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Autore: Alli_210    20/07/2017    1 recensioni
Avalea è l'ultimo baluardo di una fiorente civiltà ormai in declino, distrutta da una guerra all'ultimo sangue tra due popoli -gli umani e gli extraterrestri xenon- la cui rivalità pare destinata a non placarsi mai.
In questo mondo ormai distrutto l'amore dell'umana Aerith per lo xenon Rahma si rivela così inossidabile da spingerla ad infrangere ogni legge pur di rimanere con lui, attirando così l'attenzione del temibile capo xenon, spaventato da quella che potrebbe essere una minaccia pericolosa per i suoi piani: quell'umana così simile ad un fantasma del suo passato che si rivelerà una nemica più temibile del previsto e l'unica persona in grado di tenergli testa.
Ma ad Aerith non basterà combattere: il suo sarà un lungo viaggio alla ricerca delle sue origini e di qualcosa che possa aiutarla a ribaltare le sorti del conflitto. Un lungo viaggio alla ricerca di quell'amore che potrebbe essere la sua ultima speranza di salvare se stessa ed il mondo intero.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Come da abitudine, siamo solo al secondo capitolo e sono già in ritardo con la pubblicazione (ottima premessa devo dire). Giuro, prometto solennemente di non superare le due settimane tra un capitolo e l'altro.
Mi prendi qualche riga giusto per spendere due parole sulle differenze con la storia "originale" di cui parlavo nell'introduzione al capitolo precedente: ovviamente, gli avvenimenti e la conclusione saranno quasi identici quindi non aspettatevi particolari rivoluzioni su quel fronte. Quello che è cambiato sono i dettagli, la prevalenza di alcuni personaggi rispetto ad altri e delle scene completamente diverse se non del tutto nuove. Insomma, ho scelto una strada diversa per arrivare alla stessa destinazione e forse anche la parola fine avrà un sapore diverso questa volta (ma questo sarete voi a dovermelo dire).
Ultima cosa: per chi volesse, l'altra storia che trovate sulla mia pagina autore -Iridescent- è una song-fic ispirata ai nostri due protagonisti. Non è uno spoiler, anche se potrebbe sembrarlo, ma se volete vedere Aerith e Rahma in un contesto un po' diverso vi consiglio decisamente di dare uno sguardo.
Detto questo, vi lascio alla lettura del capitolo con un ringraziamento enorme per chi ha dedicato anche solo un minuto alla lettura di quello precedente. 
Alla prossima!



II. Fire

Niente avrebbe potuto prepararla a ciò che vide non appena ebbe voltato la testa.

Fuoco e macerie erano tutto ciò che rimaneva dell’intero quartiere sotto di loro. Il bombardamento non aveva risparmiato niente. 

Di nuovo, in quella notte che non sembrava avere fine, Aerith si ritrovò a pregare mentre i suoi occhi scorrevano lenti verso il basso. Ma due miracoli in così poche ore erano probabilmente più di ciò che qualsiasi divinità sarebbe stata disposta a concedere. 

Quando il suo sguardo trovò ciò che stava cercando, il suo cuore sembrò fermarsi di colpo. Non sentì più il dolore, la pioggia, la stanchezza e la paura, solo un’enorme vuoto aprirsi sotto di lei, quando la dura verità le trapassò il petto come un pugnale affilato.

Non sentiva più la stretta di Rahma sulle sue spalle, non sentiva più niente. 

Le lacrime avevano già cominciato a scorrere lungo le sue guance quando qualcosa dentro di lei improvvisamente si ruppe, portandola fuori da quella bolla che sembrava essersi creata intorno a lei.

E urlò.

Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, fino a quando la voce non le scomparve per lasciare posto solo alle lacrime ed ai singhiozzi. Non si era nemmeno accorta di essersi accasciata a terra e che Rahma era proprio accanto a lei. 

La aveva abbracciata come a volerla proteggere dall’inferno intorno a loro, ma nemmeno lui avrebbe potuto fare niente in quel momento.

“Devo andare lì” riuscì a sussurrare Aerith tra un singhiozzo e l’altro. “Devo… devo salvarli, io…”

“Aerith”

“Rahma dobbiamo aiutarli, i miei genitori sono lì sotto, dobbiamo…”

La frase le si mozzò in gola, sommersa dai singhiozzi quando Aerith vide riflessa negli occhi di Rahma la dura verità. 

Sotto quelle macerie ormai non era rimasto niente. Aveva ascoltato attentamente, nella speranza di udire qualsiasi segno di vita, ma tutto ciò che aveva sentito era il silenzio sordo e asfissiante della morte. 

Aerith lo stava fissando con la disperazione negli occhi e lui si sentì impotente come mai prima perchè non avrebbe mai potuto darle quello che la guerra le aveva appena tolto. 

Quello che la guerra aveva tolto ad entrambi. 

Incapace di fare altro, Rahma la abbracciò di nuovo, stringendola forte a se. Era così piccola in confronto a lui che se avesse stretto troppo avrebbe avuto paura di poterla rompere. 

“Lasciami andare lì.”

Se non la avesse conosciuta abbastanza bene, avrebbe provato a dissuaderla.

Ma Rahma sapeva che Aerith non se ne sarebbe andata da lì finché non avesse avuto la certezza di aver fatto tutto il possibile. Non si sarebbe mai perdonata il fatto di non aver almeno provato a fare qualcosa.

Osservò con attenzione ciò che stava succedendo sotto di loro: non c’era anima viva in quello che rimaneva delle strade e quello riduceva al minimo le possibilità che qualcuno li vedesse. 

Senza dire una parola, le infilò di nuovo un braccio sotto alle ginocchia e Aerith si lasciò sollevare senza opporre resistenza. 

Nel suo sguardo, oltre alla paura e al dolore, c’era una gratitudine immensa. Sapeva bene a che pericolo lo stava esponendo, ma a Rahma ormai non importava più. Tutto ciò che gli interessava era fare in modo che sotto a quelle macerie, quella notte, non ci rimanesse anche Aerith.

Facendo attenzione, planò lentamente di fronte a quella che doveva essere stata casa sua.

Non la fermò quando, incurante del fumo e delle travi roventi, si avvicinò alle macerie.

La vide sollevare dei pezzi di pietra, spostare i detriti e scavare. Rimase in silenzio mentre Aerith sollevava un masso dopo l’altro, mentre ogni sua speranza si affievoliva sempre di più.

Solo quando si accorse che le sue mani sanguinavano Rahma decise di fermarla. Si avvicinò a lei in silenzio e le afferrò delicatamente le spalle.

Quel gesto per Aerith era inequivocabile. Ricominciò a piangere, lasciandosi cadere sulle ginocchia in mezzo a quel che rimaneva della sua vita e questa volta fu lei a stringere Rahma come a non volerlo mai lasciare. 

Perchè ormai, era l’unica persona che le rimaneva.

Ora lo capiva. Capiva cosa voleva dire essere soli al mondo.

Come aveva fatto lui a sopportare tutto quel dolore in quegli anni?

“Vieni a casa con me. Per favore.” le sussurrò “Lascia che ti porti al sicuro, che ti curi. Non puoi fare più niente per loro, a parte metterti in salvo.”

“Non è giusto” farfugliò lei con il viso appoggiato alla sua spalla e gli occhi chiusi. “Non è giusto.”

“Lo so, Aerith.”

Ma cosa era giusto in quella guerra, in fondo?

“Portami a casa.” la voce di Aerith era debole, appena un sussurro. Non era un ordine, era qualcosa di più simile ad una preghiera. La ragazza alzò la testa per guardarlo negli occhi e i loro sguardi si incrociarono.  Le iridi verdi di Aerith erano ancora lucide per il pianto, ma la cosa che gli fece più male fu vederle spente, vuote. Non sembravano nemmeno i suoi occhi.

La prese in braccio, lasciando che lei si aggrappasse al suo collo e si accoccolasse contro di lui. Lui ricambiò la stretta, sfiorandole appena i capelli con la punta delle dita. Non la aveva mai presa in braccio prima di quella sera e solo ora si rendeva conto di quanto Aerith fosse effettivamente piccola in confronto a lui. Aveva la sensazione che avrebbe potuto romperla se avesse stretto troppo la presa.

Prima di sollevarsi nuovamente in volo, Rahma chiuse gli occhi, concentrandosi sull’ambiente che li circondava. Le sue orecchie erano abbastanza forti da sentire la presenza di uomini entro il raggio di un centinaio di metri e per loro fortuna non c’era nessuno nei dintorni. Nessuno di vivo, almeno. 

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo a quella che una volta era stata la casa di Aerith, Rahma si sollevò dal terreno. Prese quota lentamente, assicurandosi che Aerith non subisse lo sbalzo di altezza. Volare era una delle sensazioni più belle che Rahma ricordasse di aver provato, ma il corpo aveva bisogno di adattarsi ad essere sospeso in aria.

Quando finalmente fu abbastanza in alto, cominciò a spostarsi sopra la città. Aumentò la velocità mentre sorvolava i tetti dei palazzi di Avalea in quella notte ormai silenziosa. La guerra aveva lasciato posto alla desolazione così come entro qualche ora, le tenebre avrebbero lasciato spazio alla luce di un nuovo giorno.

Un nuovo giorno e nuove persone che avrebbero dovuto piangere la scomparsa di qualcuno.

Aerith sarebbe stata una di quelle. Quella folle guerra non aveva avuto pietà nemmeno per lei alla fine. E proprio come il resto della città, Aerith era rimasta in silenzio per tutto il viaggio: non un sussurro, un singhiozzo. Sentiva solo il suo respiro sul collo e le sue dita stringergli le spalle. 

Non ebbe coraggio di proferire parola fino a quando, dopo una decina di minuti di volo, non atterrò sul tetto del palazzo trasandato dove viveva. Un edificio in cemento grigio, alto dieci piani. Molte finestre erano state chiuse con delle assi di legno e alcune avevano il vetro sfondato. Una persona con un minimo di senno avrebbe evitato come la peste quel luogo, ma per chi aveva bisogno di essere invisibile non c’era posto migliore dove stare.

“Vivi qui?” la voce di Aerith lo colse di sorpresa. La ragazza aveva il viso sconvolto dal pianto e i capelli spettinati. Nel suo sguardo però era evidente lo sconcerto mentre si guardava intorno. Lei non aveva mai saputo dove viveva, ma di certo l’idea che abitasse in un posto simile non le avrebbe fatto piacere.

“Si.” rispose mentre armeggiava con il lucchetto di una porta tagliafuoco arrugginita. C’erano delle scale d’emergenza lungo tutto il palazzo, ma passare dall’esterno sarebbe stato pericoloso.

“Siamo nella zona xenon?” 

“No. In questo posto a nessuno importa niente. L’unica cosa che devi fare, è non immischiarti nelle faccende degli altri.” disse riuscendo finalmente ad aprire la porta, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Allungò una mano ad Aerith che però esitò. 

“Cosa succede se qualcuno mi vede?”

“Quello che succede sempre: si chiederanno chi sei, decideranno che non gli interessa e si dimenticheranno di te.” Quella che aveva appena detto era niente di più che la cruda verità. Quella zona della città dimenticata da chiunque era il rifugio di tutti i reietti, di quelli che come lui non avevano niente da perdere e dei criminali. I governi di entrambi i popoli sapevano che di ciò che succedeva in quella parte di Avalea, ma evidentemente avevano altro di cui preoccuparsi.

Non aveva paura che qualcuno potesse vederla. In quel palazzo vivevano umani e xenon e tutti avevano qualcosa da nascondere. Nessuno avrebbe avuto la pessima idea di denunciare qualcosa alle autorità sapendo di rischiare la vita.

Quella frase sembrò convincere Aerith, che afferrò finalmente la sua mano e si decise a seguirlo all’interno del vano scuro. Quando la vide zoppicare, si ricordò della ferita alla gamba e la prese in braccio senza che lei si opponesse. Scese velocemente le scale fino al suo appartamento ed entrò.

Richiuse la porta d’ingresso con un calcio, poi attraversò a passo svelto il piccolo salotto fino ad arrivare alla camera da letto. Spostò il copriletto e fece sdraiare Aerith sul materasso sottile. Lo sguardo di gratitudine che lei gli rivolse gli fece dimenticare qualsiasi accenno di vergogna per le condizioni misere dell’appartamento. La fissò, cercando di nascondere il dolore che gli provocava vederla così: aveva il viso pallido, tirato e sporco di terra, gli occhi arrossati e i segni delle lacrime sulle guance. I capelli le si erano appiccicati alla fronte. Si era rannicchiata sul letto ad occhi chiusi, come se tutte le forze la avessero abbandonata di colpo.

Le accarezzò una guancia con la punta delle dita per liberarle il viso dai capelli e solo in quel momento si accorse che stava tremando come una foglia. Era ancora  fradicia, doveva metterla al caldo o si sarebbe ammalata.

Attraversò nuovamente la stanza fino ad arrivare all’armadio, dove recuperò la coperta più pesante che aveva. Stava per posargliela addosso, quando una macchia rossa sotto alla gamba di Aerith lo fece inorridire. Non era per il freddo che stava tremando. Le ferite dovevano essersi allargate durante il tragitto e Rahma sapeva bene che se si fossero infettate le possibilità di sopravvivenza di Aerith sarebbero state molto basse.

“Aerith” la chiamò “Aerith, guardami.”

Le iridi verdi della ragazza trovarono le sue. Era a dir poco esausta e lui stava per cucirle una gamba. 

“Devo pulirti le ferite. Almeno quelle più profonde. Dimmi dove ti fa male.”

Lei indicò prima la gamba, poi la spalla sinistra. La manica della felpa che indossava era lacerata e sporca di sangue in più punti. 

“Pensi di riuscire a toglierti i vestiti da sola?”

Aerith annuì.

“Spogliati, io… dovrei avere delle bende da qualche parte. Qui c’è una coperta, cerca di non prendere freddo.”

“Va bene”

Le porse la coperta, poi si alzò e corse in bagno. Iniziò ad aprire uno ad uno i pochi armadietti alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essergli utile e tirò un sospiro di sollievo quando in uno di essi trovò una valigetta di pronto soccorso che non aveva mai usato. Al suo interno c’era tutto ciò che gli serviva: aghi sterili, suture, bende, persino dei medicinali.

Tornò in camera dove trovò Aerith seduta sul suo letto che tentava di togliersi la felpa con una mano sola. I pantaloni e gli stivali erano già finiti sul pavimento e le sue gambe erano coperte dal lenzuolo grigio.

Appoggiò la valigetta ai suoi piedi, poi la aiutò a liberarsi di quello che rimaneva dei suoi vestiti. Per fortuna, la canottiera che indossava sotto era rimasta intatta. 

“Pensiamo prima alla gamba, d’accordo?”

Lo sguardo di Aerith divenne subito preoccupato.

“Farà male, vero?”

“Cercherò di fare piano.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire. “Non guardare” disse mentre afferrava un lembo del lenzuolo. 

Quando lo sollevò, gli venne un colpo. Un taglio di almeno dieci centimetri, profondo e ancora sanguinante. Non sarebbe stata una passeggiata. 

Sperando di trovare qualcosa che potesse alleviarle il dolore, Rahma aprì la valigetta ed estrasse i flaconi che contenevano delle pastiglie di colori e forme diverse. Peccato che lui non avesse idea di cosa potessero voler dire i nomi scritti sulle etichette. 

“Aerith, queste sono medicine che conosci? Credo siano per voi umani, ma non le conosco.”

La ragazza li osservò qualche istante.

“Sono antibiotici.”

No, un antibiotico non sarebbe servito a niente in quel momento. Avrebbe dovuto sopportare il dolore. 

Mentre Aerith lo guardava in silenzio, Rahma aprì la confezione degli aghi e preparò l’occorrente per la sutura. Si era ricucito da solo molte volte, ma il suo corpo era più resistente di quello umano di Aerith e quello lo preoccupava. 

Quando fu pronto, passò una garza imbevuta di disinfettante sulla ferita, bloccandosi di colpo quando Aerith trasalì. 

“Scusami, io…”

“Va tutto bene” disse subito lei trattenendo un gemito di dolore. “Non ti preoccupare, resisterò.”

Rahma la fissò per un lungo secondo, poi si decise a ricucire la ferita sulla gamba. Ogni volta che l’ago penetrava la sua pelle Aerith sobbalzava ma non emise un solo lamento, certa che se si fosse lamentata lui non sarebbe riuscito a continuare. Lentamente finì di richiudere tutto il taglio, cercando di essere il più delicato possibile. 

Quando ebbe finito di darle anche l’ultimo punto di sutura, sentì Aerith tirare un profondo sospiro di sollievo. La fronte era imperlata di sudore per il dolore e la pelle del suo viso era a dir poco cadaverica. 

Osservò di nuovo la sua gamba: intorno al taglio la pelle era arrossata e su tutto il resto della coscia si stavano formando dei lividi violacei. La cosa che più lo disgustò però fu vedere il modo in cui le ossa sporgevano dalla pelle dei fianchi. Era terribilmente magra, più di quanto si immaginasse. 

“Rahma?” 

La sua voce lo distolse da quei pensieri e quando si voltò verso di lei, Aerith allungò una mano fino al suo viso fino ad accarezzargli appena la guancia con un accenno di sorriso.

“Guarirà.” disse, quasi gli avesse letto nel pensiero.

Sì, sarebbe guarita ma non abbastanza in fretta per i suoi gusti.

“Devo pulirti le ferite sulla spalla. Riesci a resistere ancora un po’?”

“Credo di si.” 

“Dammi la mano. Se stai seduta farò più in fretta.”

Lei ubbidì e con tutta la delicatezza di cui era capace Rahma la sollevò fino a quando lei non fu in grado di appoggiarsi al muro. 

Per fortuna i tagli che si era procurata erano solo superficiali. Ci avrebbe messo un po’ a disinfettarli tutti, ma non le avrebbe fatto male. Prese un pezzo di garza pulito e vi versò sopra del disinfettante, poi cominciò a tamponare su uno dei graffi più piccoli.

“Da quanto vivi qui?” 

La domanda di Aerith lo prese in contropiede, ma sapeva che prima o poi glielo avrebbe chiesto. 

“Meno di sei mesi.”

“Hai sempre vissuto in questa zona di Avalea?”

Era la prima volta che Aerith si sentiva di porgli domande su argomenti di cui Rahma non aveva mai voluto parlare. In realtà, di lui sapeva ben poco: non aveva idea di come si guadagnasse da vivere, non sapeva niente della sua famiglia e solo ora aveva scoperto dove viveva. 

In condizioni normali sarebbe stato assurdo non sapere niente di una persona che conosceva da quasi tutta la vita, ma la guerra le aveva insegnato in fretta quanto potessero essere pericolose le informazioni. Che fossero umani o xenon, nessuno di tutti coloro che erano stati accusati di essere a contatto con il nemico era mai tornato vivo a casa.

Rahma correva un serio pericolo per colpa sua, ma anche Aerith non era al sicuro. 

Un’accusa di tradimento sarebbe stata una condanna a morte certa, ma se qualcuno la avesse scoperta, voleva essere sicura di non poter rivelare niente su Rahma. Il fatto che lei fosse in casa sua però, cambiava tutto. Se c’era una cosa che sapeva bene dello xenon, era proprio il fatto che fosse solo. Solo come lo era lei in quel momento. Non avevano bisogno di dirlo ad alta voce, ma entrambi sapevano che la loro sopravvivenza dipendeva da quanto sarebbero stati in grado di fidarsi l’uno dell’altra e di proteggersi a vicenda, ora più che mai.

“Non rimango a lungo nello stesso posto. All’inizio vivevo nelle periferie della zona xenon. Poi ho deciso di venire qui. E’ uno dei punti più pericolosi della città, ma chiunque decida di venire a vivere qui è disposto a correre il rischio pur di diventare invisibile.” 

Aerith lo osservò con la coda dell’occhio mentre parlava. Il ragazzo aveva lo sguardo rivolto sulle ferite e sentiva le sue dita sfiorarle leggere la pelle. Era rimasta stupita da quanto potesse essere delicato il tocco dello xenon.

“Per me però rimane più rischioso che qualcuno mi trovi rispetto alla possibilità di finire in mezzo ad una battaglia.”

In effetti, aveva capito tempo prima che Rahma aveva ben poca paura delle battaglie, ma solo mettendo insieme una serie di piccoli dettagli era arrivata a capire che la sua sicurezza era dovuta alla consapevolezza di essere abbastanza forte da potersela cavare anche in situazioni molto pericolose.

Gli xenon erano più forti degli umani, ma non erano tutti uguali: alcuni avevano una notevole superiorità fisica, i sensi erano più sviluppati. Alcuni, come Rahma, volavano. Era passato molto tempo da quando aveva visto degli xenon oltre a lui, ma la stazza del ragazzo era un indizio più che valido del fatto che probabilmente non avrebbe avuto problemi a sostenere uno scontro. 

“Hai così paura che ti scoprano per cosa? Nessuno sa di noi.”

“Così sembrerebbe.”

“Non è un no. Se qualcuno ti ha visto…”

“Nessuno mi ha visto con te. Mai. Ma ci sono altri motivi per cui qualcuno potrebbe cercarmi: non vedo la mia famiglia da anni, ma ciò non vuol dire che non sarebbero capaci di denunciarmi se capitasse l’occasione” spiegò a denti stretti.

“Perchè mai i tuoi genitori dovrebbero denunciarti?”

“Me ne sono andato di casa prima che la guerra cominciasse. Non era ancora proibito frequentare gli umani, il fatto che non lo vedessero di buon occhio non vuol dire che non sapessero di te. Per quel che ne sanno potrei essere morto, come potresti esserlo tu. Ma non posso permettermi di stare tranquillo.”

Aerith rimuginò per qualche secondo su quella frase. Era una mezza verità, ma era meglio di niente.

“Non me lo avevi mai detto”

Rahma non rispose subito a quella frase e Aerith rimase sulle spine fino a quando il ragazzo non aprì bocca di nuovo.

“Ti avrei persa, se lo avessi saputo.”

Fino alla fine, insieme. Ricordi? Quella promessa l’ho fatta anch’io.”

“La avresti infranta se avessi pensato di essere tu a mettermi in pericolo.”

“Lo faccio, infatti.”

“Come io lo faccio con te.”

Eppure, il fatto di essere in costante pericolo, non era mai stato una motivazione sufficiente a spingerli a dirsi addio. Perché entrambi erano consapevoli che in qualche modo, uno era l’àncora dell’altro. Così diversi e così simili allo stesso tempo. Due persone che non avevano mai trovato il loro posto in quel mondo così violento ma che in qualche modo si erano trovate a percorrere la stessa strada. Una strada che ora stava prendendo una piega che li avrebbe messi alla prova entrambi.

“Ho finito.” disse improvvisamente Rahma buttando via il cotone ormai pregno di sangue con cui le aveva disinfettato le ferite. “Devo solo fasciarti la spalla ora. Non credo sia lussata, ma meglio se la tieni ferma qualche giorno per sicurezza.”

Aerith lo lasciò fare. Le venne spontaneo chiedersi dove avesse imparato tutte quelle cose, ma non era il momento per certe domande. Avrebbero avuto molto tempo da quel giorno, realizzò Aerith solo in quel momento: non sarebbe tornata a casa, perchè non aveva più una casa ne una famiglia. 

Era… sola. 

La sua mente tornò alle immagini della sua casa in fiamme, del fumo e delle macerie e la realtà la colpì come una lama affilata e Aerith si obbligò a riportare la sua attenzione su Rahma: le sue mani, con gli strani simboli neri sopra di esse. I capelli castani lunghi fino alle spalle, l’accenno di barba sulla mascella. Il ragazzo che le aveva salvato la vita quella notte e che ora le stava curando le ferite. Non poteva credere che ormai fosse la sola persona che le era rimasta. 

Avrebbe avuto bisogno di lui più che mai, perché in cuor suo sapeva che era l’unica persona che sarebbe stata in grado riempire il vuoto che si stava formando dentro di lei e forse avrebbe anche potuto placare il dolore che lei stava inutilmente tentando di ignorare. 

Il dolore a causa del quale le lacrime avevano ricominciato a scorrere sul suo viso. 

“Ecco fatto, ora dovrebbe guarire in..” Rahma non terminò la frase quando si accorse che Aerith stava piangendo. Il suo corpo era di nuovo scosso dai singhiozzi e la ragazza stava stringendo il lenzuolo sottile con cui la aveva coperta come a cercare di scaldarsi dal gelo che sentiva dentro in quel momento. Un gelo da cui nemmeno lui avrebbe potuto liberarla. 

Il dolore che probabilmente aveva cercato di ignorare fino a quel momento doveva essere esploso, facendo breccia nell’autocontrollo ferreo di Aerith.

“Rahma... io.. per favore…” lo stava guardando implorante, incapace di parlare a causa dei singhiozzi. 

Lui capì. Prese la coperta che aveva appoggiato ai piedi del letto e gliela mise sulle spalle, dopodiché la abbracciò e lascio che lei si sfogasse. La avrebbe consolata per tutto il tempo necessario e le sarebbe stato vicino finché lei ne avesse avuto bisogno. Sarebbe stata una notte lunga per Aerith, ma lui non la avrebbe mai abbandonata.

Ora più che mai avevano bisogno di essere vicini. 

La sentì accoccolarsi contro di lui, rannicchiandosi quasi a volersi proteggere dal mondo esterno. Avrebbe fatto di tutto per non vederla soffrire così, anche a costo di soffrire al posto suo. La fece sdraiare accanto a lui e le cinse i fianchi con un braccio, mentre con l’altro le accarezzava i capelli. 

Non la lasciò mai, nemmeno per un solo istante. Ogni tanto sentiva i singhiozzi placarsi quando il sonno e la stanchezza prendevano il sopravvento, ma dopo poco tempo Aerith si risvegliava gridando in preda agli incubi. E ogni volta, lui era lì, pronto ad accoglierla tra le sue braccia.

Fu una notte che sembrò non finire mai, ma alla fine entrambi si addormentarono ancora abbracciati alle prime luci dell’alba.

Quello che sarebbe successo da lì in poi era per entrambi un mistero, ma per qualche ora avrebbero avuto bisogno di rimanere in silenzio e al sicuro in quel piccolo angolo di mondo dove la guerra non sarebbe potuta entrare. 

 

 

 

 

  
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