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Autore: Rid    09/07/2017    3 recensioni
{Malattie mentali, tematiche delicate, violenza, amore incondizionato}
Di tutti i vari finali che la loro storia avrebbe potuto avere, sicuramente non si sarebbero aspettati di vedere proprio quello: Imprigionati, rinchiusi, non c’era più speranza.
Tutto quello che avevano sarebbe morto con loro, sarebbero entrati in quelle fragili mura, avrebbero scatenato la paura e la pazzia, e li avrebbero uccisi tutti.
Goenji Shuuya lo avrebbe guardato con la vittoria sulle labbra, afferrato, torturato, lo avrebbe fatto inginocchiare e poi gli avrebbe sparato un colpo in testa. E come lui, anche tutti gli altri.
Non c’era speranza, non c'era più niente.
Eppure, c’era un tempo in cui la speranza di un giorno migliore, la speranza della vittoria lo aveva spinto a scappare, a correre lontano dal dolore e a creare tutto ciò che ora comandava.
Ne sarebbe valsa la pena, di mollare in quel momento?
{Yaoi Warning – (Endou x Kazemaru);(Goenji x Fubuki);(Someoka x Fubuki);(Kageyama x Kidou);(Hiroto x Midorikawa) }
(Storia ad intreccio - " per intreccio si intende l'insieme degli eventi contenuti in un'opera narrativa, visti però non nel loro susseguirsi cronologico, ma nel modo effettivo in cui sono stati disposti dall'autore.")
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Jude/Yuuto, Nathan/Ichirouta, Shawn/Shirou, Un po' tutti, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo
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Prologo, seconda parte – Chained to Love

15 agosto 2014, Tokio.

Finita la maturità, nella quale il ragazzo aveva brillato più che egregiamente con conseguente borsa di studio per praticamente qualsiasi università prestigiosa del paese, Kidou Yuuto corse nostalgicamente al campetto da calcio, intenzionato a dare la splendida notizia a tutta la squadra.
Eppure, quando arrivò, notò con amarezza che non c’era traccia di alcun membro della famosa Raimon, e che il campo era stato messo a dura prova da un gruppetto di ragazzetti scalmanati che inneggiavano alla leggendaria squadra di cui era stato il regista per anni.
Assalito da un senso di amarezza si accucciò lungo i gradini e si sedette accanto alla fresca erba del lungo fiume, dove ricordava di aver pianificato, sudato, pianto e esultato assieme ai suoi vecchi compagni.
Perché avevano lasciato che tutto finisse così? Certo, non che lui avesse fatto qualcosa per effettivamente favorire l’incontro e l’unione della squadra nell’ultimo periodo, perché la scuola e il lavoro lo avevano tenuto parecchio occupato fisicamente e mentalmente, e quelle rare volte che aveva provato a ricostruire il già parecchio incrinato rapporto aveva rinunciato quasi subito a causa delle nefaste notizie che uno sconsolato Kazemaru gli aveva riportato:
Goenji e Someoka erano spariti nel nulla, occupati a inseguire un percorso di vita sì importante, ma misterioso; Hiroto e Midoriwaka, compagni di una vita, si erano trasferiti assieme a Okinawa per dirigere un hotel privato assieme in visita di una possibile convivenza matrimoniale, mentre Fubuki, tornato in Hokkaido dopo l’ipotetico ritrovamento delle salme della famiglia, non era mai tornato indietro.
Ma la cosa peggiore, che davvero sancì la fine di ciò che restava della Raimon Eleven dopo l’incidente fu l’abbandono di Endou.
Quando Kidou seppe che il grande capitano della Inazuma Japan aveva ritirato la sua iscrizione annuale al club di calcistica per risparmiare tempo e soldi da dedicare all’amata Natsumi, tutto aveva cominciato a perdere la maschera e a rivelarsi per ciò che davvero era: la fine della leggenda.
Ora, non erano più loro a giocare in quell’improvvisato campetto desiderosi della vittoria suprema, ma un gruppetto di bambini sorridenti dalla maglia argentata, che colpivano senza abilità un malandato pallone ridendo e scherzando.
Uno di loro, un bambinetto dai capelli bruni e il sorriso vispo, sovrastò con la sua voce i brusii dei compagni. -Sono Goenji Shuuya, PAWH! Guardate il mio devastante “Tornado di Fuoco” che distruggerà la tua inutile “Mano di Luce”, portiere Endou! - e urlata tra le risate, quella frase spiccò un balzo improvvisato, dimenò buffamente le gambe e tirò in porta verso un altro bambinetto biondo dall’espressione decisa.
Questo, esibendo un tiratissimo sorriso, ruotò un paio di volte stringendosi le mani ed esplose in una cristallina risata urlando – “Mano del Colosso!” - quando la palla si infranse sulle sue mani con un grande tonfo.
Un altro bambino, più alto degli altri e robusto intercettò la palla lanciata dal portiere, e si rivolse al primo bambino che aveva che aveva tirato, incrociando le braccia con il pallone fra i piedi.
-Come al solito i tuoi tiri erano troppo deboli, ti mostrerò la potenza della mia micidiale “Tormenta Glaciale”! -  e toccato il foulard della mamma che portava al collo divaricò impacciatamente le gambe, si mise in posa e poi tirò velocemente in porta.
Il tiro fu intercettato da una bambinetta dai capelli raccolti in un nastro colorato, la giacchetta legata sulle spalle che svolazzava nell’aria e un paio di ingombranti occhiali da sole che le cascavano sul naso, che con un veloce e talentuoso colpo di tacco fermò con semplicità la terribile “Tormenta Glaciale”.
-Mikimura! - richiamò il ragazzino padrone del tiro. -Ti ho detto che tu non puoi giocare vestita così?!
La bambina sorrise e si sistemò gli occhiali cadenti, senza scomporsi.
-Sei solo invidioso perché Kidou Yuuto ha bloccato il tuo tiro. Non vali nemmeno la metà di Fubuki Shirou, mentre io sono sulla buona strada per diventare come il capitano della Royal Akademy! -
Kidou in quel momento, udendo quelle urla gioiose, sorrise dolcemente, commosso dalla tenerezza di quella adorabile imitazione. Ma mentre il suo sguardo era perso nei ricordi e nella tenerezza, sentì il cellulare vibrare qualche istante nella sua tasca: un messaggio.
-Non puoi essere Kidou Yuuto, te l’ho già spiegato un mucchio di volte! Sei una femmina e le femmine non sono ammesse nella Raimon! Al massimo puoi fare la manager! –
Era un messaggio anonimo, quello che compariva sul display.
-Non voglio fare la manager, io voglio giocare a calcio! Voglio fare Kidou, mi sto allenando per fare il pinguino imperatore numero 2, e allora vedrete come la metterò in porta! –
Kidou osservò intensamente il messaggiò sul display, e sussultò ripetutamente di fronte a quelle piccole paroline di fronte allo schermo, sentendo quasi le lacrime raggiungergli e lo stomaco attorcigliarsi intorno al suo debole cuore.

“Torna da me. Terza via traversa di Corso della Stazione, numero 23. Terzo appartamento a sinistra.”
Yuuto sentì una violenta scossa contrargli i polmoni e si sentì pervaso da un violento giramento di testa, poiché sapeva quale fosse il proposito di quell’emittente misterioso.
Da circa 6 mesi, dopo che aveva visto quella notizia alla televisione, non aveva potuto pensare ad altro, non era riuscito a spostare i suoi normali pensieri su nulla che non fosse un peccaminoso desiderio, così sbagliato da farlo avvampare dalla vergogna.
Non aveva trascurato i pensieri riguardanti la maturità, ovviamente, ma una volta chiusi i pesanti libri ecco che quella fantasia, quella curiosità, quel desiderio si trasformava in un dolce e imbarazzante film mentale erotico.
Da ragazzino, mai avrebbe pensato di anche solo minimamente immaginare ad una cosa così sbagliata e sporca. Eppure, lo aveva fatto e continuava a farlo, facendosi cullare dal piacere che essa gli provocava, come vittima di un nefasto incantesimo. Sapeva di esserlo, sapeva di essere sotto l’effetto di uno sporco gioco perverso e malato, lo sapeva.
Per tutta la sua infanzia e la sua adolescenza quell’uomo aveva tessuto la sua tela e lo aveva impigliato nei suoi fili lussuriosi, in un perenne complesso di Elettra maschile e vischioso al punto giusto, così che si risvegliasse proprio nel momento da lui desiderato. Ed era quello il disgraziato momento.
Avrebbe voluto opporsi, segnalare quel messaggio alle autorità e fuggire lontano da quei bavosi pensieri, ma il suo sguardo rimaneva immobile mentre le sue mani stringevano il piccolo cellulare sognanti. Sono imbarazzante. Pensò. Ripugnante.
Non poteva farci nulla, sventuratamente. Era un uomo adesso, non aveva più 14 anni, la sete della passione e il desiderio di giacere tra le braccia e le attenzioni della figura che aveva sognato per così tante notti era troppa.
Non poteva fuggire, lo aveva intrappolato.
Improvvisamente, un acuto grido irruppe nelle orecchie di Kidou, per pochissimi istanti. Improvvisamente si ritrovò sommerso dai ragazzini emozionati ed esultanti. Gridavano il suo nome e inneggiavano alla leggendaria squadra, riempiendolo di domande e richieste.
La bambina, invece, si era rapidamente liberata dal suo piccolo vestito di carnevale ed era rimasta ferma di fronte al pallone, rossa di vergogna e di emozione.
Kidou sorrise caldamente ad ogni bambino, accarezzò loro le teste e scambiò con loro qualche divertente battuta, alleviando per qualche minuto il dolore nel suo cuore.
Sotto il sorriso smagliante dei fanciulli autografò zaini e giubbotti, palloni da calcio e guantoni da portiere.
-Un giorno noi giocheremo a calcio esattamente come la Raimon, saremo forti come voi! –
-Ehi Kidou! Sono un centravanti come te, sai? -
-Giochi ancora con l’Inazuma Japan? -
-Come è stringere la coppa del Football Frontear International? -
-Ci insegni le tecniche della Royal? -
-Posso vedere i tuoi occhi? –
Accontentati i bambinetti con ogni loro richiesta che fosse possibile, Kidou si sentì il cuore scaldato dalla felicità dei loro visi. Pensò ad Endou, a Kazemaru, a Someoka e agli altri, immaginandoli accanto a lui, impegnati ad arrossire, a pavoneggiarsi delle loro imprese leggendarie, come solamente loro sapevano fare.
Poi, quando i bambini si appartarono qualche metro più indietro chiacchierando e ridacchiando Yuuto si alzò in piedi per avvicinarsi alla ragazzina.
-Mi piace molto il tuo costume. – disse dolcemente, sorridendo alla piccolina.
Quella cercava disperatamente di nascondere ogni lembo di pelle del suo piccolo costume, arrossendo deliziosamente di fronte al suo idolo. -Come ti chiami? – sussurrò dolcemente alla piccola avvicinandosi a lei. -Miki. - sussurrò lei in un piccolo respiro timorato.
Kidou le levò dolcemente le mani dall’enorme giacca rossa e, con un delicato gesto fraterno, gliela posò sulle spalle sorridendo e allacciando le maniche rovinate attorno alle spalle della piccola. -Ecco, ora sei quasi perfetta. Ti piace giocare a calcio, Miki? -
-Si… io da grande vorrei fare parte di una squadra. – Disse la bimba, finalmente sognante.
-E in che ruolo vorresti giocare? –
-Non mi importa, vorrei solamente che qualcuno mi facesse giocare. – Rispose lei, incrociando le braccia e lanciando un’occhiata di odio contro i suoi compagni nell’angolo del campo.
Kidou sorrise, intenerito. Le scombinò i capelli ricci e rossastri e poi le tese la mano, come un cavaliere di fronte alla propria dama.
-Beh, signorina… se vuoi giocare…giochiamo! Le va di fare qualche tiro con me? –
La bambina improvvisamente spalancò gli occhi e bocca in un’espressione di sorpresa, eccitazione e meraviglia. Le sue iridi chiare si dilatarono come in un sogno ad occhi aperti. -Si! – urlò concitatamente, attirando l’attenzione dei compagni ancora appartati.
Kidou Yuuto fu impegnato, con uno smagliante sorriso e davanti ad una sempre più numerosa folla di bimbi e genitori appena arrivati, in una splendida partita contro la bambinetta dai capelli rossi, che faceva del suo meglio per eseguire passaggio abili.
Ogni tanto, davanti alle esultazioni commosse di quella che aveva riconosciuto come la madre della bambina, si faceva sfilare la palla dai piedi, si faceva dribblare e attaccare, ricambiato dal meraviglioso sorriso della piccola.
Poi, la fece tirare in porta. Il pallone si infranse nella rete con una inusuale forza per una bambina, evidentemente detentrice di un insospettabile talento.
Miki rise di gusto, felice.
Poi si avvicinò a Yuuto, sorridendogli innocentemente. -Ho vinto. - urlò senza presunzione ma solo con grande emozione.
Saltellò nuovamente e si sbracciò in direzione della madre, mostrandole come davvero aveva finalmente realizzato il suo piccolo grande sogno. Poi si voltò nuovamente, rivolgendosi a Kidou.
-Posso abbracciarti? – Senza nemmeno aspettare una risposta oppure un cenno di intesa si gettò contro il ragazzo, stringendogli i fianchi in un abbraccio di immensa gratitudine.
Kidou la strinse a sé. Ma improvvisamente, quel nefasto pensiero gli si aggrappò ai polmoni, rendendogli il respiro pesante. Avrebbe voluto essere innocente come quella bambina, avrebbe voluto davvero.
Ne era sottomesso, psicologicamente e fisicamente, perché la sua mente, nel torbido della sua adolescenza, bramava di essere sottomessa in modo fisico: lo voleva.
Lo bramava dentro di sé, e per quanto avrebbe provato ad opporsi Kidou sapeva che se il comandante avesse voluto, lo avrebbe fatto suo senza alcuna resistenza. Era un peccatore.
La bambina si staccò dal suo corpo continuando a sorridere. – Grazie, sei il mio idolo, Kidou Yuuto. Un giorno diventerò esattamente come te! -
Lui sorrise forzatamente, ancora spezzato da quei viscidi pensieri.
-Si, sono sicuro che lo diventerai. Sarai una grandissima centravanti, hai un tiro di primo ordine! Molto più dei tuoi amici sinceramente. – le strizzò debolmente l’occhio, accarezzandole nuovamente il viso infantile. Poi si fermò a pensarci, e quando se ne sentì completamente sicuro si accovacciò nuovamente accanto alla bambina.
-Puoi farmi un favore? – Le prese le mani fra le proprie, fissandola intensamente negli occhi.
Qualche ora dopo, alzandosi da quel letto sudato, Kidou Yuuto ripensò alla bambina e alle sue pire e deliziose iridi, soffermandosi a pensare a quanto avrebbe voluto, in fondo all’animo, conservare ancora una piccola scintilla di quella purezza e voglia di continuare a combattere per i propri sogni.
Il vero Kidou Yuuto, pensò, non sarebbe mai finito in quella situazione. Non avrebbe abbandonato la Raimon, prima di tutto, e sicuramente non sarebbe finito nudo in quella stanza scura a dormire accanto al loro peggiore nemico.
Qualche ora dopo l’incontro con la bambina, Kidou si alzò ancora terribilmente confuso e spezzato da quell’letto sfatto, accovacciandosi per qualche minuto sul pavimento.
Per quanto si sentisse violato, sporco, infastidito da quella continua sensazione di reminiscenza dei palmi dell’uomo, della lingua, di ogni lembo della pelle che gli si era stata strusciata addosso, percepiva ancora l’immenso piacere provato al culmine quella nottata terribile e immensamente deliziosa.
Si trascinò accanto allo specchio, si osservò nudo nel riflesso scuro. Il suo sguardo rosso, con quelle iridi ora scoperte, scintillava nell’oscurità, finalmente libero dalle lenti che per anni li avevano celati allo sguardo altrui.
Il comandante, quando gli aveva osservato il viso, lo aveva preso tra le sue mani, accarezzandogli le palpebre con desiderio e delicatezza, sussurrandogli all’orecchio cose che non avrebbe mai voluto sentirsi dire da nessuno al di fuori di colui che amava. Lo aveva bramato per così tanto che, una volta sentitosi dentro di lui, Kageyama Rei non aveva smesso un secondo di sussurrargli ogni cosa sul collo, con quella voce roca che lo aveva fatto impazzire.

Era vergognoso
– Pensava. – L’ho amato così tanto. – aveva aggiunto subito dopo ogni centimetro della sua pelle.
Si. Lo aveva amato così tanto. Lo aveva amato così tanto.
Alla fine, con vergogna immensa, Kidou pianse davanti allo specchio, accovacciandosi per coprire la propria nudità. Le lacrime gli rigarono il viso come un ruscello su una montagna, e i suoi singhiozzi venivano coperti dai respiri del comandante, avvolto nelle coperte del letto, anche egli nudo di fronte alla verità.
Come avrebbe fatto a dire la verità al mondo? Come avrebbe fatto a spiegare al padre che, invece di essere ad informarsi per il proprio futuro era caduto fra le braccia dell’uomo che tanto aveva odiato.
Oh, se suo padre avesse potuto udire i suoi respiri e i suoi gemiti mentre le spinte forte gli provocavano un tale piacere lo avrebbe cacciato, lo avrebbe ripudiato, il suo futuro sarebbe stato distrutto da un unico, minuscolo e peccaminoso errore.
Di fronte a quello specchio, Kidou Yuuto promise a se stesso che mai avrebbe lasciato che qualcuno scoprisse ciò che era appena accaduto, senza sapere che quella promessa lo avrebbe trascinato in una spirale di terribile perversione per i successivi 4 anni.

-Puoi farmi un favore? – Le prese le mani fra le proprie, fissandola intensamente negli occhi.
-Tutto quello che desideri. Per te farei qualsiasi cosa. – rispose lei sorridendo sempre più intensamente.
-Promettimi che non farai come noi, promettimi che non smetterai mai di giocare. Ti farai tanti amici e non voglio che tu possa mai e poi mai lasciare andare quello che ami. Non devi fare questo errore, promettimelo. -
-Promesso. Te lo prometto davvero. -
Kidou sorrise, finalmente placato nell’animo. -Voglio che tu possa ricordare questa promessa. Voglio farti un regalo, ne hai più bisogno di me. -
Kidou Yuuto lasciò nelle mani della bambina i suoi amati occhiali da aviatore, facendola crollare in ginocchio dalla commozione.
Lei conobbe meglio il suo sogno e lui lasciò definitivamente andare i rimasugli di una speranza sepolta già da tempo.

 

 

 

17 luglio 2020, Okinawa.

 

Di tutto ciò che avevano potuto comprare, non c’era mai stato niente di più speciale e bello del pianoforte nella sala hall.
Midorikawa adorava ascoltare il marito concentrarsi, prendere un bel respiro e poi cominciare a suonare di fronte alla piscina pullulante di clienti ammaliati da quelle note affascinanti.
Ognuno di loro assumeva sempre una fantastica espressione sognante di fronte alla bellezza del proprietario che si esibiva con fascino di fronte alle luci ammaglianti della piscina, e Midorikawa si sentiva potente anche solo al pensiero che quell’uomo così bramato fosse ormai già incatenato al suo letto.
Con il calcio loro avevano davvero chiuso.
Entrambi fortunati 26enni, pieni di spirito e voglia di costruirsi una nuova vita, desiderosi di dimenticare l’incidente che aveva portato alla morte di molti amici.
Midorikawa, in realtà, sentiva ancora ogni tanto la voglia di chiacchierare con coloro che, essendo loro ospiti, riuscivano a riconoscerli e ammettevano di essere loro fan. Sinceramente, un pochino aveva sempre desiderato di provare a godere della propria fama, magari pubblicizzando il proprio albergo come proprietà di ex calciatori e salvatori del mondo.
Hiroto però, non la pensava allo stesso modo. A lui piaceva l’anonimato, a lui piaceva restare silenzioso e fingere di essere qualcun altro. Quando veniva riconosciuto, Hiroto scuoteva le spalle, sorrideva e fuggiva via da mille domande, senza mai essere sgarbato o arrabbiato, dipingendosi però un’immensa espressione di dolore sul viso.  
A Hiroto era venuta la depressione dopo la morte dei loro compagni. La depressione però, non era quella canonica, che tutti avrebbero curato con una vacanza lunga e divertente, no, era depressione clinica.
A Hiroto era venuta la depressione clinica, quella curata con i farmaci e le lunghe sedute dallo psicologo, motivo per il quale il ragazzo non si sentiva di parlare animatamente delle giornate felice passate con il resto della banda.
E per Midorikawa non c’era niente più importante al mondo della sanità del suo unico vero amore, nemmeno la vanità o la fama lo avrebbero in qualche modo corrotto al pensare che ci fosse qualcosa di più importante di ciò che era necessario fare per Hiroto.
E così, avevano comprato il pianoforte. Hiroto aveva alleviato l’impotenza della sua malattia con lo studio di quelle note sublimi, e così era guarito.
Gli affari, nel loro piccolo hotel in riva al mare, non potevano davvero andare meglio di così.
Si erano sposati una mattina di primavera, sulla riva del mare, poco dopo la guarigione completa del rosso, in una cerimonia splendida e piena di colori. Midoriwaka non era stato mai così felice come in quel colorito giorno, e Hiroto, davanti all’altare, gli aveva sorriso con un’espressione che non aveva più visto sulle sue labbra da molto tempo addietro. Alla fine, dopo il sospirato si, lo voglio e la fine dei chiassosi festeggiamenti, i due neo-sposini avevano raggiunto la loro camera da letto entrambi intenzionati a consumare la prima notte di nozze, ma poco prima di cominciare si erano guardati negli occhi e avevano cominciato a piangere. Aveva iniziato il rosso, con enormi lacrimoni che gli avevano solcato il viso, aveva affettato il volto dell’amato e lo aveva baciato, accarezzato, ringraziato. Poi si era inginocchiato, abbracciando le gambe del marito supplicandolo di non abbandonarlo mai.
La verità era che Midoriwaka aveva sopportato tanto durante la malattia del compagno, forse più di quanto una persona sarebbe destinata a sopportare, e quando una notte aveva trovato l’altro in piedi fuori dal balcone intento a scavalcare la balconata, aveva cominciato a pensare che le cure non avrebbero mai fatto effetto, e che la decisione di sposarsi li avrebbe portati alla rovina.
Eppure, durante la prima notte di nozze, davanti alle lacrime e ai ringraziamenti per non averlo mai abbandonato, tutto aveva finalmente acquisito senso e amore.
Si amavano, si amavano molto.
Il giorno in cui avevano comprato l’hotel, anche quello era stato un bel giorno per la coppia, perché finalmente avevano deciso di mettere su la loro “piccola famiglia”.
Era una famiglia alternativa, senza bambini o altri membri della famiglia e composta solamente da quattro mura, qualche stanza ben addobbata e una piscina che dava sul mare.
Non c’erano seccature, non c’erano problemi. Solo Hiroto che suonava il pianoforte in quella dolce sera, sotto quella luna pallida, vicino alle luci della piscina e ai clienti adoranti.
Solo Hiroto, che agitava i bellissimi capelli rossi al ritmo della musica, che spalancava gli occhi grigi nella sua direzione e gli sorrideva con amore, trasportandoli entrambi in una dimensione ritagliata esclusivamente per loro.
Dio, come lo amava.
Quando la musica finì, Hiroto salutò gli ospiti, fece un inchino tra i mille applausi e lasciò il pianoforte, avvicinandosi al tavolo in disparte dal quale il marito adorante lo stava osservando magneticamente, sorseggiando un bicchiere di vino.
Si avvicinò a lui, sorridendogli calorosamente. Arrivato accanto a Midorikawa posò la sua mano verso il braccio dell’amato, tirandolo verso di sé, in piedi davanti a lui.
Gli circondò la vita con il braccio, posando appassionatamente le sue labbra su quelle del verde, accompagnando le sue mani alla scoperta del fondoschiena rinchiuso in un elegante ed estivo completo.
Si staccarono insieme, sospirandosi uno sul viso dell’altro. Tra gli ospiti intanto c’era chi aveva ricominciato a chiacchierare e consumare i drink, mentre i più giovani e le famiglie con figli pianificavano di tornare nelle loro stanze a passare la notte.
-Sei stato fantastico stasera. - sussurrò il verde. -Vederti su quel pianoforte è una delle cose più belle che mi sia capitata nella vita. –
-Perché non posso insegnarti qualcosa? Saresti bellissimo al mio posto, hai le mani più belle che io abbia mai visto, amore. –
-Nah, a me piace guardarti. Mi priveresti di questo piacere? –
Hiroto rise, stampando un dolce bacio a fior di labbra veloce e fugace. La mano gli corse velocemente sul petto dell’amato, mentre le dita della sinistra erano a loro volta scese sui pantaloni, stringendo con possessività. -Stasera ti va di…- sussurrò, cercando di non farsi notare dagli ospiti ancora intenti a raffinate conversazioni.
Ryuugo socchiuse un attimo gli occhi, increspando le labbra con curiosità.
-Ma che domande mi fai? Ti sembra il momento di chiedere? – disse scostandosi falsamente in malo modo. Diede le spalle al marito, incrociando le braccia; Si dipinse un sorriso sulle labbra, divertito da quel piccolo gioco che era solito fare.
Kiyama Hiroto, nel suo piccolo vestito tutto agghindato, assunse un’espressione quasi rammaricata, vittima nuovamente dei crudeli scherzetti dell’altro. Cercò per un secondo di afferrare le spalle di Midorikawa e insistere, ma rimase a muovere freneticamente le dita invano.
-Scusa. – disse infine, senza non poca ironica disperazione.

Il marito infine scoppiò nella rivelata risata, voltandosi immediatamente.

Si gettò al collo del amato, esplorando con la punta delle dita la linea della mascella alle labbra.
-Ma soprattutto… ti sembra il caso di chiedere? Direi che dopo due anni di matrimonio non ci sia mica bisogno di essere organizzati. – rise nuovamente, stavolta seguito a ruota dal più alto. Stuzzicò maliziosamente gli spessi occhiali di Kiyama, baciandolo nuovamente.
Alla fine, il caldo li obbligò a staccarsi.
-Ti aspetto in camera dopo, okay? -  
Hiroto alzò la mano in segno affermativo, lanciandogli un’ultima occhiata languida, e si voltò in direzione degli ospiti. Afferrò un bicchiere di champagne e sorrise a qualche signora che passava, osservando la piscina.
Per un secondo, la mente di Hiroto tornò sulla squadra di Football e su tutti i suoi amici morti.
Ancora un mese e qualche giorno e sarebbe stato il 7 anniversario della morte di tutti i compagni, e dopo 7 anni e molte sedute di terapie lui si sentiva ancora responsabile per quel increscioso incidente.
Per quanto provasse a dimenticare e a non pensare a quel senso di colpa lui sapeva sentirlo sempre lì, sempre fermo, sempre immobile a trapanargli il cervello senza alcune tregua. Non sapeva se mai nella vita sarebbe riuscito a perdonarsi.
Alzò lo sguardo in direzione della luna, pensando per un attimo ad Endou.
Per quanto ne sapeva, il ragazzo si era sposato con Natsumi ed aveva ora una vita felice, senza rimpianti, probabilmente simile alla sua.
Probabilmente nemmeno Endou riusciva a dimenticare il senso di colpa per ciò che era accaduto, mentre il rifugio nella famiglia e nelle grazie della donna che amava lo avevano probabilmente confortato fino a fargli dimenticare i momenti felici precedenti alle sofferenze, un po' come era capitato a lui.
Disgraziatamente, pensò che mai e poi mai avrebbe ripreso a combattere per quel sogno sepolto da tempo, poiché era ora la sua vita con Midorikawa ad avere la precedenza su ogni altra cosa.
E disgraziatamente però, udii dietro di sé una voce fredda e severa, mentre una figura famigliare prendeva forma nel riflesso a bordo piscina.
-Kiyama? – si sentì chiamare, voltandosi in direzione della voce.
Davanti a lui, una donna dalla bellezza raffinata e gli occhi scintillanti di gatto, che egli riconobbe come la sorella, stava con le braccia conserte e lo sguardo pieno di speranza accesa.
-Sei tu – disse infine la donna, che rispondeva al nome di Hitomiko Kira.
-Si, sono io. Sorella. - pronunciò quelle parole come se non gli sembrasse vero. Rimase immobile di fronte al pallido volto di lei illuminato dalle luci. -Come mi hai trovato? –
-Mi manda Kidou. Kidou Yuuto. Mi ha detto lui che ti avrei trovato qui. –
Hiroto si morse il labbro fino a farlo quasi sanguinare. Grugni indispettito qualcosa, sistemandosi gli occhiali dalla spessa montatura. -Non saresti dovuta venire qui. Che cosa vuoi? –
La donna assunse un’espressione rammaricata, e si accarezzò un braccio con le dita per rassicurazione. Lo guardò dritto negli occhi, cercando di perscrutare ogni angolo della sua anima per trovare la risposta.
-Kidou Yuuto mi manda a dirti che il Quinto Settore sta diventando un problema. -
-Non mi interessa, oramai siamo fuori dai giochi. Se gli interessa tanto, perché non ci pensa lui? -
-Kiyama, stavolta è diverso. – sussurrò lei, rimarcando fortemente la parola. – Sappiamo quale è il loro prossimo obbiettivo e Yuuto è convinto di sapere come fermarli una volta per tutte. Abbiamo bisogno del tuo aiuto però. Del tuo e di quello di… Midoriwaka. –
Hiroto fece un lungo sospiro vuoto, furioso: odiava il modo in cui la sua famiglia aveva sempre pronunciato il suo nome, odiava tutti coloro che avevano provato a mettersi contro la loro vita assieme. Cominciò a camminare, cercando di fuggire da lei e raggiungere il bar per provare a congedarla, ma la donna le afferrò violentemente il braccio sinistro, bloccandolo accanto a sé.
-Ti prego Hiroto. Ha bisogno del tuo aiuto. Il quinto settore ha appena puntato l’Hakuren, a Hokkaido. Possiamo ancora fermarli, sappiamo che si tratterranno là per sbrigare degli affari. Bisogna che tu vada ad avvertire la gente del posto. -
-Non ho alcun interesse nel lasciare questo posto e avvertire un branco di montanari che non mi crederanno mai. Yuuto si è fissato con questa idea pazza del Quinto Settore, senza nemmeno capire le idiozie che sta dicendo. Non gli crederà nessuno. -
La donna alla fine cedette. Sconsolata, gli lasciò lentamente il braccio. – Ne ho già parlato con Midoriwaka. -  disse infine, nascondendosi dietro un ciuffo di capelli ombroso. -Lui vuole andare a salvare Shirou Fubuki. –
Hiroto si voltò, con un violento turbamento negli occhi, rapito finalmente dalle parole della sorellastra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




 

   
 
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