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Autore: Alison92    13/10/2017    0 recensioni
Susan Winter, ventitreenne dal travagliato passato e da un presente senza attrattive, viene lasciata in tronco dal suo fidanzato Henry. Senza più un lavoro, rimasta sola nella sua grande città e priva di uno scopo per il quale andare avanti, Susan comprende che per lei è arrivato il tempo di ricominciare.
Non crede più nell'amore, non confida che qualcuno possa cambiare la sua situazione, ripartire da sé stessa è l'unico modo che ha per riprendere in mano la sua vita che l'ha trascinata lontano da qualsiasi gioia.
In biblioteca: è qui che Susan intravede la sua opportunità, fra gli scaffali polverosi e nei volumi che fin da piccola aveva adorato.
Fra lettere mai inviate, opportunità sfumate e vecchi sentimenti che non hanno mai abbandonato il suo cuore, Susan incontra le uniche due ancore di salvezza che possono condurla alla felicità: l'amore e la speranza.
"Lettere a uno sconosciuto", quella che reputa una curiosa trovata della biblioteca cittadina per attirare nuovi visitatori, le concede l'opportunità di cambiare vita, di far pace con se stessa e di scoprire che l'amore non è solo una fievole fiamma destinata a spegnersi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La mattina seguente trovò un bigliettino sotto la sua porta, della carta pentagrammata strappata da un foglio adatto per scrivere note ed esercizi di musica. Susan aprì il pezzo di carta senza esitazione, non comprendendo chi avesse potuto lasciarle quel messaggio.

Alle 12 in punto, ti aspetto sotto casa mia

Non era necessaria una firma, Susan riconobbe subito la scrittura di Felix e lui lo sapeva. Erano appena le dieci e mezza, poteva andare in biblioteca e chiamare Ashley nel frattempo. Susan conservò dentro la tasca dei jeans chiari il bigliettino di Felix, con il cuore che già palpitava.

19 Novembre

Mio caro sconosciuto,

sono appena tornata a casa, dopo aver passato la serata con il mio nuovo collega di lavoro. Mi ha portata in un locale dove difficilmente tornerei, ma è stata una serata piacevole. Non puoi immaginare chi ho incontrato lì. Eh già, proprio il vecchio ex che mi ha mollata per qualche avventura passeggera. A quanto pare, adesso è passato alle bionde. Era stretto stretto a una ragazza fin troppo di buona famiglia per lui, ma non m'interessano i loro affari. Sai, ho bruciato, cestinato e stracciato ogni cosa che mi era rimasta di lui dopo la fine della nostra relazione, la rabbia ha preso il sopravvento su tutto il resto. Alla mia furia era scampata solo una foto, una delle prime che avevamo scattato e poi fatto sviluppare, come ricordo. Eravamo davanti al nostro vecchio liceo, dove ci siamo conosciuti anni fa e dove ci siamo incontrati ancora una volta parecchi mesi fa. Eravamo io e lui, a diciotto anni e pieni di vita, con gli zaini blu pesanti sulle spalle e un sorriso stampato sul volto. Indossavo una gonna a quadri giallo pastello e una blusa bianca, era una delle rare volte che andavo a scuola con qualcosa di diverso dai soliti pantaloni o dai miei jeans lacerati. Lui indossava una di quelle camicie che solo lui potrebbe mai aver il coraggio di acquistare, una di quelle che fino a pochi mesi fa conservavo fra i suoi cassetti che odoravano sempre di sapone alla lavanda, perché lui era troppo pigro per serbarseli da sé. Ero così piccola quando abbiamo scattato quella foto, sembrano passati troppi anni, adesso appaio invecchiata e consumata, giudicata da quella diciottenne, come se fosse ancora con me, quella ragazzina ingenua. Devo combattere con ventidue diverse versioni di me ogni volta che mi specchio, ogni volta che prendo una decisione giusta o scorretta. Vogliono tutte avere voce in capitolo, vogliono avere la meglio sulla ventitreesima e dimostrare come siano loro i miei anni migliore, le versioni migliori di quella che sono adesso.

Quindi, quando ho deciso di risparmiare quell'unica foto, tutte si sono ribellate, chiedendomi di sfogare la mia furia anche su quell'ultimo ricordo. La più vecchia, che in fin dei conti è solo la più giovane e inesperta, ha deciso di conservarla per tempi migliori, per quando l'avrebbe potuta guardare con il sorriso sul volto, lo stesso smagliante sorriso che aveva quella diciottenne. Questa notte ci sono riuscita, ho messo a tacere tutti i miei riflessi smarriti e ho visto la ventunesima sorridere con me, ridere della nostra stupidità. Caro sconosciuto, adesso sono libera e guardo al futuro, guardo a chi è nel mio cuore adesso e a chi ci rimarrà.

Li ho seppelliti tutti, i miei morti viventi del passato, mi rimane un ultimo resistente ricordo sfumato che non vuole lasciarmi. Io ci ho provato, ma non è qualcosa di fattibile, non posso solo lasciare cadere la terra sulla sua bara semiaperta. Ti lascio con questi versi, vorrei averli scritti io, ma non me ne posso vantare.

Cosa potrei mai compiere,

quando anche le sorelle stelle

mi sono avverse?

Quanto potrei arrivar a dire,

senza che siano svalutate

le mie parole?

Non è solo la pelle che reclama

il tuo unico tocco,

è la mia anima a desiderare

che la tua resti per sempre.

Susan lesse e rilesse la sua lettera, sorridendo all'inchiostro che la sera prima aveva inciso sulla carta che custodiva caramente sulla sua scrivania in legno chiaro. La biblioteca era la sua prossima abituale destinazione.

Quando arrivò davanti al portone della casa di Felix, erano le 11.52, ma attese qualche minuto aggiuntivo, mentre tentava di far calmare il suo cuore e tenere sotto le redini la curiosità. Si specchiò sullo schermo scuro del telefono, sperando che i suoi capelli fossero in ordine. Passò un velo di gloss sulle labbra scarlatte morse e tormentate dai suoi canini e ravvivò i capelli castani. Suonò al campanello di "Harvey" e attese. Nessuna risposta, dovette attendere altri due minuti di pazienza per veder spuntare Felix dal portone.

-Sempre in perfetto orario Susie.

-Allora, come mai quel bigliettino?

-Perché voglio portarti in un posto che sono sicuro gradirai.

Susan piegò la testa di lato e fissò Felix con un sorriso.

-Già stanco delle nostre lezioni?

-Non potrei mai stancarmi di quelle.

Felix non le lasciò aggiungere altro e si diresse verso la sua automobile.

-Dove andiamo?

-Da qualche parte.

Susan salì sull'auto e allacciò la cintura, poi si voltò nuovamente verso Felix.

-Da qualche parte dove?

-Winter, mettiti comoda e smettila di fare domande.

Susan si appoggiò al sedile e fissò lo scorcio della città caotica dal finestrino, sbuffando e cercando di comprendere dove Felix l'avrebbe portata. Le strade che imboccarono le erano poco familiari e in breve tempo non comprese in che direzione stessero andando. Lasciarono la città, le macchine che percorrevano le nuove strade extraurbane erano di minor numero e Susan scandagliò con lo sguardo i primi alberi che costeggiavano la via.

-Allora?

-Susie, perché tutta quest'impazienza di sapere dove stiamo andando?

Susan sorrise e non aggiunse altro, Felix non le avrebbe rivelato nulla.

-Parlami invece di come va al ristorante.

Come di consuetudine, Felix aveva dirottato la conversazione a lei. Susan si era stupita quando Felix l'aveva portata nel suo appartamento, era certa che volesse nasconderle anche il luogo in cui abitava. Le aveva rivolto il meraviglioso gesto di starle vicino, di non lasciarla nel momento in cui aveva più bisogno. Felix aveva sentito la sua sofferenza e l'aveva compresa fino in fondo, Susan non poteva che essere grata di questo. La silenziosa conversazione dei loro sguardi era giunta fino a quel punto, le parole spesso erano effimere nei loro dialoghi.

-Perché per una volta non sei tu a parlare?

Felix le raccontò del pub, di come era noioso quel lavoro che rendeva abbastanza per permettergli di vivere in maniera dignitosa. Inoltre, grazie alla casa che sua nonna gli aveva dato, poteva permettersi di risparmiare qualcosa per il futuro. Felix era un tipo che al futuro ci pensava eccome, nulla da dire su questo. Aveva organizzato scrupolosamente i suoi prossimi due anni, lo aveva sempre fatto fin da bambino, perché sperava che qualcosa mandasse a monte tutti i suoi piani. Gli imprevisti erano ben accolti nella sua vita, rendevano tutto più interessante e conferivano un sincero valore alle sue giornate. Felix rimase molto vago sugli imprevisti che erano spuntati come funghi nella sua vita e rimase altrettanto velata la sua prospettiva per il futuro. Furono ben poche le rivelazioni su di lui che Susan riuscì a strappargli.

-Siamo arrivati?

Chiese Susan appena lui finì di parlare.

-Non ancora.

Felix sorrise sentendo il tono impaziente di Susan e intavolò una nuova discussione che poneva al centro lei. Il viaggio durò per altri venti minuti, poi Felix si addentrò con la sua automobile blu in una stradina campagnola con un selciato composto di pietre irregolari e un prato rigoglioso. Si fermò in una distesa di verde, nella campagna disseminata di qualche rado albero e ricolmo di fiori.

-Le giornate di sole qui sono sempre state rade, quindi non potevo che approfittare del clima di oggi.

Felix scese dall'auto e si diresse verso il portabagagli, dove Susan intravide uno di quei cestini da pic-nic in vimini che da piccola le avevano regalato. Lei non lo aveva mai usato per tramezzini o dolci, il cestino fatto di giunchi era stato riempito con un servizio da tè in porcellana fiordaliso e qualche orsacchiotto in miniatura che rischiava di perdere, se lasciati incustoditi. In quello di Felix, si trovavano invece panini dolci ripieni con marmellata ai frutti di bosco, crocchette dall'odore allettante e carote arricchite da spezie.

-Hai cucinato tutto questo?

Si meravigliò Susan, aiutandolo a stendere un plaid scarlatto sull'erba smaltata di verde.

-In realtà non ho fatto io la marmellata, ma comprendimi Winter, non ho avuto la possibilità di trovare frutti di bosco freschi.

Susan scoppiò a ridere e si stese sulla coperta, fissando lo sguardo su Felix, che tranquillamente armeggiava con posate e piattini.

-Ci venivi da piccolo, vero?

Gli chiese e afferrò uno dei piatti che lui le porse. Felix indugiò prima di rispondere e tenne gli occhi sul cestino ricolmo di cibo.

-In realtà si. Prima che arrivasse l'inverno, la migliore giornata d'autunno la passavo con la mia famiglia qui. È stato molto tempo fa, non ho che pochi ricordi di questo posto.

Susan annuì e iniziò a mangiare, incapace di distogliere lo sguardo da Felix. La giornata era mite, ma il freddo autunnale era onnipresente in quei giorni. Un venticello si era alzato in quelle settimane e Susan si strinse nella sua giacca nera, la quale prima d'essere sua, era stata indossata per qualche mese da Ashley, che l'aveva ceduta all'amica dicendole che sarebbe stata meglio indosso a lei. Avrebbe volto stringersi a Felix, permettere che il calore della loro pelle si fondesse e rimanere accanto a lui fino al termine di quella giornata.

-Grazie, ho apprezzato ogni cosa di questo giorno.

Gli disse, con un filo di voce appena ebbero finito di mangiare. Felix si raggomitolò contro lo spesso tronco di un albero e Susan gli venne vicino.

-Perché mai Susan? Volevo solo passare qualche oretta qui insieme a te, l'ho fatto anche per me. 

Susan gli diede un colpetto sulla spalla e si appoggiò all'albero imitandolo. Rimase per qualche secondo a osservare la curva delle sue labbra, le ciglia che si piegavano pacatamente e la rada barba bionda che gli ricopriva la mandibola. Henry, chi era Henry? Fissava Felix e la sua mente era sgombra da qualsiasi altro pensiero estraneo a lui. Felix non si voltò verso di lei, socchiuse gli occhi e rimase in ascolto del vento che trascinava lontano foglie e ricordi, senza curarsi di nient'altro. Lei rimase accanto a lui, tentando d'imprimere nella sua memoria l'immagine di Felix per sempre. Per quanto il destino avrebbe mai potuto volerli dividere, Susan avrebbe conservato in eterno un frammento di lui.  

  
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