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Autore: LyaStark    18/10/2017    3 recensioni
C'è qualcosa di oscuro all'opera nel villaggio di Briar, una bestia che sembra uscito dai peggiori incubi della popolazione. L'unica possibilità di salvezza è chiamare un Cacciatore, un membro di un'antica razza detestata e ormai quasi scomparsa, il cui compito è sempre stato uno solo: uccidere ciò che di mostruoso c'è al mondo.
Ma a volte i veri mostri non sono quelli che ci si aspetta.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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WHAT KIND OF MAN
 
PLENILUNIO
 
“I'm only a man with a chamber who's got me,
I'm taking a stand to escape what's inside me.
A monster, a monster,
I've turned into a monster”
Monster, Imagine Dragons
 
La giornata iniziò in modo frenetico. Cenere si era alzata con l’alba, sentendo già rumori e tramestii nella casa del podestà. Uscita dalla sua stanza vide Galata che correva da una parte all’altra, seguita da Arn che cercava di calmarla e convincerla a sedersi. Dalle parole che i due si sparavano addosso, Cenere capì che molti quella sera si sarebbero riuniti nella casa del podestà, per affrontare insieme la lunga notte che li aspettava.
La Cacciatrice si vestì con calma, sapendo che quel giorno lo avrebbe dedicato a preparare le sue armi e le sue tattiche. Non avrebbe più fatto ricerche. Al calare del sole si sarebbe appostata davanti alla casa di Will e avrebbe aspettato che si trasformasse. Poi lo avrebbe ucciso.
Quando uscì la prima cosa che sentì fu l’odore di neve nell’aria. Il cielo era di un poco rassicurante color piombo, il sole una macchia nascosta dalle nuvole. Cenere si strinse di più nel mantello, respirando a fondo. Le era sempre piaciuta la neve, le ricordava casa.
Prima che i ricordi si facessero troppo dolorosi si strinse nelle spalle e si diresse verso la forgia del fabbro.
 
▪▪▪
 
Il sole stava rapidamente calando oltre le montagne e la luce stava svanendo in fretta. La neve fredda cadeva dal cielo e si depositava sul viso di Cenere, immobile e nascosta nell’ombra davanti alla casa di Will. Era vestita completamente di nero e indistinguibile, nella luce morente, dal muro scuro dietro di lei.
La spada le pendeva al fianco, affilata e rimessa a nuovo giusto quella mattina. L’elsa di cuoio nero si adattava perfettamente alla sua mano, le rune degli Haris la percorrevano recitando il motto della sua famiglia, che Cenere sapeva riconoscere anche solo al tatto: “dovere, onore, gloria”.
Quella spada era destinata a lei da quando era nata. Alla nascita di ogni Haris veniva forgiata una lama per lui e i fabbri della Torre di Guardia non avevano mai sbagliato una misura. Non sapeva dove suo padre avesse trovato uno dei maestri in grado di fare quel lavoro, ma la sua spada era un piccolo capolavoro. Non se ne sarebbe mai separata, non volontariamente.
Alla cintura era attaccata la Sfera, nascosta in un sacchetto di tessuto scuro che faceva intravedere una debole luce rossastra, tiepida e pulsante. Alla coscia e al fianco portava pugnali dalla lama argentata, a tracolla un arco nero lucido d’olio.
Cenere non era mai stata molto religiosa, gli Dei degli Haris l’avevano abbandonata tempo prima, quando avevano permesso che l’ira del mondo si abbattesse sulla sua gente. Non aveva fiducia in niente se non in sé stessa e non aveva preghiere da recitare, nessun cielo da implorare affinché si prendesse la sua anima se fosse morta quel giorno. L’unica consolazione che l’idea della morte le portava era il pensiero di poter finalmente rivedere suo padre.
Si calcò meglio il cappuccio sulla testa, sentendo i fiocchi di neve depositarsi lievi sul tessuto spesso. Guardava verso la porta di Will con attenzione, pronta a scattare ad ogni minimo segno. Aveva preparato una trappola davanti alla casa, abbastanza discreta da non essere vista ma sufficiente per intrappolare il mostro. Non avrebbe dato tempo al Lupo di notarla e di acquisire la sua forma completa: l’avrebbe ucciso non appena si fosse trasformato, quando la sua forza era minima. Se fosse caduto nel suo tranello, finirlo sarebbe stato ancora più facile.
Spostò lo sguardo sul sole, coprendosi gli occhi con la mano. Ormai era interamente sparito dietro agli alberi, lasciando dietro di sé solo una tenue luce aranciata. Dall’altro lato solo il buio. Nel giro di qualche minuto sarebbe sorta la luna piena.
Cenere si spostò dal muro a cui era appoggiata, mettendosi in posizione. La mano era ferma sull’elsa della spada. Poi sentì un rumore alla sua destra.
La Cacciatrice si girò di scatto, sguainando la spada. Davanti a sé, nel buio della notte che avanzava, c’era una figura che correva per la strada. A ogni passo sollevava una nuvola di nevischio.
Cenere riconobbe subito quella sagoma e le corse incontro.
– Arn! Vattene subito da qui! –
Il figlio del podestà non la ascoltò e si fermò solo quando la raggiunse, chinandosi con le mani sulle ginocchia e riprendendo fiato. Ansimava.
– Liam… –
– Torna a casa! –
Arn deglutì, ansimando forte. – Liam è stato trovato lontano dal villaggio il mattino dopo il plenilunio! Deve aver visto il Lupo vicino alle porte! –
– E quindi? Arn non c’è tempo, non restare qui! –
Arn la scosse per le braccia. – Stava scappando Cenere! Era strano quando gli abbiamo parlato, ci deve aver nascosto qualcosa! Lui sa chi è il Lupo! –
Cenere si bloccò, mentre molti piccoli tasselli tornavano al loro posto.
– Torna subito a casa Arn – disse rapida, prendendolo per le spalle. – Scappa e non ti fermare! –
Poi si girò e corse, corse come non aveva mai fatto prima fino a casa di Liam.
Quando arrivò non si fermò a pensare, abbatté la porta con una spallata, precipitandosi dentro. Il grosso boscaiolo era seduto davanti al focolare dentro un cerchio di zolfo. Cenere lo prese per la camicia e lo sbatté contro la parete più vicina, il braccio puntato contro la gola.
– Cosa hai visto la notte di luna piena? – ringhiò a pochi centimetri dal viso di Liam.
– Te l’ho detto – boccheggiò l’uomo.
Cenere aumentò la pressione. – Non prendermi in giro! Cos’hai visto? –
Il viso del boscaiolo si fece paonazzo. – Te lo dirò, te lo dirò! – ansimò.
Cenere allentò la presa e Liam si accasciò sulla parete, annaspando.
– Muoviti! –
– Ho visto il Lupo, inseguiva Mary e Jake nel bosco! Lei correva, piangendo, e urlava – il boscaiolo stava singhiozzando.
– E tu sei scappato – Cenere avrebbe avuto picchiarlo.
– Era enorme, ho avuto paura! L’avrebbe fatto chiunque! –
Cenere capì che c’era qualcos’altro. – Cosa urlava lei? –
Liam chiuse gli occhi, le lacrime luccicavano sulle sue guance. – Urlava: “siamo noi Luke. Non ucciderci.” –
Cenere sentì il cuore sprofondarle nel petto. Luke Anderson era il Lupo Mannaro e lei aveva preparato una trappola per la persona sbagliata. Si sarebbe occupata di Liam più tardi, ora aveva altri problemi.
– Mi fai schifo – ringhiò mentre si girava e correva fuori dalla casa. La prima cosa che vide fu la luna piena, la prima cosa che sentì fu l’ululato. Quel rumore le fece gelare il sangue nelle vene. Brividi le corsero sulla pelle e una parte di lei desiderò girarsi e scappare via da lì, lontano da Briar e dai suoi orrori. Invece deglutì e sguainò la spada, mentre l’odore di sorbo le invadeva le narici. Sperò che Arn fosse riuscito a tornare a casa.
Si mise a correre verso la casa degli Anderson. Le sembrò di metterci un’eternità a spostarsi, anche se sentiva il ritmo del suo cuore rombarle nella testa e il sangue pompare nelle vene. Quando girò l’ultimo angolo, affannata, si bloccò di colpo. Davanti a lei c’era il Lupo.
Era enorme. Acquattato in mezzo alla strada, il muso rivolto verso la luna. Era ricoperto di pelo folto e ispido, marrone scuro, che faceva come una criniera attorno al collo. Gli artigli delle zampe erano lunghi quanto le mani di Cenere. L’ululato le perforò i timpani e fece vibrare i vetri delle finestre lì vicine. Cenere si sentì minuscola e, forse per la prima volta in vita sua, impotente.
Appena il Lupo la fiutò si girò verso di lei. La Cacciatrice si sentì come paralizzata mentre gli occhi di fuoco del Lycan si fissavano su di lei. Un ringhiò basso fuoriuscì dalla gola del mostro, che ritirò le labbra scoprendo denti bianchi e affilati come rasoi. Un filo di bava gocciolava lento per terra. Cenere emise un respiro tremante mentre il Lupo si acquattava e iniziava ad avanzare verso di lei. Poi chiuse gli occhi, si girò e si mise a correre.
Corse come non aveva mai fatto prima, lanciandosi come un fulmine verso le più vicine porte del villaggio. Sentiva i muscoli bruciare mentre sfruttava tutta la forza e velocità che gli Dei avevano conferito agli Haris.
Dietro di sé sentiva i ringhi e i latrati del Lupo. Avvertiva nella vibrazione del pavimento i passi del Lycan e non sapeva se era solo la sua immaginazione ma poteva quasi percepire il calore del suo fiato sul collo. Cenere corse a zigzag tra le case, vedendo la neve salire in spruzzi bianchi ai lati del suo campo visivo.
Si fidò del suo istinto quando le consigliò di buttarsi in una strada laterale. Vide a malapena l’enorme zampa fendere l’aria dove fino a poco tempo prima c’era la sua testa. Rotolò di lato e si rialzò senza interrompere il ritmo della corsa. Sentì l’ululato rabbioso del Lupo rimbombarle nelle ossa mentre l’enorme animale sbandava sulla neve bagnata.
Cenere poteva vedere le porte del villaggio davanti a sé, spalancate come aveva chiesto a Bandicus. Le oltrepassò veloce come il lampo, picchiando il tacco degli stivali sulla strada al di fuori di Briar. Sapeva che se fosse scivolata sarebbe morta ma non poteva permettersi cautela.
Corse verso gli alberi, sapendo che difficilmente avrebbe potuto ingannare il Lycan, non con il suo fiuto. L’avrebbe sentita sempre e comunque. Cenere aumentò il passo, non sapendo nemmeno lei dove trovò le forze per quello scatto. Scivolò sotto un ramo spesso e basso, lasciandosi quasi cadere. Si ritirò su in un lampo, sapendo che il Mannaro non si sarebbe fermato.
Aveva passato la mattina nel bosco con pochi uomini, scavando e preparando trappole. Le aveva disseminate per il bosco, nella speranza di riuscire a guidarci il Lupo. Era lì che si stava dirigendo di corsa.
Quando finalmente vide il drappo rosso che avevano messo quel mattino pendere da un ramo non potè trattenere un gemito di sollievo. Sentiva l’odore del sorbo talmente forte che le girava quasi la testa e poteva percepire l’ansimare pesante della bestia. Saltò scavalcando la fossa di terra smossa appena in tempo.
Sentì lo scatto delle mandibole del Lupo smuovere l’aria a pochi centimetri da lei mentre si catapultava sul terreno sicuro. Atterrò dopo un salto di quattro metri rotolando scomposta, ciuffi di capelli neri davanti agli occhi. Si girò giusto per vedere il Lycan precipitare nella fossa profonda e sui pali acuminati che spuntavano dal fondo.
Il Licantropo lanciò un ululato lancinante, sofferente. Cenere si avvicinò piano al bordo, mentre il dimenarsi del Lupo faceva quasi tremare i tronchi degli alberi lì vicini. La bestia si contorceva, facendo sì che i pali di legno scuro gli si infilassero ancora più a fondo nella carne.
Nei suoi piani originali, Cenere avrebbe dovuto tirare fuori l’arco di legno scuro, incoccare una freccia e mirare alla testa del Lycan. Ma adesso, guardandolo, osservando il pelo macchiato di sangue e gli occhi infuocati rivolti verso i rami degli alberi e contratti in una smorfia quasi umana di sofferenza, non ne aveva più il coraggio.
Luke Anderson aveva ucciso sua moglie e suo figlio in una trasformazione, non si meritava di morire come un cane in una fossa. Era vittima di qualcun altro, qualcuno che doveva odiarlo talmente tanto da renderlo l’artefice della propria sventura. Se c’era qualcuno che meritava di morire, era il pastore. Cenere giurò su sé stessa che l’avrebbe fatto, che avrebbe scoperto chi fosse e l’avrebbe ucciso.
Prese una decisione. Avrebbe finto di uccidere il Lupo, quella notte. L’avrebbe seguito, assicurandosi che non tornasse al villaggio e avrebbe aspettato che si ritrasformasse. Poi avrebbe cercato di capire chi potesse essere il pastore e quando sarebbe successo… nessuno avrebbe potuto salvarlo.
Prese la Sfera dalla cintura e se la portò vicino alle labbra. Poi mormorò le parole dell’incantesimo e una luce azzurrina si liberò attorno a lei, rischiarando per un istante la notte. Immediatamente il suo odore svanì. Era una magia che le aveva insegnato uno stregone anni prima, in uno dei suoi vagabondaggi per Orane, il regno degli elfi. Le era stato utile in innumerevoli frangenti e quella volta non faceva attenzione.
Cenere sapeva come muoversi in silenzio e veloce, ma non poteva nascondere il suo odore non più di quanto poteva farsi sparire una mano. Con quell’incantesimo però, a meno che il Lupo non l’avesse vista o sentita, non avrebbe potuto trovarla. La Cacciatrice si allontanò dalla fossa, lasciando il Lycan alla sua sofferenza. Si spostò verso un albero poco lontano, arrampicandosi su un ramo alto. Da quella posizione poteva vedere la fossa senza che il Mannaro la scorgesse.
Cenere si accoccolò meglio nella sua casacca invernale, sapendo che avrebbe dovuto combattere con il freddo in quella lunga notte. Sentiva il sudore che le si gelava addosso, generando brividi freddi e pelle d’oca. Emise un respiro tremante mentre si sfregava le mani. Sarebbe stata una lunga attesa fino al mattino.
Aspettò a lungo, per ore e ore, cambiando ogni tanto posizione ma senza allontanarsi mai dalla sua postazione. I ruggiti del Lupo si erano fatti sempre più flebili e ormai c’era solo un guaito costante a farle compagnia. Poi, improvvisamente, il silenzio tornò a stagliarsi sulla foresta.
Cenere si fece improvvisamente guardinga, sporgendo in avanti il collo per cercare di guardare meglio nella fossa. Che il Lupo fosse morto?
I suoi pensieri furono interrotti da un ringhio fragoroso e dal rumore del Mannaro che saltava sul bordo della fossa, aggrappandosi con gli enormi artigli delle zampe posteriori. Poi, in un attimo, il Lycan fu fuori.
Zoppicava vistosamente e strisce di sangue fresco gli colavano sulla pelliccia, sporcando di rosso la neve. Si allontanò dalla fossa camminando piano, la coda bassa. Cenere provò pietà per lui, per l’uomo che c’era sotto il mantello da Lupo e che era costretto a vivere tutto quello suo malgrado.
Prima che il Lycan si allontanasse troppo nella foresta la Cacciatrice scese dall’albero, atterrando elegantemente sul suolo ghiacciato. Si sentiva le ginocchia bloccate dal freddo e i piedi intirizziti, ma non poteva permettersi di fermarsi. Iniziò a camminare piano, osservando con attenzione il terreno sotto di lei. Quando prese un po’ più di fiducia si mise a correre piano, tenendo d’occhio la grossa sagoma del Lupo davanti a lei. Si nascondeva dietro i tronchi degli alberi, attenta a non fare il minimo rumore.
Alzò gli occhi per osservare la luna. Stava calando lentamente e in poco tempo la notte sarebbe finalmente finita. Cenere si lasciò scappare un sorriso ma si corrucciò quando notò una sottile differenza nell’aria. Poi si rese conto di quello che stava sentendo: il suo odore, fino a quel momento scomparso e di cui non era mai stata così consapevole, era tornato a presentarsi alle sue narici.
Merda.
La Cacciatrice si bloccò istintivamente mentre il Lycan si girava come un lampo, fissando gli occhi su di lei e iniziando a ringhiare. Poi scattò.
Cenere sguainò la spada e si preparò all’impatto. Sentì il tempo rallentare e fermarsi mentre il Lupo Mannaro le correva incontro con le fauci spalancate e gli occhi infuocati. Il suo respiro divenne calmo, la presa sulla sua arma meno tesa e più disinvolta. Divenne consapevole di ogni cosa accanto a lei: degli alberi alti, della neve friabile, della notte scura e delle stelle brillanti sopra la sua testa.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare, diventando un essere di puro istinto. Si chinò abbassandosi a terra lasciando che il Lupo le balzasse sopra, superandola. Si girò veloce e colpì, facendo saettare la spada. Registrò l’ululato di dolore e si lanciò più avanti, schivando una zampata feroce e letale. Estrasse il pugnale dalla cintura e con un momento fluido lo piantò nel fianco del mostro, indietreggiando subito dopo ed evitando i suoi denti per un soffio.
Il Lycan si fermò per un attimo, prendendo a girarle attorno. Cenere lo seguiva con lo sguardo e con il corpo, gli occhi asimmetrici fissi in quelli di bragia della belva. Poi il Mannaro le saltò addosso e lei fu costretta a parare, ma fu di un secondo troppo lenta: il Lupo le cadde addosso, schiacciandola al suolo, le fauci chiuse attorno al braccio che aveva alzato per proteggere il viso e il collo dall’attacco. Cenere perse tutto il fiato di colpo mentre sentiva i denti dell’animale chiudersi attorno al metallo incantato del bracciale che le proteggeva il braccio.
La spada era incastrata da qualche parte tra i due corpi e Cenere la lasciò andare, proprio nell’istante in cui il Mannaro alzava il muso e si preparava ad azzannarle il viso, tenendola schiacciata al suolo con il suo peso. Prese alla cieca uno dei pugnali che portava alla cintura e, prima che il Lycan potesse ucciderla, glielo infilò nel petto.
Il Mannaro si allontanò con un guaito di dolore, dimenandosi per togliere la lama che era rimasta incastrata nella sua carne. Cenere si alzò faticosamente in piedi, recuperando la spada e ingollando grosse sorsate d’aria. L’avambraccio sinistro le bruciava follemente. I denti del Licantropo avevano superato il metallo incantato entrando nella sua carne e ora sentiva il sangue caldo colare giù lungo il braccio fino alla mano.
Alzò lo sguardo appena in tempo per vedere il suo pugnale che veniva lanciato in aria dal Lycan, un secondo prima che questo si abbattesse di nuovo su di lei. Questa volta era pronta, nonostante la testa le girasse: si abbassò schivando la zampata, tracciando una linea purpurea sull’addome della bestia. Il mostro ululò di dolore, un grido quasi umano nella sua sofferenza e piombò a terra vicino a lei. Il Lupo fece scattare le mascelle cercando di azzannarla e Cenere indietreggiò rapida, sentendo lo schiocco delle mascelle.
Il Mannaro ansimava, ricoperto di sangue. Il suo torace si alzava e si abbassava frenetico quasi quanto quello di Cenere. Le orecchie erano abbassate sul cranio, i denti scoperti in un ringhio spaventoso. Teneva una zampa sollevata, vicina al corpo.
– Luke, so che sei lì dentro – la Cacciatrice sapeva che era inutile, ma ci provò comunque. – Tu non sei così. Tu non sei questo. –
Il Lupo ringhiò, facendo scattare le mascelle.
– Luke, ascoltami – mormorò ancora Cenere. – Non sei obbligato. Resisti. –
Il Mannaro tirò su la testa, piano. Le labbra scesero a coprire i denti, le orecchie si alzarono. Si fermò, guardando Cenere.
La Cacciatrice non credeva a quello che vedeva. – Sì, così. Resisti. –
Il Lupo appoggiò piano la zampa ferita per terra, inclinando il capo. C’era una profonda intelligenza nei suoi occhi e per un istante a Cenere parve di vedere quelli scuri e affranti di Luke Anderson.
La Cacciatrice abbassò la spada.
Il Mannaro scattò ringhiando, 300 chili che coprirono in meno di un secondo la distanza che li separavano da Cenere.
La Cacciatrice però sapeva già cosa sarebbe successo. Aspettò fino all’ultimo istante, fino a quando non potè distinguere le pupille nere negli occhi della bestia. Poi, leggera come un alito di vento, si spostò verso la zampa ferita e vide lo spazio del torace dove c’era il cuore del mostro. Era una questione di secondi. Alzò la spada, pronta a lacerare carne e ossa e muscoli, e… esitò.
Rimase ferma, un secondo di troppo, bloccata dal pensiero dell’uomo sotto a quel mostro. Al Licantropo quell’attimo bastò. Le morse il braccio della spada e con uno scatto della testa fece volare Cenere per tre metri, come se fosse una bambola di pezza. La Cacciatrice si schiantò contro un albero, rovinando al suolo come un mucchio di stracci.
Capì subito di avere il braccio slogato e almeno tre costole rotte. Cercò di rialzarsi ma l’impatto le aveva tolto il respiro e annebbiato la vista, mentre sentiva come un centinaio di campane suonare nella sua testa. Tossì sentendo male ovunque, mentre cercava di rialzarsi.
Il Lupo le si avvicinò con la calma tipica del predatore. Calò il muso su di lei, annusando profondamente. L’odore di sorbo fece girare la testa di Cenere, mentre pallini neri si dileguavano dal suo campo visivo. Cercò la spada e non la trovò.
Il Lupo alzò la testa e scoprì i denti, la lingua rossa che rotolava fuori dalle fauci.
Cenere prese la Sfera dalla cintura e sperò che dentro ci fosse ancora uno sprazzo di magia. La alzò alta sopra la testa, tenendola in alto con la mano sanguinante.
Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo: – ANCALIMA! –
Fuoco.
Una fiamma divampò dalla sua mano, facendo scogliere la neve attorno a lei. Alcune ciocche di pelo nerastro del Lupo presero fuoco e la bestia indietreggiò frenetica, rotolandosi nella neve.
L’ultima cosa che Cenere vide oltre la cortina rossa delle fiamme fu il Mannaro che scappava nella foresta.
Poi svenne.
 
 
▪▪▪
 
Quando Cenere si svegliò il sole stava sorgendo dietro la cima delle montagne. Appena si mosse sentì dolore ovunque. Sputò un grumo di sangue per terra mentre cercava di mettersi seduta, facendo un conto dei danni. Il braccio le pendeva inerte al fianco, la clavicola era rotta come probabilmente anche l’omero. Era un miracolo che il Lupo non glielo avesse strappato via. Aveva male a respirare e un rapido esame rivelò quattro coste fratturate e almeno una incrinata. Aveva innumerevoli tagli e lividi, più di quanti potesse contare.
Attorno a lei c’era una pozza di sangue ormai congelato, ancora rosso nella luce rosata dell’aurora. Cenere si alzò piano in piedi, appoggiandosi al tronco dietro di lei. Le girava la testa follemente e rischiò di cadere di nuovo. Trattenne un gemito di dolore mentre prendeva un respiro profondo, rilasciando poi tramando l’aria.
Quando riaprì gli occhi vide la sua spada che luccicava poco distante. Fece qualche passo di prova, rendendosi conto di essere fortunata ad avere ancora le gambe integre e soprattutto di essere ancora viva. Prese un sorso d’acqua dalla borraccia che aveva a tracolla, sputando poi acqua rosata per terra.
Se non fosse stata una Haris sarebbe morta. La sua razza aveva riflessi più vividi, muscoli più forti e ossa più resistenti di qualsiasi uomo. Anche così, contrastare il Lycan le era quasi costato la vita. Gli uomini che aveva ucciso non avevano avuto scampo.
La Cacciatrice si avvicinò alla sua spada e si chinò piano, prendendola nella mano ancora viscida di sangue tiepido. Poi, zoppicando lievemente, si incamminò verso il villaggio di Briar.
 
▪▪▪
 
Il villaggio era ancora addormentato e le case trasmettevano un senso di calma nella loro immobilità. I camini lasciavano uscire uno spesso fumo grigio verso il cielo terso. Le finestre erano buie, le porte sprangate.
L’unica cosa che rovinava quel quadro idilliaco era Cenere. Procedeva zoppicando piano, la spada che le penzolava al fianco. Il braccio le pendeva al fianco in una posa innaturale ma la Cacciatrice aveva un’aria determinata sul volto. Sul terreno spiccavano tracce di sangue, rosso brillante contro il bianco della neve.
Quando arrivò alla casa degli Anderson, non fu sorpresa di trovare la porta socchiusa. Il sangue conduceva fino al portico e macchiava il pomello, spiccando cremisi e visibile come un segno distintivo.
Cenere sguainò la spada, anche se pensava che non ne avrebbe avuto bisogno. Salì i tre gradini e aprì piano la porta, sentendola cigolare sui cardini.
– Luke? – chiamò titubante.
Solo il silenzio le rispose.
La Cacciatrice si sporse, guardando nella stanza. Rimase ferma per qualche istante, poi fece un lungo sospiro e mise via la spada. Chiuse gli occhi e, cercando di sopprimere quella sensazione di impotenza che le stava crescendo dentro, entrò nella casa.
Nel centro del salotto, appeso per il collo alle alte travi del soffitto, c’era Luke Anderson. Sotto di lui la sedia rovesciata che aveva usato per arrivare al cappio. Ai suoi piedi un giocattolo di bambino. La Cacciatrice non riuscì a guardarlo a lungo e spostò lo sguardo, cercando di sconfiggere l’angoscia che le cresceva dentro.
Aveva fallito. Avrebbe voluto salvare quell’uomo, sconfiggere la sua maledizione. Non era riuscito nemmeno in quello, nemmeno nell’unico obiettivo che si era prefissata. Aveva cercato di fare la cosa giusta e tutto era finito così. Un uomo buono, innocente, si era ucciso quel giorno. E un po’ era anche colpa sua, che non era stata in grado di evitare quella catastrofe.
Cenere capì che se fosse rimasta ferma a pensare non se ne sarebbe andata mai più. Perciò calò il corpo di Luke dalle travi, facendo attenzione a non farlo cadere, trattandolo con la cura che meritava. Tolse la corda e la buttò nel camino, desiderando che non fosse mai esistita. Poi mise Luke sulla poltrona, chiudendogli gli occhi. Sembrava che dormisse, sembrava finalmente sereno. Cenere gli mise il giocattolo del figlio in braccio, sicura che avrebbe voluto averlo vicino.
Stava per lasciare la casa quando notò un libro sul tavolo, con sopra un foglio scritto. Cenere si avvicinò e cominciò a leggere.
 
Finalmente ho capito, Cacciatrice. Ho capito che sono io il Lupo, che sono io che ho ucciso i miei compaesani, che ho ucciso la mia famiglia.
Non posso vivere con questa consapevolezza, non sapendo che sono stato il responsabile della morte di Mary e Jake. Avrei dovuto morire con loro e forse, in fondo, l’ho fatto.
Non ce l’ho con te. Tu hai fatto solo ciò che dovevi, ciò che era giusto fare.
Ho pensato a lungo in questi giorni su quale tipo di uomo fossi diventato e ora, finalmente, ho trovato la risposta. Sono un uomo che si prende le proprie responsabilità. È compito mio porre fine a tutto questo, non tuo. Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi. Grazie per avermi dato la possibilità di morire da uomo perbene e non da mostro.
 
P.S. Ti lascio il mio diario, sarai in grado di capire quello che ormai ho capito anche io. Sappi che non ce l’ho con lei. Il male che le ho fatto mi è solo tornato indietro.
Addio, Cacciatrice.
 
Cenere finì la lettera e se la mise in tasca, pensando che non si meritava così tanta considerazione. Continuava a pensare che avrebbe potuto salvarlo, che non aveva fatto abbastanza. Affranta prese il diario e iniziò a leggere. Divenne presto ignara di tutto quello che le capitava attorno, incurante del vento che aveva iniziato a soffiare dalla porta e che le scompigliava i capelli.
Quando finì era furente. Uscì dalla casa degli Anderson senza guardarsi indietro, sbattendosi la porta alle spalle.
 
▪▪▪
 
Cenere camminò fino alla casa quanto più velocemente le permettevano le sue condizioni. Quando arrivò alla porta fece due respiri profondi per calmarsi e bussò lievemente. In qualche modo sapeva di essere attesa.
– Symblantë, ti aspettavo – May sembrava non aver riposato nemmeno per un secondo. Occhiaie profonde marchiavano il suo bel viso. – Entra. –
Cenere fece due passi avanti e si ritrovò nella piccola bottega dell’erborista. In ogni angolo e su ogni ripiano c’erano piccoli vasi di terracotta, etichettati e ordinati a seconda di quello che contenevano. Sul focolare rimestava un piccolo paiolo e sul tavolo da lavoro si vedevano una quantità di mortai e pestelli diversi.
– È morto vero? – domandò l’erborista sedendosi. I capelli rossi le cadevano mossi sulle spalle.
Cenere annuì. – Sembra che alla fine tu sia riuscita nel suo intento. –
May scosse la testa. – Non era quello il mio intento, no. Io volevo farlo soffrire il più a lungo possibile. –
– Perché? Perché hai fatto un orrore del genere? –
– Mi ha lasciata – le parole sembravano veleno in bocca all’erborista, il bel viso deformato dall’odio. – Mi ha lasciata per una donna, quella Mary, e mi ha abbandonata da sola. Poi ho scoperto di essere incinta. Come potrai ben vedere, non ci sono bambini qui intorno. Me ne sono liberata e non sto nemmeno a spiegarti quanto ho sofferto. Non potrò più avere altri figli – May si interruppe, scuotendo la testa. – Invece a lui è nato un figlio e ogni volta che lo vedevo camminare con la sua mogliettina felice e Jake in braccio io… io avrei voluto distruggerlo. Distruggere ogni cosa a cui tenesse e a cui volesse bene. Volevo trasformare la sua gioia in polvere – l’erborista fece un sorriso felice, solare. – E so di esserci riuscita. –
Cenere rabbrividì all’odio di quella donna. Non aveva mai visto un sentimento così totalizzate, così assoluto nel suo desiderio di distruzione. Avrebbe potuto vedere il mondo bruciare e gioire per quello.
– Come hai fatto? –
Il sorriso di May si allargò. – Oh, è ciò di cui vado più orgogliosa – si alzò e andò dietro uno scaffale, comparendo poco dopo con in mano una Sfera come quella di Cenere ma di un color viola orrido, quasi malato. – Questo aggeggio gira nella mia famiglia da anni e nessuno è mai stato in grado di capire cosa fosse. L’ho capito solo un paio di anni fa, durante un viaggio nel regno degli elfi. Mi è tornata in mente quando un giorno, scartabellando tra una marea di fogli che giacevano in una cassapanca, ho trovato l’incantesimo per la trasformazione. L’ho dovuto ripetere decine e decine di volte prima di riuscire a farlo correttamente. Ma poi, finalmente, sono riuscita a farlo funzionare. –
Cenere si alzò, aveva sentito abbastanza. Il sorriso di May scomparve mentre guardava la Cacciatrice portare la mano sull’elsa della spada.
– Mi ucciderai? –
Cenere scosse la testa. – No, non sono come te. –
– Non mi aspettavo così tanta pietà da una Haris. –
La Cacciatrice fece finta di non aver sentito. – Non ti ucciderò perché sarai tu stessa a farlo. Sei un’erborista, sai come fare. È un’opportunità che al posto tuo non rifiuterei. –
May chinò la testa in un inchino sprezzante. – Sai, sapevo che non sarei sopravvissuta a tutto questo. Ma sono contenta: ho avuto quello che volevo. In fondo, ho smesso di vivere molti anni fa. –
Cenere si bloccò sulla porta. Ci sarebbe mai stata una fine a quella catena di odio e dolore?
– Hai un’ora. Io sarò qui fuori. –
 
▪▪▪
 
La Cacciatrice rimase seduta fuori dalla posta dell’erborista, la spada sguainata di traverso sulle ginocchia. Nonostante tutte le ossa rotte e il dolore che sentiva, non era quello a turbarla di più. Le parole di May e la lettera di Luke la avevano più sconvolta di quanto non volesse ammettere. Almeno quindici vite erano state spezzate dalle decisioni dell’erborista, in una spirale di dolore e sofferenza eterne.
Cosa scattava nella mente di una persona per farle prendere una decisione del genere? Come poteva un desiderio di vendetta farsi così totalizzante da distruggere ogni altra cosa?
In quel momento Cenere prese una decisione: non si sarebbe mai ridotta così. Qualsiasi cosa le fosse successa non si sarebbe mai fatta accecare dalla voglia di vendetta. Sarebbe stata migliore di chiunque avrebbe mai voluto farle del male. Alla fine era solo una questione di decidere chi volesse e chi non volesse diventare. E la scelta per lei era semplice.
La sua linea di pensieri si interruppe quando sentì un tonfo dentro alla casa. Si alzò piano, sibilando per il dolore, ed entrò nella stanza. Per terra c’era l’erborista, in mano una fiala di vetro, il corpo abbandonato. Sul viso ancora un’aria vittoriosa.
Cenere la lasciò così ed uscì, richiudendosi la porta alle spalle.
Camminò piano nel paese che si svegliava, uomini e donne uscivano dalle case facendole spazio mentre avanzava. Alcuni bisbigliavano dietro di lei, altri indicavano le sue ferite, il suo braccio mal ridotto. Non le era mai sembrato più difficile mettere un piede davanti all’altro.
Arn era davanti alla casa del podestà, marciava avanti e indietro davanti alla porta d’ingresso. Vicino a lei c’erano Bandicus, Blackfriar e Galata. La donna fu la prima a notarla, lanciando un grido di felicità che commosse Cenere nel profondo. Sarà stata la stanchezza ma sentì una lacrima colarle sulla guancia. Se la asciugò distrattamente mentre Arn le correva incontro, abbracciandola davanti a tutti.
– Dei, sei viva! Ce l’hai fatta! –
La stritolò talmente tanto che Cenere sentì le ossa scricchiolare.
– Ouch, Arn, ti prego, fai piano – mormorò, abbandonandosi nonostante tutto al calore dell’altro, la rabbia nei suoi confronti svanita. Era solo felice di vederlo vivo, di godersi quell’abbraccio, quella sensazione di essere a casa.
Arn si staccò. – Ma tu sei ferita! Vieni dentro, devi scaldarti e riposare. È tutto finito adesso, andrà tutto bene. –
Cenere annuì, il sollievo così forte da essere quasi tangibile.
– Sì, andrà tutto bene. –

 

NOTE DELL'AUTRICE!
E siamo giunti alla fine di questa storia. Devo ammettere che sono un po' triste: mi accompagna da agosto prima sotto forma di pensiero, poi come qualcosa di più tangibile.  Mi mancherà non doverci più dedicare il mio tempo. Credo che non abbandonerò Cenere e il suo mondo, magari la si rivedrà spuntare da qualche parte. Chi lo sa. 
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui, che hanno recensito, che mi hanno fatto sapere il loro parere, che hanno messo la storia tra le seguite o anche solo che l'hanno letta, mi avete reso una personcina felice ^^ 
Ultima cosa, il titolo della storia è tratto da una canzone di Florence and the Machine che mi ha fulminata un giorno in macchina, io la trovo bellissima (come tutto quello che cantano per altro), se vi va ascoltatela. Si intitola, guarda un po', What Kind of Man.
Non mi resta nient'altro da dire e concludo a malincuore e definitivamente questa storia.
Lunghi giorni e piacevoli notti,

Lya 

 
   
 
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