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Autore: Vera_D_Winters    30/09/2017    1 recensioni
Questa storia non so se considerarla una what if, un AU, un... boh.
Comunque sostanzialmente è dedicata al gdr in cui ruolo su facebook, il GDR OnePiece Caffè, quindi troverete citazioni a personaggi OC e alcune modifiche alla storia originale narrata da Eichiro Oda. Spero vi piaccia.
La trama parla di un'isola spaventosa, nascosta da una sorta di triangolo delle Bermuda, che attira a sè non tutti i viaggiatori, ma solo coloro il cui animo è stato toccato da un grave dolore o dall'ombra della morte.
Enjoy
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, ASL, Jewelry Bonney, Marco, Mugiwara
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Jewerly Bonney non era persona da urlare in preda al panico, preferiva cavarsela da sola, preferiva agire indisturbata in incognito... preferiva molte cose. Ma in quella situazione avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, perchè lei desiderava uscire dai guai in quel momento e se serviva urlare e fingersi indifesa lo avrebbe fatto. Non sarebbe stata nemmeno la prima volta, come non era la prima volta che pesanti catene stringevano i suoi polsi, il suo collo e la sua vita esile, ma a quei ricordi, a quei pensieri non voleva cedere. Al timore dei suoi carcerieri non voleva soccombere, perciò meglio cercare nuovamente un modo di tirarsi fuori dai guai. Ed eccola di nuovo ad urlare aggiungendo un po' di disperazione in più al suo grido, giusto per essere più credibile.
L'intrigo e l'inganno erano parte della sua strategia di sopravvivenza, poichè in quel mondo di tiranni e presuntuosi dalla forza sovrumana, troppi sottovalutavano le doti della furbizia e dell'ingegno. Volevano essere tutti leoni e squali, dimenticando quanto invece la scaltrezza di una piccola volpe potesse fare la differenza.
E ad ogni modo, anche se lei difficilmente lo avrebbe ammesso, in quel momento il brivido della paura le si era insinuato sotto la pelle e le aveva accelerato i batti del cuore, perciò chiunque fosse stata la donna che stava urlando improperi al cielo, il suo aiuto sarebbe stato realmente gradito, poichè se davvero coloro che ora la tenevano prigioniera erano coloro da cui giù più volte era fuggita, allora davvero più di ogni altra cosa al mondo lei non desiderava restare laggiù a marcire.
Senza contare che le catene per un pirata, che fossero di kairoseki o meno, erano forse la costrizione e la punizione più dolorosa di tutte.

 

Kidda intanto continuava a imprecare vagando a vuoto, almeno fino al momento in cui non udì forte e chiaro un urlo di donna che chiedeva aiuto. 
Chiuse la bocca e raddrizzò la postura mentre si guardava intorno con aria circospetta e attenta tra l'edera rampicante e l'odore nauseante di dio solo sapeva quali fiori di merda adornavano quel labirinto.
Tra quelle pareti poi, la voce rimbalzava e rimbombava come una dannata pallina da ping pong e lei non riusciva a capire da dove arrivasse, cosa che non solo la stava irritando ancora di più, ma le impediva di trovare la via di uscita che stava cercando da ore, giorni... forse anche mesi. Ormai aveva perso la cognizione del tempo.
"Tappati un po' quella dannata fogna, donna - come se lei non lo fosse - non capisco da dove cazzo stai gridando!"
Allo sbraitare della scarlatta, l'eco di quella richiesta d'aiuto cessò.
Tipo per due secondi o poco più.
"Ehi tu! Ti sembrano questi modi di rivolgerti a qualcuno che ha bisogno d'aiuto? Ma sei stupida o cosa? Invece di urlare fai qualcosa!"
La donna urlante ora non pareva più in panico e il suo tono stava finendo di rendere nero l'umore già pessimo della capitana.
"Perchè non fai tu qualcosa invece? Non mi sembri più tanto spaurita e bisognosa d'aiuto!"
Lo stronza finale non venne pronunciato, ma restò sospeso nell'aria sebbene non fosse stato espresso chiaramente.
Ad ogni modo solo lei poteva mettersi a litigare in un labirinto, con qualcuno fuori dal labirinto, per chi dovesse aiutare chi.
"Ma che genio che sei come ho fatto a non pensarci prima?! IDIOTA! Forse sono incatenata no? Altrimenti mi sarei già liberata da sola, senza chiedere l'aiuto di nessuno, soprattutto di un capitan ovvio come te!"
Kidda ormai era furibonda con quella voce di cui non conosceva nè viso nè nome. Se l'avesse avuta sottomano, quelle catene di cui le aveva parlato glie le avrebbe strette intorno al collo e l'avrebbe strangolata con le sue stesse ma...
Mani.
Come aveva fatto a non pensarci prima? Come??? Era davvero stupida. Stupida Kidda.
"Senti stai zitta ok? Sto arrivando. E prega di essere riuscita a scappare dalla tua prigione, perchè se ti troverò ancora legata quando sarò uscita da qui, ti prenderò a pugni su quel brutto muso che sicuramente ti ritrovi."
Ci fu ancora un attimo di silenzio prima che la sconosciuta riprendesse a insultarla, ma Kidda smise di ascoltare e si concentrò sul rumore dei propri pugni che, con forza inaudita, si abbattevano contro l'alta siepe che la divideva dal resto di quel mondo surreale. Il rimbombo di quei colpi probabilmente si poteva udire anche fuori dal labirinto, perchè anche la donna incatenata non fiatò più. Tornò il silenzio intervallato ritmicamente dal rumore di fronde che venivano smosse e dal respiro accelerato della pirata dai capelli di fuoco.
Se l'uscita non esisteva, se la sarebbe creata da sola, punto e basta.
Era un pensiero quasi suicida quello di sradicare a mani nude un enorme muro, che per quanto fatto di foglie e arbusti, era pur sempre compatto e stagno. Nemmeno l'isola si sarebbe aspettata un risvolto del genere, e fu proprio lo stupore a farle perdere la presa su quell'illusione, che sotto i pugni della capitana cominciò a sgretolarsi.
E fu così che Kidda, un pugno dopo l'altro, cominciò a vedere la luce tra le crepe che si stavano creando nel mezzo della siepe colpita.
E così continuò a picchiare come sapeva fare lei, fregandosene delle nocche dell'unica mano buona ormai sanguinanti, e del metallo scheggiato della protesi.
A costo di perdere entrambe le braccia, sarebbe uscita da lì.


Intanto Ann cominciava a vedere la propria vita scorrerle davanti agli occhi.
Aveva provato a fermare almeno lo scorrere di una parete puntando il pugnale in un angolo sotto di essa, ma come poteva una leva tanto piccola fermare un muro di cemento armato?
Tentò ancora di richiamare le fiamme, le pregò di correre in suo soccorso poichè non voleva arrendersi nemmeno davanti a quella situazione disperata, ma non vi fu nulla da fare. Le sue fiamme non ardevano più. E mentre il suo ultimissimo pensiero correva a Jack, l'uomo che amava e che avrebbe amato anche dall'aldilà, i suoi occhi si chiusero nell'amarezza. 
Schiacciata tra quattro stupide pareti era proprio una fine penosa per Portgas D. Ann.

Tuttavia l'isola non aveva ancora finito con lei, e nemmeno con gli altri uomini approdati per ultimi laggiù. 
Ma se il biondo rivoluzionario per ora se la cavava semplicemente correndo nella fitta foresta proprio come faceva da bambino con i suoi fratelli, deciso a non lasciarsi divorare dall'angoscia e dal timore, imponendosi di trovarli e salvarli in qualsiasi guaio si fossero cacciati quella volta, il capitano degli ormai ex pirati di Barbabianca invece vacillava. 
Il giovane coraggioso avanzava, mentre la fenice soccombeva.
La sala in cui i suoi passi l'avevano condotto non era altro che un laboratorio, un laboratorio della marina a giudicare dalle divise degli scienziati e dei soldati che vi lavoravano, un laboratorio in cui si eseguivano esperimenti su coloro che avevano mangiato un frutto del diavolo di tipo zoan, a giudicare dalle persone dalle fattezze in parte animali, incatenate a lunghi pilastri e alle pareti della stanza. Anche gli arti e altri monconi e pezzi di corpi che galleggiavano in enormi vasche dal vetro trasparente contenenti uno strano liquido verde che doveva essere qualcosa tipo formalina, lasciavano poco spazio ai dubbi.
Tra la rabbia e l'orrore, Marco aveva provato a scagliarsi contro quegli aguzzini, ma si era riscoperto ad avere i piedi incollati al pavimento come se stesse vivendo una specie di incubo ad occhi aperti. Immobilizzato, era stato poi trascinato a forza su un lettino da alcuni marines, ed era stato incatenato. Quel materiale però che gli bruciava i polsi e le caviglie non era kairoseki. Non sentiva il corpo indebolirsi a contatto con quel metallo, anzi, la fenice si agitava maestosa dentro di lui. Quel materiale... quel materiale stava forzando la trasformazione.
Dolorosamente, cosa che mai era accaduta in tutti quegli anni in quanto il suo mutamento era indolore e naturale,  le sue mani cominciarono a divenire artigli, e le fiamme blu solitamente fresche e gentili, ustionavano la sua pelle per uscire fuori e divorarlo.
Si morse la lingua per non urlare, mentre le sue labbra si protendevano e si indurivano nella forma del becco giallo della fenice, mentre gli occhi rimanevano quelli umani del pirata. 
E fu proprio mentre spalancava gli occhi per l'ennesima fitta sofferente che nel suo campo visivo comparvero i volti di Akainu e Teach.

   
 
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