi blu, i suoi baffi che si stavano ingrigendo poco a
poco, i suoi capelli scuri e corti, che si nascondevano sotto il
cappello. Com'era possibile? Non c'era un fiume, uno specchio, o
qualcosa che giustificasse una cosa del genere. In più, il
suo cavallo non si vedeva nell'immagine, che si faceva sempre
più sfuocata. Un' allucinazione? Forse.
“Arh. Devo aver bevuto più del previsto.”
Si mise una mano
sulla testa, di nuovo, voleva solo che il dolore si fermasse. Chiuse
gli occhi. Li riaprì. Ripeté questo processo una
decina di volte, e dopo l'ennesima volta in cui aprì gli
occhi, vide di nuovo la sua immagine, ma non solo. Intorno ad essa,
vide delle ombre, ombre di altre persone, altre cinque persone. Era
impossibile capire chi fossero, dato che si vedevano solo i contorni.
Li conosceva? Non li conosceva? A primo impatto gli sembrava di non
averle mai viste, eppure sentiva che erano vicino a lui, una parte di
lui, parte del suo corpo.
Poi si sentì ancora più stordito. La vista
iniziò a calare, lo percepì dal fatto che vide, o
gli sembrò di vedere, quelle ombre unirsi al riflesso del
suo viso.
Ricordò un rumore, era il suo cavallo che nitriva, e lui lo
vedeva dal basso. Era caduto? Probabile. Poi, l'oblio.
Quando Walker capì di essere cosciente,
ne fu molto sorpreso. Conosceva persone che erano morte per molto meno
di uno svenimento e un po' di dolore alla testa, e quando era svenuto
per la seconda volta in due giorni, cadendo dal suo cavallo e nel mezzo
del nulla lontano sia dal paese che aveva lasciato sia da quello verso
cui era diretto, pensò seriamente che la sua fine fosse
giunta.
Però sentiva i suoi arti perfettamente funzionanti e il
dolore alla testa svanito, come se fosse stato solo un lontano ricordo.
Effettivamente, si sentiva addosso un'energia tutta nuova. Non si
sentiva così bene, fisicamente almeno, da anni.
L'unica cosa che lo preoccupava era la certezza di non trovarsi
più nel punto in cui era svenuto. Non era nemmeno
all'aperto. Non sentiva il caldo dell'aria, né il rumore di
animali selvatici e cavalli. Niente uccelli. Niente piante che si
muovevano aiutate dal vento del tardo pomeriggio. Niente. Tutto quello
che sentiva era un assoluto silenzio, un silenzio quasi inquietante, e
sotto di sé, una superficie. Un pavimento probabilmente, ma
di certo non era legno. Doveva essere fatto di un materiale che non
conosceva. Continuando a tenere gli occhi chiusi, continuò a
tastarlo con le mani, fino a quando un'altra voce lo fece sussultare.
“E' marmo.”
Una voce
maschile, apatica, ma calma e apparentemente serena. Sembrava la voce
di un insegnante mentre spiega qualcosa ai giovani studenti con
pazienza.
Walker si decise ad aprire gli occhi, e dovette inspirare un paio di
volte per focalizzare il luogo in cui si trovava. Era effettivamente a
terra, su un pavimento bianco e liscio, le pareti della stanza bianche,
anche il soffitto bianco. Se non fosse stato per il senso del tatto che
aveva usato per toccare il pavimento, avrebbe pensato ad un sogno, ma
per quanto sembrasse reale, c'era ancora qualcosa di strano, di
ambiguo, non solo in quella stanza ma in quell'uomo, ed era presto per
scartare l'ipotesi di non essere vivo. Poteva essere morto. Poteva
trovarsi al.. Purgatorio? Paradiso? Inferno? Quella situazione non gli
piaceva per niente. Avrebbe preferito essere ancora incosciente. Voleva
risposte.
Guardò di nuovo l'uomo che in quel momento gli dava la
schiena, e ne approfittò. Cercò la fondina con
qualche riluttanza, ma quando constatò di averla ancora,
sospirò sollevato ed estrasse la sua pistola, per puntarla
verso l'uomo, il quale non si era nemmeno accorto che si fosse alzato.
“Hai dieci secondi per dirmi chi cazzo sei e che posto
è questo, altrimenti, giuro su Dio, ti faccio saltare il
cervello.”
L'uomo
voltò leggermente la testa, e scoppiò a ridere,
una risata lontana e spontanea, come se volesse prenderlo in giro.
Walker si infastidì ancora di più.
“Guarda che non scherzo! Non è mia abitudine
uccidere un uomo disarmato, ma lo farò se non mi dai le
risposte che cerco. E guardami quando ti parlo, cazzo!”
L'uomo si
voltò, smise di ridere, ma era ancora compiaciuto. Fece un
piccolo passo verso Walker, tenendo le mani alzate.
“D'accordo. Spara.”
“Come?”
“Non è quello che volevi fare? Sparami. Ricorda,
il cuore sta qui, quindi.. ah non aspetta.. volevi spararmi al
cervello, vero? Spara dove vuoi, non ho nulla da nascondere.”
Walker non
sapeva davvero cosa pensare, mai si sarebbe aspettato una simile
reazione, quasi senza accorgersene abbassò la pistola, ma
quando vide l'uomo avvicinarsi nuovamente a lui, gli sparò
d'istinto. Cuore.
Ma quell'uomo se ne stava ancora in piedi. I suoi occhi scuri erano
ancora aperti e divertiti, i suoi abiti, bianchi ed insoliti, che
Walker non aveva mai visto, erano puliti e asciutti, non c'era neanche
una goccia di sangue. E l'uomo, naturalmente, era ancora in piedi.
Era come se avesse sparato al vuoto.
“Tu non sei reale.”
L'uomo, o
qualunque cosa fosse, si avvicinò nuovamente a Walker fino
ad arrivargli vicino, e così poté vederlo meglio.
Aveva chiaramente l'aspetto di un uomo normale di massimo trent'anni,
capelli scuri, occhi scuri, la pelle bianca quasi quanto le pareti e
gli abiti. Eppure, qualcosa in lui non quadrava. Tutta quella
situazione era poco chiara.
“Sì e no. Lo sono stato un tempo, e si
può dire che lo sono ancora in un certo senso, ma ora,
ciò che vedi davanti a te, non è un uomo. Ma non
devi avere paura di me.”
“Chi ha detto che ho paura?”
Quell'essere sorrise, quasi divertito.
“Non volevo dire questo.”
“E allora che cosa sei? Basta parlare per enigmi! Voglio la
verità!”
“Mi
sarebbe impossibile spiegarti cosa sono senza usare enigmi. Ma non
è di me che ti devi curare. Io sono solo uno strumento. Uno
strumento per aiutarti in questo tuo viaggio. E la verità..
la verità è che quello che ti aspetta, non
è facile.”
“Ti ho detto di smetterla di fare discorsi inutili. Vuoi
aiutarmi? Inizia con il parlare chiaramente, come i veri uomini fanno.
Se sei mai stato un uomo una volta, dovresti saperlo.”
“Immagino sia inutile tergiversare. Prima o poi dovrai
conoscere la verità. Ogni volta cerco di raggiungere la
verità passo dopo passo pensando che sia meglio, ma forse
dovrei smetterla e arrivare subito al nocciolo della
questione.”
“Lieto di constatare che parliamo la stessa lingua. Ora,
sputa il rospo.”
“Il tuo nome è Preston Clayton Walker. Sei nato il
12 febbraio 1852 a Dallas, Texas. Hai passato i primi anni della tua
vita in orfanotrofio, e all'età di sei anni sei stato
adottato da Theodore e Annelyse Walker di Austin, che gestivano un
ranch, ranch che è diventato tuo alla loro morte, nel 1873,
quando avevi ventuno anni. L'anno seguente hai sposato Bernice
Hopewell. Avete avuto sette figli, e quattro di loro sono morti di
malattie prima di diventare adulti. Dei tre restanti uno è
morto in un duello, un altro si è trasferito, e l'ultima
rimasta gestisce il ranch che hai ereditato insieme al marito e ai
figli. Tua moglie Bernice Hopewell è morta nel 1900 a causa
di una tempesta nel centro di Austin.”
Walker non
si era mai sentito così nudo in vita sua. Come faceva quel
tizio a sapere tutte quelle cose? Nessuno sapeva che era stato
adottato. Neanche sua moglie, e nemmeno la figlia Johanna, e tanto meno
i suoi compagni di avventure. Quello sarebbe stato un buon momento per
puntargli la pistola contro, ma si ricordò subito che non
sarebbe servito a nulla.
“Ti stai chiedendo come faccio a sapere tutte queste cose,
vero?” disse, come se gli avesse letto nella mente.
“Mi hai spiato. Non so come, ma l'hai fatto. Non
c'è altra spiegazione.”
“In
effetti una spiegazione ci sarebbe.” fece, indicando un
oggetto, sempre se era un oggetto, che Walker non aveva mai visto.
Era color grigio, stava su un tavolo, e l'uomo non poteva fare altro
che fissarlo cercando di capire cosa fosse, ma non somigliava neanche
lontanamente a qualcosa che avesse già visto. Era una specie
di grande cubo, con un contorno chiaro, mentre all'interno era nero.
Davanti a lui, sempre sul tavolo, un oggetto dalla forma rettangolare
con sopra numeri, lettere e simboli che Walker non conosceva. I due
oggetti, erano collegati da dei fili color grigio scuro, come lo era un
terzo oggetto alla loro destra, più piccolo e nero, anche
lui collegato ad un filo.
“Che razza di diavoleria è mai questa.”
“Si chiama computer. E l'unico motivo per cui non lo conosci è che non è ancora stato inventato.”
Questa
volta fu Walker a soffocare una risata.
“Stai dicendo che quel coso viene dal futuro? Che TU vieni
dal futuro?!? Non me la bevo.”
“Sarebbe
stato strano il contrario. Vieni. Ti dimostro che ciò che
dico è vero.” fece l'uomo.
Walker era ancora parecchio scettico, e soprattutto era riluttante ad
avvicinarsi a quello strano aggeggio che non gli piaceva per niente
quindi se ne stava a debita distanza, ma al tempo stesso era curioso
così cercava di allungare il viso per vedere cosa stava
succedendo.
Vide l'uomo, o essere, o qualunque cosa fosse, inchinarsi su di esso
quando sentì all'improvviso un rumore. Spaventato,
tirò fuori la pistola puntandola contro quel aggeggio, dal
quale, guarda caso, era arrivato il suono.
“Non è niente! Si sta solo accedendo!”
“Accedendo cosa? Dei proiettili?!? Se ti aspetti che me ne stia qui aspettando di essere ucciso da una macchina, ti sbagli di grosso.”
“Ecco, vieni. Guarda tu stesso. Leggi. Sai.. sai leggere, vero?”
Walker
ignorò la domanda, e si avvicinò con la dovuta
cautela. La parte centrale del cubo non era più nera, anzi,
aveva una luce accecante, il colore bianco, e.. c'era qualcosa scritto.
Ci mise un po' a capire di cosa si trattasse dato che non leggeva da
quando era bambino, ma non gli ci volle molto per capire che si
trattava di lui. Era un documento su di lui. C'era tutto. Data di
nascita, la sua vita, i nomi dei suoi amici, dei membri della sua
famiglia, cosa aveva fatto in un determinato giorno. C'era persino una
sua immagine. Il suo volto. Lo stesso volto che aveva visto vicino alle
altre cinque ombre prima di cadere da cavallo e svenire.
“Il mal di testa.. lo svenimento.. sei stato tu! Tu me l'hai
causato!”
“Mi dispiace, ma era inevitabile.”
“Che cosa cazzo mi hai fatto?!?”
“Sei
stato scelto.”
“PER COSA?!?”
“Questo
mondo è infettato da delle.. cose. Esseri geneticamente
modificati. La loro origine è incerta, non si sa cosa siano
esattamente e da dove arrivino. Le prime notizie che ho rintracciato su
di loro è che sono stati trovati da degli scienziati, e
usati per degli esperimenti in alcuni laboratori del Governo. A causa
di questi esperimenti devono aver assunto capacità che gli
hanno permesso di distruggere i laboratori e fuggire. Possono assumere
qualsiasi aspetto, l'aspetto di un uomo, un animale, una pianta,
possono assumere anche l'aspetto di qualcosa di astratto, come un
sentimento, una paura, una sensazione, uno stato d'animo. E possono
viaggiare nel tempo. Se non vengono fermati, possono alterare la storia
dell'umanità, in modo irreparabile. Sono anche molto
intelligenti, potrebbero benissimo creare un virus e generare
un'epidemia senza precedenti.”
“Bella storia. Dovresti scriverla. Verrebbe fuori un libro
molto venduto.”
“E' la verità, Walker. E' per questo che sei qui. Tu devi fermarli.”
Preston
scoppiò a ridere, come non rideva da tempo.
“Io? E cosa dovrei fare? Cosa pensi che possa fare?
Scienziati? Esseri che che cambiano aspetto? Viaggi nel tempo? Io ho
solo un cavallo, una pistola e un ranch. Hai sbagliato uomo. Ora vedi
di riportarmi a casa.”
“Non sei solo.”
“No, certo che no! Ci sei tu e quel dannato aggeggio!” esclamò Walker quasi divertito, indicando il computer.
“Cinque.”
“Cinque? Cinque cosa?”
“Non
sei solo in tutto questo. Cinque persone ti aiuteranno. Cinque persone
che sono state scelte come te. Che in questo momento stanno vivendo
quello che stai vivendo tu. Io non sono reale, Walker. Sono
un'immagine. Un'immagine creata nella tua testa che
scomparirà tra poco. In questo momento, mentre stiamo
parlando, una persona reale sta muovendo i fili che mi permettono di
stare qui con te. In questo momento io sto dicendo le stesse cose,
anche alle altre cinque persone.”
“Ma cosa cazzo stai dicendo?!? Chi sono queste cinque
persone? E i fili di cosa? Dove sono io? Che mi stai facendo?”
“Ti
stiamo dando ciò che ti serve per combattere quegli esseri.
A te e agli altri cinque. Sì, hai visto le loro ombre prima
di cadere da cavallo. Le vedrai sempre. Ormai loro sono parte di te, e
tu sei parte di loro. Siete legati da qualcosa che nulla
potrà mai spezzare. Il vostro futuro, il vostro destino,
è legato l'uno all'altro. Loro vengono da luoghi ed epoche
lontani e diversi, e sarà questa la vostra più
grande forza. Tu hai cercato di spararmi quando mi hai visto, una
reazione normale suppongo. Anche uno di loro l'ha fatto, sai? Due
volte. Sono sicuro che andrete molto d'accordo.” la voce
dell'essere era sempre più lontana, più bassa,
più difficile da comprendere, come se stesse scomparendo
poco a poco.
“Non capisco una sola parola di quello che stai dicendo. Cosa
ci stai dando?”
“Non
mi aspetto che tu capisca. Come potresti? Ci vuole tempo per queste
cose. Ti sto solo informando. Sarai tu a constatare la
veridicità di questi fatti, una volta sveglio. Il nostro
tempo è quasi scaduto. Presto avrai le risposte che stai
cercando.” sussurrò quasi, e la sua immagine
iniziò a scomparire.
“Aspetta! Perché? Perché noi?”
“Perché
siete anime spezzate.”
SALVE DI NUOVO, CON IL SECONDO CAPITOLO! IL PRIMO HA AVUTO TANTE VISITE QUINDI GRAZIE GRAZIE GRAZIE!
E GRAZIE A CHIUNQUE LEGGERA' ANCHE QUESTO CAPITOLO E A CHI LASCERA' UN COMMENTO, CHE SONO SEMPRE GRADITISSIMI!
SPERO VI SIA PIACIUTO E.. ALLA PROSSIMA!