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Autore: usotsuki_pierrot    28/08/2017    1 recensioni
Ecco la storia, raccontata in breve, del mio oc di BNHA, Kimura Nanako!
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«Takuya, aspettami!!».
«Non è colpa mia se sei lenta come una lumaca, Nanako!».
Ero sempre stata invidiosa di tutto ciò che riguardava mio fratello, Kimura Takuya. O di ciò che rimaneva, di lui. Nonostante non avessimo davvero legami di sangue, essendo lui stato adottato prima che nascessi, ci assomigliavamo quel tanto che ci permetteva di vivere il nostro rapporto fraterno senza che qualche estraneo si accorgesse di questo non così piccolo dettaglio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PREMESSA
Finalmente sono tornata con il capitolo due!! Dunque, in questa parte mi sono concentrata sull'ingresso di Nanako alla UA! Quindi l'entrata nella scuola, i rapporti che si instaurano nella classe, l'impressione che gli altri hanno di lei quando la vedono... Insomma, tante, troppe cose :'' Sono consapevole che possa risultare un po' lungo, ma... non volevo dividere anche questo in due parti, e ormai mi ero decisa a strutturare la fic in tre capitoli. Spero vivamente di aver fatto la scelta giusta.
Qui facciamo anche la conoscenza di un nuovo OC, che però non spoilero e preferisco incontriate da soli! Per il resto... nulla, mi metto subito a lavorare sull'ultima parte, che sarà parecchio difficile, già lo so--
Come ultima cosa, vi invito a fare un salto alla mia pagina fb, Usotsuki_Pierrot! Vi lascio il link: usotsuki_pierrot.
Alla prossima! :3



La UA si stagliava in tutta la sua maestosità davanti ai miei occhi. Decine di ragazzi e ragazze camminavano a passo deciso verso l'entrata dell'istituto, sotto ad una cascata di petali rosa; i ciliegi erano infatti ormai in fiore, e donavano a quel primo giorno di scuola un'atmosfera tranquilla, pacata, quasi magica. Non osavo guardarmi intorno. Preferivo tenere la testa bassa e studiare senza fretta la strada, pur di non dover sopportare gli sguardi indagatori degli altri ragazzi. Era già passato qualche mese da quando in TV era comparsa la notizia di una rapina effettuata in un locale poco fuori città, a cui era seguito l'omicidio del proprietario. Il criminale era stato da subito identificato grazie alle telecamere, e il fatto che avesse svolto il tutto senza nessuna protezione o maschera o travestimento aveva reso il lavoro della polizia molto più facile: il colpevole era Takuya. Era entrato poco prima che il locale chiudesse, si era avvicinato al bancone, e tutto ciò che fu possibile vedere dalle telecamere furono il corpo dell'uomo che si accasciava al suolo, e Takuya che riportava la mano in tasca, poco prima che si voltasse per fissare senza alcuna esitazione gli occhi blu al dispositivo che aveva ripreso il misfatto.
Non riuscii a finire il mio pranzo quel giorno, così come mio padre e mia madre. Non fummo in grado di proferire parola, e per diversi giorni rimasi rintanata nella mia stanza. Per quanto provassi a pensarci e a riflettere sull'accaduto non capivo cosa potesse essergli successo. Takuya era davvero diventato un criminale? Lui, che desiderava tanto divenire un eroe per proteggere gli altri, per proteggere me?
Purtroppo i miei tentativi di convincermi che avevo solo preso un abbaglio fallirono miseramente nel momento in cui in TV apparirono nuovi servizi che testimoniavano i crimini perpetuati da chi consideravo mio fratello. La polizia aveva più volte tentato di fermarlo, di catturarlo, ma ogni volta era riuscito a fuggire in modi che non erano stati documentati. Persino alcuni degli eroi che erano riusciti ad intervenire avevano dichiarato che riuscire a prenderlo si sarebbe rivelata un'impresa.
Sospirai. Chiusi gli occhi, come facevo sempre quando mi agitavo per qualcosa, special modo per Takuya. Sollevai le palpebre alzando la testa e posai lo sguardo sulla famosa scuola per eroi che avrei frequentato e in cui aveva studiato anche lui, per un paio d'anni.
"Forza, Nanako... Ce la puoi fare", mi dissi mentre percorrevo il tragitto che mi avrebbe condotta all'interno. Quello sarebbe stato il luogo perfetto per allenarmi, sviluppare le mie capacità, migliorare il mio quirk, e chissà quante altre cose a cui aspiravo da tempo. Avrei salvato Takuya. Lo avrei riportato a casa.
Mi ero ripromessa che non avrei tenuto la testa bassa una volta entrata in classe, ma appena vi misi piede e incrociai lo sguardo di un paio di studenti non riuscii a mantenerla. Un individuo occhialuto continuava a fissarmi senza sosta, tanto che mi sembrò quasi di averlo a un centimetro di distanza. Mi sedetti al primo banco libero che trovai; era nelle ultime file, fortunatamente. Ma non potei non notare un ragazzo dai corti capelli verde acqua tendente al celeste e dalle strane orecchie che ricordavano le pinne di un pesce. Pensai che la sua unicità doveva essere in qualche modo collegata al mare o all'acqua in generale. Resistetti a stento all'impulso di toccargli la guancia per constatare se fosse coperta di squame, cercando di convincermi che dopotutto non avrei voluto fare brutte figure il primo giorno di scuola.
Posai a terra la cartella, accanto ad una delle gambe del banco. Dopodiché alzai di poco lo sguardo per analizzare la classe. Non feci in tempo a guardarmi un po' intorno, che incrociai subito lo sguardo con un ragazzo già seduto. Aveva i capelli metà di colore bianco e metà di colore rosso, e non appena lo osservai con più attenzione notai una grande macchia scura intorno all'occhio sinistro che inizialmente mi era sfuggita, ma dopo qualche istante mi parve addirittura troppo visibile.
Non appena distolsi l'attenzione dalla ferita evidente, mi resi conto che mi fissava da quando i nostri sguardi si erano incrociati. Abbassai velocemente gli occhi, per ridurre al minimo il contatto visivo. Sentivo di essere al centro dell'attenzione di molti, in quel momento; il che non mi aiutò per nulla a smorzare la tensione. Potevo sentire la mia temperatura corporea salire lenta ma graduale. Scossi lievemente la testa per riprendere quel minimo di tranquillità e autocontrollo che mi erano rimasti. C'era qualcosa, nello stare in mezzo alla gente, che mi preoccupava sin da quando avevamo ricevuto notizie dei misfatti di Takuya alla televisione. Non eravamo certo gemelli, perciò il mio aspetto non era immediatamente collegabile al suo, ma le interviste fatte alla mia famiglia e gli pseudo interrogatori ai miei genitori (più per capire che tipo fosse Takuya che altro) comparsi ai telegiornali non avevano fatto che aumentare la popolarità del caso e il nostro coinvolgimento.
Ero così focalizzata sul fissare il più possibile il banco che non mi accorsi dello sguardo del ragazzo dalle orecchie a pinna seduto di fronte che si era posato inesorabilmente su di me, da dietro la sua spalla.
«Ehi, tu!!». Sentii una voce risuonare dall'altra parte della classe. Inizialmente non vi avevo prestato troppa attenzione, credevo non fosse possibile che fosse diretta proprio a me. Fu solo quando lo strano tizio con gli occhiali (che aveva iniziato a fissarmi quando ero entrata in classe) si ritrovò a pochi millimetri da me, ripetendo la frase appena pronunciata, che alzai la testa posando gli occhi chiari sui suoi.
«Come..?».
«Dico proprio a te, cosa fai qui?!».
Non capii cosa volesse dire. Pensai che avessi sbagliato classe, ma ero quasi certa di essere nel posto giusto. Mi fermai ad osservarlo attentamente, per cercare di ricordarmi se lo avessi visto da qualche altra parte prima di allora e si fosse avvicinato in modo minaccioso per quel motivo; ma più tentavo di scavare nella memoria, più il suo volto mi suonava nuovo, mai visto.
«Beh, ecco...».
«Cosa fa la sorella di un criminale qui alla UA?!». Il suo tono si era fatto incredibilmente alto e aveva raggiunto ogni angolo della stanza, in cui era calato un improvviso e assordante silenzio.
In quel preciso istante potei osservare il viso e l'espressione (curiosa per qualcuno, confusa o spaventata per altri) di ogni studente; tutti si erano girati a guardarci. O meglio, a guardare me.
«Ohi, fermo!». Riconobbi all'istante quella voce.
«Denki!!». Il biondo si avvicinò e mi sorrise, posando poi una mano sulla spalla del ragazzo misterioso.
«Cos'hai da scaldarti tanto, eh?», chiese. «Sei Iida, sbaglio?».
«Mi chiamo Iida Tenya», fece lui, raddrizzando la schiena come se fosse stato interpellato da un suo superiore. «Trovo inaccettabile che una ragazza come lei sia-».
«"Come lei" in che senso?». Il tono di Denki era calmo, quasi divertito dalla situazione.
«Non sai chi è?».
«Certo che lo so, è Nanako!».
«È la sorella di Kimura Takuya, il criminale!! Non hai sentito di lui al telegiornale?!».
«E questo cos'ha a che fare con lei?».
«Cosa ha a che fare? È sua sorella, è un pericolo!!».
Il biondo per poco non scoppiò a ridere.
«Nanako? Un pericolo? Non farmi ri-».
«Denki, lascia perdere», dissi. Decisi che era meglio interrompere la conversazione in quel preciso istante. Dopotutto, Iida aveva ragione: ero pur sempre la sorella di Takuya e avrei potuto davvero essere pericolosa quanto lui.
«Che succede qui..?».
«Oh, nee-chan, senti qua!».
«Denki, non...».
«Questo qui pensa che Nanako sia... pff... crede che Nanako sia pericolosa!». L'elettrico scoppiò in una fragorosa risata, sotto lo sguardo confuso dei presenti. Lizzy mi rivolse un'occhiata altrettanto stupita, che non ebbe bisogno di essere accompagnata da parole. Risposi con un piccolo sorriso che risultò ben meno sincero di quanto avessi voluto far credere.
«Ciao, Liz...».
Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui l'unico rumore presente fu quello della risata incessante di Denki.
«A-Ad ogni modo!!», riprese Iida, con un tono leggermente più... esplosivo, e incerto. «Non è un discorso da fare qui, e ora! Vi saluto!».
Detto questo, si voltò rapidamente e tornò da dove era venuto. Mi era parso di scorgere una punta di rossore sulle sue guance. Bastarono pochi secondi di attesa e confusione generale affinché un altro ragazzo, più basso, dai capelli verdi, la pettinatura disordinata e qualche lentiggine sul viso facesse la sua apparizione accanto al banco.
«S-Scusate davvero..!», esordì, con un grande inchino e gli occhi serrati. Mi fece immediatamente tornare il sorriso.
«Non... Non devi scusarti, davvero», dissi. «E non è nemmeno necessario che tu ti inchini in questo modo!». Non riuscii a trattenere una lieve risata, quasi per liberarmi da tutta la tensione di quegli ultimi minuti.
Lui si rialzò, visibilmente agitato, un'espressione imbarazzata regnava sul suo viso e le pupille si muovevano da tutte le parti, evitando di incrociare lo sguardo di chiunque fosse di fronte a lui.
«I-Il mio nome è Midoriya Izuku... Mi dispiace per il comportamento di Iida-kun, io non...».
«Non è colpa tua, e nemmeno sua», dissi mantenendo un tono quanto più possibile rassicurante.
Il verdino sembrò calmarsi quel poco che gli permise di emettere un leggero sospiro. Sollevò le palpebre, voltandosi lievemente ad osservare un punto alle sue spalle.
«Iida-kun si era allontanato così velocemente che io e Uraraka-san ci siamo spaventati...».
Poco più lontano, accanto al banco in cui il blu era appena tornato a sedersi, una ragazza dai corti capelli castani e l'espressione preoccupata ci guardava. Non appena Midoriya incrociò il suo sguardo, le fece un piccolo cenno con la testa; lei sospirò a sua volta, dopodiché mi rivolse un lieve sorriso e un saluto con la mano, che ricambiai.
«Sembra allora che sia tutto a posto!», esclamò felice Denki, portandosi le mani ai fianchi con aria vittoriosa. «Andiamo, nee-chan!», disse poi indirizzandosi a Lizzy.
Quest'ultima annuì. «Nanako-chan, tu stai bene..?».
Dopo un mio cenno affermativo del capo (a cui lei rispose con un'espressione non molto convinta), ci salutammo sbrigativamente, e tutti tornarono ai propri posti. Ma non riuscivo a non sentirmi fin troppo osservata.
Scostai lo sguardo per incrociare - inaspettatamente - quello del ragazzo dalla ferita sul viso, che aveva ripreso ad osservarmi non appena la piccola folla attorno a me si era dileguata. Pensai che sarebbe rimasto a fissarmi per minuti interi senza proferire parola, facendomi sentire ancora più a disagio; al contrario, fu proprio lui a parlare.
«Va tutto bene?», chiese, pacato.
Annuii, accennando un sorriso forzato.
«Non sembra».
«È tutto a posto, davvero!». Cercai di rimanere il più calma possibile. Dovevo assolutamente cambiare argomento. «In ogni caso, il mio nome è-».
«Kimura Nanako».
«E-Esatto...», balbettai. Mi sentivo stupida. Era ovvio che sapesse chi fossi, non ero certo una sconosciuta in quella scuola, purtroppo.
«Todoroki Shouto». Pensai mi avesse letto nel pensiero. «Piacere».
Rimasi qualche istante in silenzio, senza sapere cosa dire. Era stato il primo a presentarsi in un modo... quasi normale.
«Piacere mio...», risposi, mentre un lieve sorriso involontario compariva già sul mio viso e gli occhi tornavano a posarsi sulla liscia superficie del banco chiaro.

«Ohi, Kaminari!».
«Eh? Dici a me?».
«Certo che dico a te!».
«Come ti chiamavi, tu..?».
«Kirishima! Kirishima Eijirou!!».
«Ooooh, è vero! Dimmi tutto».
«Davvero tu conosci la sorella di quel Takuya?».
«Nanako? Siamo amici d'infanzia, altroché se la conosco! Ma ehi, non farti strane idee anche tu sul tuo conto, non è assolutamente come potrebbe sembrar-».
«Ti andrebbe di, ecco... presentarmela, un giorno di questi? Senza fretta, eh!».
«Oh... Non... Non me l'aspettavo».
«Beh?? Che ne dici?».
«Dico che prima agiamo meglio è!!».

I giorni successivi ebbi modo di scoprire di più su quelli che erano diventati miei compagni di classe. Imparai pian piano i loro nomi, le loro unicità, parti disparate del loro carattere, e compresi una verità che mi avrebbe accompagnata assecondando i miei pensieri durante la prima settimana scolastica.
Indipendentemente dal tempo, che scorreva inesorabile scandendo le nostre attività da studenti della UA, e dalla mia forza di volontà, la mia reputazione da "sorella di un ricercato" non sarebbe cambiata facilmente. Anzi, probabilmente non sarebbe mutata affatto. Fatta eccezione per Denki, Lizzy e alcuni ragazzi che avevo invece conosciuto da poco (ad esempio Midoriya, Uraraka e Todoroki), sentivo di non potermi ancora avvicinare né tanto meno fidarmi di nessuno. Iida manteneva sempre un atteggiamento di supponenza e uno sguardo da "non dovresti stare qui", che avrei potuto percepire a chilometri di distanza.
C'era chi, più coraggiosamente, mi lanciava rapide occhiate curiose o intimorite, come se avessi ucciso un innocente. L'atmosfera generale che respiravo, tuttavia, era quella che avrebbe potuto percepire un estraneo, o l'intrufolato ad una festa alla quale non era stato invitato.

"Che ci faccio qui..?" mi chiesi un giorno, attraversando a passo lento e incerto il corridoio che mi avrebbe condotta alla classe che non sentivo ancora per nulla mia. Tenevo la testa bassa, gli occhi ghiaccio fissi ad osservare il pavimento lucidissimo, il mondo intorno a me divenuto improvvisamente ovattato e lontano.
"Dovrei andarmene...", mi ripetevo. "Non posso rimanere in questa scuola".
Improvvisamente sentii un rumore sordo, un tonfo, come di plastica che cade a terra. Mi risvegliai dal vortice di pensieri e immagini che regnava nella mia mente, per voltarmi e indirizzare lo sguardo sulla bottiglietta d'acqua che mi era evidentemente caduta dalla cartella. Sospirai; feci un passo in avanti e allungai il braccio destro per afferrarla.
«Immagino che questa sia tua». Una figura comparve quasi magicamente davanti a me, senza che me ne accorgessi. Quelle parole (e il fatto che proprio il ragazzo si stesse abbassando a recuperare la bevanda finita sul pavimento), mi costrinsero a bloccarmi sul posto e ad alzare lievemente lo sguardo, quantomeno per capire chi fosse. Non avevo ancora sentito quella voce; o meglio, mi sembrava di averla udita da qualche parte, ma non sapevo a chi appartenesse.
«Ecco qui».
Riconobbi i capelli del colore del mare in una giornata di sole, gli occhi dorati e le orecchie a pinna. Rimasi qualche istante ad osservare queste ultime, affascinata da quanto fossero simili a quelle di un pesce. Notai solo dopo una ventina di secondi che il ragazzo mi stava fissando con un'espressione confusa e in piccola parte infastidita.
«S-Scusa», biascicai, riprendendomi la bottiglietta d'acqua e distogliendo immediatamente lo sguardo. «Grazie... per averla raccolta».
«Non mi ringraziare, Nanako». Il blu accennò un lievissimo sorriso, portandosi le mani nelle tasche della divisa, una volta liberate dall'impiccio dell'oggetto gelido.
«Tu sei... Mizu-kun, dico bene?». Mizu Satoru, era quello il nome che ricordavo.
«Esatto», rispose. Sorrisi di rimando.
«Eri sovrappensiero, o sbaglio?», chiese poi, rivolgendomi una rapida occhiata indagatoria e iniziando a camminare verso la classe. Mossi alcuni passi tuttavia si fermò voltandosi nuovamente; distolse lo sguardo per non incrociare il mio, e mi sembrò di intravedere un lieve broncio sul suo viso. «Cosa fai, non vieni?».
Ero talmente stranita dalla conversazione così inusuale per me in quell'istituto che feci quasi fatica a riprendere a camminare.
Annuii, con le labbra curvate allegramente all'insù, per la prima volta alla UA.
Sentivo che Satoru sarebbe diventato una figura importante per me, a scuola.


«Cosa stavo dicendo??».
«... Nanako, ma sei sempre così distratta?».
«Mizu-kuuuun, non sono "distratta"! Sono solo-».
«Distratta».
«- diversamente attenta!».
Ci fu un attimo di silenzio. Satoru mi scoccò un'occhiata perplessa, e quanto mai irritata.
«Diversamente attenta». Ripeté, in tono piatto.
«Proprio così, mhmh!», annuii convinta, per accompagnare quell'affermazione a cui seguì un profondo e rassegnato sospiro del ragazzo acquatico. Sorrisi, divertita; adoravo stuzzicarlo in quel modo.
Erano passati solo un paio di giorni dal nostro primo incontro per i corridoi, ma sentivo già un legame particolare formarsi tra me e Satoru. Tanto che mi erano bastate poche ore per convincerlo (impresa non da poco, scorbutico e brontolone qual era), a raccontarmi tutto sul suo quirk, collegato, come avevo previsto - e com'era facilmente intuibile -, all'acqua.
Mi aveva spiegato come fosse in grado di manipolare e controllare quell'elemento, quasi come se fosse parte di lui, di come furono felici i suoi genitori nel momento in cui lo scoprirono; fu quasi spassoso osservare la sua espressione insolitamente contenta e affascinata mentre si perdeva nei meandri dei suoi stessi discorsi, e non potei trattenere una lieve risata ogniqualvolta si imbarazzava da morire per essere andato troppo oltre o per essersi lasciato scappare dei sorrisi sinceri.
«Terra chiama Nanako. Lo trovi divertente?», mi chiese, notando il sorriso a trentadue denti che era comparso sul mio volto. Mi ero persa nei miei pensieri, di nuovo.
«Come?», domandai, incerta su cosa dire.
In tutta risposta lui tirò l'ennesimo sospiro, seduto com'era al suo banco di fronte al mio con la schiena voltata per poter parlarmi faccia a faccia.
«Hai ragione, non sei distratta. Sei proprio un caso senza speranza».
Sfoggiai un broncio che tuttavia di arrabbiato o offeso aveva ben poco.
«Miku-kun, lo sai che sei proprio-».
«Come fai a parlarci così tranquillamente?!».
Fui costretta ad concludere la frase a metà, interrotta dalle parole quasi urlate e cariche di sgomento - e... paura - di uno degli studenti. Mi chiesi come aveva fatto ad avvicinarsi senza che lo notassimo, ma non appena mi voltai mi fu chiaro il motivo: si trattava di Mineta, uno dei quindicenni più bassi che avessi visto nella mia vita. Superava di pochissimo il metro d'altezza, e aveva un aspetto a dir poco buffo, con una miriade di sfere viola in cima alla testa che costituivano i suoi... capelli? Non avevo scoperto molto su di lui, a dire la verità.
«Che vuoi dire, scusa?», chiese Satoru, lanciandogli uno sguardo innervosito. Sapeva bene anche lui a cosa il ragazzo stesse alludendo.
«Ci hai fatto amicizia come niente fosse!! Cosa sei, un mostro?!».
«Ehi, tu!», esclamai, non riuscendo a trattenermi. «Non osare parlargli così!».
A quel punto il nanetto sbiancò, iniziando a guardarsi intorno spaventato alla ricerca di un posto in cui nascondersi, probabilmente.
«Non, non, non parlare TU così a me, futura criminale!!».
Strinsi i pugni; la mia espressione - ne ero certa - tradiva la rabbia nascosta che quella frase ripetuta centinaia di volte cominciava a far nascere dentro di me.
«Ohi!!».
Alzai lo sguardo. Una voce decisamente maschile si era levata sopra quella di Mineta, con un tono così forte che parve una vera e propria esplosione. Un ragazzo dai capelli biondo chiaro - i cui ciuffi partivano a punta dalla testa - e lo sguardo truce si avvicinò a passi decisi e prepotenti, fermandosi dietro al viola, che venne oscurato dalla sua ombra minacciosa a dir poco.
Bakugou Katsuki. Uno degli studenti più difficili da gestire della 1-A. L'unico che mi avesse genuinamente intimorita; e averlo faccia a faccia, o meglio, a pochissimi passi, dietro al nanetto alto un metro, faceva una certa impressione.
«Tu», prese a parlare, con lo stesso tono basso e colmo di rabbia di poco prima. «Di che stai parlando?!».
Mineta si irrigidì, trasformandosi in un istante in quella che sembrò a tutti gli effetti una statua di ghiaccio. Si voltò quel tanto che gli bastava per poter guardare negli occhi il più alto, visibilmente tremante.
«B-Bakugou..!!».
«Tsk!». Il biondo lo fissò, gli occhi rossi puntati su quelli del ragazzo. Arricciò il naso, sfoderando un ghigno irritato; attese qualche istante, prima di sbottare del tutto.
«Hai davvero paura di quella?!». Si voltò verso il resto della classe, per fissare lo sguardo su quello dei compagni, alcuni dei quali già stavano osservando la scena.
«E VOI vorreste diventare eroi?! VOI che avete paura di quella, vorreste sconfiggere dei Villain? Cosa ci fate in questa scuola, razza di codardi?!». L'urlo gelò l'intera stanza. L'aria divenne quasi fredda, dal silenzio che seguì quell'esplosione di rabbia. Mi fermai ad osservare con attenzione le espressioni - alcune spaventate, altre improvvisamente imbarazzate -; nessuno aveva osato rivolgermi lo sguardo, ma quella volta sapevo che il motivo era un altro. Avevano realizzato quanto le parole di Bakugou fossero fondate.
Sollevai gli occhi chiari per incontrare la figura di quest'ultimo, che, immobile, mi dava le spalle. Sentii una strana sensazione crescere dentro di me; che fosse coraggio?
Lanciai una rapida occhiata a Satoru, che ricambiò subito e mi indirizzò un lieve cenno affermativo del capo.
Mi alzai dal banco, abbassando di poco le palpebre, e mi diressi a passi lenti verso la cattedra, senza curarmi minimamente del fatto che avrei attirato l'attenzione ancor prima di iniziare a parlare.
Mi voltai ad osservare la porta d'ingresso della classe, dove il prof Aizawa aveva fatto la sua apparizione; ci guardammo per qualche secondo, il tempo necessario affinché mi desse un qualsiasi cenno affermativo.
Sospirai per raccogliere coraggio - ancora un po' -. Sentivo le espressioni confuse addosso mentre salivo sulla cattedra, ma non vi prestai troppa attenzione.
«Ascoltate». Non era proprio l'inizio più emozionante a cui avessi pensato.
«Io SO che cosa ha fatto Takuya. Ne sono consapevole». Incrociai per un secondo lo sguardo di Denki ed Elizabeth, che mi incitavano a continuare senza bisogno di dire una parola.
«So che adesso è un Villain. So che lo è diventato pur avendo frequentato per anni questa scuola». Guardavo finalmente i miei compagni di classe negli occhi; non sentivo la necessità di distogliere subito l'attenzione da loro. «Ma io non sono "la sorella di Takuya". Sono Kimura Nanako, e sono qui per gli stessi obbiettivi che avete tutti voi...». Mi lasciai sfuggire un lieve sorriso.
«Diventare un eroe. Offrire il mio aiuto a chi ne ha bisogno. E salvare Takuya...». Sussurrai l'ultima frase, conscia del fatto che rappresentava uno scopo che apparteneva solo a me. «Perciò vorrei collaborare con voi per raggiungerli, insieme. Ecco perché mi sono iscritta alla UA, nonostante tutto».
Non ottenni una risposta immediata, e pensai che fosse meglio terminare il discorso il più in fretta possibile. Non aveva funzionato, dopotutto. Mi voltai, aggiungendo solo un dettaglio, mentre i piedi tornavano a toccare terra.
«E, giusto perché si sappia, Takuya non è mio fratello. Non più». Mi rivolsi nuovamente alla classe, con l'intento di tornare al banco. Indirizzai un piccolo inchino all'insegnante, che era rimasto sulla soglia della porta.
«Sei stata grande!!».
Una voce maschile interruppe improvvisamente il silenzio gelido che era calato su di noi e il mio lieve inchino. Mi voltai per trovare l'origine di quella frase urlata ai quattro venti; e non dovetti cercare a lungo. Il ragazzo a cui, dedotti, apparteneva si era alzato, sovrastando l'immagine di tutti gli altri. Alcuni si erano voltati a guardarlo, per capire cosa stesse facendo. Altri avevano semplicemente alzato lo sguardo dal banco a cui erano stati costretti a prestare particolare attenzione a seguito del mio piccolo discorso.
La prima cosa che notai furono i capelli; erano di un rosso acceso, che si intonavano con le pupille vivaci dello stesso colore, e dall'acconciatura fatta di tanti ciuffi che nella parte superiore puntavano all'insù, e in quella posteriore ricadevano sul collo. Una minuscola cicatrice spuntava dall'occhio destro, ma feci fatica a notarla di primo acchito, tanto era piccola. L'espressione apparteneva decisamente ad una persona solare e allegra, tanto che nel guardarmi aveva già sfoggiato un grosso sorriso che aveva messo in evidenza gli insoliti denti a punta.
Sentii una lieve ondata di calore salirmi per il viso, e dalla sensazione di secchezza alla gola potei facilmente intuire che la mia temperatura corporea era salita. Cos'era successo?
Scossi lievemente la testa per ritornare alla realtà, e rivolsi un leggero sorriso al ragazzo, che mi parve fosse arrossito seppur di poco. Proseguii in direzione del mio banco, nel vano tentativo di non incrociare nessuno degli sguardi che in quell'istante mi fissavano, come per recuperare il tempo perso ad evitarmi i giorni precedenti.
Per ultimo incontrai gli occhi dorati di Satoru che, seduto, mi rivolse un'occhiata sinceramente orgogliosa.
«Nanako!!». Mi sentii chiamare; non appena mi voltai, vidi Denki in piedi vicino al suo banco, che sventolava una mano quasi come se non sapesse che non eravamo così lontani. Toccò la superficie liscia con il palmo dell'altra un paio di volte, come a fermi cenno di ritrovarmi lì dopo la fine delle lezioni. Sorrisi di rimando e mi sedetti. Mi sentivo molto meglio.
«Mi è piaciuto».
«Mh?». Avevo subito capito che a parlare era stato il ragazzo dalla ferita sul viso e i capelli a metà seduto al banco accanto al mio. La sua voce così bassa che pareva non avere emozione mi era rimasta impressa sin dalla prima parola che mi aveva rivolto.
«Il discorso, dico». Sfoggiai un sorriso ben più grande di quelli che erano apparsi sul mio viso da quando ero entrata in quella scuola.
«Oh... Grazie!». Un lievissimo cenno affermativo del capo, e Todoroki tornò ad osservare la cattedra in cima alla classe, a cui Eraser Head si stava avvicinando.
«Per quanto le parole di Kimura fossero giuste», mi scoccò una rapida occhiata.
«Se in futuro doveste fare di nuovo questa scenetta», ritornò ad osservare la classe con aria seria. «... non salite sulla cattedra, intesi?».


«Sei stata fantastica!!».
«Dici sul serio? Non mi sembrava granché...».
«Cosa?! Hai fatto un discorsone coi fiocchi!».
Le lezioni erano finite ormai da una decina di minuti, e, come deciso, mi ero avvicinata subito al banco di Denki, salutando velocemente Satoru.
«Kirishima ha assolutamente ragione, Nanako!». Vidi il biondo allungare una mano e la sentii poco dopo scompigliarmi i capelli, come del resto faceva spesso.
«Lizzy è già andata via..?», chiesi all'elettrico, che in tutta risposta alzò le spalle.
«Lo sai com'è fatta, sarà già a casa a studiare!».
«È un peccato però, mi sarebbe piaciuto se fosse rimasta un po' qui con noi...».
Denki sfoderò un sorrisetto compiaciuto; si puntò il pollice sul petto, chiudendo gli occhi con aria trionfale.
«Cosa ti posso dire, ha preso proprio dal migliore!».
«Se sei tu il migliore, siamo proprio in buone mani». Una ragazza dai capelli viola - Jirou Kyouka, pensai - era appena passata accanto a noi rivolgendo quella frase direttamente al biondo; quest'ultimo rimase pietrificato per qualche istante. Dopo una risata forzata, si avvicinò a noi e sussurrò un «sono certo che le sto già simpatico!», a cui non potei non reagire con un sorriso a malapena accennato.
«Oh, a proposito, lui è Sero Hanta! Non credo vi siate ancora presentati!».
Un ragazzo dai corti capelli neri all'apparenza rigidi si fece avanti, mostrando un sorriso a denti serrati.
«Era ora che ci presentassi», esclamò.
«Ohi, non è colpa mia se avevate paura di lei fino a un minuto fa!!». Risi, divertita.
«Immagino che tu conosca già Bakugou...», continuò il biondo quasi in un fil di voce. Il soggetto in questione era ancora seduto al banco, con le mani nelle tasche della divisa e le gambe accavallate e distese per poggiare le caviglie sulla superficie. Aveva gli occhi chiusi, ma l'espressione accigliata che avevo potuto vedere tempo prima era rimasta tale e quale; il che mi parve quasi buffo.
Non appena Denki lo nominò, le palpebre si aprirono di poco, dando al suo volto l'impressione di essere sul punto di esplodere di rabbia.
«Bakugou!», dissi, voltandomi completamente nella sua direzione.
«Hah? Che vuoi?», chiese brusco rivolgendomi gli occhi rossi. Sorrisi.
«Grazie... per ciò che hai detto prima». Mi fermai per qualche secondo, poi ripresi. «È stato davvero gentile da parte tua, e mi ha aiutata molto».
Lui emise un "tsk", distogliendo lo sguardo.
«Si si, come vuoi».
Avevo immaginato che avrebbe risposto così; conscia della cosa, mi lasciai sfuggire una piccola risata.
«Ohi, che c'è di tanto divertente?!». Posò un piede a terra, come se fosse pronto ad alzarsi da un momento all'altro.
«Oh, nulla! Sei solo molto prevedibile, Bakugou!». Seppur già arrabbiato, aveva notato il pizzico di malizia nella mia voce, come a prenderlo in giro.
«Cos'hai detto?!».
Quella volta scoppiai in una risata ben più forte, e nel momento in cui il biondo si alzò urlando "adesso ti faccio fuori", cercai rifugio dietro la schiena di uno dei ragazzi, quello con i capelli rosso acceso. Afferrai la manica della sua divisa e - senza riuscire a trattenere un grande sorriso divertito - affondai istintivamente il viso nel tessuto grigio che gli ricopriva la schiena.
«Bakugou, non fare così, su!», proruppe proprio quest'ultimo.
«Tu non intrometterti, capelli a punta!!».
«Mh? Ohi, Kirishima, stai bene?», fu Denki a parlare, quella volta. Il rosso si agitò d'un tratto; potei notarlo perfettamente, ancora appiccicata alla sua divisa com'ero.
«C-Certo!! Come mai..?», balbettò.
«Sei rosso come un peperon-». All'improvviso, sentii la morbidezza della divisa allontanarsi, e vidi Kirishima intento a bloccare tempestivamente la bocca di Denki con una mano. Il biondo gli rivolse un'occhiata interrogativa, confuso e quasi irritato dal gesto repentino dell'amico.
Quest'ultimo sospirò, prima di scostare il palmo dal viso dell'elettrico; si voltò verso di me, e non potei non notare un vivido rossore colorargli le guance. Dapprima sembrò fare fatica a mantenere lo sguardo fisso sul mio, difatti si concentrò maggiormente sui banchi intorno a noi, sul pavimento e sugli angoli più remoti del soffitto. Si avvicinò nuovamente a me e, posati gli occhi dello stesso colore dei capelli (e del viso) sui miei, mi rivolse un piccolo sorriso.
«Non mi sono ancora presentato per bene! Mi chiamo Kirishima Eijirou».
«Piacere di conoscerti, Kirishima! Io son-». Mi bloccai. Presentarmi di nuovo sarebbe stato inutile. Mostrai un sorriso forzato e abbassai un poco la testa.
«Sei?». Alzai lo sguardo. Sul suo volto era nuovamente apparsa un'espressione allegra che senza bisogno di parole mi invitava a proseguire.
«Na...nako...», dissi. «Puoi chiamarmi Nanako».


«Si chiama Unforseen Simulation Point! USJ!».
Ad accoglierci alla struttura nella quale ci attendeva la lezione di quel giorno fu il pro Hero Thirteen, che - appena arrivati - ci spiegò cosa quell'edificio rappresentava e cosa racchiudeva.
«Mizu-kun, guarda!!».
«Lo vedo benissimo, Nanako...».
Era, per dirla breve, stato ideato per simulare svariati tipi di incidente in modo da aiutare noi aspiranti eroi ad allenarci al salvataggio in ogni condizione; era diviso in zone che andavano dal naufragio all'area di terra, dall'incendio alla tempesta.
Eravamo tutti così emozionati che non riuscimmo quasi ad emettere altri suoni che non fossero esclamazioni di ammirazione o felicità.
Entrammo, accompagnati da Aizawa e Thirteen, e ci fermammo estasiati di fronte all'enorme struttura su cui si estendeva un'altrettanto grande cupola di vetro.
«Bene, e ora-». Eraser Head iniziò a parlare per mettere ordine nella situazione, ma non fece in tempo a terminare la frase. Le decine di lampadine poste sulla lastra che formava la base del tetto si spensero improvvisamente; anzi no, si fulminarono.
Al centro dell'edificio comparve quella che parve a tutti gli effetti una nube di colore viola scuro misto a nero - una sorta di portale, pensai - che si allargò nel giro di pochi secondi.
«Cosa?!», Aizawa si voltò rapidamente prima in direzione dell'intruso, poi di nuovo verso di noi.
«Radunatevi e non muovetevi!!». Dopodiché si rivolse al pro Hero poco lontano da lui.
«Tirtheen, proteggi gli studenti».
Poco più tardi, una mano fece la sua apparizione al centro della nube, seguita dal viso di un uomo. Aveva una mano attaccata al volto, con le dita aperte di modo che gli fosse possibile vedere; pensai a quanto fosse raccapricciante.
Nella confusione generale e nel giro di qualche minuto, l'intero suo corpo e quello di molti altri venne liberato da quello strano portale, che si rivelò essere un'entità vera e propria. Avevano tutti l'aspetto di essere... dei Villain.
Pensai che non avrei potuto essere più confusa e spaventata di come lo ero in quel momento. Una vera e propria banda di Super-cattivi ci stava attaccando e per giunta eravamo solo noi ragazzi della 1-A e due pro Hero.
"Cosa facciamo ora?!", fu il primo pensiero che mi venne in mente. Non riuscivo a muovere un muscolo, ero paralizzata. La mia temperatura corporea stava salendo, ma non ero in grado di afferrare una delle bottigliette d'acqua gelata o i cubetti di ghiaccio contenuti nei barattoli del costume.
E quando lo vidi... Quando lo vidi, credetti di essere caduta in un incubo ad occhi aperti. Immaginai il suolo sotto ai miei piedi crollare, l'ambiente intorno a me divenire nero, un nero cupo e profondo simile a quello della strana sostanza che aveva condotto i nemici in quel luogo. Spalancai gli occhi, mentre le mie labbra cominciavano a muoversi e a tremare seppur di poco, insieme al mio corpo.
«Takuya..?».

   
 
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