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Autore: Vanya Imyarek    26/07/2017    9 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                                     CAPITOLO 4

DOVE  UN  RAGAZZO  INIZIA  SERIAMENTE  A  FARE  IL  SUO  DOVERE

 

 

 

 

Per i primi istanti, Choqo non riuscì a fare nulla tranne stare lì impalata, a fissare il Sacerdote.

 Era fregata. I suoi avrebbero saputo tutto. Ci sarebbe stato uno scandalo, probabilmente anche un processo, e la famiglia sarebbe stata pubblicamente disgraziata. Il matrimonio sarebbe saltato.

E bene, che avrebbe dovuto fregargliene?

 Tutto. Non sarebbe andata in sposa a uno che le stava antipatico, ma avrebbe passato tutta la vita in compagnia di persone che la odiavano. Era completamente fregata …

Il Sacerdote le sorrise amichevolmente, le rivolse un cenno di saluto e se ne andò per la sua strada. Choqo, di nuovo, rimase impalata a fissarlo.

Cioè … niente? Nessuna allerta alla sua famiglia? Non approfittava del momento in cui lei era ancora sulla scena del crimine per accusarla? Oh … fanculo.

 Choqo tornò di corsa in camera sua. Bene, se nessun altro l’aveva vista, aveva qualche possibilità di restare sull’occlo. La parola di un Sacerdote della Vita era influente, certo; ma lo era anche quella di un membro della nobiltà. Soprattutto se non c’erano prove oggettive, poi (avrebbe nascosto con cura i libri), la cosa sarebbe probabilmente finita in un nulla di fatto.

 E quel Sacerdote era anche molto giovane, probabilmente aveva appena finito un noviziato che l’aveva tenuto segregato in un tempio per tutta la vita: la sua inesperienza nel mondo reale avrebbe giocato a suo svantaggio, gli avrebbero detto che probabilmente aveva frainteso la presenza della ragazza nel giardino. Lei era solo andata a guardare i fiori, mostrando la delicatezza d’animo che ogni fanciulla della sua età avrebbe dovuto avere.

Ci sarebbero state delle chiacchiere, sicuramente, i suoi probabilmente non le avrebbero parlato per i guai in cui aveva rischiato di metterli per qualche tempo, ma alla fine anche le chiacchiere sarebbero morte.

Così rassicuratasi, la ragazza estrasse il tomo di Simay dagli abiti sotto cui lo aveva nascosto, aprì e iniziò immediatamente a leggere.

 Se sei mio figlio Duqas, chiudi immediatamente questo libro, rimettilo dove l’hai trovato e non avvicinartici mai più. Se sei chiunque altro, continua pure a leggerlo. Perdonami, ignoto lettore, ma non posso permettere che quel mio specifico figlio legga questo resoconto. Dopo tutte le volte che l’ho apostrofato come uno stordito, non posso permettere che scopra che alla sua età ero esattamente come lui.

Sì! Pareva ci fossero possibilità di redenzione per Simay. Non molto giusto per il povero Duqas (curiosamente, proprio quello da cui la famiglia di Choqo discendeva), ma la lettura si prospettava infinitamente più attraente per lei.

 È stata Corinna a convincermi a scriverlo. È convinta che la Devozione alla Vita stia acquisendo troppo potere, ed ha assolutamente ragione su questo; è l’idea di trascrivere cosa ci sia davvero dietro alla loro ascesa a religione di Stato, e conseguentemente anche alla nostra ascesa al trono, quello che non mi convince.

Lo ammetterò subito, anche perché è quello su cui sarà incentrato tutto il volume: le cose non sono andate esattamente come la versione consegnata ai libri di storia riportano. Quanto rivelare questo possa essere utile, non lo so. È un piano rischioso: se anche minasse l’autorità della Devozione alla Vita, minerebbe anche i diritti della nostra dinastia al trono. A prescindere che Yacqui e Lleri si sposino: esistono altri discendenti della casata originale, e come mi è stato ripetuto un’infinità nel corso delle vicende che mi accingo a narrare, se una persona normale si vede offrire un potere assoluto, corre a prenderselo.

Ma sono anche consapevole che sia l’unica vera possibilità che non comporti rischi davvero immediati. La Devozione alla Vita non ha ancora fatto nulla che causi grossi intralci al nostro governo, e posso essere relativamente sicuro che non si opporrà all’autorità imperiale nell’immediato futuro: del resto, siamo stati noi a permettere a Malitzin di trasformare una piccola cricca di eretici nella religione di stato. Pur non avendo alcuna lealtà o gratitudine verso di noi, il Sommo Sacerdote/Somma Sacerdotessa vorrà mantenere le cose come stanno.

Ma hanno anche loro una garanzia che non vorremo metterci contro di loro: la crisi religiosa di vent’anni fa. La gente non sa esattamente cosa sia successo, e perché, ma i suoi effetti se li ricordano benissimo tutti coloro che hanno più di venticinque anni. E anche quelli che ne hanno sentito parlare sanno che in quell’occasione ci furono dissidi, per la prima volta nella storia ricordata, tra l’autorità imperiale e quelle religiose.

 Se adesso io e mia moglie dovessimo opporci alla Devozione, tutti si ricorderebbero di quei tempi, e si scatenerebbe una nuova ondata di disordini solo per il panico. E vorrai perdonarci se, dopo aver inaugurato il nostro regno sedando una delle più gravi crisi della storia dell’Impero, preferiremmo evitarne un’altra a tutti i costi?

 Restiamo in equilibrio, dunque; ma nessuno garantisce per le future generazioni. La Devozione è basata su strane idee; se dovessero essere spinte troppo in là … i nostri resoconti sono per questo. Ho detto che chiunque tu sia, lettore, vai bene; ma usa queste mie parole, e quelle di mia moglie, con saggezza. Ovvero, fai l’opposto di quello che ora stai pensando di fare.

Grazie per la fiducia, Simay, si ritrovò a pensare Choqo. Ma seriamente, quella parte era praticamente identica allo scritto di Corinna.

Poteva sbirciare più avanti … qualcosa a proposito del come e del perché la sua carovana era partita, ma quello lo sapeva già … sì, ecco che aveva trovato il punto in cui i due futuri Imperatori si erano incontrati … non che le andasse di rileggersi tutto il dialogo … ma a quanto pareva, il giovane Simay pensava che quella schiava fosse una specie di pazza scatenata. Perché davvero, chi non avrebbe fatto il suo dovere tranne un povero pazzo? Era così chiaro che quelle regole fossero state pensate per il bene di tutti!

Oh, ecco il punto in cui, più o meno, Choqo aveva interrotto la narrazione di Corinna. Il giorno dell’arrivo della carovana ad Alcanta. Poteva cominciare a leggere quel manoscritto da lì.

                                                                

                                                                   Dal Manoscritto di Simay

Fu verso il tardo pomeriggio che raggiungemmo Alcanta.

Di quel momento ricordo principalmente due cose. La prima è quanto fossi emozionato all’avvicinarmi. Contrariamente alla maggior parte dei ragazzi nobili della mia età, non vi ero mai stato: avevo tecnicamente passato l’esame che mi avrebbe permesso di essere istruito nelle sue scuole due anni prima, ma l’anno prima ancora era nata mia sorella Coya; e le decisioni per il mio destino erano cambiate.

Non sarei succeduto a mio padre, sarebbe stato assurdo se un figlio adottivo avesse ereditato la posizione del padre e un figlio legittimo fosse rimasto senza nulla, anche se il figlio naturale era una femmina. Non so come stiano le cose al momento in cui tu stai leggendo, ma allora fu in fretta stabilito che il prossimo governatore di Dumaya sarebbe stato il futuro marito di Coya.

Non ebbi alcun risentimento nei confronti dei miei genitori, malgrado ciò che potesse dirne la gente. Mi avevano sottratto all’improvviso una carica che, data l’infertilità di mia madre negli anni precedenti, e l’età avanzata dei due, tutti davano per scontato che avrei ricevuto; ma quelle persone si dimenticavano che, in primo luogo, i miei genitori mi avevano sottratto alla morte e alla schiavitù.

Erano disperati per l’assenza di figli all’epoca, certo; ma anche in questa situazione, chi sarebbe stato disposto ad accogliere in casa propria un neonato abbandonato davanti alla loro casa, senza alcuna indicazione sulle sue origini, e crescerlo come un proprio figlio anziché farlo diventare uno schiavo? I miei genitori adottivi mi avevano permesso di vivere, e una vita agiata e serena; tutto quello che potevo fare per ricambiarli, al momento, era approvare le loro decisioni per me e impegnarmi a fare loro più onore possibile. Invidia per aver perso la posizione di erede? Al contrario, entusiasmo per potermi finalmente impegnare per loro.

 E ora finalmente sarei giunto ad Alcanta, il mio noviziato avrebbe avuto inizio, e avrei cominciato la mia strada per diventare un sacerdote rispettato. Dovetti mettere molto lavoro nel non avere un sorriso stupido stampato in faccia per tutto il viaggio all’interno della città. Che inoltre fu piuttosto deludente: mi ero aspettato più sfarzo dalla capitale, monumenti e materiali pregiati a ogni angolo di strada; invece stavamo passando per i quartieri degli artigiani in quel momento, e quelli erano, sorpresa delle sorprese, esattamente uguali ai quartieri artigianali della capitale di Dumaya.

Le cose si fecero più simili alle mie fantasie quando ci avvicinammo ai quartieri nobiliari per raggiungere il Tempio, ma era solo naturale: lì vivevano i nobili della famiglia imperiale, non i governatori di territori conquistati secoli prima.

Ho menzionato una seconda cosa che, in tutto questo, notai: il puro panico della schiava che viaggiava con noi.

Certo, mi aveva urtato per tutto il viaggio il suo atteggiamento di supponenza e la mancanza di rispetto, e avevo spesso pensato che avrebbe dovuto mostrare più umiltà. Ma adesso che si arrivava al luogo della sua vendita, la sua maschera di arroganza era caduta, soppiantata dal terrore puro e semplice.

 Di schiavi ne avevo visti tanti, nel corso della mia vita, ma erano sempre stati quelli che arrivavano direttamente al palazzo, con un destino ben stabilito davanti a sé, un futuro relativamente sereno tra l’altro, dato il ben noto senso di giustizia di mio padre. Se non avevano intenzione di commettere crimini, non avrebbero dovuto temere alcuna crudeltà. Questa ragazza non sapeva cosa le sarebbe successo, in mano a chi sarebbe finita … anzi no, a giudicare dalle parole degli schiavisti un’idea chiara di dove mandarla c’era.

Detestavo essere così entusiasta del mio futuro a pochi passi da qualcuno che stava andando incontro a una fine del genere. Avessi potuto fare – legalmente - qualcosa per aiutarla, l’avrei sicuramente fatto. Ma forse ero riuscito a farlo comunque? Quelle informazioni che le avevo dato sul poter diventare sacerdotessa di Pachtu … se ci fosse riuscita, e si fosse procurata una vita migliore?

Certo, senza fede nella divinità la cosa non mi sorrideva più di tanto, ma quella avrebbe potuto svilupparla col tempo. E anche se così non fosse stato, viste le circostanze forse il dio avrebbe potuto perdonarla. Speravo che andasse così per … mi resi conto che non sapevo nemmeno come si chiamasse.

Ero riuscito a passarle medicinali di straforo, l’avevo edotta sulla casata reale e sugli dei, ci avevo litigato, e non le avevo nemmeno chiesto il suo nome. Mi sentii piuttosto in colpa per quello. Se gliel’avessi chiesto … non avrebbe concretamente cambiato nulla della sua situazione, ma forse l’avrebbe fatta sentire più considerata … forse, non lo sapevo. Mi dispiaceva non aver provato, comunque. Qualora mi fossi mai ritrovato in una situazione simile – durante la mia vita da sacerdote mi sarebbe pur capitato, no? – avrei sicuramente chiesto più informazioni personali sul mio interlocutore.

 Certo, con la ragazza coi capelli blu era stata un’occasione persa … bel comportamento, davvero. Belle premesse, per una figura che avrebbe dovuto ispirare e guidare il prossimo. E adesso non potevo nemmeno dirle niente senza urlare e farci sentire da tutta la strada, così ogni tentativo di riparare avrebbe portato solo imbarazzo a mio padre e a me.

I miei sensi di colpa si protrassero ben oltre il momento in cui gli schiavisti, dopo essersi profusi in ringraziamenti e auguri della migliore felicità, si dipartirono da noi per andare presumibilmente sul luogo del loro mercato, facendo sparire con sé la ragazza; solo l’arrivo di fronte al Tempio della Terra riuscì, se non a chetarli, almeno a farli passare in un secondo piano.

I nostri mekilo furono fermati giusto davanti all’ingresso del tempio, una piccola porta rettangolare che non avrebbe mai potuto far passare i nostri animali. Io e mio padre scendemmo, accompagnati da uno schiavo di nome Tupac, mentre il resto del nostro corteo aspettava fuori, dopo aver fatto accucciare gli animali ai margini della strada. Mio padre mi lanciò un’occhiata eloquente, io annuii e cercai di copiare al meglio la sua postura composta e dignitosa. Ero già finito in sufficienti situazioni imbarazzanti per la mia tendenza a dimenticare l’etichetta quando ero particolarmente entusiasta per qualcosa, e in quel momento, lo ero.

Il Sommo Sacerdote in persona ci aspettava nel cortile interno; buon per loro se pensavano che la mia famiglia meritasse un simile onore. Era un uomo piuttosto basso e corpulento, il cui rango era chiaramente dichiarato dalla tunica dai disegni a quadrati in fili d’oro, neri e verdi; ma ciò che mi colpì di più del suo aspetto furono i suoi occhi.

Per lo sguardo, non per forma o colore: erano gli occhi della persona più serena e in pace che avessi mai visto. Sentii subito di potermi fidare di quella persona, di aver trovato qualcuno che mi avrebbe sostenuto – e che io avrei fatto il mio possibile per assistere, naturalmente.

“Governatore Etahuepa di Dumaya” il Sacerdote salutò mio padre. “Sono lieto di rivedervi in queste circostanze, cugino”

 Sono certo che sugli annali e sui documenti di Dumaya sarà ricordato, ma sì, il mio padre adottivo era cugino del Sommo Sacerdote Pacha. Il padre di mio padre era fratello del precedente Imperatore Duqas, mentre Pacha era il figlio cadetto di quest’ultimo, nato da una concubina e non dalla moglie ufficiale come Manco e Llyra. Era stata una delle ragioni per cui i miei genitori avevano approvato tanto del Tempio che avevo scelto: volevano che comunque rimanessi sotto l’ala della famiglia, e non c’era da preoccuparsi di accuse di favoritismo: un parente adottato non avrebbe mai potuto assumere ai ranghi più alti, quelli erano destinati per il sangue degli dei.

“Condivido la tua felicità” rispose mio padre, procedendo poi a presentarmi.

 “Simay, la tua devozione ad Achesay rallegra tutti noi” mi sorrise Pacha. “Detto sinceramente e senza formalità. Ti mostreremo come sarà organizzata la tua casa da ora in avanti, il che significa, cugino mio, che per quanto mi faccia piacere rivederti, è il momento che tu te ne vada”

Mio padre ripetè i saluti formali al Sommo Sacerdote; a me posò una mano su una spalla e sorrise. “Ti farei i miei migliori auguri di successo e felicità, Simay” mi disse a voce più bassa. “Se non fossi sicuro che tu sia in grado di ottenere queste entrambe queste cose da solo e senza difficoltà. Ti chiedo solo di farne sapere qualcosa anche a noi, di tanto in tanto, specie a tua madre. La nascita di Coya non l’ha resa meno protettiva nei tuoi confronti, lo sai”

 Sorrisi, ripromettendomi di chiedere a Pacha a quali messaggeri potevo riferirmi al momento, e replicai: “Mi auguro che il soggiorno in questa città porti buone notizie per voi, padre”

Ricordo quell’occasione come l’ultima volta in cui parlai sinceramente e senza omissioni con mio padre. Nei tempi che seguirono, ebbi via via sempre più cose da nascondergli nelle mie lettere; e quando lo incontrai nuovamente di persona, dopo la mia incoronazione, ero ormai una persona che non esitava e non provava colpa a mentirgli direttamente. Non ho tuttora rimorsi per quello; ricordo questa conversazione più come una curiosità che come un qualcosa di cui addolorarmi.

Per terminare questa piccola divagazione, eccomi lì, in compagnia del Sommo Sacerdote e … di un altro uomo, più giovane, più magro ma non più alto, con l’espressione vacua e gli occhi spenti esattamente come quelli di Pacha erano pieni di serenità. Mi rimproverai immediatamente per quel pensiero, perché se l’altro Sacerdote preferiva non comunicare al mondo i suoi pensieri privati, ciò non significava che non ne avesse, di buoni e profondi, e che comunque dovesse esserci una buona ragione per ciò.

“Simay, ti presento Waray. È il maestro dei novizi, sarà lui a decidere se e quando potrai essere nominato un vero sacerdote. Non ritengo necessario raccomandarti il massimo rispetto”

Feci un leggero inchino a Waray. Se era il maestro dei novizi, sicuramente un motivo di portargli rispetto c’era: quella carica era la più alta dopo quella di Sommo Sacerdote, e ci si aspettava che chi assumeva alla prima fosse poi destinato alla seconda. Se Pacha aveva deciso che quest’uomo, tra i discendenti di sangue reale, era il più adatto a succedergli, rispettavo in massimo grado la sua decisione. E - il pensiero sorprese me stesso - non perché fosse il Sommo Sacerdote, ma perché Pacha riusciva, istintivamente, a ispirarmi fiducia.

Waray comunque borbottò qualcosa in tono distratto al mio saluto, forse si stava chiedendo come mi sarei inserito tra i miei coetanei.

A ricordarmi che avrei condiviso la vita con dei coetanei, ammetto, mi venne una certa ansia. A palazzo, ero sempre vissuto in modo privilegiato e relativamente isolato; al massimo scambiavo occasionalmente qualche parola con schiavi attorno alla mia età, ma le differenze in stile di vita ed educazione mi rendevano quasi impossibile relazionarmi davvero a loro. Adesso avrei dovuto, per la prima volta in vita mia, interagire con altri ragazzi miei pari.

Chissà se anche loro avrebbero avuto i miei stessi problemi? Non per voler loro male, ma … sperai di sì. Avrei avuto la vita molto più facile.

“Questo è il cortile esteriore” iniziò intento a spiegarmi Pacha. Io gli prestai subito la massima attenzione. Qui vengono ricevuti i devoti che chiedono udienza, e fa accedere alla casa della dea. Che vedi da questa parte … ci entreremo tra poco per la tua iniziazione. Da questa parte – seguimi – c’è il cortile interno, dedicato a noi sacerdoti per le cerimonie quotidiane”

Mi fece passare attraverso un’altra porta, in un cortile di dimensioni molto più ridotte su cui si affacciavano edifici su ogni lato. A parte le dimensioni più ridotte dell’altare al centro, non aveva alcuna differenza dal cortile esterno.

“La porta che vedi davanti a te conduce agli alloggi dei sacerdoti” mi spiegò Pacha. “Tu non puoi entrarci senza previo permesso. L’edificio alla tua sinistra, invece, è l’alloggio dei novizi, dove vivrai fino alla tua vera e propria consacrazione. A destra, invece, c’è il refettorio; passerà un Sacerdote al mattino per svegliarvi e condurvi al pasto. È una struttura molto semplice, come vedi”

Annuii, cercando di reprimere il sorriso che mi stava nascendo sulle labbra, o almeno di non farlo estendere a mezza faccia.

Era perfetto. Finalmente ero lì. Adesso ci sarebbe stata una piccola, semplice cerimonia di esordio del noviziato, e poi avrei iniziato il mio percorso di sacerdozio -non vedevo l’ora di essere al giorno dopo, alle lezioni, e di essere finalmente iniziato ai riti della dea Terra … e non era una cattiva cosa, vero?

 Tutto il mio entusiasmo, era perché ero devoto alle divinità e volevo consacrare la mia vita al loro servizio … non perché ero curioso o simili motivi irrispettosi. Ricacciai di nuovo indietro quel dubbio, come avevo sempre fatto da quando avevo iniziato ad accorgermi che non tutti sembravano così ossessionati dallo scoprire il motivo delle cose quanto me. Erano gli dei che volevano che io seguissi i loro sentiero di conoscenza, tutto qui. Io non facevo altro che obbedire, come ogni essere umano decente avrebbe dovuto fare.

Pacha mi fece cenno di seguirlo nel tempio. Io mi avvicinai a passo svelto e tenendo il capo chino: non esssendo ancora stato iniziato, ero indegno di alzare gli occhi sulle immagini della dea. Furono Pacha e Waray a guidarmi, fino ai piedi di un altare, su cui potevo intravedere due ciotole di polvere verde e nera.

 “Achesay, Grande Madre” Pacha iniziò la sua preghiera. “Tu hai dato vita a tutta la nostra specie; uno dei tuoi figli vuole in gratitudine donarla a te. Accetta la sua offerta, e guidalo secondo il tuo volere” intinse le dita nelle due ciotole, e mi tracciò sulla fronte il simbolo di un cerchio con una pianta stilizzata al centro, il simbolo della dea Achesay.

 “Ragazzo, sii un figlio onesto e leale. D’ora in avanti, accederai agli strumenti per servire tua madre, in attesa del giorno in cui la tua vita sarà definitivamente consacrata a lei”

“Dedicherò ogni ora del mio tempo ad arrivare velocemente a quel giorno” risposi, come ero stato istruito da mio padre. E poi potei alzare lo sguardo sul tempio.

La statua d’oro della dea troneggiava davanti a me, su una base di terra. Era illuminata da una fessura posta esattamene in corrispondenza della sua testa, perché l’effigie di Achesay potesse bearsi della luce del suo sposo (e come facevano quando pioveva? Molto probabilmente avevano un telo o un coperchio, non avrebbero certo permesso che la dea si bagnasse!). A parte quella singola luce, l’edificio era buio, per meglio ricordare le viscere della Terra. Cercai di memorizzare ogni singolo dettaglio, ma Pacha mi prese per un polso e mi fece cenno di uscire.

La cerimonia era finita. Molto semplice, senza tanto chiasso, al contrario delle vere e proprie cerimonie di consacrazione.

“Sono felice di queste tue parole” replicò Pacha. “Ora Waray ti accompagnerà ai tuoi alloggi, e ti presenterà agli altri ragazzi. Le tue lezioni inizieranno domani. Passa una felice serata”

“Vi ringrazio per il vostro aiuto. Una … una felice serata anche a voi” Non era contro nessuna etichetta fare auguri simili ai Sacerdoti, vero? No, per fortuna, perché Pacha sorrise prima di allontanarsi.

Waray, senza dire una parola, si avviò verso il dormitorio dei novizi, e io lo seguii come un aratro. Entrammo in una stanza vuota e prendemmo un’altra porta sulla parete destra, nascosta da una tenda in tela nera e verde. Ci ritrovammo in una grande stanza con semplici stuoie su ogni lato, e un gruppo di ragazzi che chiacchierava in un angolo in fondo. Si zittirono un attimo, ci guardarono, chinarono rispettosamente il capo a Waray e ripresero a parlare tra loro.

 “La tua stuoia è l’ultima a destra” mi informò il mio nuovo maestro, e uscì.

Oh. Non doveva presentarmi agli altri ragazzi? Almeno così gli aveva detto di fare Pacha, mi risultava. Forse aveva altri affari da sbrigare, di cui il Sommo Sacerdote non si ricordava? Nessun problema, non l’avrei infastidito. Avrei iniziato la conoscenza con questi ragazzi per mio conto. Potevo riuscirci.

 Uhm. Chiacchieravano ininterrottamente: appena uno taceva, un altro iniziava subito a parlare; talvolta anche prima che il primo tacesse, in effetti. Non avevo alcuna possibilità di presentarmi senza intromettermi in maniera molto sgarbata nella loro conversazione.

 Dal canto loro, non sembravano essersi nemmeno accorti della mia presenza, dato che nessuno di loro degnò di uno sguardo il punto in cui stavo, in piedi e con l’aria di non sapere cosa fare. Decisi di andare a sedermi sulla mia stuoia, era più vicina a loro di dove stavo al momento. Uno dei ragazzi alzò lo sguardo per fissarmi, ma prima che potessi intavolare una conversazione, lo riportò ai suoi amici e riprese a parlare.

 E io cosa dovevo fare? Non avevo idea di come introdurmi nella conversazione, ma avrei dovuto farlo, questi non sembravano intenzionati a venirmi incontro, accidenti a loro … no, non dovevo pensarne male. Magari ero io a dover fare la prima mossa, o c’era bisogno di qualcuno che facesse una presentazione formale e Waray non aveva potuto farlo, non lo sapevo, ma non dovevo essere così veloce a giudicarli. Oppure semplicemente non gliene interessava nulla di me, e io chi ero per indignarmi di questo?

 Piuttosto, dovevo conservare i miei buoni sentimenti per essere finalmente arrivato lì, essere nel posto in cui avrei passato la vita obbedendo al volere della Grande Madre, passare la vita … chissà che fine aveva fatto quella ragazza schiava? A quell’ora, probabilmente l’avevano già venduta … chissà a chi.

 Era un peccato che non avessimo potuto comprarla noi, le avremmo assicurato un futuro dignitoso, ma mio padre era stato chiaro: avevamo già abbastanza schiavi al momento. Non tutti i quali strettamente necessari per il momento: mio padre mi aveva sempre detto che a comprarli solo per compassione era uno spreco di soldi – anche perché poi dovevi mantenerli a vita – ma avevo comunque notato che certi compiti avrebbero potuto portarli a termine anche meno persone di quelle che vi erano incaricate. Così non era stato, però, per quella povera ragazza … chissà da dove arrivava, poi? Per non sapere assolutamente nulla degli dei, dell’Impero, perfino dei Kisnar! Avevo incontrato, in un paio di occasioni, stranieri ignoranti quasi quanto lei, ma i Kisnar erano noti dappertutto (e come avrebbero potuto non esserlo?).

Era un peccato che si fosse rifiutata di rivelarmelo … anche sorvolando sul suo linguaggio. Che le avevo fatto, poi, per meritarmi un trattamento del genere? Avevo fatto tutto quello che era in mio potere per aiutarla. Non l’avevo liberata, certo, ma quello sarebbe stato così infattibile che non ci avevo nemmeno pensato, prima che lei me lo chiedesse. Però se per assurdo le avessi aperto, lei sarebbe forse stata più bendisposta nei miei confronti, e mi avrebbe detto da dove arrivata – oltre ad andare incontro a una sorte senz’altro migliore – no, liberare una schiava non mia sarebbe stata una cosa illegale e moralmente sbagliata, non l’avevo fatto, e non valeva nemmeno la pena che accarezzassi l’idea contraria.

 E poi, non avrei mai più rivisto quella ragazza. La sua ignoranza mi aveva sorpreso, ma adesso avevamo preso strade separate, e che tali sarebbero rimaste. Qualunque pensiero, rivisitazione dell’accaduto potessi fare, non avrebbe cambiato niente, quindi non valeva la pena che sprecassi il mio tempo a pensarci. Potevo dedicarlo, invece, a cercare di stabilire un qualche contatto con questi altri ragazzi … che continuavano a ignorarmi del tutto. D’accordo, forse nemmeno quella era un’attività produttiva. Forse avrei fatto meglio a fantasticare sulle lezioni che mi attendevano il giorno dopo … sì, mi pareva decisamente meglio.

 Chissà quando avremmo imparato a sfruttare i poteri della Terra per l’edilizia? Probabilmente dopo i segreti dell’agricoltura, a giudicare dalle età che avevo osservato nei Sacerdoti che avevo visto fino a quel momento … oppure era una questione di potere? E io quanto ne avrei avuto? Sarebbe stato il segno che la Madre Terra avrebbe riconosciuto la mia devozione …

“Ehi, sei nuovo?”

“Sì, ha il segno”

Finalmente qualcuno voleva parlarmi! Mi voltai verso le voci: un gruppetto di altri ragazzi era appena arrivato. Indossavano tutti la tunica dei novizi, naturalmente, e nessuno di loro aveva una speciale bellezza o bruttezza, ma la mia attenzione fu subito calamitata da uno di loro, quello in testa al gruppo. Sorrideva sicuro e amichevole, le spalle dritte, la testa appena reclinata all’indietro: tutto, in lui, dichiarava che quella persona doveva essere rispettata.

“Ciao, Capac!” lo salutarono alcuni di quelli che erano nella stanza anche prima.

 “Sì, Waray l’ha appena consegnato”

Capac sorrise prima a loro, poi a me. “Ben arrivato, allora! Io sono Capac Collcii, piacere di conoscerti”

“Simay Etahuepai” mi presentai a mia volta, infinitamente sollevato. Finalmente era terminato l’isolamento imbarazzato, qualcuno era disposto a parlare con me!

 “Da dove arrivi? Mi sembra di aver sentito il nome Etahuepa collegato a qualche incarico di governo, ma non ti ho mai visto qui nella capitale”

 “È governatore di Dumaya, infatti. È la prima volta che io vengo qui”

“E ti spediscono subito al Tempio? Che palle” commentò un altro ragazzo.

 Io lo guardai stranito: essere al Tempio era un onore, ma … non doveva essere scontato? Perché mi trovavo a doverlo dire ad alta voce? Potevo farlo?

 “A meno che tu non muoia dalla voglia di iniziare il noviziato” Capac intervenne a salvarmi, osservandomi attentamente.

 “In effetti sì” ammisi sollevato.

“Miri a qualche alta carica?” mi chiese un altro dei ragazzi, uno di quelli che mi aveva ignorato prima.

 “Non posso. Sono adottato”

“Aahh, ecco perché ti hanno spedito qui. Non vedevi l’ora di mollarli, immagino”

 “Eh?” no, onestamente, di che cosa stava parlando? Ma che gente c’era qui? Possibile che non potessero accettare che io volessi davvero diventare un sacerdote?

 “È stata una tua scelta?” Capac fornì cortesemente qualcuno disposto ad ascoltarmi invece che a decidere la mia storia personale.

“È stata una mia scelta servire Achesay di tutti gli dei” chiarii. “Prima che nascesse la mia sorella adottiva, era previsto che diventassi il successivo governatore di Dumaya, e l’avrei fatto per rispetto ai miei genitori. Una volta cambiati i piani, tra i vari suggerimenti ho avuto quello di diventare sacerdote, e quello ho scelto”

 Qualche ragazzo sbuffò, qualcun altro fece una risatina, Capac invece mi guardò con approvazione.

 “Sono felice di vedere qualcuno che è qui per sua decisione. Fin troppi diventano novizi per ordine delle famiglie … e finiscono per disprezzare la dea che dovrebbero adorare”

 Si diffuse un silenzio imbarazzato. Okay, per quello che avevo capito delle dinamiche sociali tra i ragazzi in età di formazione, quel Capac era una specie di governatore dei novizi, un’autorità informale, ma seconda solo a quella di Waray, lì dentro. Forse ero capitato bene ad ottenere la sua approvazione.

“Penso che ognuno dovrebbe servire il Tempio al massimo delle sue capacità, a prescindere dal motivo per cui si trova qui” osservai, anche se il complimento mi aveva fatto piacere.

Molti altri ragazzi mi guardarono storto, Capac invece rimase in silenzio per alcuni istanti, il suo sorriso scomparso, prima di avere un lieve sobbalzo e tornare a guardarmi. Sorrideva di nuovo, ma non con gli occhi.

“E un modo di vivere simile sarebbe assolutamente ammirevole. Ma fino a questo momento, cos’hai fatto? Com’è Dumaya, che non ci sono mai stato?”

 

Ho dibattuto con me stesso riguardo al diffondere o meno i misteri della magia della Terra; il dibattito ha avuto la durata approssimativa di cinque secondi. Certo che racconterò come fosse insegnata e praticata, nessuno la praticherà mai più, gli spiriti degli elementi sono una cosa del passato, la Terra è ora solo la massa di sassi e polvere su cui camminiamo, senza alcuna coscienza. Ergo nessuna retribuzione, né da parte della ‘dea’, né dai suoi ormai scomparsi sacerdoti.

 E poi, detesto quando la conoscenza viene occultata. Anche se nessuno potrà mai più usare questa magia, sono assolutamente sicuro che da qualche parte nel futuro – ma probabilmente anche adesso mentre scrivo – qualcuno si tormenterà l’anima chiedendosi come diamine facessero gli antichi Sacerdoti a manipolare lo stesso elemento della Terra a loro piacimento, quali prove dovessero superare per esserne autorizzati, quale preparazione ricevessero, come ci si sentisse a controllare il terreno stesso.

 Iniziai le lezioni, come Pacha aveva promesso, il giorno dopo il mio arrivo al Tempio. Fummo tutti svegliati all’alba, mandati al refettorio per una colazione a base di focacce di farina di corteccia di Duheviq, e poi fummo divisi in base al punto del noviziato in cui eravamo.

 Io fui mandato in una stanza attigua al refettorio, insieme agli altri arrivati di recente, dove Waray ci aspettava seduto in fondo sulla nuda terra. Tutti noi ci sedemmo, in attesa della nostra primissima lezione.

“Inizierò ricordandovi la natura della Grande Madre Achesay” esordì il maestro, in tono che mi parve quasi annoiato. “Ella si formò dalle lacrime che la Notte pianse quando, agli inizi dei tempi, capì di essere completamente sola in esistenza, mentre desiderava compagnia. Assieme alla Madre Achesay, dalle stesse lacrime nacque il nostro supremo Signore, il Sole, Achemay. La Notte gioì della loro nascita –“ sì, il tono di Waray era definitivamente annoiato. E la cosa non aiutava la lezione. Sembrava una litania incredibilmente spassionata, non le vicende della dea.

“Ma presto, il Sole e la Terra si innamorarono e vollero avere figli a loro volta. Ma la Notte si ingelosì del loro amore e delle nuove creature che sarebbero nate. Perciò catturò Achesay, segregandola di nuovo nel proprio grembo per sottrarla al Sole. Ma aveva sottovalutato la tenacia del figlio: egli, per la prima volta, usò la propria luce contro di lei, costringendola a fuggire e a liberare Achesay. Ad oggi, Achemay continua tuttora a dare la caccia alla madre, e se non l’ha ancora bandita dall’esistenza, è per la pietra malfida che ella gli scagliò, la luna, che rimanendo sospesa in cielo e riflettendo la luce, avvisa la Notte della venuta e dell’allontanamento del figlio ogni giorno, perché ella possa muoversi con sicurezza. Talvolta, la pietra si frappone anche tra gli Imperatori del Creato, oscurando la Grande Madre dalla luce del suo sposo; questi devono essere onorati come momenti di dolore”

 Avevo ben presente, avevo già assistito a un paio di eclissi prima di allora. Avevo anche partecipato ai sacrifici, naturalmente come laico. Erano probabilmente le festività più silenziose e cupe che potessero esserci, nel timore che la Notte potesse approfittare dell’occasione per separare di nuovo i suoi figli, e far sprofondare il mondo nell’oscurità. Ora avrei imparato i riti necessari a scongiurare questo pericolo, a fare attivamente qualcosa … sempre che riuscissi a non addormentarmi prima con questa voce monocorde … no, non dovevo pensar male del maestro dei novizi. La sua posizione era meritata, doveva essere la persona più qualificata a guidare i nuovi sacerdoti – erano messi bene al Tempio allora – no, dovevo finirla di essere irrispettoso. Concentrarmi sulla lezione. Anche se il tono stava massacrando i miti.

 “Achemay e Achesay, liberi di amarsi, ebbero dunque due figli: Chicosi, dea dell’aria, e Thumbe, dio dei mari, dei laghi e dei fiumi. Nacquero dai due, ma fu Achesay a partorirli; ciò la condusse a una superbia folle anche per una dea, convincendola che, in quanto creatrice di vita, e spettasse autorità sul suo sposo”

 Sapevamo già tutto questo, ci era stato insegnato fin da bambini. Avevo sperato in un approfondimento sui miti, ma Waray non ne stava facendo proprio nessuno. Forse sarebbero arrivati in seguito?

 “In risposta, Achemay soffiò, e dal suo solo soffio nacque Sulema l’odiosa. Invece di riconoscere l’autorità del consorte, Achesay s’indispettì e tentò di creare vita da sé: senza il Sole, non poté far nascere nulla. Allora decise che, pur di disprezzare il marito, avrebbe generato figli con l’unico uomo allora esistente: suo figlio Thumbe. Egli obbedì, per rispettare la madre, e dalla loro unione nacquero i primi esseri umani. Neanche questa volta, Achesay ebbe successo: dove Sulema era una dea, gli esseri umani erano patetici, impotenti, in balia completa degli dei. Ciononostante, la Madre ebbe buona cura dei suoi figli, tentando di difenderli dalle angherie di Sulema; e il punto che segnò la sua riconciliazione con il marito fu il momento in cui egli, alla morte di Sulema, acconsentì a donare il fuoco all’umanità, consentendo loro di smettere la vita dei selvaggi”

Tossicchiò. Tutto lì, a quanto pareva, anzi, aveva pure saltato a piè pari il Terrore di Sulema e l’intervento di Chicosi nella vicenda, forse per risparmiare tempo … significava che la lezione di magia vera e propria stava per iniziare? In quel caso, potevo anche perdonarlo – no, non c’era niente da ‘perdonare’, il maestro dei novizi insegnava come più gli pareva opportuno e io non ero nessuno per giudicarlo.

 “Quello che dovete capire, è che Achesay è la Madre. È nella sua natura amare i suoi figli e provvedere a loro con generosità, con gioia vi darà i suoi doni e vi concederà di usare il suo corpo per sostentarci. Ma allo stesso tempo, sarà ferma e severa nel punire chi disobbedisce ai suoi comandi”

 I suoi occhi dardeggiarono per la stanza. “È con rispetto, timore e obbedienza che dovete pregarla, ma anche con fiducia. Dovete affidarvi a lei, come vi affidereste a una madre amorevole e saggia”

Sì, senz’altro l’avrei fatto. Quando si cominciava?

 “Ognuno si metta in ginocchio sulla sua stuoia e si prostri, poggiando la fronte al terreno” obbedii immediatamente. Finalmente le prime preghiere, forse potevo sperare nel primo uso della magia …? “Le preghiere formalizzate sono per i sacrifici, un tramite perché i devoti laici possano aver modo di comunicare insieme la loro devozione alla Grande Madre; e quello sarà argomento di un’altra lezione. La prima cosa che dovete imparare, è entrare in contatto personale con lei, affinché vi conceda di usare il suo potere. Non esistono preghiere singole prefissate, dovrete essere voi a scegliere le parole con cui supplicarla. In questo modo, lei sceglierà chi le è più caro”

 E bene, potevo farlo. Anzi, forse questo sistema mi piaceva anche di più, rispetto alle preghiere prestabilite. Ma con la poca saggezza ed esperienza che avevo ora, sarei riuscito a onorare adeguatamente la dea? Lo avrei fatto. Era il mio dovere, e l’avrei fatto a tutti i costi, non mi sarei schiodato di lì finché non avessi trovato la preghiera giusta, fossero anche passati giorni, fosse anche crollato il Tempio. Mi prostrai a terra, come aveva ordinato Waray, e cercai di esprimere la mia devozione a parole sussurrate, come tutti gli altri nella stanza.

“Madre mia, imploro la vostra assistenza. Permettetemi di onorarvi con la mia vita. Io voglio diventare un grande Sacerdote, lo confesso; ma non per gloria mia. Voglio solo essere la persona che sa servirvi con più devozione. Vi prego di mostrarmene il modo e di darmene le capacità. Vi chiedo perdono se chiedo troppo, vi giuro che non è per me, io voglio solo mostrare la vostra potenza a tutto il genere umano. Non chiedo altro che di essere un tramite per la vostra potenza –“

Fu una scossa nel terreno che mi bloccò. Era appena sotto dove stavo io. Mi rialzai appena – una risposta? Stavo ricevendo una risposta? – e il terreno, per un breve tratto, seguì i miei movimenti, rimanendo poi sospeso a mezz’aria. Lo guardai esterrefatto.

 Sì, la terra si era proprio sollevata spontaneamente, quando mi ero alzato, mi sollevai ancora un attimo, e la polvere si alzò ancora di un poco, prima di ricadere a uniformarsi con il resto del suolo. Me l’ero solo immaginato? Era reale? L’avevo visto solo io?

 “Notevole” per il contenuto di queste parole, anche il tono annoiato di Waray riuscì a sembrarmi il più entusiasta e trionfale che avessi mai sentito. “Pare che Simay Etahuepai di Dumaya, qui, sia già riuscito a ottenere l’attenzione della Dea. Continua a pregare devotamente, ragazzo, e non insuperbirti”

 Non c’era bisogno che lo dicesse. Ripresi a pregare immediatamente, ringraziando la dea del suo favore e della sua degnazione.

Ora ho una vaga commiserazione sprezzante a ripensare a quei momenti, ma ricordo ancora la felicità che ne provai. Era una conferma: l’accenno di approvazione delle divinità, il segno che, con tutte le mie mancanze e i miei difetti, con tutte le considerazioni offensive che talvolta si affacciavano indesiderate alla mia mente, la Grande Madre mi permetteva ancora di affidarmi a lei.

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

ebbene sì, questo è proprio un aggiornamento. Incredibile, vero?

Chiedo scusa per la lunga attesa, ma gli esami sono stati dei veri killer di tempo per la scrittura e le recensioni. Come risultato, però, ho passato tutti quelli del semestre, il che significa che avrò tutta l’estate libera per scrivere, e gli altri aggiornamenti dovrebbero essere (relativamente) più veloci.

Passando al capitolo, cosa ne pensate di Simay? Le vostre opinioni di lui sono cambiate rispetto a quanto ne avete letto dal punto di vista di Corinna?

Grazie per il tempo dedicato a leggere questo capitolo, ed eventualmente a recensirlo!

  
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