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Autore: audreyny    16/06/2009    10 recensioni
La vita di Oscar e Andrè narrata per bocca dei due protagonisti; una carrellata dall'infanzia alla maturità, tratteggiando quelli che per me sono stati i punti salienti della loro storia individuale e della loro storia d'amore. Perchè Oscar e Andrè sono una persona sola e la loro è un'unica vita, narrata a due voci.
Genere: Romantico, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia deve la sua ispirazione a “L’età più dolce” di Lily1013: se non l’avete ancora letta, vi esorto a farlo quanto prima, perché è splendida

Questa storia deve la sua ispirazione a “L’età più dolce” di Lily1013: se non l’avete ancora letta, vi esorto a farlo quanto prima, perché è splendida. Ho chiesto all’autrice il permesso di svilupparla, perché ho sempre avuto l’impressione che fosse in un certo modo incompleta. Generosamente, ha acconsentito e per questo la ringrazio di cuore. Questo è il risultato di quella ispirazione, mi auguro di essere stata alla sua altezza e di non deludere voi lettrici. Come sempre aspetto con ansia i vostri commenti e ringrazio in anticipo chi vorrà passare di qua a leggere e troverà il tempo per recensire.

Un abbraccio a tutte

Audreyny

 

 

Ho quattordici anni e sono capitano della guardia reale.

 

Ho accettato quell’incarico per cui mio padre ha messo a repentaglio il suo buon nome, il suo onore e la sua carriera. Non l’ho fatto di certo per lui, che aveva minacciato di uccidermi con le sue mani, se non avessi obbedito all’ordine di Sua Maestà il Re, ed ho imparato fin da bambina a prendere molto sul serio a fedeltà della mia famiglia alla corona dei Capeto.

Non l’ho fatto nemmeno per il re, che per non so quale miracolo dopo l’affronto che gli ho fatto con il duello di Girodelle, ha risparmiato la mia vita; né tantomeno perché smani per mettermi al servizio di una donna, una principessa austriaca che mi dicono essere bella come un dipinto e che, sono certa, sarà capricciosa e volubile come una ragazzina irresponsabile.

Non l’ho fatto per nessuno, se non per me stessa. Questa è la mia vita, questa è la mia scelta. Sono una donna, è vero, ma questo è ciò che mi hanno insegnato a fare, fin da bambina; questo è quello che so fare. E sono brava, sono dannatamente brava. Credo che sia davvero uno scherzo crudele del destino beffardo che io non sia nata maschio.

Solo per me dunque. Ma forse, non solo.

Non dimenticherò mai gli sguardi attoniti che hanno accompagnato la mia discesa dalle scale quando per la prima volta ho indossato la bianca uniforme delle guardie reali. Mio padre era fuori di sé dalla gioia; credeva che non avrebbe vissuto abbastanza per vedere questo momento. Onore e gloria per il suo figlio maschio diletto, orgoglio e vanto dei Jarjayes!

Nanny era sull’orlo delle lacrime, poveretta. Credo che lei abbia sperato fino all’ultimo, in fondo al suo cuore. Non ha mai smesso di chiamarmi “Madamigella” contravvenendo agli espliciti ordini di mio padre, né di confezionarmi sontuosi abiti femminili, che giacciono affastellati in qualche angolo remoto del palazzo. Spero che trovino qualche anima più aggraziata di me per portarli, prima o poi, che li riscatti dal destino di polvere e di tarme cui per il momento sembrano avviati.

Ma non si può essere diversi da se stessi, nemmeno per amore di chi ci è più caro. Io non potrò mai indossare quelle gonne e quei merletti, truccarmi il viso per andare a corte e trascorrere le mie giornate in conversazioni leziose e nell’ozio più totale. Preferirei morire piuttosto.

Ed infine, lo sguardo di Andrè. Quello davvero non sono riuscita a decifrarlo; mi sembrava ferito oltre ogni possibile sopportazione, e dolorosamente stupefatto. Rassegnato e incredulo, ammirato e deluso. Quello sguardo mi ha perforato l’animo, si è scavato un posto nel mio cuore e si è piazzato lì. Brucia come la carne viva dopo una ferita.

Non più di qualche giorno fa ci siamo battuti come due ragazzini di strada lungo il fiume. Ce le siamo suonate proprio di santa ragione. È la prima volta che Andrè mi tiene testa coi pugni in modo così agguerrito e meno male che siamo crollati al suolo tutti e due perché non so se ce l’avrei fatta a resistere a lungo.

Dopo la lotta, ansanti, sporchi, laceri, esausti, sdraiati su quella riva fino a pochi attimi prima teatro del nostro scontro, Andrè mi ha preso la mano e me l’ha stretta. Che strana sensazione, la sua pelle a contatto con la mia. Mi sentivo bruciare. Me l’ha stretta forte, come se avesse paura che lasciandomi andare, tutta la nostra vita così come noi la conosciamo sarebbe potuta scomparire e non tornare mai più.

C’era tutto il mondo in quella stretta, il mio mondo, che è anche il suo.

È stata quella stretta che mi ha fatto capire che cosa avrei dovuto e voluto fare della mia vita.

Povero Andrè. Mio padre gli aveva ordinato di convincermi ad accettare la divisa, ma lui è troppo buono, troppo puro e troppo fedele per cercare di convincermi a fare qualcosa di alieno dalla mia volontà. Avrebbe affrontato le ire del Generale piuttosto che mettersi contro di me.

Lui non sa, non ha capito il perché della mia scelta. Sono dovuta correre via, sopraffatta dalle emozioni che la sua mano calda nella mia mi ha saputo regalare. E lui ha gridato il mio nome, da lontano, una eco persa nel vento. Ho sentito la sua determinazione in quel grido, ma anche la sua disperazione.

“Non è troppo tardi. Fermati e diventa una donna, Oscar!”

Oh, sì che è tardi, Andrè. Ormai è tardi perché io possa riportare indietro le lancette dell’orologio a quel momento scellerato in cui sono nata, sbagliata fin dall’inizio. Sbagliata per la mia stessa natura.

Non posso diventare ciò che non sono. Ma non capisci perché lo faccio, Andrè? Che cosa credi che succederebbe se io rifiutassi di vestire questa uniforme che mio padre mi ha cucito addosso il giorno stesso in cui sono venuta al mondo, in quella sciagurata notte di Natale di quattordici anni fa?

Se anche il fiero ed altero Generale de Jarjayes non mi uccidesse personalmente, cosa della quale francamente dubito, mi costringerebbe a entrare in convento, oppure, peggio ancora, a sposare qualche nobile debosciato della sua età, con il quale dovrei unirmi per generare un erede maschio forte e sano e perpetrare così la tradizione nobiliare del nostro regime feudale. Sono nauseata alla sola idea di dovermi piegare alla volontà di un uomo che avrebbe su di me potere di vita e di morte, che potrebbe controllare i miei gesti, i miei respiri, i miei passi.

Ma soprattutto sono paralizzata alla sola idea di perdere te, Andrè, l’unico, il solo amico che abbia mai avuto, la sola persona capace di guardarmi dentro e di leggere i segreti più nascosti.

Tu mi guardi nell’anima, amico mio, tu conosci il mio cuore. Perciò mi stupisce tanto che tu non abbia capito il perché della mia scelta.

Il tuo sguardo alla base di quella scala è stato una pugnalata per me.

Non capisci, è questo il solo modo per conservare la mia libertà.

È questo il solo modo che ho per conservarmi padrona della mia vita e fautrice del mio destino.

È il prezzo che una donna deve pagare per rimanere donna e non diventare oggetto nelle mani di suo marito.

È il prezzo che devo pagare per rimanere accanto a te, Andrè.

Perché solo se io divento un uomo, tu che uomo lo sei per nascita, potrai continuare a camminare al mio fianco.

Ed è solo questo che io desidero, più di qualsiasi altra cosa ed è questo che mi ha reso forte e determinata nella mia decisione. Solo questo.

Solo che tu possa continuare a camminare accanto a me, per sempre.

 

   
 
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