Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: LadyBones    09/10/2017    1 recensioni
Dal testo:
[...] "Quando dice qualcuno intende l'Hydra, non è così?" Mi ritrovai a trattenere il respiro in attesa della sua risposta e, quando finalmente arrivò, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. "No, non semplicemente l'Hydra, ma la loro arma migliore." [...]
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'We Are All Lost Stars Trying To Light Up The Sky'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 
Lei è la mia missione.

Lo avevo sentito pronunciare quelle parole perfettamente, e non riuscivo a togliermi la sua immagine dalla testa. Sapevo fin troppo bene che cosa significasse tutto quello. Era stato un po’ come essere colpita da una di quelle pallottole, senza che attraversasse per davvero il mio petto. Se lo avesse fatto, forse, avrebbe fatto meno male.

Mi reputavo una persona abbastanza intelligente, ma in realtà ero solo una stupida ragazzina che aveva preso a giocare con qualcosa più grande di lei. Avevo voluto cercare Bucky, nonostante fosse una follia, e avevo finito per affezionarmi a lui. Poi, avevo voluto sfidare la sorte viaggiando nel tempo e, adesso, mi trovavo in quel maledetto corridoio a guardare negli occhi qualcuno che, ormai, sembrava essere solo il fantasma di una vita passata. Una vita a cui avevo messo fine io stessa, inconsapevolmente.

Se avessi saputo.

Se solo avessi saputo che era quello il prezzo da pagare, allora, non avrei messo piede in quel maledetto varco temporale. Volevo tornare indietro per guarire il mio cuore malandato, ma avevo semplicemente finito per danneggiarlo più di quanto non lo fosse già.

Volevo che non si dimenticasse di me e, in qualche modo, ci ero riuscita anche se non come avrei voluto.
 
 
 

***

 
 
 
Risulta difficile restare al passo quando le persone che hai di fianco sono dei supereroi. E non dei supereroi qualsiasi, ma degli Avengers. Non riuscivo neanche a ricordare per quale motivo mi trovassi su quel ponte a correre come una dannata, quando avrei potuto essere rilegata nella mai camera a fare qualsiasi altra cosa.

Avrei dovuto ringraziare per quello Fury, peccato che al momento mi fosse impossibile. Mi aveva trascinata in quella situazione surreale e poi aveva deciso di morire – anche lui. Non gli avevo neanche detto che, nonostante tutto, gli ero grata per quello che stava facendo per me. Non che al momento avesse poi così tanto senso, ma da quando lo avevo visto su quel tavolo operatorio ci avevo preso a rimuginarci sopra. Mi sarebbe piaciuto dirglielo, ma ormai sembrava essere troppo tardi.

Non che, al momento, fosse poi così importante quello che pensassi o meno. L’unica cosa veramente essenziale era continuare a correre, cercando di non beccarmi una pallottola nel mentre. Ci ero andata vicina giusto un attimo prima, ma se non ero stata colpita era tutto merito di Sam. Se non si fosse messo in mezzo in tempo probabilmente la mia corsa sarebbe finita in quel preciso instante.

Invece, senza neanche rendermene conto, mi ero ritrovata ad avanzare lungo l’asfalto una falcata dopo l’altra. E, non so come fosse successo – davvero non lo so – ma mi ero ritrovata, senza volerlo, nel mezzo. Un attimo prima Natasha era stata colpita, Steve aveva guadagnato terreno e io mi ero ritrovata a qualche metro di distanza. Ero riuscita ad arrestare la mia corsa appena in tempo, avvertendo quasi bruciare l’asfalto sotto i miei piedi. Quando avevo sollevato lo sguardo davanti a me avevo realizzato che c’era qualcosa che non andava.

Steve era esattamente dove lo avevo visto un attimo prima, Natasha si era riparata chissà dove e Sam stava era rimasto poco più dietro. All’appello mancava solo una persona e quella consapevolezza finì per gelarmi il sangue nelle vene. Mi raddrizzai velocemente, prima di voltarmi. Il Soldato d’Inverno avanzava minaccioso – fucile alla mano – esattamente verso la mia direzione. Deglutii a fatica, avvertendo il cuore battere un po’ più veloce.

Restai a fissare la sua sagoma muoversi lentamente ed era come se ci fosse qualcosa di ipnotico nei suoi gesti perché, per quanto avrei voluto, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. La maschera che indossava gli copriva metà del volto, lasciando scoperto solo un paio di occhi chiari che puntavano nella mia direzione senza vedermi realmente. Avrei dovuto restare e provare a fare qualcosa – qualsiasi cosa – anche se quello significava che probabilmente non ne sarei uscita viva. Oppure, avrei dovuto semplicemente farmi da parte.

In realtà, non feci nessuna delle due cose.

Restai a guardarlo, il capo di poco inclinato, mentre avanzava lentamente. La sua mano continuava a stringere il fucile solo che, adesso, il dito aveva finito per spostarsi lungo il grilletto. Avrebbe sparato, lo sapevo. Esattamente come aveva fatto fuoco contro Natasha eppure c’era qualcosa in lui che mi spinse a concedergli il beneficio del dubbio.

Quattro passi.

Tre.

Due.

Un passo di distanza a dividerci e fu solo allora che mi mossi. Scivolai di lato di un passo, uno soltanto. Lo vidi colmare la distanza che ci separava – le nostre spalle quasi a sfiorarsi. Una semplice frazione di secondo, niente di più, e i nostri sguardi avevano finito per incrociarsi. Per un attimo, avevo creduto di rischiare di essere risucchiata nell’abisso dei suoi occhi, ma non successe. Restai lì, lo sguardo incollato alla sua schiena che si allontanava. Forse, dopotutto, qualcosa di umano - assopito da qualche parte – in quel mostro dagli occhi color cielo doveva ancora esserci.
 
 
 

***

 
 
 
Mi ci era voluto un battito di ciglia e la mano insistente di Tim che mi tirava per un braccio per ritornare alla realtà. Quella specie di trance in cui ero caduta era terminata velocemente, nell’esatto momento in cui avevo realizzato di non potermi fermare. Non con Tim lì con me, nonostante – per un attimo, uno soltanto – avevo persino dimenticato che lui fosse lì con me.

E, lo so – lo so – di essere una persona orribile, ma tutto era successo così in fretta che avevo finito per lasciarmi sfuggire qualche pezzo del puzzle. Dio – a stento ricordavo dove diavolo mi trovassi e la colpa era della comparsa di Bucky. Avevo così tanto sperato di poterlo rivedere ancora una volta, ma non in quel modo. No, decisamente non era questa la scena che mi ero immaginata.

Lenny, non credi che dovremmo quanto meno…

Corri.

Lenny, ma lui…

Posai le mie mani sulle rispettive braccia di Tim stringendo la presa, prima di voltarmi nella sua direzione fissandolo negli occhi.

Corri, e non voltarti indietro per nessuna ragione al mondo.

Sussurrai notando con la coda dell’occhio un movimento dall’altra parte del corridoio.

Non posso lasciarti qui!

Puoi, e lo farai. Non è te che vuole.

Senza aggiungere altro sospinsi Tim pregando il cielo che si desse una mossa prima che fosse troppo tardi. Non ero certa di essere stata così incredibilmente convincente, ma non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando lo vidi correre verso la fine di quello stanzone e poi dritto verso destra. Lo vidi scomparire dalla mia visuale prima di voltare lo sguardo nella direzione opposta. Bucky aveva preso a muoversi lentamente verso di me e per quanto la mia adrenalina fosse ormai alle stelle, era incredibilmente snervante vederlo avanzare lentamente in quel modo.

Era come se sapesse che ero praticamente in trappola e ovunque sarei andata lui avrebbe finito per raggiungermi. Ne ero tristemente consapevole. Era vero, nell’ultimo periodo ero migliorata ed ero quasi riuscita a tener testa agli uomini dell’Hydra, ma adesso non stavamo parlando di semplici soldati. No, stavamo parlando del Soldato d’Inverno. E, per quanto desiderassi essere ottimista, non riuscivo proprio a vedere vie d’uscita. Ciò, però, non voleva dire che gli avrei reso la cosa così semplice.

Fu così che, senza neanche pensarci due volte, presi a correre nella stessa direzione di Tim aspettandomi di udire da un momento all’altro il rumore di uno sparo e il dolore lancinante del proiettile conficcarsi nella mia schiena. Ancora una volta, però, niente di tutto quello successe. Dio – quella situazione mi avrebbe fatto impazzire lentamente. Avrebbe potuto sparare e farla finita lì, invece no.

Corsi a perdi fiato, fino a voltare verso destra. A qualche metro di distanza vidi Tim arrestare la sua corsa. Davanti a lui altri uomini armati dell’Hydra. Lo vidi sollevare le mani per aria, come se davvero quello sarebbe bastato per fermarli dal fargli del male. In quel momento rimpiansi di non aver mai imparato a usare una dannatissima pistola. Dannazione a me e alla mia goffaggine. Velocizzai, così, il passo sapendo che l’indomani avrei rimpianto tutta quella attività fisica – sempre se ci sarebbe stato un domani, pensandoci.

Feci appena in tempo a tirare per un braccio Tim costringendolo a muoversi e girare l’angolo, mentre con una mano lo aiutavo a piegarsi di poco per cercare di evitare i proiettili. Dio – se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. Fu in quel momento, mentre correvamo lungo il corridoio con il pericolo di non uscirne vivi, che realizzai quello che avevo sempre saputo ma che non avevo mai avuto il coraggio di ammettere ad alta voce: le persone intorno a me morivano, continuamente.

Piano piano li vedevo andare via per sempre senza poterci fare nulla e, adesso, rischiavo di perdere un amico perché avevo voluto giocare a fare l’eroe. Fu un po’ come ricevere un pugno al centro dello stomaco. Avvertii il fiato mancarmi improvvisamente, e fui costretta ad arrestare il passo incurante del fatto che dietro di noi ci fossero tre uomini pronti a fare fuoco. Non ci avrebbero messo poi molto ad arrivare, ma io non mi ero potuta impedire di bloccarmi lì in bella vista.

Le mani poggiate alle ginocchia, la testa reclinata in avanti cercando di fare respiri profondi. Sembrava che i miei polmoni non ne volessero sapere niente di collaborare, e il cuore pompava talmente tanto veloce che stavo iniziando a credere che potesse realmente scoppiarmi nel petto. Portai una delle mani all’altezza del petto, cercando di fare qualcosa – qualsiasi cosa – per far passare quel dolore lancinante quando non sentii le mani di qualcuno aiutarmi a sollevarmi. Un secondo più tardi mi ritrovai a fissare gli occhi castani di Tim.

Mi dispiace… sussurrai con quel po’ di fiato che mi era rimasto.

E’ tutto ok, Lenny. Non è colpa tua, ok?

Lo sentì dirmi consapevole che il suo fosse solo un modo per non farmi sentire più in colpa di quanto già non mi sentissi. Entrambi, però, sapevamo quale fosse la verità. Nonostante tutto, mi ritrovai a sorridere appena apprezzando il gesto. Sollevai gli occhi al cielo avvertendoli pizzicare, consapevole che se non fosse stata l’Hydra a uccidermi ci avrebbe pensato un attacco di panico.

Dobbiamo correre, ricordi? Me lo hai detto tu, qualsiasi cosa succeda non dobbiamo fermarci… avanti!

E così dicendo mi ritrovai ad annuire, avvertendo la pressione al petto arrestarsi. Ebbi giusto il tempo di tirare un sospiro di sollievo prima di riprendere a muoverci. Un secondo più tardi – voltatami per sbirciare dietro di noi – i tre uomini comparvero alle nostre spalle. Che non si dicesse che gli uomini dell’Hydra si arrendessero facilmente.

Vidi uno dei tre avanzare più velocemente e sapevo che avrebbe finito per fare fuoco e, questa volta, io e Tim non saremmo stati così fortunati. Mi ritrovai, così, ad arrestarmi di colpo cogliendolo alla sprovvista. Quel suo secondo di distrazione mi permise di bloccargli il fucile e assestargli un calcio all’inguine. Un rantolo di dolore partì dalla sua gola, mentre lentamente si piegava in avanti. Mi bastò strattonare con forza il fucile per riuscire a sfilarglielo dalle mani. Con il calcio dell’arma colpii l’uomo al volto che finì per accasciarsi a terra.

Indietreggiai facendo da scudo tra Tim e gli altri due uomini rimasti ancora in piedi. Puntai l’arma nella loro direzione pregando che fossi in grado, almeno per una volta, di fare la cosa giusta e non mancare il bersaglio. Chiusi gli occhi per un attimo prima di fare fuoco una, due, tre volte. D’accordo, avevo finito per mancarli una volta. La seconda era andata meglio, riuscendo a colpire ad una spalla uno dei due. L’altro aveva finito per beccarsi una pallottola in una rotula. Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatta. E, lo so che non era proprio il momento opportuno, ma non potei impedirmi di sorridere.

E fu proprio in quel momento, mentre stringevo il fucile tra le mani continuando a stare – imperterrita – davanti a Tim, nonostante lui fosse più alto di me, che capii cosa Peggy voleva dirmi in quella lettera. Stavo rischiando la mia vita per salvare quella di una persona innocente che, suo malgrado, si era ritrovata in mezzo a qualcosa di molto più grande di lui. E, sorrisi come una perfetta idiota perché – in quel preciso momento – avevo appena realizzato che quello era esattamente ciò che avrebbe fatto un agente dello Shield.

Indietreggiai continuando a puntare davanti a me, sospingendo Tim per riprendere a muoversi. Il sorriso che avevo stampato in faccia, però, finì per morire molto più velocemente di com’era nato. Un luccichio attirò la mia attenzione e questa volta non si trattava del braccio metallico di Bucky, no. Uno dei due uomini – quello con la rotula ormai andata – stringeva qualcosa tra le mani. Riuscii a capire di cosa si trattasse solo nel momento in cui lo vidi tirare via la linguetta.

Quella non è ciò che penso, vero?

Non ebbi neanche il tempo di rispondere alla domanda di Tim. Non ce ne fu bisogno, in realtà. Una bomba a mano finì per rotolare ai nostri piedi, e avvertii il sangue gelarsi letteralmente.

Ebbi appena il tempo di trascinare via Tim, spingendolo al di là di uno di quegli armadietti usati come ripostigli dagli inservienti. Tutto quello che riuscii a fare fu allontanarmi di qualche metro, ma non così tanto da non subire l’impatto. Avvertii lo scoppio della bomba e il rumore assordante che ne segui, non riuscendo a udire nient’altro se non un fischio prolungato. Lo spazio ristretto non aveva aiutato e avevo letteralmente avvertito l’onda d’urto spostarmi dal punto in cui mi trovavo.

Ricordo di aver impattato contro qualcosa e subito dopo il rumore di vetri. Ero riuscita ad afferrare qualcosa con una mano, ma nel farlo avevo avvertito un dolore lancinante e del liquido appiccicaticcio colarmi lungo il polso. Quando riuscii, finalmente, a scrollarmi di dosso tutto quel frastuono e mettere a fuoco quello che mi circondava, non potei impedirmi di sgranare gli occhi.

L’impatto era stato talmente forte che aveva finito per sbalzarmi fuori dalla finestra, giusto a qualche passo da me. Ero riuscita a reggermi alla cornice in legno, su cui sbucavano ancora pezzetti di vetro. Lentamente iniziavo ad avvertire ogni singola piccola cosa, soprattutto del vuoto che c’era al di sotto di me. Lanciai uno sguardo in direzione del suolo, maledicendomi subito dopo. Un senso di nausea finii per travolgermi e fui costretta a chiudere gli occhi e respirare lentamente. Dovevo cercare di riprendere il controllo della situazione – di per sé già tragica – prima che fosse troppo tardi. Avvertii la mano sinistra cedere appena e piccoli frammenti di vetro conficcarsi ancora di più nella pelle. Con l’altra mano – quella rimasta a penzolare con il resto del mio corpo – cercai di tirarmi su facendomi forza in qualche modo. Riuscivo quasi a sfiorare il legno con la punta delle dita, ma senza riuscire mai ad afferrarlo.

Quindi, dopo tutto quello che era successo, finiva tutto così. Un salto nel vuoto e poi il nulla. Chiusi gli occhi per un attimo cercando di cacciare indietro le lacrime, avvertendo la presa allentarsi sempre di più. Avvertii la paura corrermi lungo tutto il corpo e allora mi sforzai di pensare a qualcosa di felice. Strizzai più forte che potei gli occhi e tutto quello che riuscii a vedere fu il sorriso di mio padre che mi accoglieva a braccia aperte. Una lacrima finì per scivolare via al mio controllo, così come la mia presa.

Fu questione di una frazione di secondo. La mia mano che lasciava andare il legno finendo per stringere il metallo. Aprii gli occhi di scatto, tutto quello che riuscii a vedere furono un paio di occhi chiari che mi fissavano. Tutto quello che mi impediva di precipitare al suolo era la mano di un uomo. 





 

------------------------------
NdA:
Con parecchi giorni di ritardo mi ritrovo a pubblicarvi il nuovo capitolo. Ho cercato di pubblicarlo in tempo, ma purtroppo non mi è stato possibile così ne ho approfittato oggi. Mi spiace per l'attesa, ma spero che ne sia valsa comunque l'attesa. Grazie a tutti coloro che stanno seguendo anche questa storia, spero di poter leggere i vostri pareri. 

A presto,
-LadyBones.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: LadyBones