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Autore: IndianaJones25    06/08/2017    4 recensioni
Di ritorno da un’avventura a Ceylon, Indiana Jones può finalmente iniziare un nuovo anno accademico. Ma, proprio quando pensa che per qualche tempo le lezioni universitarie saranno la sua quotidianità, il celebre archeologo riceve un nuovo incarico: quello di ricostruire lo Specchio dei Sogni, l’unico oggetto in grado di condurre al Cuore del Drago, un antico artefatto che non deve cadere nelle mani sbagliate. Così, affiancato dal suo vecchio amico Wu Han e da un’affascinante e misteriosa ragazza, Jones si vedrà costretto a intraprendere un nuovo e rocambolesco viaggio attorno al mondo, in una corsa a ostacoli tra mille difficoltà e nemici senza scrupoli…
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold Oxley, Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3 - MARSHALL COLLEGE

   Bedford, USA

   La luce del mezzogiorno filtrava dai lucernari mentre il professor Jones concludeva la prima lezione dell’anno accademico 1935 - 1936; la campanella squillò e gli studenti cominciarono velocemente a radunare le loro cose prima di lasciare l’aula.
   Ce l’aveva fatta, aveva stabilito un vero e proprio record personale; per la prima volta in circa dieci anni di insegnamento, era finalmente riuscito a presenziare alla prima lezione. Era fiero di se stesso. Non credeva sarebbe mai potuto accadere.
   Indiana Jones aveva fatto rientro negli Stati Uniti cinque giorni addietro, giusto in tempo per consegnare il prezioso manufatto a Brody prima dell’inaugurazione della mostra sulle antiche culture orientali, che sarebbe coincisa con l’inizio delle lezioni.
   «Davvero ben fatto, Indy» gli aveva detto il vecchio amico, ammirando la statuetta.
   Dopodiché, s’era ricordato degli accordi precedentemente presi ed aveva messo mano al libretto degli assegni.
   «Per una volta, ti pago per qualcosa che mi porti, e non per qualcosa che hai perduto» aveva commentato con ironia lo studioso, che ammirava molto il figlio del vecchio compagno di studi Henry Jones e sapeva bene che non era certo colpa sua se, in diverse occasioni, importanti reperti storici gli erano stati soffiati di mano.
   «Per poco non mi fregavano anche questa volta» aveva brontolato a quel punto Jones. «Un dannato crucco era pronto a tutto pur di mettere le mani sopra l’idolo, ma si è pentito amaramente di non essersene rimasto in Germania.»
   «Eventuali morti, ovviamente, non dovranno figurare nel rapporto» lo consigliò Brody. «Il museo non vuole sporcarsi le mani, lo sai bene.»
   «Ovviamente. Ma, Marcus, dovremo tornarci, laggiù! C’è ben altro che un idolo! Un’intera città antica! E con una cultura che… be’, dovresti vederlo tu stesso! C’è da riscriverci la storia di mezzo mondo!»
   «Magari il museo ti finanzierà una spedizione, durante la prossima stagione di scavi. Adesso, però, devi dedicarti ai tuoi studenti ed alle tue studentesse.»
   «Soprattutto alle studentesse» aveva risposto Jones, allontanandosi con in tasca il lauto assegno firmato ed in mano la promessa di rivedere Brody quella stessa sera per una costosissima cena offerta dal curatore del museo.
   Il giorno prima di cominciare le lezioni, invece, aveva avuto la gradita sorpresa d’imbattersi in un altro amico, il professor Harold Oxley, anch’egli eminente archeologo.
   Harold Oxley, detto Ox, era stato compagno di corso di Indiana Jones all’università, del quale era divenuto grande amico, quando insieme seguivano le lezioni del dottor Abner Ravenwood, che col tempo sarebbe divenuto il mentore di entrambi; i due, insieme a René Belloq, formavano un trio inseparabile, seppure fossero caratterialmente molto diversi. Così come Jones e Belloq erano esuberanti, Oxley era timido e riservato, nonché parecchio impacciato, tanto che preferiva di gran lunga trascorrere le proprie giornate chino sui libri piuttosto che all’aria aperta. Proprio per questo, s’era specializzato nello studio delle culture americane precolombiane, per non dover essere costretto a viaggiare troppo lontano da casa in caso dovesse condurre qualche spedizione archeologica. Inglese di nascita, Oxley s’era trasferito con i genitori negli Stati Uniti in giovane età e non li aveva più abbandonati.
   Durante gli anni universitari, si era lasciato affascinare dalle scoperte di Frederick Mitchell-Hedges riguardo i teschi di cristallo sudamericani, ed aveva coinvolto nelle proprie personali ricerche anche i due amici. Al momento in cui, però, era stata presa la decisione di partire per la foresta Amazzonica alla ricerca della mitica città di Akator, che secondo i tre giovani studiosi era legata a doppio filo con la storia dei teschi di cristallo, Oxley si era ritirato, non sentendosi pronto per un’avventura di tale portata. Con la testardaggine tipica della gioventù, invece, Jones e Belloq erano partiti per il Sud America, imbarcandosi in una ricerca che sarebbe costata loro molto più di quanto avrebbero potuto immaginare.
   Durante le ricerche, difatti, Jones aveva contratto il tifo, ed era rimasto in fin di vita; ma, anziché prestargli soccorso, Belloq aveva pensato bene di abbandonarlo, sottraendogli quei pochi reperti in cui si erano imbattuti.
   Indiana Jones, come si può ben intuire, guarì e si salvò, ma da quel momento i suoi rapporti con Belloq si deteriorano fino a sfociare nel puro odio reciproco, tanto più che il primo divenne un professore votato ad allargare le conoscenze del genere umano ed il secondo un mercenario intento solo a perseguire la ricchezza personale, pronto a vendersi al miglior offerente. Oltre a ciò, Jones perse anche qualsiasi interesse nei riguardi dei teschi di cristallo, e ciò raffreddò altresì i suoi rapporti con Oxley, che continuò a considerare come un amico ma vedendolo solo di tanto in tanto, soprattutto dopo che Ox si fu trasferito ad insegnare in un’altra università. Le rare occasioni d’incontro, comunque, erano sempre ben gradite.
   «Henry» lo salutò Oxley, che s’era sempre rifiutato di rivolgerglisi col soprannome di Indiana o con il suo diminutivo, Indy. «È un grande piacere incontrati qui. Pensavo fossi impegnato in qualche campagna di scavi, su in Canada.»
   Contento del fatto che la sua idea di far circolare false informazioni su dove si trovasse per depistare Belloq si fosse rivelata funzionante, Jones strinse calorosamente la mano che l’altro gli porgeva.
   «Mio vecchio Ox!» disse. «Il piacere è mio. No, come puoi vedere ho fatto ritorno, e per una volta in tempo utile per le lezioni. Ma cosa ti riporta qui al Marshall?»
   «Come ben sai, non ho rinunciato ai miei studi su Akator» gli rispose Oxley, «e sono qui per verificare alcune conclusioni a cui sono giunto. Devo consultare alcuni volumi che si trovano solo nella biblioteca di questa facoltà, ed il rettore mi ha concesso di esaminare alcuni dei documenti che conservate in archivio. Si tratta di relazioni autografe di alcuni conquistadores, mi interessano particolarmente quelle relative a Francisco de Orellana.»
   «De Orellana?» ripeté Jones. «Non sapevo che ci fossero relazioni sui suoi viaggi, qui al Marshall College.»
   Detto questo, Indiana Jones aveva osservato con molta tristezza il viso ben rasato dell’amico. Sapeva bene cosa dovesse provare quell’uomo, quale brama lo spingesse nelle proprie ricerche, perché aveva già conosciuto altre persone ossessionate da qualcosa oltre ogni limite.
   Uno di questi era suo padre, Henry Jones, il quale, da circa quarant’anni, stava andando alla ricerca di un manufatto leggendario, il Santo Graal; si poteva dire, anzi, che avesse sprecato l’intera propria esistenza alla ricerca di qualcosa che, ogni volta che sembrava essere vicina, svaniva come il fumo che era in realtà. Quella del vecchio Jones era divenuta una mania, un’ossessione che aveva distrutto ogni legame che un tempo li avesse uniti. Indy, quindi, credeva che anche quella di Oxley fosse ormai una fissazione, una vera e propria paranoia che lo aveva condotto a sprecare tutto il talento di cui era fornito nell’inutile ricerca del niente. Anche Indiana, d’altra parte, aveva un pensiero fisso: da circa due decenni, infatti, inseguiva un oggetto antico, la croce di Coronado, che gli era stata sottratta, come al solito, immediatamente dopo il recupero. Ma, mentre egli aveva stretto in mano la croce e sapeva benissimo della sua esistenza, né Henry Jones né Harold Oxley avevano mai veduto il Santo Graal ed Akator; e, questa era la dura ma pura verità, non li avrebbero veduti mai, poiché semplicemente non esistevano. In realtà, anche Jones aveva ricercato per circa dieci anni qualche cosa di cui non sapeva quasi nulla, ossia il diamante Occhio del Pavone, ma infine, prima di cadere vittima della propria ossessione, aveva saggiamente deciso di lasciare perdere, per dedicarsi ad altro.
   «Henry, che ti prende?» domandò Oxley improvvisamente.
   In quell’istante, Jones si rese conto di stare fissando in silenzio l’amico.
   «Nulla, nulla» brontolò il professore. «Ma dimmi, allora, come procedono le tue ricerche su Akator?»
   «Be’, per il momento non ho fatto grandi progressi rispetto al passato, lo ammetto. Non sono andato molto oltre il punto su cui avevo indirizzato te e… ehm…»
   Oxley, ben conscio del tradimento di Belloq, trovava sempre difficoltoso pronunciarne il nome. Inoltre, si era sempre sentito in colpa, nel credere che i due archeologi fossero partiti per il Sud America a causa sua e che, quindi, la rottura tra i due, e la quasi morte di Indy, fosse da imputarsi solo a lui.
   Ovviamente, Jones era al corrente di questi pensieri, e non li tollerava, ma oramai aveva rinunciato a pregare Oxley di mutarli; per esempio, aveva tentato in ogni modo di lasciargli intendere di come la contrapposizione che separava lui e Belloq fosse legata principalmente al fatto che il francese avesse rubato la tesi di laurea di Jones, una lunga divagazione sulla stratigrafia, attribuendosene il merito. Ovviamente, questo era uno dei fattori che li aveva separati, ma non l’unico; il maggiore, restava senza ombra di dubbio quel viaggio nella foresta Amazzonica.
   Decise, dunque, di sorvolare su quel punto, chiedendo: «E di Abner, hai avuto qualche notizia?»
   Il volto di Oxley, a quelle parole, si oscurò. Come detto, entrambi avevano trovato nello stimato professor Abner Ravenwood un importante mentore; e, entrambi, avevano nutrito una grande predilezione per la sua unica figlia, Marion, la quale aveva dieci anni di meno rispetto a loro. Ma, mentre l’amore di Oxley per Marion era stato quello di un fratello maggiore nei confronti di una sorella, Jones s’era spinto ben oltre, trattandola alla stregua di una delle tante donne che era solito adescare e, poi, abbandonare. La cosa, però, non era rimasta un segreto, come Indiana aveva sperato, ma era giunta sia alle orecchie dell’amico sia a quelle del professore.
   Inizialmente, l’ira di Oxley nei confronti dell’amico era sembrata implacabile; poi, però, aveva considerato che fosse stato sufficientemente punitivo l’allontanamento di Abner da colui che considerava il proprio migliore allievo, ed aveva fatto pace con Jones. Certo, ovviamente, non avrebbe tollerato che un simile affronto si ripetesse, ma il pericolo sembrava essere ormai scongiurato, perché Abner aveva fatto in maniera che Marion ed Indy restassero per sempre lontani. Non si sarebbero più incontrati, né sarebbero sorte nuove e brevi storie d’amore che avrebbero lasciato la ragazza con il cuore infranto.
   «Abner?» chiese con reticenza. «È in Nepal, pare, per le sue ricerche sull’Arca.»
   «Eccone un altro» pensò, allora, Jones. «Ecco un altro uomo che se ne va alla ricerca del fumo da mezzo secolo e più. Sono circondato da maniaci.»
   Jones, naturalmente, si riferiva al fatto che il suo vecchio insegnate fosse da anni sulle tracce della biblica Arca dell’Alleanza; un altro uomo ossessionato da un unico obiettivo, forse irraggiungibile. Era vero, però, che Abner, al contrario di Oxley e di Henry Jones, qualche risultato lo aveva ottenuto, arrivando a compiere studi sulla città perduta di Tanis, che per un certo periodo fu capitale dell’antico Egitto e dove, alcuni credevano, poteva forse essere conservata l’Arca degli Ebrei. Difficilmente, però, anche quegli studi avrebbero condotto a qualche risultato.
   «In Nepal?» ripeté Jones. «Un po’ lontano dall’Egitto.»
   «Ultimamente, neppure io ho più avuto molte sue notizie, lo devo ammettere» rispose Oxley, sottolineando volontariamente il fatto di aver perso i contatti con il professore solo di recente e non, come accaduto a Jones, da almeno dieci anni.
   «In Nepal…» mormorò Jones, perdendosi un’altra volta nei pensieri.
   La verità, infatti, era che non aveva mai scordato Marion. In tutto quel tempo, aveva continuato a pensarla, senza mai provare per alcuna donna ciò che aveva sentito nei suoi confronti. L’idea di averla fatta piangere ed averle spezzato il cuore lo torturava ancora atrocemente. Eppure era successo, e tanto valeva scordarsela. Ma adesso sapeva che si trovava da qualche parte in Nepal; ed il Nepal, dopotutto, non era tanto grande, non sarebbe stato così complesso rintracciarvi la figlia di un archeologo americano.
   «E poi?» si disse. «Cosa farai? Come potrai guardarla negli occhi? E ad Abner non ci pensi? Ha promesso di prenderti a fucilate, se ti fossi rifatto vivo. Ed è tipo da mantenerle, le promesse.»
   Si sforzò di sorridere.
   «Sono certo che, prima o poi, leggeremo una qualche pubblicazione in cui annuncia il ritrovamento dell’Arca» annunciò ad Oxley. «Mentre tu, troverai Akator. E ti posso assicurare che mio padre, invece, scoprirà l’ubicazione del Graal.»
   Pure Oxley fece un sorriso, prima di dire: «Anche tu, amico mio, avrai la tua occasione per farti valere, più di quante non ne abbia già avute fino ad oggi!»

   E così, se n’era andato il primo giorno di lezioni. Il primo giorno di lezioni a cui avesse mai partecipato in tutta la sua carriera di docente, inoltre. Quasi non gli sembrava potesse essere vero.
   Aveva inaugurato la sua carriera di insegnate con un’assenza, se lo ricordava bene, soprattutto perché c’era voluta tutta l’influenza di Marcus Brody e dell’amico Charles  Stanforth, uno degli uomini più importanti dell’ateneo, affinché il rettore, in quell’occasione, non lo licenziasse in tronco. La stessa scena s’era ripetuta, identica, l’anno successivo. Dal terzo anno in avanti, poi, il rettore, pur continuando a minacciare che non avrebbe tollerato altre assenze all’inizio dell’anno, si era rassegnato a quel professore ritardatario, ma solo perché era figlio di un importante storico medievalista, aveva raggiunto brillanti ed indiscutibili risultati in campo archeologico ed i suoi studenti avevano tutti una media molto alta.
   Comunque, quell’anno non avrebbe neppure potuto lamentarsi dei suoi ritardi.
   Jones, dopo l’uscita dell’ultima studentessa, la quale gli aveva rivolto uno splendente sorriso ed uno sguardo ancora più sognante di quello che gli aveva tenuto puntato addosso per l’intera durata della lezione, era rimasto seduto alla cattedra, intento a riordinare le sue carte, che quel pomeriggio gli sarebbero servite per preparare la lezione del giorno seguente; stava proprio scribacchiando alcune note ai margini di un foglio dattiloscritto dalla sua assistente, quando due persone entrarono nell’aula. Credendo che si trattasse di studenti in cerca di un luogo in cui studiare in pace o in anticipo per le altre lezioni della giornata, non vi badò.
   Fu solo quando udì pronunciare il proprio nome che alzò gli occhi.
   «Il dottor Jones, suppongo.»
   A parlare era stato un orientale, probabilmente un cinese considerandone la pronuncia, un uomo alto, con il pizzetto ed i lunghi capelli di un intenso color ebano; indossava quella che, a prima vista, sembrava essere una divisa, seppure Jones non ne avesse mai vedute di simili. Al fianco dell’uomo, era ferma una ragazza, sempre orientale, piccola e magra, sebbene di belle forme, con i capelli raccolti sulla testa ed un paio di occhiali sul naso, che non toglievano nulla alla bellezza dei delicati tratti del viso.
   Portando una mano ai propri occhiali, che indossava sempre quando teneva lezione, Jones studiò i due nuovi venuti, con particolare attenzione per la donna, sul cui corpo fece passare gli occhi almeno quattro volte, prima di rispondere.
   «Sono io, il dottor Jones, esatto. Voi siete forse gli studenti orientali in viaggio di studio negli Stati Uniti per apprendere le tecniche di scavo archeologico occidentali? Dovete rivolgervi in segreteria, allora; se volete parlare con me, il mio giorno di ricevimento è il mercoledì, dopodomani.»
   Senza scomporsi, l’uomo rispose, mentre la ragazza se ne rimaneva muta: «Noi non siamo studenti, dottor Jones. Sono il comandante Kai Ti Chang della Repubblica Cinese, e questa è la mia segretaria, Mei Ying.»
   Jones scrutò per l’ennesima volta la donna, prima di dire: «Uhm… bene. Cosa posso fare per voi?»
   Invece di rispondergli, Kai pose a sua volta un’altra domanda: «Che cosa sa, dottore, di Qin Shi Huang?»
   Di tutte le domande che si sarebbe potuto attendere, quella era l’ultima a cui Indiana Jones avrebbe immaginato di dover rispondere; e, tuttavia, dando, come sempre, prova di una vastissima conoscenza, iniziò immediatamente a snocciolare tutto ciò che gli saltava alla mente nei confronti di Qin Shi Huang. Egli sapeva bene di come, molto spesso, gli archeologi siano dei veri e propri ignoranti, quando si parla di storia; pur essendo essi stessi degli studiosi del passato, si limitano a basarsi sulle prove celate nel terreno, senza interessarsi ai fatti storici riguardanti un dato luogo. Se, al contrario, ci fosse maggiore comunicabilità tra archeologi e storici, le scoperte sul passato sarebbero molto maggiori e di grande profitto. Il più delle volte, tuttavia, gli archeologi pensano agli storici come a dei nonnetti brontoloni che vivono rinchiusi nelle biblioteche, mentre gli storici tendono a considerare gli archeologi come dei semplici spalatori di fango. Lo stesso era accaduto ad Indiana Jones: quando suo padre aveva scoperto il fatto che, lasciata la facoltà di linguistica, il figlio aveva iniziato a dedicarsi all’archeologia, era andato su tutte le furie, ricoprendolo di missive in cui lo invitava a ritornare sui propri passi ed a non sprecare la propria vita in una disciplina che serviva solamente a smuovere sassi. Ovviamente, Jones aveva fatto di testa propria, ma non aveva smesso di interessarsi alla storia: in buona parte, ciò era dovuto al fatto che, sin da piccolo, suo padre lo avesse obbligato ad imparare a memoria nomi di luoghi, date di battaglie, liste di imperatori e di papi, eventi storici e tanti altri, non legati solamente alla storia medievale, di cui Henry Jones era docente, ma all’intera storia universale. Il padre, infatti, sosteneva che, prima di specializzarsi su una data branca della storia, fosse necessario conoscerne, almeno in generale, l’interezza. E, per generale, egli intendeva qualcosa di molto, molto vasto e puntigliosamente approfondito. Basti pensare che, finiti gli studi liceali ed iniziata l’università, grazie al padre Jones sapeva già molte più cose dei suoi stessi insegnanti. Tra quella storia universale, ovviamente, egli ne sapeva parecchio anche dell’uomo cui il comandante Kai aveva accennato.
   «Qin Shi Huang fu il primo imperatore della Cina. Costruì la Grande Muraglia ed instaurò un governo dinastico che durò per secoli» iniziò Jones, alzandosi dalla sedia ed appoggiandosi alla cattedra, con lo sguardo che vagava da un punto all’altro dell’aula deserta, proprio come se stesse tenendo una lezione ai suoi studenti. «Il suo regno durò dal 238 avanti Cristo al…»
   Ma il comandante Kai sollevò una mano, interrompendolo.
   «Queste informazioni si possono trovare nei libri di scuola, dottor Jones. A me interessa la storia della tomba, dell’imperatore. Come certamente saprà, l’imperatore Qin è sepolto sotto un monte nei pressi della città di Xi’an.»
   Mentre l’uomo parlava, Mei Ying si avvicinò all’archeologo, porgendogli un libro; Jones lo prese ed iniziò a sfogliarlo. Era scritto in cinese, lingua che tra l’altro padroneggiava alla perfezione, avendo sempre avuto una grande predisposizione ad apprendere facilmente lingue straniere, tecnica affinata, poi, durante i suoi studi di linguistica, ma, senza bisogno di leggere neppure una parola, comprese, dalle immagini, che trattava della tomba dell’imperatore cinese. Il libro aveva l’aria molto antica e, tra le raffigurazioni disegnate a mano, ne spiccavano alcune di oggetti mai veduti prima, come quelle che raffiguravano un intero esercito di statue in terracotta. Jones era sicuro che non fosse mai stato rinvenuto nulla di simile.
   «Sì» rispose, sforzandosi, senza riuscirci, di celare il proprio scetticismo. «Almeno, è quello che in parecchi danno per certo. Secondo le leggende, la tomba di Qin sarebbe un’immensa città sotterranea piena di ricchezze inimmaginabili, la cui costruzione impegnò migliaia di lavoranti per un gran numero di anni. Dopo il suo completamento, tutti coloro che parteciparono ai lavori furono murati al suo interno o, almeno, questo è quello che dicono le storie. Nessuno conosce la verità, a causa della superstizione cinese.»
   Jones richiuse il libro ed alzò gli occhi verso Kai.
   Quest’ultimo annuì.
   «Sì, il popolo cinese ha sempre ritenuto che lo scavo e la profanazione della tomba siano la stessa cosa. Come conseguenza, nessuno ha mai potuto esplorarla.»
   Il comandante fece una breve pausa, prima di aggiungere, con aria enigmatica: «Fino ad ora.»
   Osservandolo con occhi colmi di dubbio, Jones domandò: «Perché è venuto a raccontarmi queste cose? La storia cinese non è certo la mia specialità.»
   Mentre poneva questo quesito, Indiana Jones, in cuor suo, si chiese quale potesse essere, in fondo, la sua specialità, dato che negli ultimi anni aveva brillantemente condotto scavi e osservazioni praticamente in ogni angolo del globo, spaziando all’interno di ambiti di ricerca che andavano dall’antica Roma alla cultura celtica, dall’antico Egitto alle rovine Maya, dalla Grecia alla Mesopotamia, dalle culture indiane a quelle dei nativi americani, dal Medioevo europeo alla preistoria africana, e tanti altri ancora. Insomma, non c’era campo archeologico di cui non fosse specialista, in verità, ma non gli andava a genio di vantarsene troppo. In più, senza sapere bene che cosa gli avesse fatto scaturire questo sentimento, sentiva che quel comandante Kai non si trovava lì per proporgli uno scavo archeologico classico, con squadre di spalatori, trincee da scavare e piccole cazzuole con cui saggiare le unità stratigrafiche. Più che altro, così di primo acchito, gli ricordava una specie di Marcus Brody orientale, venuto a proporgli il recupero di un oggetto prezioso in particolare. Molto presto, ne avrebbe avuto la conferma.
   E, infatti, Kai rispose: «È la sua reputazione non accademica ad interessarmi, dottor Jones. Mai sentito parlare del Cuore del Drago?»
   L’archeologo alzò le spalle.
   «Solo nelle leggende cinesi» disse. «È un manufatto mitologico, come Excalibur, o il Santo Graal.» Se suo padre lo avesse udito definire “mitologico” il Graal, lo avrebbe certamente punito come faceva quando, da bambino, gli disobbediva. Una sculacciata sarebbe stato il minimo che avrebbe potuto aspettarsi.
   «Ah» sbottò Kai. «Ma, diversamente da quelle sciocche fantasie occidentali, il Cuore del Drago esiste realmente.»
   Lo sguardo del cinese si fece sognante, mentre stringeva il pugno come se già stesse tenendovi saldo l’artefatto di cui stavano parlando: «Una perfetta perla nera, sepolta con l’imperatore, all’interno della sua tomba. Si dice che il Cuore possa controllare la volontà degli uomini.»
   «Senta» lo fermò Jones, adesso senza neppure tentare di dissimulare la propria incredulità. «So bene che entrambi avete viaggiato a lungo, per incontrarmi, ma io sono un archeologo, non un esoterico.»
   Prima che Jones potesse aggiungere altro, Kai aggiunse: «Uh. Allora è una vera fortuna, per me, che io non stia cercando un esoterico, bensì un archeologo. A parte la superstizione popolare, il Cuore è un tesoro inestimabile, per il popolo cinese. Non dovrà mai cadere nelle mani sbagliate. È per questo che la Cina vuole che lei lo trovi.»
   Jones rifletté rapidamente. Un’opportunità del genere, difficilmente gli si sarebbe ripresentata. Avrebbe trascorso il resto della vita a scavare nel terreno alla ricerca di piccolissimi resti del passaggio di antichi uomini, lo sapeva bene; ne era a conoscenza fin dal momento in cui, anni prima, aveva preso la decisione di diventare archeologo. Ma un’occasione così era decisamente ghiotta, non poteva certo lasciarsela sfuggire di mano. Se anche non avesse trovato il Cuore del Drago, della qual cosa era più che certo, avrebbe potuto scavare nella tomba del primo imperatore cinese, un evento per cui fior di studiosi avrebbero venduto l’anima, pur di esserne i protagonisti.
   Abner avrebbe sempre cercato l’Arca dell’Alleanza; suo padre Henry, il Santo Graal; Oxley, avrebbe continuato fino alla morte i propri studi su Akator. Nessuno di loro, però, sarebbe mai andato neppure un po’ vicino a scoprire ciò che stava cercando, perché stavano seguendo ombre e fantasmi. Egli, invece, avrebbe potuto ergersi sull’Olimpo dell’archeologia come primo uomo ad essere penetrato in quella tomba. Gli altri, si tenessero pure dietro alle loro leggende. Indiana Jones, nel futuro, avrebbe continuato a scavare nella terra con la consapevolezza di aver già effettuato, nel corso della propria vita, la scoperta che gli aveva cambiato l’esistenza.
   «E va bene» disse. «Diciamo che sono interessato. Ci vorranno mesi di scavi meticolosi, per trovare l’entrata alla cripta di Qin, e non so nemmeno da dove cominciare.»
   Kai fece un sorrisetto.
   «Al contrario, dottor Jones. Lei ha già iniziato.»
   Il comandante si rivolse alla segretaria, facendole un segno con la testa; la donna, rapidamente, si sbottonò la giacca. Per un folle istante, Jones credette che si sarebbe spogliata, il che non gli sarebbe affatto dispiaciuto. Invece, Mei Ying portò una mano alla tasca interna dell’indumento e ne estrasse un oggetto che Indy riconobbe rapidamente e che sapeva bene che non avrebbe dovuto trovarsi lì: l’idolo della Dea del Fiume, che gli era costata così tanta fatica trovare e condurre con sé da Ceylon.
   «Ehi!» gridò, ma invano, perché la donna s’era già avvicinata alla cattedra e, con un colpo secco, aveva infranto il prezioso idolo. Tra i quattro pezzi in cui si ruppe la statuetta, Jones riconobbe una sfera di metallo dorato, con incastonate, nel centro, delle pietre verdognole.
   Seppure estremamente indignato per l’accaduto, non riuscì a tenere a freno la propria curiosità.
   «E quello che cavolo è?» domandò.
   «È un terzo dello Specchio dei Sogni» rispose Kai, mentre Mei Ying, ignorando totalmente i preziosi frammenti dell’idolo, raccoglieva, quasi con venerazione, la piccola sfera di metallo.
   «Lo Specchio è la chiave per trovare l’entrata della cripta nella tomba» continuò la propria spiegazione il comandante. «Venne smembrato in tre parti immediatamente dopo il momento in cui la tomba fu sigillata. Per secoli, alcuni monaci cinesi se li tramandarono, custodendoli in segreto; ma quando, nel 1211 dell’era dei cristiani, il popolo dei Mongoli dichiarò guerra alla Cina, invadendola successivamente, i monaci decisero di affidare i tre pezzi ad altrettanti uomini di valore, affinché li conducessero con sé per nasconderli in luoghi dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Uno di essi, come lei ben sa, raggiunse Ceylon, e nascose il proprio pezzo all’interno dell’idolo della Dea del Fiume, sicuro che nessuno avrebbe mai osato violare quel simulacro. Il secondo uomo, raggiunse l’Europa, precisamente la città di Praga, nel cui castello fu ammesso dopo essere entrato nelle grazie dell’imperatore Ottone IV. Egli celò il suo pezzo dello Specchio proprio all’interno del castello, proteggendolo con un’ingegnosa serie di trabocchetti che nessuno, ancora oggi, è riuscito a decifrare. L’ultimo monaco condusse il terzo pezzo dello Specchio dei Sogni in una località ancora segreta che, però, siamo molto vicini ad identificare.»
   Per la prima volta da quando aveva posto piede nell’aula, Mei Ying prese la parola.
   «Non si rende conto dell’importanza degli eventi che ha messo in moto, dottor Jones» disse, mentre il volto di Kai si faceva truce. Imperterrita, la segretaria continuò: «Anche mentre parliamo, altri stanno cercando i due pezzi rimanenti. Se trovano lo Specchio, niente impedirà loro di entrare nella cripta, rubare il Cuore del Drago ed utilizzare il suo potere per ridurre il mondo in schiavitù.»
   Prima che potesse aggiungere altro, Kai la interruppe.
   «La prego di perdonarmi, dottor Jones. La mia assistente ha una vivida immaginazione… e una lingua impulsiva» aggiunse, scrutandola quasi con rabbia negli occhi.
   «Mi ricorda il mio ultimo appuntamento» commentò con sarcasmo Jones.
   Ignorando l’infelice battuta, Kai allungò la mano e si fece consegnare da Mei Ying il pezzo dello Specchio.
   «In ogni caso, il governo britannico, dai cui territori l’idolo della Dea del Fiume è stato sottratto senza i necessari permessi, mi ha gentilmente concesso di prendere possesso di questo manufatto per conto della Cina. Vogliamo che lei trovi gli altri due pezzi dello Specchio, entri nella cripta di Qin e recuperi il Cuore del Drago. Diventerà il più famoso archeologo della storia, posso assicurarglielo. Avremo il suo aiuto?»
   Un sorrisetto si allargò sul viso di Jones.
   «Io il primo uomo ad entrare nella tomba dell’imperatore?» chiese. «Quando si parte?»
   «Ne ero sicuro» commentò Kai. «Le ho già prenotato un volo per Praga. Partirà domattina. Parleremo in seguito della sua ricompensa. Arrivederci.»
   Imperturbabile, il comandante cinese si avviò all’uscita dell’aula.
   Mei Ying, invece, prese un incartamento dalla tasca interna della giacca e lo passò a Jones, riprendendosi, a sua volta, l’antico libro che conteneva le informazioni sulla tomba.
   «Questi fascicoli contengono tutto ciò che deve sapere» spiegò.
   Prima di lasciare a sua volta l’aula, aggiunse, con aria enigmatica: «Sia prudente, dottor Jones. Il percorso verso il Cuore del Drago è più pericoloso di quanto lei possa immaginare.»
   «Come sempre, dolcezza» rispose con voce suadente il docente, rimanendo immobile a fissarne la figura che s’allontanava.
   Mei Ying e Kai non avevano ancora svoltato l’angolo del corridoio di fronte all’aula che, tutto sudato e trafelato, arrivò di corsa Marcus Brody. Perso nei propri pensieri, Jones quasi non gli badò.
   Fu solo quando il direttore del museo gli si parò di fronte, gesticolando e borbottando, che gli rivolse l’attenzione.
   «Marcus, che succede?» domandò.
   Quasi senza fiato, Brody esclamò: «Indy! Per l’amor di Dio! Per fortuna ti ho trovato! L’idolo… dal museo… rubato!»
   «Che cosa?» chiese Jones il quale, con la mente ancora impregnata da ciò che gli aveva raccontato il comandante e dagli occhi e dal corpo della ragazza, non gli aveva prestato alcuna attenzione.
   «Stavo facendo il mio solito giro nel museo» spiegò Brody, dopo aver ripreso fiato ed aver riordinato le idee. «E mi sono accorto che la teca dell’idolo della Dea del Fiume era stata forzata! E l’idolo è sparito! Scomparso! Rubato, capisci? Bisogna dare l’allarme, chiamare la polizia, trovarlo!»
   L’archeologo sorrise.
   «Calmati, Marcus, vecchio mio. L’idolo è al sicuro. L’ho recuperato io stesso, è lì sulla cattedra.»
   «Dio ti ringrazio» cominciò a dire Brody, ma Jones aggiunse: «Purtroppo, dovrai portarlo al laboratorio di restauro dell’università.»
   Il curatore guardò con occhi addolorati i frammenti del bellissimo idolo, per il cui recupero aveva investito una somma stratosferica.
   «Ma… ma… ma che è accaduto?» balbettò.
   «Te lo spiegherei volentieri» rispose Indiana Jones, lasciando l’aula, «ma non ho tempo. Devo concentrarmi sulle parole giuste da utilizzare con il rettore per convincerlo a concedermi qualche settimana di ferie a partire da domani.»
   Trovare lo Specchio dei Sogni e la cripta di Qin, molto probabilmente, sarebbe stata una semplice passeggiata, dopo aver comunicato al rettore che avrebbe dovuto abbandonare l’università a partire dal secondo giorno di lezioni.

 
   
 
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