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Autore: Le due zie    04/09/2017    15 recensioni
Per il compleanno di André, un racconto a quattro mani, il gioco di due penne che si intreccia nei postumi di una notte in cui il vino sembra aver fatto danni. O forse no.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Realtà che si svelano e un’ultima bottiglia
 
La tensione dell’attesa gli aveva decisamente chiuso lo stomaco; nonostante la lunga, interminabile, giornata trascorsa per le vie della città, nonostante la fatica fisica e l’impegno del dover stare sempre all’erta, pronto ad individuare ogni motivo di possibile disordine e ad intervenire nella maniera più consona per limitare i danni, nonostante il sole torrido e la sete che gli aveva bruciato la gola e le membra per tutto il giorno, nonostante il peso, ma anche la leggerezza, di ciò che aveva trascinato con sé ora dopo ora, nonostante tutto, non era riuscito a ingoiare più di qualche boccone.
Aveva raggiunto i suoi compagni al tavolo, nella soffocante confusione del refettorio, e si era lasciato scivolare sulla lunga panca fino a posizionarsi giusto di fronte ad Alain, puntandogli gli occhi addosso, convinto che l’amico non si sarebbe fatto pregare, per vuotare il sacco e dirgli ciò che doveva.
Invece Alain aveva sollevato le sopracciglia scure per un istante, rispondendo al suo sguardo con un sorriso ambiguo e gli occhi scuri, quasi brillanti, ma non aveva detto nulla, proseguendo nel suo mangiare vorace e rumoroso, spargendo briciole sulla mensa e partecipando alle chiacchiere degli altri commilitoni, provocandone alcuni, rispondendo malamente ad altri, quasi ostinato, nel fingere palesemente di ignorarlo; e anche quando i compagni, uno dopo l’altro, se ne erano andati dalla tavola, e l’intero refettorio si era quasi assopito, nel suo brusio opaco, Alain per un po’ non si era mosso dal proprio posto, rimanendo a fissarlo, inaspettatamente silenzioso, mentre sorseggiava lentamente un bicchiere di vino dopo l’altro, fino all’ultima goccia rimasta nella caraffa sbrecciata, per poi allungarsi ad afferrare quella del tavolo vicino.
André aveva atteso il più possibile, nascondendo la propria curiosità sotto un velo di stanchezza e dietro quel tipico fare riservato e malinconico che ormai era divenuto il suo modo di essere all’interno della vita della Caserma; aveva giocato con le briciole di pane rimaste sulla lunga tavola, sminuzzandole tra le dita, radunandole e poi sparpagliandole di nuovo, sfiorandole con il palmo aperto e poi tornando a riunirle in un unico insieme polveroso … ma poi, spossato, si era arreso. Aveva espirato con tutta la forza rimastagli in corpo, sibilando la propria delusione tra le labbra strette, e puntando i palmi sul tavolo si era alzato, senza nemmeno dedicare ad Alain un’ultima occhiata.
Allora, solo in quell’istante, Alain si era mosso e con uno scatto da predatore gli aveva afferrato il polso, quasi immobilizzandolo e impedendogli di allontanarsi dal tavolo, per poi strattonarlo appena, tirando il braccio davanti a sé e forzando André a tornare sui propri passi.
- Sicuro di aver mangiato abbastanza? – gli chiese Alain a bruciapelo, con fare serio, spiazzante.
André rimase un istante in sospeso, per poi reagire, facendosi vicino al viso del soldato, con un piglio quasi minaccioso.
– Sicuro di non avere nulla da dirmi? – gli chiese a sua volta, e immediatamente vide il viso di Alain che si sciolse in una sorta di sorriso provocatorio, mentre le sue spalle larghe prendevano a sussultare, trattenendo ulteriore ilarità.
- Come preferisci tu, Grandier: - cedette allora Alain, quasi conciliante - ha detto di andare da lei, dopo cena, perché voleva sincerarsi che tu ti fossi davvero ristabilito completamente. – ammise, mentre André si rimetteva in piedi, raddrizzando la schiena e lasciando fluire da sé tutta la tensione che, come un groppo pesante, gli aveva serrato le viscere e si era stretto sempre più, di fronte a quell’ostinato silenzio.
- Per questo mi sinceravo che tu ti fossi rifocillato a sufficienza:– riprese poi Alain, il tono canzonatorio e lo sguardo fattosi sottile, come una fessura scurissima, una lama lucida di genuina curiosità - cosa diamine potete aver fatto, questa notte, perché lei abbia bisogno di verificare che tu ti sia ristabilito? –
Andrè scosse il capo, nella mente solo l’idea di quella richiesta, quasi una deflagrazione nell’animo, capace di scalfire il peso del timore che tutto l’accaduto si tramutasse in una nuova, definitiva chiusura, condannandolo ad un ulteriore allontanamento; udì il richiamo dell’amico, che si schiariva la gola, in attesa di una qualunque risposta, e allora si riscosse, muovendo qualche passo a vuoto, prima di congedarsi dall’altro in un modo frettoloso.
- Gr … Grazie, Alain … - gli mormorò quasi, senza nemmeno voltarsi, senza accorgersi che l’altro, alle sue spalle, sollevava il bicchiere, celando il proprio sorriso in una sorta di brindisi.
 
Lasciato il refettorio, percorse a grandi falcate il corridoio, fino all’atrio d’ingresso, dove fermò i propri passi, cercando di dominare i nervi e disciplinare i pensieri, recuperando un minimo di lucidità.
Se Oscar lo aveva richiamato nel proprio ufficio, forse poteva davvero sperare che, per lui, ci fosse ancora una possibilità. Provò ad ipotizzare che Oscar avesse davvero perdonato, superato, o anche solo rimosso, quello che era accaduto in passato (quello che, in realtà, proprio lui aveva fatto e detto, dando un colpo mortale alla loro amicizia) tanto da permettergli di riavvicinarsi, concedendogli almeno un poco di quella fraterna confidenza che per tanto tempo aveva sperimentato; oppure, semplicemente, che Oscar avesse affogato nell’alcool buona parte dei propri ricordi riguardo la notte precedente e quindi, come soleva fare con ciò che rifiutava di accettare, avesse pensato di convocarlo come se nulla fosse accaduto …
Tuttavia, ricordava bene il tormento che aveva letto nei suoi occhi mentre gli chiedeva come si sentisse o se avesse dolori forti, e sapeva di non essersi ingannato nel riconoscere la preoccupazione più genuina, quando aveva cercato di medicarlo.
Era consapevole di aver trascorso la notte con la Oscar più loquace e sconclusionata che avesse mai conosciuto, ed era anche certo di non ricordare proprio alla perfezione tutto quello che lei aveva detto, e che lui stesso aveva risposto, perché molto si era perso, sciolto dai fumi dell’alcool; ma era riuscito a recuperare tanti ricordi e, seppure un po’ in disordine, restavano i gesti, gli sguardi e il tocco lieve delle sue mani, così come quelle lacrime, che avevano reso lucidi e profondissimi i suoi occhi, e che a stento lei aveva trattenuto, quando, portando l’asciugamano al taglio sul suo sopracciglio, lui non era riuscito a impedirsi di sussultare per l’improvviso dolore provocato dal quel contatto fresco. Non ricordava neppure come e quando esattamente fossero giunti, dall’ufficio, alla sua camera; ma ci si era svegliato, in quella camera e in quel letto, e nella mente ronzava una specie di giustificazione con cui lei lo aveva convinto a seguirla.
- Seguimi! Ho certamente dell’acqua nella brocca di là … - gli aveva detto afferrando la sua mano e trascinandolo con sé, come se quella brocca non potesse essere spostata da quel mobile da toeletta … e come se non fosse passato più di un giorno dall’ultima occasione in cui gli era stato concesso di entrare nel suo appartamento privato, a Palazzo, violando ogni regola di buona creanza, ma seguendo semplicemente quella che tra loro era divenuta una normale consuetudine.
A questo poteva aggrappare la propria speranza: al pensiero che, pur sotto la coltre di schegge e cocci in cui aveva infranto la loro amicizia, nel tentativo disperato di rivelarle il suo amore, ancora restava la gemma di un legame antico, di quella sintonia innata e inspiegabile che era cresciuta, negli anni, a dispetto di regole e silenzi.
Corrugò la fronte, lo sguardo perso nel buio in cui si nascondeva il corridoio alla propria destra, in fondo al quale si trovava l’ufficio di Oscar. Forse lei lo aveva fatto convocare perché sopraffatta dal senso di colpa, dalla vergogna per non aver saputo mantenere le distanze? Lo stava convocando per congedarlo da sé definitivamente? In quel momento, il filo di speranza a cui si era aggrappato per tutto il giorno, parve sfilacciarsi sotto il peso del più infame dei dubbi.
Un secco spintone gli fece quasi perdere l’equilibrio, facendolo avanzare di qualche passo nel tentativo di tornare stabile.
- Ma sei ancora qui? – lo rimproverò Alain guardandosi attorno – Lei ti aspetta per il tuo controllo di salute, André, e se non ti sbrighi, quelli là fuori si stancheranno di fare chiacchiere e la tua scappatella serale sarà sotto gli occhi di tutti! – proseguì poi, indicando con un cenno del capo l’uscio aperto sul cortile dove gli altri soldati erano riuniti in capannelli, godendo della serata fresca, prima di rientrare nel dormitorio.
André si scostò, lasciando che Alain lo superasse, raggiungendo i commilitoni in cortile, e poi si mosse, deciso, verso il dormitorio.
 
Le poche parole di Alain erano state una provvidenziale rivelazione: Oscar non aveva nascosto di essere preoccupata per le sue condizioni di salute … nemmeno dopo il suo risveglio, e questo era già sufficiente a riaccendere la debole, ma tenace, fiamma della speranza.
Sedendo sulla propria branda, André sfilò rapidamente la camicia dalla cintola e, infilando una mano sotto la stoffa, prese a frugare sul proprio petto, cercando il nodo con cui Oscar aveva stretto quella fasciatura di fortuna fatta di traverso, tra il torace e la spalla, per tamponare la lacerazione che gli aveva ripulito lì, sulla clavicola ancora dolorante. Un brivido lo percorse, dalla base della schiena fino alla nuca, ripensando al momento in cui, dopo aver faticato a controllarsi mentre lei lo scrutava palmo a palmo, con il soffio del suo respiro ad accarezzargli la pelle e quei discorsi confusi, sul valore degli uomini e sulla giustizia, intrecciati ad ogni altro commento sullo stato dei suoi lividi, lei si era sollevata di scatto, sentenziando che quella ferita fosse da curare a dovere. Allora lui aveva tentato di minimizzare, di convincerla che non era poi la prima occasione in cui si ritrovava con un taglio del genere, ma Oscar non aveva voluto sentire ragioni e, spiazzandolo completamente, si era mossa con decisione, sfilando la propria camicia dalla cintola dei pantaloni.
- Bisogna pulirla e tenerla coperta. – aveva sbottato – Ma non ho intenzione di fasciarti con quelle bende malconce dell’infermeria: ho io quello che serve! –
Con pochi gesti, la stoffa candida aveva preso a scivolare da sotto la sua camicia e Oscar l’aveva raccolta in uno sbuffo soffice sopra il ripiano della toeletta, mentre André aveva dovuto chiudere gli occhi, in preda a un capogiro, per impedirsi di perdere completamente la ragione.
Si era trovato fasciato e con la mano stretta al collo di una bottiglia di rosso, mentre le dita di lei continuavano ostinate a tracciare un percorso in cerca di segni sulla pelle, inconsapevoli del solco infuocato con cui stavano segnando il suo cuore e il suo ventre.
Sospirò, trattenendo per qualche istante quella lunga striscia di stoffa tra le dita, per poi ripiegarla alla meglio, pronto a riconsegnargliela. Si sollevò dal giaciglio sconnesso e prima di allontanarsi, ebbe un nuovo pensiero.
Erano praticamente rovinati sul letto di Oscar, storditi dal vino e forse dalla leggerezza cui si erano ritrovati, insieme nonostante il passato, e avevano riso fino a spezzare il proprio fiato, quando la bottiglia gli era scivolata tra le mani, riversando sui pantaloni di lei un ultimo fiotto scuro. Si era sentito colpevole, ma anche incredibilmente complice e non aveva nemmeno reagito quando lei, stesa di traverso sul materasso, aveva commentato che non le importava nulla delle macchie su quella divisa, che era stanca di fingere che fosse tutto perfetto e per lei non esistesse altro che il nome, il casato, l’onore …
- Eccola, l’uniforme senza macchia! – aveva esclamato tra le risa – E bravo André! Tu sì che mi conosci davvero! Non quel … quel damerino che ha avuto la faccia tosta di … –
Quella frase era sfumata in una nuova risata nervosa, ma poi, portando le mani alla chiusura dei pantaloni e prendendo a sfilare i bottoncini dalle asole, Oscar aveva ripreso il suo sfogo – Li porterò a mio padre, perché capisca chi sono davvero, e gli dirò che io non ho nessuna intenzione di mettere la mia vita nelle mani di un uomo che non … non … Accidenti, Andrè! Aiutami a togliermi di dosso questa armatura! –
Scosse il capo, sfuggendo alle immagini di quel ricordo, e si chinò a terra, frugando sotto il proprio letto fino a che le dita non incontrarono la superficie liscia e fresca del suo piccolo tesoro nascosto; lo trasse da sotto la branda e poi, deciso, si avviò verso l’ufficio di Oscar.
 
Le nocche avevano appena sfiorato il legno scuro della porta che già gli parve di avvertire un movimento lieve, quasi che il battente si stesse schiudendo. Il cuore prese a galoppargli impazzito, i palmi improvvisamente sudati a stringere spasmodici sul collo della bottiglia. Possibile? Possibile che la porta si aprisse con tanta celerità? Possibile che Oscar lo stesse … aspettando?
Non ebbe tempo per dubbi ulteriori, perché il battente proseguì davvero la sua corsa, rivelando la figura sottile di Oscar, illuminata dal tenue bagliore delle candele all'interno. Teneva una mano sulla maniglia e con l'altra impugnava il battente, quasi a sottrarsi alla sua vista, impacciata forse dalla velocità con cui aveva risposto al suo bussare, ma, incredibilmente, sorrideva.
Il tempo parve fermarsi  nel palpito in cui raccolse il suo sguardo e vi scorse un brillio complice che lo lasciò senza fiato. Provò invano a ricordare le parole con cui aveva pensato di salutarla, la mente trasformata in un immenso lenzuolo bianco ed il cuore un frastuono di forsennate speranze. Esitò un attimo poi le labbra gli si schiusero in un sorriso arreso.
- Ciao … - riuscì a mormorare, le guance improvvisamente bollenti; il suo sorriso parve riflettersi ed  amplificarsi sulle labbra di lei e colorò anche le sue guance.
– Ciao … – rispose, l'azzurro improvvisamente velato dalle ciglia.
Lo spegnersi momentaneo di quello sguardo, fattosi basso sulle sue mani, provocò una ferita lacerante nel petto di André, infinitamente più dolorosa delle abrasioni e dei tagli  che lei aveva curato e le parole gli sgorgarono improvvise dalle labbra, mentre con una mano porgeva il piccolo involto bianco e con l’altra tendeva la bottiglia di vino.
– Ecco – biascicò – io … ti ho riportato queste e anche … una bottiglia perché stanotte io … - il silenzio di Oscar lo stava trafiggendo come la più crudele delle spade. Di nuovo gli si presentò il pensiero che quella notte potesse aver sancito il loro distacco definitivo, e che quello fosse il messaggio che Oscar gli avrebbe comunicato di lì a breve.
- Mi dispiace … - mormorò, vinto - … io ti avevo giurato che non … -
Il calore delle dita di lei che si stringevano sui suoi polsi e lo attiravano lentamente dentro la stanza, lo colse impreparato, così come il gesto con cui la percepì richiudere la porta e far girare la chiave nella serratura. Ne ritrovò il profumo, quello in cui si era trovato avvolto al risveglio, conosciuto e misterioso al tempo stesso, e ritrovò la stessa nota sconosciuta che, era certo, aveva percepito nella sua voce la notte precedente, quando lei gli si riavvicinò e posò la mano sulla bottiglia, le lunghe dita bianche a scacciare le sue.
- A me no, non dispiace affatto che sia successo quello che è successo. – mormorò, un sorriso morbido a piegarle le belle labbra.
Rimasero in piedi uno di fronte all'altro, le mani strettamente allacciate sul vetro e gli sguardi fissi sulle reciproche labbra.
– Oscar, io non ricordo tutto, della notte passata. – si ritrovò a ammettere André, ipnotizzato dal ricordo della morbidezza di quella bocca che non era più sicuro di aver solo sognato – Non so nemmeno se ciò che ricordo sia accaduto davvero o sia soltanto un … - ma le parole di Oscar gli spezzarono definitivamente il respiro.
– Per fortuna, invece, io ricordo tutto … – la sentì sussurrare mentre gli toglieva la bottiglia dalle mani e si chinava per posarla sul pavimento, un poco discosta da loro – … e potrei forse raccontarti ogni cosa, se lo volessi. – fece un'ultima pausa e un lampo caldo gli attraversò lo sguardo, quando il vetro della bottiglia toccò il marmo -Ma … niente vino, questa volta. –
 
 
 
Niente più vino è un racconto nato per gioco e il bello è che “gioco” è stato per davvero, quando prendeva forma tra scambi di messaggi ad orari assurdi e anche quando, alla fine, abbiamo pensato che avremmo potuto pubblicarla, nonostante fosse un racconto sopra le righe (o forse sotto, visto il rating e la trama).
Così, di nuovo con tanta leggerezza, sono nate Le due zie: come se due amiche non più adolescenti si fossero sedute ad un tavolino in veranda a fare merenda con una caraffa di tè freddo (per il tè caldo forse non è stagione, non ancora, almeno) e pasticcini fatti in casa, pronte ad offrirne a chiunque ne avesse voluto.
Ci ha piacevolmente stupite la simpatia con cui siamo state accolte, la curiosità con cui in tante hanno giocato con i nostri nomi e, soprattutto, ci ha colpito il rispetto con cui avete accolto il nostro bisogno di essere semplicemente Le due zie.
A tutte, con affetto, il nostro Grazie.
Monica68 e mgrandier
Anzi … zia Monica e zia Maddy
   
 
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