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Autore: Happy_Pumpkin    21/07/2017    6 recensioni
Madara Uchiha e Hashirama Senju: uomini, amanti, colleghi di lavoro. Travolti da un satellite che andava a fuoco e morti forse in seguito all’esplosione.
Dalla presa di coscienza della propria morte, cominciava anche la vita di altre due persone: Sasuke e Naruto.
Madara, quella volta, non poté fare a meno di sgranare gli occhi.
“Mi vedete?"
“Certo che ti vediamo.” Replicò asciutto Sasuke.

Ah, i dialoghi pieni di emozioni di due Uchiha.
[SasuNaru; MadaHashi – humor anticonvenzionale AU]
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Premessa d'obbligo: Questa storia sarà composta da quattro capitoli, né più, né meno, che verranno regolarmente postati circa una volta a settimana. E' frutto di un'ispirazione sparaflashante la cui genesi verrà affrontata sotto per non togliere spazio vitale. E' una storia strana, a tratti umoristici, a tratti drammatici. E' una SasuNaru e una MadaHashi, anche se segue i miei personali standard, quindi niente dobe-teme & parrucconi a profusione, bensì personaggi il più possibile IC, uno stile spero scorrevole e una trama che allo stesso modo mi auguro possa sia divertirvi che trasmettervi qualcosa. Forse... forse tutto il sugo della storia (per dirla alla Manzoni lol) si comprenderà davvero alla fine.
Buona lettura!






R.I.P. & Play Again
Riposa in Pace… Pausa – una storia di redenzione e seconde occasioni.



“Now that he is gone and the spell is broken, the actual fear is greater. Memories and possibilities are ever more hideous than realities”
“Ora che se n’è andato e l’incantesimo si è rotto, la paura vera e propria è più grande. Le memorie e le possibilità sono ancora più orribili delle realtà.”
Herbert West – Reanimator; By H.P. Lovecraft




I

Stop - Reanimator





Di solito tutti i grandi incipit cominciano con qualcosa di epico, qualcosa che rimane inchiodato nella testa del lettore e lo costringe a leggere, ancora, fino a capire cosa accidenti succede in quella notte buia e tempestosa o per quale mistico motivo un uomo all’improvviso si risveglia trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.
Questo Madara lo sapeva bene, facendo lo scrittore per vivere.
Ed effettivamente la sua storia era iniziata in maniera non solo accattivante ma addirittura scenografica, pronta per essere scritturata direttamente da Hollywood: con un’esplosione. Peccato che, ecco… in quell’esplosione ci avesse rimesso la vita.
Non che la sua fosse esattamente una vita modello, al contrario: il fumo, la sodomia, una profusione di parolacce usate come intercalare erano giusto un breve riassunto di come la sua esistenza fosse ben lungi dal potersi definire esemplare. Eppure era la sua e l’uomo, come una buona parte degli esseri umani, tutto sommato ci teneva. Suvvia, nonostante le scarse aspettative della collettività era divenuto uno scrittore di successo, autore persino di favole horror per bambini, amate e puntualmente denunciate dalle mamme perbeniste del mondo: come si potrebbe non voler continuare a vivere, dati simili ghiotti presupposti?
La sera in cui tutta quella sua caotica e imperfetta vita era cessata, Madara stava oltretutto facendo qualcosa di altrettanto caotico e imperfetto ma che amava alla follia, quasi quanto scrivere; più precisamente, stava facendo sesso. Aggiungiamo, giusto per i fanatici dei dettagli, anche un particolare importante soprattutto per il resto della vicenda a seguire: stava facendo sesso con un uomo.
Sì, forse la parola sodomia buttata nel mezzo dell’esistenza non-modello dello scrittore poteva essere un indizio notevole, ma in queste situazioni è meglio non lasciare nulla al caso: Madara Uchiha era proprio omosessuale.
Torniamo indietro di qualche riga; dicevamo, Madara Uchiha era a letto con un uomo. Non un uomo qualunque, bensì una persona che conosceva da decine di anni, con la quale aveva intrecciato un rapporto lavorativo, poi d’amicizia e infine… d’amore – o la maniera in cui si poteva definire la strana e tortuosa relazione che li legava.
Tale persona era il suo illustratore: Hashirama Senju. Le sue tavole, i suoi scenari, i suoi inchiostri avevano animato le pagine dei racconti di Madara, rendendo ancora più vive e potenti le sue già evocative parole, come se davvero i dipinti lunari di una casa solitaria fossero stati direttamente plasmati dalle righe scritte su carta.
In quel momento, quando tutto ebbe inizio, Madara stringeva le natiche di Hashirama, le teneva, contemplandole, osservando la muscolatura soda, la corporatura alta e asciutta che aveva sempre contraddistinto l’uomo e i capelli che cadevano sulla schiena, simili a linee d’inchiostro che, come china sull’acqua, scivolavano diffondendosi sopra la nuda pelle.
Stava per arrivare all’orgasmo, affondando con spinte sempre più decise in quel corpo che amava, e così vicino all’orgasmo notava dettagli che nemmeno credeva di poter vedere: il modo deciso in cui Hashirama artigliava le lenzuola, la naturalezza con cui si armonizzava ai suoi movimenti, la bellezza della muscolatura quando inarcava la schiena, nascondendo nella pelle la spina dorsale, come se girandosi dovesse proteggerla.
Era quindi un bel momento, l’avrete provato un po’ tutti, in fondo. Capirete dunque che farebbe piuttosto incazzare se qualcosa, esattamente in quel preciso istante di sublime perfezione, dovesse non solo interrompere tutto il flusso di orgasmica felicità ma addirittura uccidervi. Incazzare è riduttivo, come termine; forse sareste proprio tornati dall’aldilà giusto per fare un dispetto al creato – e, sostanzialmente, almeno in parte questo fu quanto accadde in seguito a quello spiacevole evento. Ma… ci sarà tempo per parlarne.
Con spiacevole evento, in ogni caso, si intende un incidente non solo tragico ma altamente improbabile, anzi, con una soglia di probabilità che rasenta l’1%. Giusto per intenderci: quante volte si è sentito di qualcuno che ha perso la vita dopo essere stato colpito da detriti in fiamme di un satellite che aveva concluso il suo moto gravitazionale?
Ebbene, questo fu ciò che accadde quella sfortunata sera in un motel lungo una statale a Madara Uchiha e Hashirama Senju: uomini, amanti, colleghi di lavoro. Travolti da un satellite che andava a fuoco e morti forse in seguito all’esplosione, forse per via del crollo dell’edificio che, pur essendo basso, si era ripiegato su se stesso come carta zuppa d’acqua.
“Porca troia!” esclamò Madara all’improvviso, annaspando quasi avesse ritrovato la capacità di respirare, per poi rendersi conto di essere nudo di fronte all’hotel in fiamme.
“Non me l’aspettavo.” Commentò Hashirama scuotendo la testa; l’uomo sembrò comparire al fianco dello scrittore. Anch’egli nudo come mamma l’aveva fatto, con un’espressione preoccupata ma non troppo, tanto più tranquillo e razionale in tutto rispetto al suo compagno.
Madara gli afferrò le spalle: “Ma che è sta faccia? Guardaci! Siamo nudi, qui fuori! E là c’è un fottutissimo edificio in fiamme crollato in mille pezzi! E tutto quello che mi riesci a dire è non me l’aspettavo?”
Hashirama rise, portandosi la mano dietro la testa: “Che vuoi che ti dica, sei tu lo scrittore qui.”
Lo scrittore in oggetto stava replicando altro, quando a suon di sirene e frenate brusche entrarono nel piccolo spiazzo del motel delle ambulanze e dei camion dei vigili del fuoco, seguiti dalla polizia che sembrava essere venuta lì più a far casino che altro.
Ulteriori persone uscirono in strada un po’ ammaccate ma sopravvissute perché distanti dal luogo di impatto, visto che l’edificio aveva un solo piano, oppure provenienti dalle strutture adiacenti e pronte ad aiutare. Ci furono pianti, grida e lamenti in uno scenario quasi apocalittico; nessuno sembrava comunque eccessivamente turbato dalla presenza di due uomini, nudi, in piedi di fronte al luogo dell’incidente.
Madara, poco abituato a essere ignorato, stava per dirigersi verso un soccorritore improvvisato che aveva avuto la brillante idea di scavare a mani nude tra macerie e detriti metallici roventi, quando si voltò verso Hashirama per esortarlo a far presente che, ehi, loro erano dei sopravvissuti, quindi meritavano un po’ di riguardo. In quel preciso istante un’ambulanza guidò con noncuranza nella direzione del disegnatore e, prima che loro due potessero fare qualcosa, l’auto lo travolse in pieno.
Madara, con il cuore in gola e il respiro bloccato, già si aspettava di vedere il corpo dell’uomo che amava intento a volare via, cascare a terra e scomporsi come un puzzle malfatto. Invece, non testimoniò nulla di tanto ordinario; perché, semplicemente, l’ambulanza passò attraverso il suo corpo.
Hashirama infatti sentì solo qualcosa di metallico e freddo entrargli dentro, avvertì i propri capelli venire scossi, volteggiare e rimanere sospesi, come spinti da una forza inevitabile, ma non percepì dolore o alcuna parte di sé spostarsi. Tutto tornò alla normalità – per quanto quella situazione assurda potesse definirsi normale – e l’uomo si guardò le mani, il proprio petto, per poi rendersi conto che non gli era successo assolutamente nulla, né tantomeno era stato investito.
“Madara…” mormorò poi, alzando il volto verso di lui.
Sembrò volergli dire altro, un’infinità di parole e di rivelazioni, ma un vigile del fuoco passò anche attraverso Madara. Fu come vedere un’immagine olografica disfarsi dei contorni dove
veniva toccata per poi ricomporsi: scie di luce, frammenti, volarono un istante ribelli e tornarono al loro posto in un movimento fluido, come se fossero stati mercurio che fuggiva da un termometro.
Lo scrittore aprì la bocca, rimase immobile un istante, poi girò lo sguardo verso il motel o ciò che ne rimaneva. Qualcuno iniziò ad estrarre dei corpi, magari solo un braccio che spuntava dalle macerie o dei resti schiacciati, distrutti, da qualcosa di più grande e potente.
“Siamo morti.” Concluse alla fine, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
Altra gente li oltrepassò, attraversandoli, scuotendo i loro capelli, smuovendo gli echi di ciò che erano stati in vita.
Dalla presa di coscienza della propria morte, cominciava anche la vita di altre due persone: Sasuke e Naruto. Ma, come dicevamo qualche riga addietro, portate pazienza; prima c’è un piccolo dettaglio da approfondire: perché, sostanzialmente, due morti camminavano ancora sulla Terra?

*

Ormai l’incendio era stato spento, i soccorsi prestati, le macerie tolte e i corpi di chi non ce l’aveva fatta estratti, per venire messi dentro i sacchi da obitorio. Una fine triste, quasi ironica, perché chi era andato in quel motel per dormire una sola notte di certo non si aspettava che lo avrebbe fatto per sempre.
Madara e Hashirama finirono, inconsciamente, per tenersi per mano. In quelle ore di consapevolezza che chiunque poteva passare loro attraverso come se essi non esistessero, fu confortante realizzare di riuscire, invece, a toccarsi; inoltre, fatto non da poco, nessuno poteva avere qualcosa da ridire, visto che i due amanti erano sostanzialmente invisibili.
Rimasero lì tutto quel tempo, a guardare i soccorsi, a vedere altre fiamme e crolli, senza provare sonno, stanchezza, fame o sete. Si sentivano a vicenda e tanto bastava. Stavano per estrarre gli ultimi corpi, i loro, forse. Fu difficile respirare o… insomma, quel gesto che erano così abituati a fare in vita.
“Fidatevi, non volete vedervi.” Disse una voce, all’improvviso.
I due si voltarono: videro un ragazzo dai capelli lisci e piatti che in parte ricadevano sulla fronte, con stampato addosso un mezzo sorriso e gli occhi scuri attenti. Aveva addosso una sorta di tunica semplice, portava una collana con tantissimi monili diversi e nel complesso sembrava uscito da un film d’epoca in costume.
“E tu chi cazzo sei? – anche da morto, Madara sapeva essere sempre gentile – odio la gente che mi arriva da dietro le spalle.”
“Ho tanti nomi – replicò l’altro, per nulla turbato dall’accesso d’ira – ma per semplificarci la vita diciamo che sono il ponte tra qui e l’aldilà. Chiamatemi Sai.”
“Mi porti verso l’aldilà?” domandò Hashirama, scrutandolo.
“Non esattamente. Il passaggio è… bloccato, per così dire.” Spiegò colui che, a vederlo, sembrava un ragazzo. I pendenti al collo ciondolarono: si intravide una croce, un triskell, persino una croce uncinata egizia. Quasi una fiera di cattivo gusto delle paccottiglie religiose, eppure… emanava qualcosa di forte, un’aura assoluta che inchiodava i due uomini lì, davanti a quell’essere, incapaci di andarsene.
“Bloccato? Nel senso che abbiamo conti in sospeso e tutte queste stronzate qua?” sbottò Madara.
Sai gli sorrise, ma il suo volto sembrava quasi inquietante:
“No. Nel senso che la vita è stata vissuta nella menzogna. E questa menzogna sarà rivelata, lasciando corrotti, incapaci di raggiungere la morte soddisfacente che natura vorrebbe. Perché avete comunque fatto tutti e due qualcosa di buono nella vostra esistenza; anche se tu Madara… ecco, su di te ci sono stati un po’ di dibattiti. La tua situazione, comprenderai, è diversa da quella di Hashirama.”
Quest’ultimo non disse nulla. Guardò semplicemente l’uomo che amava, il quale invece replicò velenoso:
“Dibattiti? Chi è che dibatte? Dio? Buddah? Allah? Sai quanto cazzo me ne frega? Nulla! Se avevano qualcosa da dirmi che me lo dicessero quando potevo ancora rispondere, visto che si sono sempre risparmiati di farsi sentire; io di certo non li ho cercati.”
Era ateo convinto più o meno da sempre e nemmeno Hashirama, che pure credeva in qualcosa di più grande, era mai riuscito a smuoverlo dalle sue posizioni.
“Non sono qui per istruirti di religione o filosofia. Limitiamoci a dire che ciascuno, nella sua sfera privata, ha attribuito un nome a ciò in cui crede. Il fatto che tu non abbia creduto in nulla non fa cessare di esistere ciò che vive nel cuore e nella mente degli altri. Ora – fece un sorriso ancora più inquietante – posso concludere o volete rimanere per sempre nudi di fronte ai resti di un motel?”
Hashirama buttò un occhio alla strada e all’edificio; avevano portato fuori gli ultimi resti, non c’era davvero più nulla lì dentro, oltre alla morte. Non aveva notato il proprio corpo e fu sollevato all’idea: anche se prima credeva che guardarsi sarebbe stata l’unica cosa giusta da fare, a posteriori comprese che non avrebbe tratto alcun beneficio dal vedere il se stesso di tutti i giorni ridotto a un cumulo di carne.
“Concludi.” Lo esortò, serio. Madara tacque. Entrambi sapevano, in fondo, a quale menzogna si riferisse quella creatura.
“Ho un compito da proporre. Evitare che due persone compiano – fissò entrambi ma specialmente Hashirama – il vostro stesso errore. O, sostanzialmente, si tratta di migliorare la loro vita prima che tutto si concluda nel disastro più totale.”
Madara e Hashirama si lanciarono un’occhiata. Poi lo scrittore si portò una mano al fianco, assottigliò gli occhi e replicò, chiaramente scettico:
“Fammi capire: voi, chiunque voi siate, siete diventati un’accozzaglia di enti improvvisamente dediti alla carità? Perché, esseri superiori fantafighi, dovrebbe importarvi qualcosa di quelle due persone? Di noi vi è mai importato?”
Hashirama gli lanciò un’occhiata per poi commentare: “Accidenti, sei davvero polemico! Meno male che non sei invecchiato oltre o saresti stato come quegli anziani acidi che si lamentano tutto il tempo.”
Accennò a un sorriso morbido, con un’ombra di rassegnazione all’idea che l’ironia era tutto ciò che gli restava, a quel punto.
Lo scrittore borbottò qualcosa ma tacque quando Sai gli dette le tanto anelate spiegazioni:
“E’ una questione di equilibri. Poi, sostanzialmente, posso andare anche contro questa forza e portare via con me l’energia vitale. Ma… non è la continuazione che entrambi desiderate, o sbaglio?”
Nonostante l’uso del plurale guardò comunque prima Hashirama. Questi lo fissò, con il volto spaventosamente serio, marchiato da una consapevolezza in qualche forma più grande.
Abbiamo parlato tanto di Madara in questo inizio storia, accennando qualcosa della sua vita, dei suoi orientamenti e del suo carattere. Ma di Hashirama, filtrato attraverso gli occhi di chi lo amava, è stato omesso un particolare importante: egli, infatti, era sposato.
Non certo con Madara, questo era impossibile, bensì con una donna, moglie e madre dei suoi figli. Figlia, precisamente. Loro due – la sua famiglia, almeno sulla carta – congiuntamente alla notizia della morte di Hashirama, avrebbero saputo che questi non era da solo al momento della sua scomparsa, bensì era stato trovato nudo nella camera di un motel assieme a un altro uomo, che peraltro conoscevano. Non ci voleva un genio per trarre le somme e capire che l’esemplare marito e padre di famiglia stava tradendo il sacro vincolo del matrimonio con un amante, per giunta un amante uomo che in svariate occasioni aveva pure varcato la soglia della loro casa.
No, decisamente non un bel modo di andarsene, un peso tenuto nascosto per troppo tempo che avrebbe causato ulteriore sofferenza alla legittima consorte Mito Uzumaki. Forse il poter sistemare delle altre vite avrebbe in parte compensato le sue mancanze: Hashirama non lo sapeva, l’unica cosa di cui era certo era che non accettava di andarsene così, avrebbe tentato di poterle dire ancora qualcosa, di…
Dannazione. Non avrebbe più abbracciato sua figlia che era già donna, non l’avrebbe vista invecchiare, far nascere la bimba che teneva in grembo, diventare una donna in carriera, realizzarsi. Fu quella consapevolezza, più di qualsiasi altra cosa, a rendere ad Hashirama così indigesta la morte.
“Non sbagli. Chi dobbiamo aiutare?”
Gli piacque parlare al plurale, sembrava quasi un’avventura. Madara sospirò ma non disse nulla: aveva proprio voglia di fumare.
Sai sorrise:
“Oh, vi piaceranno.”
Ecco, se solo Madara avesse potuto prevedere con quella frase cosa, o meglio, chi esattamente gli sarebbe capitato, avrebbe dato del fuori di testa ad Hashirama e accettato l’offerta di andarsene con tutti i pesi del caso. Ma all’epoca, appunto, aveva solo voglia di fumare, di aiutare l’uomo che amava e con cui aveva condiviso vita, e morte, a sistemare quel grandissimo casino che era la loro esistenza.

*

C’era stato un periodo della vita di Sasuke Uchiha in cui quest’ultimo aveva praticato la boxe a livello agonistico. Un bel periodo, nel complesso, fatto di allenamenti intensivi, corse e incontri nei quali sua madre temeva di vederlo tornare a casa senza un dente, nonostante le apposite protezioni. Una cosa del genere, comunque, non era mai accaduta: Sasuke infatti era bravo, atletico, capace di schivare, tenere alta la guardia e fare le sue dovute contromosse. Poi era veloce e la pratica saltuaria con le arti marziali aveva migliorato i suoi già agili riflessi: una macchina da guerra, nonostante il fisico asciutto e nervoso, dai fasci muscolari così in evidenza che era possibile vederli guizzare sotto la pelle. Ricordava Bruce Lee, più che un massiccio pugile moderno, ed era stato notato dalle federazioni professionistiche che gli avevano proposto contratti piuttosto appetitosi.
Tutto questo percorso crono storico si era svolto più o meno in contemporanea a quello del primo, vero, rivale di Sasuke, nonché amico e compagno di allenamenti, visto che frequentavano la stessa palestra da anni: Naruto Uzumaki.
Ora, questi due cognomi vi suoneranno famigliari, suppongo. Ma… andiamo con ordine.
Naruto, al contrario di Sasuke, aveva un fisico meno asciutto, anche se di pochi centimetri più basso dell’amico e aveva una notevole forza d’attacco ma difettava nelle schivate. Incassava bene i colpi, eppure quando l’avversario attaccava con decisione il ragazzo rischiava di diventare un punching ball umano e la resistenza negli incontri ne risentiva.
Purtroppo, però, a un certo punto le carriere sportive di entrambi smisero di correre in parallelo: Sasuke infatti non poté continuare la sua strada agonistica a seguito di un incidente che, in un qualche modo profondo che forse leggendo potrete comprendere, segnò anche Naruto. Quest’ultimo, per quanto avesse sempre desiderato con tutto se stesso superare Sasuke e migliorarsi, a sua volta azzerò le sue mire sportive, accontentandosi, giorno dopo giorno, di venire allenato dal suo compagno di boxe di un tempo.
Ogni tanto partecipava a qualche incontro ma sembrava più uno svago, una macchia sul calendario, mentre la sua frequentazione della palestra era diventata una sorta di tranquillizzante routine, anziché un impegno vero e proprio.
Sasuke si arrabbiava, anzi, si incazzava a morte nel vedere tutto quel talento sprecato ma Naruto, testardamente, si ostinava a non voler sentire ragioni. Nonostante le premesse, ancora non era quello il motivo vero e proprio per cui Sasuke e Naruto avevano decisamente bisogno di un aiuto, a modo loro.
La palestra apparteneva al padre di Sasuke, Fugaku, che a sua volta era stato boxeur e aveva allenato i due ragazzi sin da piccoli; contrariamente alle opposizioni delle moglie e della madre di Naruto, ogni volta che poteva si portava i ragazzi agli incontri, convinto che la boxe fosse un’arte e una scuola di vita che li avrebbe formati come uomini.
Affascinati, i due bambini guardavano il ring, le luci, la gente, sognando un giorno di poter essere là sopra, di sentire l’adrenalina dello scontro, il sudore colare sulla fronte, la concentrazione verso l’avversario per comprenderne i movimenti e anticiparli.
Crescendo, erano riusciti ad arrivare a quel punto, a quelle luci, a sentire le incitazioni della folla, a calcare il suolo già un po’ vissuto del ring. Ma da lì in avanti le cose erano poi procedute diversamente rispetto alle aspettative.
Anche quella sera di tanti anni dopo, quando il resto degli atleti o frequentatori casuali della palestra era andato via, Sasuke e Naruto si trovavano sul ring ad allenarsi, ancora, assieme. Attorno a loro le mura di quel luogo che tanto conoscevano, alte, che ricordavano una fabbrica, con le sue vetrate un po’ sporche, gli infissi di ferro dalla verniciatura blu scura che in alcuni punti stava saltando, rivelando l’anima metallica che c’era sotto.
Le lampade, dal filo lungo e spesso, pendevano sopra le travi con la loro luce gialla e a tratti smorta, come se le lampadine fossero stanche, mentre il pavimento in pvc portava i segni degli attrezzi spostati, dei passaggi e dei pesi, graffi e strisce nere simili a ferite. A tratti c’era odore di ferro, misto a sudore quando si era in tanti e l’aria era contesa, o quando si guardavano match organizzati alla buona per capire i propri sbagli o semplicemente per appassionato divertimento.
“Più alta la guardia! Alta! Bilancia le spalle, sembri un troglodita!”
Sasuke alzava la voce con Naruto, mentre gli correggeva ogni movimento, rilevava qualunque falla in una nave da guerra che non poteva permettersi di affondare. Ma non urlava, mai. Aveva un tono duro, persino autoritario a tratti, però sapeva distinguere un incitamento a migliorare da una dimostrazione di rabbia, anche se non necessariamente tale incitamento era privo di insulti. Quando si aveva a che fare con Naruto, l’insulto era una parte costante del dialogo.
Naruto si correggeva, mettendoci ancora più impegno, senza mancare però di esclamare:
“Fossi un troglodita ti avrei già dato tante di quelle mazzate in testa, brutto spocchioso, arrogante testa di…”
Sasuke vide la guardia scoperta, ancora, e pensò bene di rifilare a quel chiacchierone il pugno che si meritava, anche se era un allenamento e anche se in teoria avrebbe dovuto essere lui ad accogliere i suddetti pugni, non viceversa.
“Ahia – esclamò il pugile dai capelli biondi che sparavano da tutte le parti, grazie al taglio appena fatto – sei uno stronzo. Stavo…”
Si rese conto che precisare parlando non era esattamente una scelta saggia per far valere i propri diritti. Sasuke si portò ai fianchi le mani coperte dai guantoni e, con il suo solito cipiglio in parte schifato, in parte divertito, disse:
“Te lo sei meritato. Parla di meno e muoviti di più, stupido – tacque un istante poi aggiunse, gettandogli addosso un asciugamano – tra un paio di settimane ci sarebbe un incontro a…”
“Lascia stare.” Lo interruppe Naruto, sfregandosi i capelli con il pezzo di tessuto un po’ consumato ma bianco e odoroso di pulito. Probabilmente c’era lo zampino di Sakura, anche se Sasuke era sempre stato preciso in quelle cose.
L’altro arricciò appena le labbra sottili ma non disse nulla, guardando da un’altra parte.
Naruto gli lanciò un occhiata, osservando lo sguardo profondo e i capelli lasciati crescere fin quasi alle spalle, tirati indietro da un sottile cerchietto nero: aveva sempre trovato Sasuke bello, desiderabile nonostante il carattere chiuso, forse perché in quegli anni aveva avuto modo di conoscere tanti aspetti di lui.
Gli mise le mani sul collo, tra i capelli, e lo bloccò, continuando a fissarlo; Sasuke inarcò un sopracciglio ma non si mosse, né parlò.
“Sei un figo.” Decretò Naruto. Infine, senza pensarci oltre, lo baciò.
L’allenatore si sfiorò le labbra poi, suo malgrado, sorrise a sua volta e scosse la testa:
“Questo per che cos’era?”
L’asciugamano era caduto a terra.
Naruto scrollò le spalle: “Nulla in particolare. Devo approfittarne prima che ti sposi con l’amore della mia vita.”
Sakura. Maledetto Sasuke, te l’ho fatta conoscere io. E lei è cascata ai tuoi piedi. Non ho mai capito se dopo tutti questi anni l’hai sposata per esasperazione.
“Credevo di essere io l’amore della tua vita.” Lo prese in giro Sasuke, con quel modo brusco e dall’ironia graffiante, quasi paradossalmente seria, che aveva di solito. Raccolse l’asciugamano e lo tenne stretto tra le dita, fissandolo, rendendosi conto del peso di quelle parole.
Naruto infatti lo colse in pieno e sentì un groppo in gola. Gli diede un pugno sulla spalla per non pensarci:
“Ehiehi, non dirmi che sei geloso! Dovrei essere io quello ferito e scartato, qui.”
All’improvviso Sasuke gli afferrò il polso, bloccandolo:
“Allora…”
Il resto rimase lì, sospeso tra loro. Deviarono gli sguardi, incapaci di bloccare quella spaventosa serie di eventi che stava avanzando, inesorabile.
Non erano più ragazzini; erano adulti, avevano dei lavori, delle vite, degli amici, colleghi e conoscenti al di fuori di quella palestra nella quale in fondo erano cresciuti. Oh, sì, casomai vi interessasse saperlo, dopo tutti quegli anni Sasuke e Naruto erano finiti a letto insieme: era stato quasi naturale, anche se sulle prime imbarazzante ed erano tutti e due imbranati cronici. Ma progressivamente avevano imparato a conoscersi pure sotto quell’aspetto, nonostante non fosse stato decisamente facile capirsi e, puff, finire a letto.
Eppure non si erano mai detti un vero e proprio ti amo; infatti, con il passare del tempo si stavano rendendo conto che nessuno dei due era in grado di portare a un altro livello la loro relazione, Sasuke perché aveva un padre che pensava di aver deluso e che avrebbe voluto vederlo sistemato nella vita, visto che nello sport tutto era già andato a puttane. Naruto perché sentiva un grandissimo, enorme, debito nei confronti di Sasuke, che per colpa sua aveva dovuto dire addio alla boxe che amava con tutto se stesso, accontentandosi di dover allenare uno stordito come lui e un altro pugno di gente che non sarebbe andata da nessuna parte, in una palestra che viveva dei fasti di un tempo ma era solo un rudere consumato dalla ruggine.
Erano quindi così, in sospeso, qualcosa di indefinito, per quanto finissero sempre per cercarsi e capirsi, con un senso d’intesa quasi chimico. Ma la vita, appunto, andava avanti e a breve Sasuke si sarebbe sposato, i suoi sarebbero stati contenti, avrebbe avuto una famiglia, magari avrebbe anche allenato di meno in palestra e con Naruto si sarebbe visto solo ogni tanto, per qualche sporadica lezione o per un’uscita assieme a tutti quanti.
Naruto avrebbe voluto prenderlo per le braccia e scuoterlo con forza, visto che ormai la loro storica differenza d’altezza si era praticamente appianata, per poi dirgli: ehi, deficiente, fregatene dei tuoi, di quello che la società si aspetta da te e stiamo assieme!
Ma… no, non poteva proprio portargli via anche quello.
“Cosa ne pensi?” gli domandò Sasuke scendendo dal ring, anche se Naruto non mancò di notare nemmeno quella volta che lui, come sempre, claudicava leggermente con la gamba sinistra.
L’interrogato sgranò un istante gli occhi, guardò il soffitto nel quale ebbe tempo di notare anche delle interessantissime ragnatele e tornò a posare gli occhi sull’amico:
“Ehr… vediamo… domanda di riserva?”
Si passò la mano dietro la testa, ridacchiando.
Con le braccia incrociate Sasuke notò, glaciale: “Non mi stavi ascoltando.”
“Bah, ascoltare è una parola grossa, sopravvalutata direi…”
Ma non finì di parlare che l’allenatore gli afferrò la caviglia: “Smettila di straparlare e scendi o la prossima cosa che farò sarà darti una coltellata al piede.”
“Wow, fai paura Uchiha! Scendo, scendo.” Borbottò Naruto, anche se piegandosi la mano di Sasuke era risalita al polpaccio. Si guardarono un istante, fermi così, con Naruto accovacciato e Sasuke che teneva la testa sollevata per guardarlo, oltre le corde del ring. Attorno a loro la palestra dalle mura alte e vuote sembrava silenziosa ma accogliente, nella sua anima in ferro, cemento e mattoni.
Prima che però il compagno d’allenamenti potesse muoversi, Sasuke gli spiegò:
“Sakura. Vorrebbe farti conoscere una ragazza. Voleva organizzare un’uscita assieme.”
Naruto, che lo conosceva bene, scorse un velo di rossore e un certo cipiglio infastidito. La cosa lo fece genuinamente sorridere, così si mise seduto per far scivolare le gambe da oltre il ring e passare sotto le corde con un breve salto.
Si pulì i pantaloncini, ma la sua testa era un continuo:
Che gli dico? Se mi ha informato è perché evidentemente ci tiene. Ma che me ne frega a me? Boh, dai, per Sasuke lo posso anche fare, che vuoi che sia, no?
“Okay! – annuì – Perché no?”
Per te è così facile frequentare un’altra persona? Avrebbe voluto replicare Sasuke ma tacque, limitandosi ad annuire con un cenno secco della testa.
“Tsk, vedi di non farmi fare brutte figure.” Anche se non lo pensava davvero. L’ultima cosa di cui gli importava era proprio fare bella figura con Sakura o chiunque altro. Anzi, forse in realtà voleva solo lo scatenarsi dell’Apocalisse, così Naruto non sarebbe mai uscito con quella ragazza e capito cosa significasse amare davvero qualcuno. Perché quello stupido testone evidentemente proprio non aveva alcuna idea a riguardo.
“Ehi, lord, se voglio posso essere un figo anch’io – gettò i guantoni, si tolse la canotta e, dopo averla fatta ondeggiare, la lanciò in faccia a Sasuke, per poi ammiccare cercando di non scoppiare a ridere alla vista della sua maglietta ancorata alla spalla del ragazzo – allora?”
L’allenatore afferrò il vestito e lo lanciò sul ring assieme all’asciugamano:
“Allora mi metti in testa strane idee.”
Lo sospinse contro le corde e lo baciò, sentendo poi le sue mani su di sé, sul suo corpo, sotto la sua canotta. Non c’erano state più parole, scherzi o insulti, quelli li riservavano per quando dovevano riempire i vuoti delle loro distanze. Avessero potuto continuare così per sempre, con la palestra, con le loro abitudini, sarebbe stato fantastico ma, appunto, la vita andava avanti e non aspettava certo le indecisioni o i dubbi che si trascinavano dietro.
In quel preciso momento, quando si erano tolti anche i boxer e, indifferenti al sudore o alla stanchezza, avevano finito per trascinarsi contro il ring, ecco, in quella pessima circostanza suonò il cellulare di Naruto.
Ma si trattava di una chiamata importante, direi addirittura fondamentale ai fini della nostra storia: se non avesse risposto, infatti, forse le cose sarebbero andate in maniera un po’ diversa.
Dopo aver guardato il compagno di boxe, che gli aveva lanciato un’occhiata seguita da silenziosa ma ben chiara minaccia di morte se Naruto avesse osato rispondere, il ragazzo sospirò e spiegò che proprio non poteva ignorare la telefonata, pur sentendo le sue mani strette attorno al petto e il cazzo di Sasuke che, sostanzialmente, era lì, tra le natiche. Insomma, decisamente una situazione non ideale per interagire al telefono.
Ma quella era la suoneria di sua mamma, la quale lo chiamava all’incirca ogni morte di Papa e, se lo faceva, non avveniva di certo a quell’ora. Il fatto che telefonasse presupponeva, dunque, che se non fosse esattamente morta una qualche autorità religiosa, si trattava comunque di un fatto abbastanza grave.
“Devo rispondere.” Disse in un sussurro, semplicemente perché l’eccitazione era ancora lì e parlare non era poi così facile.
Sasuke si morse il labbro superiore e chiuse un istante gli occhi, appoggiando la fronte sulla spalla di Naruto. Sospirò, infine lo lasciò libero dal suo abbraccio:
“Vai, sbrigati.”
Mise una mano sul ring e rimase così, per poi passarsi le dita tra i capelli.
Impacciato, Naruto corse verso la borsa appoggiata su una panca, rovistò tra le mille inutilità e cartacce che si portava dietro, infine rispose. Dopo le lamentele di sua madre, evidentemente incapace di realizzare che suo figlio avesse qualcosa da fare nella vita, Naruto cercò di tagliare corto, di certo non intenzionato a dirle che, insomma, stava facendo sesso con Sasuke, lo stesso Sasuke tanto carino che portava sempre qualcosa quando passava a trovarli sotto le feste.
“Dimmi ma’.”
“Tuo zio, il marito di zia Mito – un sospiro – è morto in un incidente e a quanto pare è stato coinvolto anche un amico di famiglia. Madara Uchiha… è parente di Sasuke, no? Dopodomani ci sarà il funerale.”
Sì, precisamente da questa telefonata e da quella frase comincia la vera storia di Sasuke e Naruto ma, soprattutto, della loro relazione con i fantasmi di Madara e Hashirama.
La vita va avanti… giusto?




Sproloqui di una zucca

Ho concluso questa storia all'1,30 di notte di qualche giorno fa. Poche settimane addietro (che terminone, eh?) parlavo con il mio ragazzo che mi chiedeva un'opinione su come procedere con la stesura di una storia. Gli ho detto che tendenzialmente quando ho una trama in mente comincio a buttare giù il tutto, perché poi magari sul momento mi vengono in mente delle situazioni o idee particolari e mi piace tornare indietro per inserire dettagli aggiuntivi che le approfondiscano o le anticipino. Gli ho fatto l'esempio di due tizi che fanno a botte, sostenendo che sarebbe bello magari riprendere a qualche capitolo prima e inserire una scena dei due che sono in una palestra ad allenarsi. Così... sbam, mi è venuta in mente la scena di questa palestra un po' lasciata andare, stile film di boxe e redenzione americano. Da lì tutto il resto è seguito a ruota appena mi sono trovata del tempo, e pensare che nemmeno abuso di sostanze stupefacenti XD
Le citazioni a inizio capitolo saranno, tranne in un caso, tratte da libri che ho letto e che per me hanno significato qualcosa nel frangente di cui ho voluto scrivere. Lovecraft, per esempio, è uno di questi. Le frasi in italico a inizio storia sono incipit famosi: Paul Clifford di Bulwer-Lytton e la Metamorfosi di Kafka.
Per quanto riguarda il mio racconto vero e proprio... che dire, ha uno stile con accenni più ironici del mio solito (e, chi mi conosce, sa che effettivamente so essere molto ironica) e un approccio più confidenziale, secondo me si adattava alla tipologia di storia.
Ho provato un sincero affetto verso tutti e quattro i personaggi trattati, da Madara cinico e parolacciaio, passando per Hashirama solo apparentemente pacato, senza dimenticarci di Naruto, così vitale ma e caotico ma al tempo stesso pieno di riguardi per Sasuke. Ah, Sasuke...
in tutte le mie storie hai sempre qualche problema, sei proprio un rottame. E pensare che io lo adoro, davvero. Specie il Sasuke adulto della new generation anche fisicamente m'acchiappa (uno dei pochi che sia uscito vincente dai deliri di Kishimoto nel recap finale).
Spero che il tutto vi piaccia e che vogliate seguirmi anche per i prossimi capitoli; se commentate giuro che non mordo, ho fatto appositamente l'antirabbica e pure l'antitetanica, olé!

   
 
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