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Autore: Witchlight    03/09/2017    0 recensioni
Negli ultimi dieci anni, Lina non ha mai lasciato i confini sicuri della Congrega in cui vive. Quando una sua compagna scompare in circostanze misteriose, però, la ragazza non si tira indietro e parte alla sua ricerca, rimettendo piede in un mondo che non è più quello della sua infanzia.
Il viaggio, iniziato un po' per caso, le farà scoprire vecchie storie dimenticate, creature misteriose e, forse, anche la cura per la terribile malattia che sta devastando il regno.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Di tanto in tanto, il soldato al suo fianco le rivolgeva la parola, ma lei non gli prestava alcuna attenzione. Man mano che si avvicinavano alle porte del villaggio, la giovane avvertiva un senso d’angoscia montarle nel petto. Erano passati troppi anni dall’ultima volta che si era spinta oltre i confini della Congrega e l’idea di trovarsi di punto in bianco circondata da gente sconosciuta la metteva decisamente a disagio.

Non c’è motivo di preoccuparsi, si disse, abbassando lo sguardo sui propri piedi per evitare di incrociare quello di alcuni pastori che stazionavano a pochi metri da lei. Sono persone normali, uguali identiche a quelle che conoscevo da ragazzina. Era sicuramente vero, cionondimeno era consapevole che gli abiti che indossava l’avrebbero immediatamente identificata come consorella dell’Ordine: il fatto che si trovasse fuori dalla Congrega era una cosa sufficientemente insolita da attirare l’attenzione degli abitanti del villaggio, e l’idea di trovarsi al centro di decine e decine di sguardi sconosciuti la faceva sudare freddo.

Quando giunsero a pochi metri dall’antica porta di pietra che segnalava l’ingresso del villaggio – dovevano esserci state delle mura, una volta, lì, ma erano quasi completamente scomparse – la ragazza rallentò inconsciamente il passo, mentre il suo stomaco si contraeva in una serie di piccoli, sgradevolissimi crampi.

«Vieni?»

Senza che se ne rendesse conto, Lina era rimasta indietro di alcuni metri e l’uomo che la stava accompagnando si era fermato a guardarla, sul volto un’espressione confusa. «Sì» esalò lei, schiarendosi poi la voce per renderla più ferma. Non renderti ridicola, si rimproverò, spingendo avanti il mento e raddrizzando le spalle. Risoluta, la giovane si diresse a passi decisi verso la guardia e poi la superò, varcando così le porte del villaggio. Aveva percorso appena pochi metri sul selciato irregolare che rivestiva quella che doveva essere la strada principale, quando un senso di famigliarità la investì, inatteso. L’odore di fumo e di cibo, simile a quello che respirava ogni giorno nella Congrega, eppure così diverso, la riportò immediatamente ai giorni della sua infanzia, quando era solita passare le giornate accovacciata su una delle botti che suo padre portava al mercato. Il ricordo – quasi dimenticato, ma gradito – le riscaldò il petto e lei si sentì un po’ meno fuori posto.

Rilasciando un respiro che non si era nemmeno accorta di aver trattenuto, la giovane alzò lo sguardo verso il cielo limpido, osservando dal basso il netto contrasto tra le pareti bianche delle case, tutte uguali, e gli scuri tetti di ardesia che le orlavano. Non erano abitazioni ricche, lo vedeva chiaramente, ed erano nettamente più piccole di quella in cui aveva vissuto un tempo, ma c’era un che di dignitoso negli usci ordinati e nei fiori gialli e scarlatti che adornavano le finestre. Distrattamente, Lina pensò che non sembrava un brutto posto in cui vivere, quello.

Dopo un istante di indecisione, il soldato le fece cenno di seguirlo e si incamminò lungo la via, inoltrandosi verso il cuore del piccolo villaggio. Man mano che si allontanava dall’ingresso, Lina diveniva sempre più consapevole del modo in cui la osservava la gente: chi con curiosità, chi con diffidenza, chi, addirittura, quasi con timore. Quella consapevolezza fu sufficiente a far svanire gran parte delle sensazioni positive che aveva provato fino a qualche istante prima, e la ragazza si ritrovò ben presto a stringere nervosamente il grembiule tra le mani. Quando la tensione iniziò a diventare troppa, si accostò al suo accompagnatore. «Mi guardano tutti» mormorò, quasi a pregarlo di fare qualcosa.

Lui le rivolse uno sguardo sorpreso – sembrava non essersi nemmeno reso conto delle attenzioni di cui era lui stesso marginalmente oggetto – poi scrollò le spalle, ostentando indifferenza. «Be’, è normale. Non è che quelle come te ci vengano spesso, da queste parti.»

Lina alzò gli occhi al cielo di fronte a quell’ovvietà, trattenendosi a stento dallo sbuffare. «Lo so, ma mi mette comunque a disagio essere osservata in questo modo. Sembra addirittura che dia loro fastidio» si lamentò, accennando con il capo a un gruppetto composto da due donne e un uomo che, all’ombra di un porticato, la osservavano di sottecchi.

«Ma no» replicò il soldato. «Ti guardano così solo perché non sono abituati a vedere molti estranei. Comunque, non è un male: se la tua compagna è stata da queste parti, qualcuno l’avrà certamente notata. Basterà fare qualche domanda.» Così dicendo, si diresse verso le tre persone che lei gli aveva indicato. I tre si affrettarono a distogliere lo sguardo e, per un istante, Lina provò un moto di gratitudine nei suoi confronti: era alto, notò, per la prima volta e, anche se era piuttosto snello e meno imponente di alcuni uomini con cui aveva avuto a che fare in passato, la divisa che indossava esercitava comunque un vago effetto intimidatorio sulle persone che gli stavano attorno. Adesso non mi fissate più, eh? Pensò, con un fremito di soddisfazione.

All’oscuro di quei pensieri, il soldato aveva raggiunto i tre sconosciuti e aveva rivolto loro un saluto. «Avete visto una donna della Congrega, di recente?» chiese loro, quando Lina gli si avvicinò. Una delle donne la scrutò da capo a piedi, poi si rivolse alla guardia. «A parte lei?»

Il soldato sgranò gli occhi chiari, come se non si fosse aspettato una domanda tanto sciocca, e Lina sbottò: «A parte me, ovviamente.» Aveva usato lo stesso tono che era solita riservare a Danah nei suoi momenti peggiori, ma, anche se lo sguardo offeso della sconosciuta le fece capire che la cosa non era passata inosservata, non riuscì a dispiacersene.

«No, non l’abbiamo vista» si intromise la seconda donna, un po’ più anziana. «Se posso darvi un consiglio, andate alla Locanda del Gallo D’Oro: se si cerca un’informazione, quello è il posto migliore per trovarla.»

Lina scosse la testa, scettica. «Dubito che Ibbi sia andata alla locanda» disse, alzando lo sguardo sul soldato. Dubito anche che sia venuta al villaggio, aggiunse, poi, mentalmente, ma si guardò bene dal dirlo. Non voleva separarsi da lui prima di scoprire qualcosa di più a proposito di quello che le aveva accennato fuori dal villaggio.

«La Locanda del Gallo D’Oro è il posto in cui va chi ha voglia di scambiare due parole» insistette la donna più anziana. «La tua compagna forse non è lì, ma forse ci troverete qualcuno che l’abbia vista.»

«Cosa vuoi fare?» chiese la guardia, guardando la ragazza. «Vuoi provare ad andare alla locanda o preferisci girare ancora un po’ per strada?» La giovane esitò, soppesando le due opzioni. Se, da un lato, non trovava particolarmente allettante l’idea di sedere a un tavolo con un uomo sconosciuto, alla mercé della curiosità degli avventori del locale, dall’altro doveva ammettere che, così facendo, sarebbe stato molto più facile intavolare una conversazione che le permettesse di scoprire ciò che più le interessava.

«Andiamo alla locanda» decise, allora. «Se non altro, vorrei approfittarne per magiare qualcosa: non ho ancora pranzato» mentì, prima di aggiungere, a bassa voce: «Credo che non abbia molto senso girare a vuoto per le strade: se nessuno ha visto Ibbi, devo tornare alla Congrega e dare l’allarme senza perdere altro tempo.»

A quelle parole, il compagno delle due donne, che fino a quel momento non aveva parlato, le rivolse un’occhiata penetrante. «Dare l’allarme?» ripeté. «È successo qualcosa?»

«Non è successo nulla» replicò immediatamente la guardia, impedendo a Lina di rispondere lei stessa. «La ragazza stava badando ad alcune pecore, si è allontanata per cercare un agnello e potrebbe essersi persa. Hai detto che si è trasferita alla vostra Congrega da poco, non è così?» chiese, poi, rivolgendosi alla giovane. «Sì, è così» confermò lei, lentamente, lanciando un’occhiata tagliente all’uomo, che l’aveva sorpresa con quella menzogna.

Quando si furono allontanati dal gruppetto, la guardia la prese per un polso e la fece avvicinare a sé. «Stai attenta a non parlare troppo» le disse, chinandosi verso il suo orecchio. Il tono non era minaccioso, ma quell’avvertimento fece comunque scattare una scintilla di rabbia nel petto della ragazza. «E perché mai?» ribatté, liberandosi dalla presa con uno strattone deciso. «Tanto, ben presto si accorgeranno anche loro che stanno succedendo delle cose strane. Ammesso che non se ne siano già accorti, se, come dici tu, ci sono già state delle avvisaglie, da queste parti.»

Lina gli rivolse un’occhiata di sfida, ma lui si limitò a scuotere il capo, guardandola con un mezzo sorriso. «Non sai davvero come funziona il mondo, vero?» le chiese, con una tale aria di compatimento che, per un istante, la giovane credette di vedere rosso. Per una frazione di secondo, fu tentata di dire che lei il mondo lo conosceva molto meglio di lui, grazie tante, visto e considerato che lei passava la vita a studiare e lui, con ogni probabilità, non sapeva nemmeno scrivere il suo nome, ma poi si trattenne. No, non si sarebbe abbassata a tanto. Avrebbe mantenuto la calma, come il suo ruolo richiedeva e come era abituata a fare, e così facendo gli avrebbe fatto intendere tutta la sua superiorità. «Se lo dici tu…» commentò allora, sussiegosa, degnandolo solo di una mezza occhiata. L’uomo parve sul punto di ribattere, ma poi scosse nuovamente il capo e tornò a dirigersi verso la sua meta.

Vista dall’esterno, la Locanda del Gallo D’Oro era un edificio come tutti gli altri, riconoscibile solamente dall’insegna rappresentante un galletto dorato appesa sopra alla porta. Una volta varcata la soglia, Lina tirò un sospiro di sollievo nel notare che il locale era semi deserto: c’erano solo un paio di avventori sparsi qui e là e gran parte dei tavoli di legno chiaro erano vuoti. Quello che doveva essere il locandiere, un uomo sulla cinquantina che zoppicava vistosamente dalla gamba sinistra, si avvicinò loro. «Buon pomeriggio» li salutò, con una nota di incertezza nella voce. «Posso esservi d’aiuto?»

«Vorremmo mangiare qualcosa» fece il soldato, prontamente. «E vorremmo sapere se hai visto un’altra donna della Congrega, oggi.»

«No, non l’ho vista» replicò distrattamente l’uomo. Mentre lo diceva, i suoi occhi erano fissi sul volto di Lina e la giovane distolse lo sguardo, a disagio, sentendo le orecchie in fiamme. Dopo qualche istante, si azzardò a guardare ancora in direzione del locandiere e sul suo volto notò un’espressione concentrata. «Beh?» fece allora, più aspramente di quanto avrebbe voluto. Immediatamente, il locandiere si riscosse e arretrò di un passo, con una risatina imbarazzata. «Non vorrei sembrare inopportuno, ma… sei mai stata al mercato di Balma?» chiese.

Lina aggrottò la fronte, confusa. Lo ricordava, il mercato di Balma. Era il più grande mercato del Nord, un luogo che suo padre visitava una volta all’anno. L’aveva accompagnato, qualche volta. «In verità, sì. Ma è da molto tempo che… l’ultima volta avrò avuto dieci o undici anni, credo.» L’oste annuì. «Se posso chiedere: vieni dalla nostra Congrega, vero? La tua famiglia è di queste parti?» Leggermente infastidita da quell’interrogatorio, la giovane incrociò lo sguardo del soldato, che si strinse nelle spalle. «No, a dire il vero non sono di queste parti.» replicò, secca. «Sono nata nel Distretto delle Colline Blu. Se sono qui, è solo perché mia madre si è risposata e ora vive nella Capitale.»

Per nulla scoraggiato dalla scontrosità della ragazza, il locandiere si aprì in un gran sorriso. «Non è che, per caso, sei la figlia di Ivor di Pian dell’Alba?» La domanda la lasciò a bocca aperta e il locandiere interpretò correttamente il suo silenzio stupito. «Lo sapevo!» esultò. «Conoscevo tuo padre, tanto tempo fa. Cercava di rifilarmi sempre del vino scadente, spacciandolo per un’ottima annata, ma, sotto sotto, era un brav’uomo. Tu, comunque, sei identica a tua madre: è per questo che ti ho riconosciuta. Avevo sentito che eri entrata nell’Ordine, ma non mi aspettavo certo di trovarti qui.»

Istintivamente, Lina strinse tra le dita una ciocca ramata che era sfuggita dall’acconciatura e le penzolava davanti agli occhi. «Non è vero che sono identica a mia madre» protestò. L’oste le rivolse un sorriso placido. «Capelli a parte, s’intende. Ma hai la sua stessa faccia. Anche l’espressione è la sua.» Davanti a quell’osservazione, Lina arrossì: non amava particolarmente essere paragonata a sua madre, ma, sfortunatamente, sapeva che il locandiere aveva ragione. Da suo padre aveva preso solo i capelli rossi, ma i lineamenti, le lentiggini e gli occhi scuri erano una chiara eredità materna; e non c’era nulla che lei potesse fare per cambiare quella verità. Cercando di evitare che l’uomo continuasse a chiederle della sua famiglia – un discorso che preferiva evitare, se poteva – la giovane si strinse nelle spalle. «Sì, be’, immagino sia vero. Comunque, come dicevamo, sono qui per cercare una mia compagna che si è persa: sei certo di non averla vista?»

A quella domanda, l’oste si fece più serio. «Era vestita come te, immagino.» Quando Lina annuì, l’uomo scosse il capo, con un’espressione dispiaciuta sul volto. «No, purtroppo non ho visto nessuna consorella: né oggi, né nei giorni scorsi. È vero però che oggi sono stato piuttosto impegnato e non ho avuto molto tempo di fare conversazione: perché non vi sedete e non mangiate qualcosa? Nel frattempo, io proverò a fare qualche domanda agli altri clienti.»

Prima che la ragazza potesse dire che non era il caso che lui si scomodasse – poteva benissimo farle lei, le domande – il soldato si lasciò scivolare sulla sedia più vicina. «Mi sembra un’ottima idea» disse, alzando lo sguardo sul locandiere. Quando quello si allontanò con un sorriso soddisfatto, Lina rimase immobile per qualche istante, indecisa sul da farsi. Le poche persone presenti nel locale la stavano fissando e lei si affrettò a sedersi, sentendosi piuttosto stupida.

«Non avevo idea che tu conoscessi il padrone di questo posto» le disse il soldato, quando si fu accomodata. Per qualche motivo, la giovane credette di avvertire una lieve sfumatura d’accusa, nelle sue parole. «E infatti non lo conosco» ribatté. «Mio padre però era un commerciante di vino piuttosto rinomato e viaggiava molto… immagino avesse diverse conoscenze sparse per il regno. Non ricordo mi abbia mai parlato di questo tizio, ma sono passati diversi anni da quando è morto e io mi sono ormai dimenticata molte cose.»

Notando che il soldato continuava a fissarla, Lina sbuffò, spazientita. «Non mi pare che la cosa abbia una qualche importanza, comunque. Parliamo piuttosto del fatto che Ibbi non è qui.» Davanti al suo tono bellicoso, la guardia si rilassò contro lo schienale della sedia, sollevando un gomito per trovare una posizione comoda. «Il fatto non pare stupirti» commentò, osservando la sua reazione.

La ragazza abbassò gli occhi sul tavolo, un po’ in imbarazzo. «Be’, in effetti credo sia improbabile che sia entrata nel villaggio: perché avrebbe dovuto farlo?» chiese, mentre una fitta di preoccupazione le attraversava lo stomaco, ricordandole che la sua compagna – la sua amica – era scomparsa nel nulla e lei stava perdendo tempo con un soldato sconosciuto, anziché correre alla Congrega e dare l’allarme.

«Non saprei» replicò la guardia. «Perché sei qui, allora?»

Lina incontrò il suo sguardo e, per una frazione di secondo, si chiese se fosse il caso di fidarsi di lui. Aveva degli occhi terribilmente chiari, quasi color ghiaccio e, per qualche motivo, lei aveva sempre provato una certa diffidenza nei confronti delle persone con gli occhi azzurri. «Immagino valesse comunque la pena fare un tentativo» sospirò. «Se Ibbi non è qui, significa che è sparita nel nulla in mezzo a quel fumo nato dal niente: poco fa, tu hai detto che non è il primo evento del genere ad essere avvenuto vicino alla Capitale, ma che ci sono state delle avvisaglie. Bene, voglio sapere a cosa ti stavi riferendo: se Ibbi è scomparsa, ogni particolare può esserci utile per tentare di ritrovarla.»

«Mi pare logico» convenne lui, placido. «In cambio, tu mi racconterai ciò che sai a proposito della scomparsa della Principessa: se non erro, i patti erano questi.»

Improvvisamente, Lina si accorse di aver fatto un piccolo, trascurabile errore: non si era preparata alcuna fandonia da rifilare al soldato in cambio delle informazioni che avrebbe ottenuto da lui. Perché lei, della sorte di Adlyn, non sapeva assolutamente niente.

 

  
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