Una fresca brezza proveniente dal
mare stava rinfrescando quello che altrimenti poteva essere tranquillamente il
giorno più caldo di quell’estate del 1995, almeno che gli abitanti della baia
di Hamilton potessero ricordare. La giornata stava volgendo al termine quando
la calura estiva sembrò essere mitigata tutta a un tratto da una rapida
brezza che, nel giro di una mezz’ora, crebbe spingendosi dalla baia fino a spazzare le colline sassose ed i
rilievi circostanti.
In una radura lì vicino Daniel
tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi accarezzare dolcemente da quel
vento che gli toglieva di dosso non solo la calura della giornata
ma anche quella di una bella scarpinata con i suoi amici, Blaise e Rachel, che
si erano addormentati accanto a lui. Daniel sospirò strappando una pagliuzza e
mettendosela tra i denti, mentre si ributtava sul prato a guardare il cielo rosso
della sera che ogni tanto era attraversato da qualche gabbiano particolarmente
intraprendente.
Daniel Nighingale era un ragazzo
alto, di corporatura media, dai capelli ribelli castano scuro e gli occhi
color nocciola, che in quel momento teneva chiusi, assaporando il tepore della
sera. Era felice. Nella semplicità di una giornata passata all’aria aperta con
i suoi migliori amici. Il nuovo anno scolastico era ancora lontano e questo gli
permetteva, come diceva sua madre, di fare lo stambecco sui sentieri più
impervi, fino a sfinirsi di fatica. Ma a Daniel non gli importava, lui era fatto
così e per niente al mondo avrebbe cambiato la sua vita. Da figlio unico i suoi
due amici erano la cosa a cui teneva di più al mondo, dopo sua madre. Amava
Hamilton Bay e la Nuova Zelanda e l’aveva visitata quasi tutti, zaino in spalla,
cappello a tesa larga e pantaloncini sotto al ginocchio.
Girandosi un attimo di lato vide
la mano leggermente paffuta di Rachel cercare nel sonno quella di Blaise;
Daniel sorrise. I suoi amici erano già una coppia anche se nessuno dei due se
ne era ancora accorto. Pur molto diversi di carattere si completavano spesso a
vicenda ed anche nei momenti peggiori erano sempre stati vicini. Daniel provò un
sentimento di invidia: sapeva bene che il carattere era forse il maggiore dei
suoi problemi nel trovarsi una ragazza ma scacciò quei pensieri dalla mente
mentre con gli occhi aperti fissava il volo di un gabbiano sopra di lui. Alle
volte gli sarebbe piaciuto volare lassù con loro con la sua scopa, anche se
sapeva che, se ci avesse anche solo lontanamente provato, sua madre
l’avrebbe fatto dormire fuori all’addiaccio per minimo una settimana.
Dopo qualche minuto la stanchezza
ebbe la meglio e Daniel scivolò lentamente in un sonno dapprima tranquillo ma che
poi lo riportò indietro fino ad un ricordo che aveva cercato di dimenticare.
Il rumore di un tuono lo fece
trasalire, sentì su di sé l’umida pioggia fredda ed il rumore di passi
frettolosi, prima di rendersi conto di essere trasportato di peso da una figura
alta e massiccia, ansimante. Rumore di molti altri passi echeggiavano attorno a
lui. Si trovava in un giardino, tra due filari di siepi sotto un violento
temporale. All’improvviso il rumore di qualcosa di pesante che si sgretolava
alle sue spalle lo fece trasalire ed un lampo di luce verde lo spinse a
guardare in altro dietro di lui. Il terrore lo colpì come cento stilettate al
cuore mentre vedeva, sulla torre est di quella che un tempo aveva chiamato casa,
una figura perdere lentamente l’equilibrio, un braccio proteso leggermente in
avanti con la bacchetta che gli scivolava dalle mani al rallentatore e la schiena
inarcata al contrario proprio quando un'altra figura alta torreggiava sopra di
lui e lo spingeva giù dalla torre.
NOOOOO!!!!!
Un urlo lancinante riportò Daniel
nel mondo dei vivi. Sì alzò di scatto tanto da non vedere Blaise che gli
scuoteva il braccio preoccupato e i due si tirarono un bella zuccata l’uno
contro l’altro.
“Ahia!” gridarono all’unisono
Daniel e Blaise.
“Che cavolo ti prende amico?” gli
chiese il ragazzo alto e magro al suo fianco, massaggiarsi la fronte sotto la
folta chioma di capelli corvini. “Sembravi come in coma. Non riuscivamo quasi a
svegliarti...che ti succede?”
Daniel rimise a fuoco il mondo
rimettendosi a sedere con la schiena diritta, massaggiandosi la fronte con la
mano destra. Ancora aveva la vista annebbiata ed era madido di sudore, un
sudore freddo, inusuale per quella calda sera d’estate.
“Era quel ricordo Blaise, ero in
Inghilterra a casa mia quella maledetta notte, quando...quando...” disse Daniel
recuperando piano piano le vista e sentendosi un tumulto dentro che gli si
estendeva fino alla bocca amara impastata e che gli faceva salire il vomito in
bocca. Erano ormai diversi anni che quell’incubo non lo tormentava più.
“Quel ricordo Daniel?” disse
Rachel preoccupata porgendogli un fazzoletto per asciugarsi ed una bottiglietta
d’acqua.
“Tieni” disse la ragazza
sinceramente preoccupata.
“Erano tre anni che non pensavo
più a quella maledetta notte di quando mio padre è stato ucciso” disse Daniel
asciugandosi la fronte.
Quella sensazione di paura mista
ad orrore che per diversi anni era riuscito a ricacciare indietro sembravano
essere riemerse con forza dall’antro della sua mente, dove era riuscito dopo
molti anni a confinarle; per troppo tempo si era svegliato nel cuore della
notte urlando immaginandosi quel ghigno, il Signore Oscuro che uccideva suo
padre e lo buttava giù dalla torre est, mente suo nonno e sua madre lo
portavano, nell'infuriare della battaglia.
“Non preoccuparti amico” disse Blaise
stringendogli la spalla. “Forza ti accompagniamo a casa stasera e no, non
accetteremo un “no” come risposta” disse vedendo lo sguardo del tipo “non sono
un bambino frignone” dell’amico.
Daniel fece per voltarsi quando
Rachel gli lanciò uno sguardo determinato e capì di essere in trappola. Si
maledisse in quel momento e sì odiò dentro di sé ancora un volta, dopo tanti
anni non sopportava che i suoi amici stessero male per lui, per una cosa
avvenuta molti anni prima, a migliaia di chilometri di distanza. Un
ricordo su cui non era ancora riuscito a metterci una pietra sopra a quanto
pare.
“Perché ancora?!” si chiese Daniel
fra sé alzandosi in piedi e riafferrando con uno scatto iroso lo zaino per
rimetterselo in spalla. Non riusciva a capire ciò che non andava in lui, perché
non riusciva a chiudere i conti col passato. Rachel e Blaise sapevano bene
ormai dopo tanti anni che non era il caso di riaffrontare l’argomento e Daniel
li ringraziò di cuore per il loro silenzio: era stato fortunato a trovare due
amici come loro.
Il profilo delle colline sassose
si fece più dolce mentre il sole scompariva ormai sotto il profilo dell’orizzonte
a pelo dell’acqua in lontananza sul mare quando il sentiero svoltò verso un
cottage isolato sulla collina. Daniel sorrise dentro di sé, rivedendo la sua
casa e scrollandosi di dosso i brutti ricordi di quel pomeriggio.
Arrivati al limitare del giardino
recintato che confinava con un piccolo orto, la passione di sua madre Anne,
Daniel vide gli alberi di pesche maturi ed estraendo la bacchetta fece volare
tre pesche nelle sue mani, dandone una a Blaise ed una a Rachel. I due lo
ringraziarono con lo sguardo e fu quella piccola merenda a togliere il peso di
quanto era successo quel pomeriggio dallo stomaco di Daniel.
“E’ meglio lasciare il passato
dove sta e concentrarsi sul presente” pensò, ricordando quanto gli aveva detto
un volta Nino, uno dei più cari amici di suo padre, quello che più di tutti gli
era stato vicino dopo i tragici eventi di dieci anni prima. Daniel sorrise pensando a cosa avrebbe potuto
dare per avere il suo senso dell’umorismo.
“Ehi amico, domani andiamo a
farci una nuotata al largo della baia, che ne dici?” la voce di Blaise lo
riscosse dai suoi pensieri.
Daniel sorrise annuendo. “Certo,
portiamo anche le tavole? Non si sa mai...”
“Certamente, vediamo di andare un
po’ al largo, fa schifo stare a riva. Non siamo turisti no?” disse Blaise, dandogli il cinque.
“Certo che no, risposero gli
altri due in coro, scoppiando un istante dopo tutti e tre a ridere.
“A domani allora” disse Daniel
salutando i suoi amici “ e ragazzi....grazie”.
“Non dire niente” lo salutò Rachel
con un sorriso. “A domani”.
Daniel vide le sagome dei suoi
amici svoltare sul sentiero per continuare verso la baia, fino a scomparire
alla sua vista, prima di spingere la pesante porta di legno ed entrare in casa.
“Sono tornato, mamma”
Non ricevendo alcuna risposta si
avviò in cucina dove trova sua madre, una donna magra con volto affilato ma gentile
e premuroso, che lo accolse con un sorriso, staccandosi dalla lettera che stava
leggendo, vedendo Daniel che si versava un bicchiere di succo.
“Ne vuoi un po’?” chiese il
ragazzo.
“No, non importa” disse la donna
rimettendosi a leggere la lettera.
Daniel che quasi non l’aveva
notata, vide che la lettera che stava leggendo sua madre era di pergamena
spessa, e portava una filigrana dorata che si avvinghiava ad uno simbolo di una
grande “M” color mogano con una bacchetta in mezzo, sormontata di una corona
con le iniziali....“EIIR”.
Al notare quest’ultimo dettaglio
Daniel quasi si strozzò col succo, mentre una sensazione di paura mista ad una
grande rabbia sembrò avvamparlo come dal nulla.
“Che vogliono quelli del
Ministero da noi?” chiese il ragazzo con un tremito nella voce, pregando Dio
che la risposta non fosse quella che si era immaginato.
La donna staccò gli occhi dalla
lettera, si tolse gli occhiali e con uno sguardo deciso squadrò Daniel. Poi
fece per alzarsi dalla sedia con un sospiro ed in quel momento Daniel sapeva
che i suoi peggiori timori si erano avverati.
“No...no...no...no....NO!” la
rabbia che gli bruciava dentro esplose in tutta la sua forza mentre il
bicchiere si infrangeva sul pavimento di cotto, andando in mille pezzi.
“Non ne hanno il diritto! Rispondigli
di no! Io non ci torno....hai capito, NO!” disse Daniel mentre la sensazione di
vomito gli risaliva in bocca.
“Daniel, lo sai, non è
possibile...” disse la donna cercando di prenderli la mano ma Daniel si
allontanò prontamente con un scatto rabbioso.
“Rendilo possibile, digli di no,
che rinunciamo, che lo diano a qualcun altro quel maledetto posto, glielo
regalo”. Poi un pensiero gli fece raggelare il sangue. “Aspetta ma...è in
anticipo...se la lettera...allora...” farfugliò il ragazzo cercando sul tavolo
la conferma di quello che il suo cervello non riusciva ad immaginare, o meglio
che non voleva.
Fu un istante quando guardando la posta sul
tavolo Daniel vide un'altra busta più piccola, già aperta, sempre con simbolo
della lettera precedente con una striscia nera in tralice, nell’angolo
superiore destro. Quella visione gli diede conferma dei suoi peggiori timori.
“No....” emise con un sospiro
mentre le lacrime gli salivano agli occhi. Poi, prima che sua madre potesse
toccarlo o dire alcunché, Daniel si voltò e corse in camera sua sbattendo la
porta con una forza tale da farla rimbombare in tutta casa.
“No, Dio fa che non sia vero”
disse il ragazzo mentre con le unghie affondava nel cuscino, rigandolo di
lacrime, scosso dai tremiti. Quante volte si era promesso che avrebbe trovato
un modo per evitarlo, e ora, ancora una volta era arrivato troppo tardi. Era
sempre in ritardo.
“Da sempre” disse una vocina
nella sua testa, maledicendolo.
“Nonno...” sussurrò Daniel fra i
singhiozzi abbandonandosi sul letto.
La sua vita sarebbe cambiata, da
quel giorno in poi lo sapeva, ma prima di sprofondare in un sonno agitato il
ragazzo sperò che fosse quello tutto un sogno e sperò che quando si sarebbe
svegliato niente di tutto quello che era successo quel maledetto undici luglio
sarebbe stato vero.
Note dell’autore. In questo primo
capitolo, in termini di modifica al canon, introduco
il ruolo dello Speaker del Wizengamot, una sorta di Presidente del Parlamento e
della Corte, visto che il Wizengamot per i maghi svolge entrambe le funzioni.
Il ruolo è ereditario per i Nightingale fin dalla sua creazione in Inghilterra
dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Segretezza del 1692.