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Autore: Xion92    25/10/2017    4 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bene, eccomi qua! Mi scuso di nuovo con tutte per il ritardo, ultimamente, nonostante i propositi, sto andando a rilento. Mi dovrò dare un po' un'accelerata... in ogni caso, prima di iniziare, posso fare un preventivo approssimativo di quanto manca alla fine, senza spoiler ovviamente.

Allora, questa serie dura un anno pieno, esattamente come la prima serie. La prima serie andava dall'aprile 2002 a fine marzo 2003. Questa va da fine marzo 2003 (escludendo le prime due parti, ovviamente) a fine marzo 2004. Non lo considero uno spoiler, penso che arrivati a questo punto già si capisca. Quindi mancano tre mesi alla fine. I preventivi che faccio io sono rischiosi (vi basti pensare che quando ho iniziato a scrivere pensavo che il tutto sarebbe durato 50 capitoli, quando ho iniziato la terza parte ho un po' alzato a 70... buonanotte!), comunque mettete in conto un'altra ventina, forse anche meno. Speravo di concludere la serie entro la fine dell'anno, cosa che avrei anche potuto fare se avessi mantenuto i ritmi degli anni scorsi, ma così purtroppo non è stato, quindi andrà a finire molto più in là.
Spero che voi tutte rimarrete a seguire la serie fino alla fine nonostante i tempi lunghi!
Prima di iniziare, non so se vi sono sfuggiti questi due disegni che ho fatto un po' di tempo fa.
Angel con la divisa di kendo
Angel tra i ciliegi

Buona lettura!

 

Capitolo 80 – Cuore diviso

 

La stanza era ancora buia: in quelle mattine d’inverno il sole sorgeva tardi, e all’ora in cui le persone si alzavano per andare chi al lavoro chi a scuola, soltanto le luci artificiali potevano aiutarle mentre sbrigavano le loro faccende. Così a Ichigo, quando riacquistò coscienza, sembrò di essere ancora a notte fonda. Invece iniziava a sentire le voci dei vicini che stavano scendendo in strada per andare al lavoro. Quindi dovevano essere più o meno le sei. Di solito lei si alzava alle sette per andare a scuola, e anzi, quello era l’orario in cui in teoria avrebbe dovuto alzarsi. In realtà aspettava almeno altri tre quarti d’ora per farcela a uscire completamente dal letto, col risultato che poi doveva sempre fare le corse. Ora invece si era svegliata addirittura con un’ora di anticipo, e questo nonostante la stanchezza accumulata il giorno prima. Davvero molto strano. Poi iniziò a rendersi conto di qualcosa: era interamente ricoperta, ma una mano le usciva da sotto le lenzuola, e quella mano era bagnata. Ma non bagnata normale: bagnata appiccicosa. Non riusciva a capire perché; in più sentiva dei colpi di qualcosa di umido e caldo sul polso. Per scoprire cosa stesse succedendo dovette tirare fuori la testa dal piumone.
“Rau! Vai via!” esclamò, quando vide il cane di casa con le zampe anteriori appoggiate sul materasso mentre le stava slinguazzando la mano. Quel botolotto allora si nascose sotto il letto, lasciando prima andare un verso che, Ichigo ne fu sicura, era l’equivalente di una risata.
Bene. Ormai era completamente sveglia. Aveva il piumone tirato fino a metà testa, ma quando prese coscienza di non avere il pigiama addosso ebbe un brivido istintivo. Masaya dormiva ancora, però lei, per cercare di scaldarsi di più, gli si addossò cercando il suo calore. Non aveva intenzione di svegliarlo, ma nel suo abbraccio mise troppa irruenza.
“Mmmh… ma… Ichigo?” chiese lui con la voce strascicata dal sonno.
“Scusa, Masaya… non volevo svegliarti”, si giustificò lei.
Il ragazzo, senza risponderle, ricambiò il suo abbraccio stringendola a sé e fece per riaddormentarsi. Ma ormai Ichigo si era svegliata, e il sonno pareva esserle passato.
“Sai una cosa, Masaya? Dopo devo assolutamente andare in bagno a darmi una lavata. Soprattutto le gambe, ieri notte si sentiva l’odore di sangue fino a qui.”
“Dopo. Dormi”, le rispose lui a occhi chiusi.
“E anche tu dovresti farti una doccia. Ieri sera, quando ti toccavo i capelli, sembrava che eri uscito nella pioggia senza ombrello”, insisté Ichigo.
“Dormi”, disse ancora Masaya.
“Ieri sera inoltre non abbiamo mangiato niente, ma mi sta venendo una gran fame. Cos’hai in dispensa per la colazione?”
Allora Masaya tirò un gran sospiro e aprì gli occhi assonnati. Era evidente che non sarebbe riuscito a dormire ancora.
Ciò nonostante, non riuscì a trattenersi e si mise a ridacchiare.
“Perché ridi?” chiese Ichigo, curiosa.
“No, niente, è che…”, rispose lui, senza smettere. “ Questa è la prima volta che dormiamo da soli. Sai che stanotte ti sei presa tutte le coperte per te e mi sono dovuto svegliare per riprendere la mia parte?”
Ichigo arrossì e lui, divertito, continuò. “Mi avrai tirato almeno cinque calci.”
Il rossore di Ichigo aumentò. “E poi ti metti a chiacchierare al mattino presto nonostante stia dormendo.”
“Oh, Masaya, scusa… io davvero non volevo”, mormorò Ichigo, vergognosa.
“No, è per dirti… mi annoierò quando sarò sposato con te? Mi sa di no!”, e allungò la mano prendendole la guancia arrossata tra l’indice e il medio; poi si tirò su sul materasso stiracchiandosi e strofinandosi gli occhi. Ichigo guardò ammaliata quello che riusciva a vedere del suo corpo, visto che le coperte un po’ gli si erano tolte. Si sollevò anche lei e lo strinse forte, baciandolo sulla bocca.

Masaya, quando sentì la pelle morbida e calda di Ichigo premere contro di lui e le sue labbra sulle sue, percepì ogni rimasuglio di stanchezza abbandonare all’istante il suo corpo, e quella voglia e quel desiderio per l’amore che l’avevano preso la notte prima iniziare a ritornargli. Senza stare a riflettere oltre, afferrò tra le braccia il corpo di Ichigo e si lasciò cadere sul letto insieme a lei, sistemandosi sopra la ragazza e iniziando a baciarle il viso con sempre più foga. Aveva molta meno ansia e insicurezza della sera prima: ormai aveva capito come doveva fare, e sapeva che stavolta tutto sarebbe andato liscio, senza esitazioni e inutili imbarazzi. Ma proprio in quell’istante suonò il cellulare del ragazzo, e l’eccitazione abbandonò il suo corpo.
Lasciandosi sfuggire un’imprecazione, Masaya afferrò il telefono sul comodino. Era capitato altre volte che qualcuno lo chiamasse così presto la mattina, ma erano sempre stati alcuni suoi compagni di classe svogliati che lo pregavano di lasciar loro copiare gli esercizi dai suoi quaderni.
Invece, con sorpresa, lesse sul display il nome di Keiichiro.
“Pronto?” chiese, rispondendo.
“Aoyama-san”, rispose la voce stanca di Keiichiro all’altro capo. “Scusa se parlo un po’ così, ho passato la notte in ospedale. Volevo informarti su Angel: la notte è andata bene e ha ripreso conoscenza, quindi già da oggi pomeriggio possiamo andarla a trovare. Oggi il Caffè resterà chiuso, ma ci vedremo lì lo stesso alle tre per decidere un po’ di cose.”
“Va bene, Akasaka-san, grazie”, rispose Masaya, lieto di sentire quelle notize.
“Ho chiamato te per primo, adesso chiamo Ichigo e poi anche gli altri.”
“Ah, no, aspetta, non chiamare Ichigo, lei…” il ragazzo sentì un certo imbarazzo mentre parlava “…è qui con me.”
“È con te?” chiese Keiichiro, con sorpresa, poi continuò, dando alla sua voce un tono di intesa. “Allora riposatevi un altro po’. Sarà stata una notte faticosa, immagino.”
“Angel sta meglio e ha ripreso conoscenza”, disse Masaya a Ichigo quando ebbe chiuso la telefonata.
“Come sono contenta!”, tirò un sospiro Ichigo. “Non vedo l’ora di vederla.”
“Anch’io, ma…” disse Masaya, che aveva visto l’ora sul display del telefonino. “Ormai si è fatto tardi. Dobbiamo prepararci per andare a scuola, e dobbiamo anche passare a casa tua per prendere il tuo zaino e la tua divisa. Quindi…” guardò a malincuore Ichigo, il suo bel corpo morbido e desiderabile e la sua espressione delusa. “Prossima volta, va bene?” concluse toccandole la campanella al collo.
“Molto presto però, vero?” chiese conferma Ichigo.
“Sicuro!”, le confermò il ragazzo.
Visto che ancora erano in buon orario, i due ragazzi poterono lavarsi a turno con calma; Masaya si mise la sua divisa invernale, mentre Ichigo dovette rimettersi i vestiti del giorno prima. Fecero colazione, per la prima volta in una casa da soli e senza nessun altro intorno; Ichigo, prima di uscire, lavò bene in bagno con l’acqua fredda la sciarpa sporca di sangue di Angel, che la sera prima aveva lasciato vicino al letto, e infine uscirono un po’ prima dell’ora solita per avviarsi verso casa della ragazza.
Faceva ancora molto freddo, ma la neve si era già sciolta; era stato un momento magico di cui al mattino non era rimasto più nulla. Erano rimasti solo dei rivoli d’acqua ai lati delle strade, tanto da non far capire se avesse effettivamente nevicato o soltanto piovuto.
Appena arrivati incontrarono Sakura sulla soglia, che stava rientrando anche lei.
“Ichigo, tesoro!” esclamò sorpresa. “Che fai qui? Pensavo che fossi in casa.”
“Sì, ehm, mamma…” fece indecisa la figlia. “Veramente ho dormito… mmmh…”
Sakura alzò gli occhi verso Masaya, che era di fianco alla fidanzata con un’espressione decisamente imbarazzata. Si avvicinò a Ichigo e le diede una gomitata d’intesa.
“Non ti preoccupare, ho capito. Il babbo è andato direttamente al lavoro, e io starò zitta zitta. Del resto anche noi… no, non si può dire.”
E aprì la porta di casa ridacchiando sorniona. Ichigo si girò a guardare Masaya con aria di scuse e salì in camera sua a cambiarsi.
Lungo la strada per andare a scuola, il silenzio calò fra loro: anche se sapevano che Angel non era in pericolo di vita, la consapevolezza che non era lì con loro li metteva a disagio. Da quando era iniziata la scuola, c’erano state delle volte in cui o Ichigo o Masaya si erano ammalati e avevano fatto per questo delle assenze, ma Angel non era mai mancata; anzi, non aveva mai preso nemmeno un raffreddore o un mal di gola. Aveva sempre fatto quella strada con almeno uno dei due, e ora che per la prima volta non c’era i due ragazzi avvertivano un tremendo senso di vuoto e smarrimento.
“Pensi che ci metterà molto prima che la dimettano?” chiese a un certo punto Ichigo, a testa bassa.
“Eh…”, fece Masaya, che non sapeva cosa rispondere. Sapeva che Angel, per via della sua costituzione robusta e vitale, aveva una capacità di ripresa velocissima, ma di sicuro ci sarebbero volute alcune settimane prima che potesse uscire dall’ospedale, anche per una ragazza forte come lei.
A scuola anche i compagni e i professori di Ichigo sembravano perplessi dalla sua assenza improvvisa, e la ragazza dovette inventarsi che era ricoverata per una polmonite.
“Poverina, speriamo che tua cugina si guarisca presto”, sospirò Moe. “Mi faceva sorridere quando parlavamo dei film in cui comparivano tutti quei ragazzi così fighi e lei ci stava ad ascoltare, anche se si vedeva che non capiva niente di quello che dicevamo.”

Era rimasto tutto come il giorno prima. I tavolini spostati contro il muro. La grande tavola ancora apparecchiata e decorata. I piatti e le posate puliti. Le portate della cena non avevano mai raggiunto il tavolo. Ancora al Caffè non c’era nessuno, ma i due ragazzi vi si era recati in anticipo, perché volevano sentire da Keiichiro quante più notizie possibili. Trovarono Ryou che ciondolava avanti e indietro per il salone, e nemmeno li salutò. Aveva un’espressione molto stanca e quasi assente.
“Non ha dormito per tutta la notte”, spiegò ai due Keiichiro, che era tornato dall’ospedale apposta per preparare il pranzo. “Sapere che Angel non era in pericolo di vita non gli è bastato. Quando gli ho telefonato ieri notte, era in un vicolo di periferia. Non immaginate quanto ho dovuto insistere per farlo tornare a casa. Se rimaneva in giro per un altro po’, lo arrestavano per vagabondaggio.”
“…’a smetti, ‘iichiro?” bofonchiò tra i denti Ryou con voce appestata, passandosi una mano sulla fronte.
“Allora, Akasaka-san?” chiese Ichigo, impaziente.
“Prima che venissi via dall’ospedale, ho parlato col dottore. Mi ha detto che Angel dovrà restare ricoverata per almeno un mese.”
Un mese?” chiesero insieme Masaya e Ichigo, sbarrando gli occhi. Una ragazza forte ed energica come lei, restare per un mese in un letto? Lei che non era mai stata malata in vita sua?
“Ma non può restare immobile per tutto quel tempo, impazzirà”, protestò Masaya.
“Non c’è altro da fare”, scosse la testa Keiichiro. “E non è neanche tutto. Un mese per guarire le ferite che ha sul corpo, quella in pancia soprattutto, che è molto profonda. Ma poi ci vorranno ancora un paio di settimane per quello sfregio che ha sulla fronte. Non è una ferita grave, assolutamente, anzi, può rimarginarsi anche da sola e senza cure. Il problema è che ne rimarrebbe una cicatrice davvero orribile, lunga e che le attraversa tutta la fronte. Prima è meglio aspettare che nel corpo sia guarita, ma quando sarà fatto potranno sottoporla a un intervento facciale per rimuoverle quello sfregio e metterle a posto la pelle. Alla fine non si dovrebbe vedere nulla.”
“Mi pare un’ottima idea”, approvò Ichigo, mentre Masaya non disse niente.
“Però ecco, visto che è un intervento facoltativo, che non riguarda direttamente la sua vita, serve che io gli dia il mio permesso, visto che è sotto la mia responsabilità. Ma i genitori siete voi, è giusto che siate voi due insieme a decidere.”
“E cosa ci sarebbe da discutere? Mi sembra ovvio! Dategli l’okay per questa procedura”, disse subito, convinta e sbrigativa, Ichigo.
“Scusa, vieni un attimo con me”, intervenne però Masaya, e la spinse un po’ da parte.
“Sarà meglio rifletterci bene”, le disse quando fu al di fuori della portata d’orecchio dei suoi due capi. “Non ti ricordi cosa ci ha detto Angel quella volta, in campeggio? A lei una cicatrice non fa così impressione come a noi. Anzi, la considererebbe un trofeo di guerra. Penso che le faccia molto più male stare a letto per troppo tempo. Lasciamo che le rimanga la cicatrice e facciamola dimettere fra un mese.”
“Ma cosa?!” esclamò Ichigo inorridita. “Come puoi pensare a una soluzione del genere? Posso capire di una cicatrice piccola su un braccio, o su una gamba… ma hai visto quanto era orribile quel taglio che aveva in fronte. Come puoi pensare di lasciarglielo? Le rovinerebbe tutta la faccia.”
“A lei non importerebbe di avere la faccia rovinata. Ne sarebbe fiera, invece”, rispose, fermo, Masaya.
“Neanche per sogno!” scosse la testa con decisione Ichigo. “Mia figlia non avrà per tutta la vita sul viso un taglio simile.”
“È anche mia figlia”, ribatté Masaya, innervosito.
“Ma io sono sua madre”, insisté Ichigo, che si stava agitando anche lei.
Masaya respirò profondamente per calmarsi. “Va bene, allora facciamo una cosa. Chiediamolo ad Angel quando la andiamo a trovare. È grande, sa quello che vuole. Vedrai che sarà d’accordo con me.”
“Non è in grado di scegliere una cosa del genere. Adesso ti darà ragione perché vuole uscire prima dall’ospedale, ma fra un po’ di tempo si pentirà, quando si renderà conto di avere in faccia quella cicatrice orrenda. Lascia fare a me.”
“No”, rispose ancora il ragazzo, tenendo il tono fermo. “Dobbiamo decidere insieme. Ma non è questo il momento giusto, dobbiamo discuterne in tranquillità. Sono sicuro che i medici non lo vogliano sapere immediatamente. Lasciamo la cosa in sospeso e parliamone con calma più avanti.”
Ichigo lo guardò a lungo, con l’indecisione e il dubbio in viso, ma alla fine assentì.
“Akasaka-san, il dottore lo vuole sapere subito?” chiese a Keiichiro Masaya riavvicinandosi all’altro uomo.
“No, tranquilli, non è una cosa urgente, posso comunicarglielo anche fra qualche settimana”, lo rassicurò il loro capo. “Prendetevi il tempo che vi serve.”

Poco dopo la discussione, Retasu, Zakuro, Bu-ling e Minto arrivarono una dopo l’altra. Appena entrata nella stanza, la più piccola si precipitò verso Masaya e Ichigo e si attaccò a loro come una cozza.
“Lo sapeva!” gridò trionfante. “Bu-ling lo sapeva che Angel-neechan era la vostra bambina! Ma certo, come si faceva a non capire?”
“Bu-ling…” sospirò Masaya stancamente, passandosi una mano tra i capelli.
“In fondo, Angel-neechan è proprio uguale a Aoyama-niichan! E certo che doveva essere così!”
Minto si avvicinò a lei a grandi passi, la afferrò per le ascelle e la tirò indietro.
Retasu nel frattempo si era avvicinata a Ryou per vedere come stava.
“Ryou-kun… grazie di avermi riaccompagnato a casa ieri. Ma sei molto stanco, hai pensato ad Angel tutta la notte?” gli chiese dispiaciuta.
“Sto bene, sto bene”, la rassicurò lui cercando di dare alla sua voce un tono un po’ più vivace. “Dopo andrò a dormire un po’. Tanto, oggi stiamo chiusi.”
“Comunque Bu-ling ha ragione”, riprese il discorso Minto, lasciando andare la più piccola. “Quello che abbiamo imparato ieri sera… beh… siamo senza parole, Ichigo.” Poi si voltò verso Zakuro. “Anche tu sei rimasta scioccata, neesama?”
“No, a dire il vero”, rispose soltanto lei.
“Ma adesso Bu-ling deve sapere tutto, nei minimi dettagli”, disse malignamente la più piccola, fregandosi le mani. Si avvicinò a Ichigo, la tirò giù e le mise un braccio sulle spalle. “Puoi dire a Bu-ling quando è successo di preciso? Giorno e ora, eh?”
“Ma Bu-ling!” protestò Ichigo, diventando dello stesso colore dei suoi capelli, si staccò da lei e si avvicinò a Masaya, che lentamente, a piccoli passi paralleli, stava cercando di allontanarsi da quelle domande importune.
“Comunque io non sono d’accordo con Bu-ling”, obiettò Minto. “Penso che non vi assomigli per niente.”
“Questione di punti di vista”, commentò Zakuro con un risolino.
“E in ogni caso”, aggiunse Minto guardando Ichigo di sbieco. “Ora si spiegano molte cose; soprattutto come mai abbia un nome balordo come quello. Chi altri, a parte te, penserebbe mai di chiamare così una bambina?”
“Ma come ti permetti?” rispose arrabbiata Ichigo tirandosi su le maniche. “È bellissimo, invece, e io ho buon gusto per i nomi!”
“Va bene, ora basta con le cavolate, state a sentire” intervenne Ryou autoritario, tenendosi Retasu al fianco. “Non vi ho fatti venire qui per lavorare oggi, ma per darvi alcune comunicazioni importanti.”
“Quando andiamo a trovare Angel-neechan?” chiese subito Bu-ling, impaziente.
“Lascia parlare, ci arrivo”, la azzittì Ryou. “Allora: il dottore ha detto a Keiichiro che Angel dovrà restare ricoverata per almeno un mese. Oggi la andremo a trovare tutti insieme, ma da domani dovremo ricominciare a lavorare. Quindi stabiliremo dei turni, e ciascuno di noi andrà un pomeriggio diverso a tenerle compagnia per un’oretta.”
“Questo è sicuro”, assentì Retasu. “Ma… come faremo a combattere senza di lei?”
“Farete in sei, come avete sempre fatto prima che lei arrivasse qui. Tanto non ha più nessun chimero da perdere.”
“Giusto”, disse Minto. “Ormai è rimasto solo quello di Ichigo.”
“E non è neppure detto che apparirà questo mese”, aggiunse Zakuro. “Quando sarà guarita, potrà tornare a combattere con noi.”
“Ma…” incominciò Ichigo, con voce contrariata. Gli altri la guardarono, ma lei si azzittì senza aggiungere nulla.

Il ragazzo alla reception dell’ospedale controllò la carta di identità di Keiichiro.
“Sì, troverete la paziente nel settore di ieri sera.”
Quando arrivarono davanti alla porta senza finestre, Ichigo deglutì. Anche se Angel non era più in pericolo, quel luogo le faceva venire un groppo in gola. Non ce la faceva più ad aspettare, doveva vederla. Prima che Ryou potesse prendere un’iniziativa, si fece avanti e bussò sulla porta. Si sentirono da dentro dei passi, e un’infermiera, con un contenitore per la flebo vuoto fra le mani, aprì.
“Siamo venuti a visitare Angel-san” spiegò Keiichiro alla ragazza. “Lei è sveglia?”
“Ehm…” fece l’infermiera, esitante. “Diciamo di sì, ma ha passato delle ore difficili, ed è ancora molto debole. Forse è meglio che per cominciare entri una persona sola. Vuole entrare lei?”
Keiichiro guardò verso Ichigo, che gli lanciò un’occhiata supplichevole.
“No, penso che sia meglio che entri per prima Ichigo-san.”
“Va bene. Io sono entrata per cambiare la flebo, ma adesso vado.” Si rivolse a Ichigo. “Delicatezza, mi raccomando. Quasi non riesce a muoversi.”
Ichigo allora entrò e chiuse la porta dietro di sé, mentre i suoi amici la guardavano trepidanti. Il primo impulso che aveva avuto appena entrata era stato di precipitarsi da Angel ed abbracciarla, ma quando vide davanti a sé com’era ridotta si bloccò sul posto. Quella visione le fece male al cuore: Angel era sdraiata, abbandonata, su quel letto di ospedale, con le coperte tirate fino alle spalle nonostante il riscaldamento fosse acceso. In questo modo non si potevano vedere le fasciature e i punti che aveva addosso, ma dal modo rigido in cui era steso il suo corpo Ichigo capì che doveva averne molti. Non osava nemmeno pensare a quello che i medici potevano aver fatto su di lei la sera prima; sapeva solo che a loro sarebbe sempre andata la sua più immensa gratitudine. Da sotto le coperte spuntava un filo che si collegava a un bottiglione pieno di liquido trasparente lì vicino. Una flebo con qualche medicina, di sicuro. L’unica fascia visibile era quella che le copriva la fronte, sotto cui ci doveva essere quel taglio largo e profondo che le aveva fatto Waffle all’inizio del combattimento. Angel non aveva reagito quando era entrata nella stanza. L’infermiera aveva detto che era sveglia, ma lo era davvero? Ichigo, da lontano, le scrutò il viso. Non sembrava stesse proprio dormendo, ma aveva gli occhi chiusi. Di sicuro l’aveva sentita entrare, ma non avendola vista doveva aver pensato che si trattasse del personale medico.
Ichigo provò a fare un passo in avanti. No, non stava dormendo. Appena aveva appoggiato il piede a terra, Angel aveva fatto uscire in un soffio, per quanto la voce glielo consentiva:
“Leader…”, ed aveva aperto gli occhi.
Ichigo, lì per lì, si stupì assai: lei non aveva parlato, non aveva detto il suo nome, aveva solo fatto un passo in avanti, e Angel l’aveva chiamata prima di aprire gli occhi. Aveva riconosciuto il suo passo, le era bastato appoggiare il piede perché Angel distinguesse il suo modo di camminare da quello di tutti gli altri.
Ma questo fatto stupì Ichigo per un attimo: perché il sentire la voce di Angel, per quanto roca, il vedere i suoi occhi vivi anche se provati dal dolore, le tolse dalla testa ogni altro pensiero.
“Angel…” e si avvicinò piano al suo letto. In realtà avrebbe voluto precipitarsi al suo fianco, ma la vedeva così malridotta da non riuscire ad accelerare il passo. Quando le fu vicina cadde in ginocchio in modo da avere il viso poco sopra il suo. Non sapeva dove andare a mettere le mani: da un lato avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé, ma Angel le dava l’idea che anche se l’avesse sfiorata le avrebbe provocato atroci dolori, e quindi non osava toccarla. I sentimenti che l’avevano stravolta il giorno prima riguardo sua figlia erano stati così tanti che adesso non riusciva a trovare un modo per esprimerli.
“Angel, come… come stai?” riuscì a chiederle. Si sentiva un’idiota. Che razza di domanda era quella, poi in una situazione simile?
Ma Angel sembrò prendere quella domanda molto sul serio. Ichigo la vide fare uno sforzo sotto le coperte e lesse nei suoi occhi per un attimo il dolore, ma dopo poco Angel riuscì a far uscire un braccio, senza flebo, con le bende che si intravedevano appena sotto la vestaglia da ospedale, dalle coperte e lo allungò appena verso di lei.
Subito Ichigo le afferrò la mano con entrambe le sue, senza più curarsi di essere delicata. Strinse forte quella mano aspra e ci appoggiò la fronte, stringendo i denti e sentendo le lacrime iniziare a uscirle dagli occhi.
“Per tutto ieri sera io… io ho avuto paura che tu…”
“Ma, leader…” replicò confusa Angel. Aveva accolto con grande gioia e sollievo Ichigo nella stanza, ma quella reazione di pianto sembrava averla sconcertata. “Sono viva, leader, vedi? Non rischio più niente, non c’è bisogno di piangere.”
“Tu non sai, non sai…” aggiunse a fatica Ichigo, strofinandosi gli occhi con la manica.
“Ma sei venuta da sola?” le chiese Angel a quel punto.
“No, ci sono tutti gli altri”, rispose Ichigo, riuscendo a darsi un contegno.
“E allora perché li hai lasciati fuori? Falli entrare, li voglio vedere”, iniziò ad agitarsi Angel.
“Calmati. Adesso gli dico di entrare”, cercò di placarla Ichigo. “Prima voglio darti una cosa.”
Prese la sua borsa che aveva appoggiato per terra e tirò fuori la sciarpa della sua compagna, pulita, senza più macchie, asciutta e profumata.
“La mia sciarpa!” esclamò Angel, tendendo il braccio. Appena Ichigo gliela avvicinò, la afferrò e se la portò vicino al viso, strofinandoci contro la guancia a occhi chiusi. “Grazie, Ichigo. Non potrei stare senza la mia sciarpa.”
“So che per te è molto importante, vero?” le sorrise la sua leader.
“Sì”, annuì Angel aprendo gli occhi. “Perché me l’ha fatta la…” il resto della frase le morì in gola appena incrociò lo sguardo intenso di Ichigo. “Puoi aprire la porta, per favore? Non lasciamo fuori i nostri amici”, disse appoggiando la sciarpa di fianco a sé.
“In realtà…” replicò appena l’altra, lievemente contrariata. In fondo, non avrebbe voluto fare entrare nessun altro in quella stanza. Voleva stare sola con lei, almeno un altro po’: si respirava un’aria strana, lì dentro, ma Ichigo stava iniziando a prendere confidenza col suo ritrovato ruolo non più da semplice compagna di squadra, ma di madre, anche se Angel non lo sapeva. Avrebbe voluto poter consolidare questo nuovo legame con lei, ma non poteva farlo con altre persone intorno. E tuttavia, non poteva certo rispondere di no alla richiesta di sua figlia.
“Va bene, adesso apro.”
Fece appena in tempo ad abbassare la maniglia. Bu-ling, che era dietro la porta, la spalancò con una spallata facendo finire la più grande contro il muro ed entrò a precipizio nella stanza.
“Angel-neechaaaan!” gridò appena fu dentro.
“Bu-ling, fa’ piano”, cercò di placarla Ichigo, spuntando da dietro la porta massaggiandosi la testa.
Fu come aver parlato al vento. La ragazzina, per compensare tutte le premure della leader, si precipitò verso Angel senza tanti complimenti e le saltò al collo, premendo la guancia contro la sua.
“Bu-ling…” riuscì a dire Angel con voce secca. “Non così… ancora mi fa male…”
“Ma Angel-neechan!” esclamò subito Bu-ling, tutta contenta. “Perché non ce l’hai detto subito che sei la bambina di…”
Non fece in tempo a terminare la frase, visto che Minto si era avvicinata come un fulmine a lei e l’aveva tirata indietro tappandole la bocca con una mano.
“Terrai mai chiusa quella boccaccia?” la rimproverò in un soffio.
“Angel-san”, intervenne Retasu, prima che Angel potesse rielaborare quello che Bu-ling le aveva detto. “Siamo stati tutti così preoccupati per te… ti senti un po’ meglio?”
“Dai, potrebbe andare peggio”, rispose Angel. “Potrei essere morta.”
Nonostante la brutta situazione, Ichigo si mise a ridere. Nemmeno l’essere distesa, ferita, su un letto di ospedale impediva ad Angel di scherzare e di parlare con ironia. Vide però che sua figlia si stava iniziando a mostrare agitata: era sdraiata a pancia in su con la testa appoggiata sul cuscino, e dalla posizione in cui era non poteva nemmeno guardare in faccia i suoi amici. Angel provò a sollevare la testa per poterli vedere, ma desistette subito, e Ichigo capì che sentiva ancora troppo male perfino per un movimento banale come quello.
“Ci siete tutti, vero? Non manca nessuno? Ho sentito i vostri passi” disse Angel, sempre con un tono di voce ovattato, probabilmente per limitare il dolore che sentiva.
“Ci siamo tutti e non manca nessuno, Angel-san”, le assicuro Retasu, e Angel fece un sorriso rassicurato.
Alle parole di Angel, anche gli altri ragazzi si accorsero della sua difficoltà nel riuscire a vederli e del suo disagio nel non poterli guardare, quindi si avvicinarono per stringersi intorno al suo letto.
Visto che a parte loro non c’era nessuno nella stanza, Masha sbucò fuori dalla tasca di Ichigo prendendo le sue dimensioni normali.
“Angel, Angel!”, disse con la sua vocetta metallica strofinandosi contro la testa della ragazza. “Stai bene, stai bene!”
“Sì, sto bene”, rispose lei con un vago tono condiscendente, e col braccio libero, sollevandolo con cautela, riuscì a scompigliargli la pelliccia tra le orecchie.
“Keiichiro, stanotte ti ho sentito parlare col dottore… non sei tornato a casa a dormire?”
“No, Angel-san, sono rimasto fuori dalla tua stanza, non sapevo come si sarebbero evolute le cose”, rispose premuroso il più grande. “Ma non preoccuparti, un po’ ho dormito. C’erano le sedie in corridoio.”
“Hai dormito su una sedia…? Per badare a me?” chiese incredula Angel in un soffio.
“Sapessi Bu-ling, Angel-neechan”, si intromise la piccola. “I suoi fratelli non facevano che chiedere dov’è Angel-neechan?, dov’è? Heicha poi ci ha messo tanto tempo per calmarsi, più degli altri.”
“Già, e tutto perché Angel si diverte a farci preoccupare coi suoi scherzacci”, commentò Minto con voce irritata. Si avvicinò ancora di più al letto in modo che Angel potesse vederla nella sua interezza. “Perché diavolo sei uscita da sola, eh? Hanno trovato la carta di identità di Akasaka-san nei tuoi vestiti, non c’è bisogno nemmeno che mi rispondi.”
Angel socchiuse gli occhi, vergognosa. “Mi dispiace, davvero… vi ho fatti preoccupare tutti, e solo per una bottiglia di spumante.”
“Ma quel che è stato è stato”, intervenne conciliante Zakuro. “Non mi sembra il caso di arrabbiarsi adesso.”
“Ma Zakuro-neesama, non bisogna sminuire il tutto”, si rivoltò Minto. “Guarda come si è ridotta, in che guaio si è cacciata per una stupidaggine. Sì, proprio per una gigantesca stupidaggine!”
“E da quel guaio in cui si è cacciata è stata capace di uscire”, rispose calma Zakuro. “Hai mai visto nessuno, in vita tua, combattere così?”
“No”, dovette ammettere Minto. “Ha saputo difendersi bene e a vincere. E tutto pur essendo più debole di noi, in quanto a poteri, intendo.”
“Ed inoltre…” Zakuro guardò Angel con un misto di durezza e compassione. “Il dover stare per un mese immobile in quel letto mi sembra già una grossa punizione. Vero?”
“Già, eccome. A proposito…” mormorò Angel, con voce abbattuta. “Il combattimento di ieri… sì, ho vinto, però… Waffle… io l’ho… l’ho…”
Ichigo, che era alla stessa distanza degli altri dal letto, tornò subito vicino a lei, le si inginocchiò di fianco e le strinse forte la mano.
“Adesso non pensare a queste cose, va bene?” le disse, dolce ma decisa.
“Come faccio a non pensarci, leader? Io ho…” provò a riprendere il discorso Angel.
“Non ho detto di non pensarci. Ho detto che non devi farlo adesso. Quello di cui ti devi preoccupare ora è di guarire, non devi pensare a cose brutte”, insisté Ichigo.
Angel distolse lo sguardo dal suo e piegò appena la testa in segno di assenso.
“Ehi, bestiaccia”, parlò a quel punto una voce maschile.
“Oh, questo è il boss”, disse subito Angel, ritrovando il buonumore. “Come stai, boss?”
“Come sto? …lei mi chiede come sto…” digrignò Ryou tra i denti, passandosi una mano sulla faccia.
“Vuoi sapere come sta?” intervenne Bu-ling a rispondere al suo posto. “Non ha dormito tutta la notte per pensare ad Angel-neechan, ecco come sta.”
Angel riuscì a far uscire una risata lieve dalla gola. “Davvero?”
“Davvero”, assentì Retasu divertita, accarezzando un braccio al suo ragazzo.
“Io non ci trovo niente da ridere”, borbottò Ryou, poi si frugò nella tasca della giacca e tirò fuori una lattina di birra delle sue. “Visto che tutto ‘sto casino è nato per un po’ d’alcool, ti ho portato questo per tirarti su”, le disse tenendo lo sguardo fisso altrove.
Ad Angel brillarono ancora di più gli occhi e fece per tendere la mano verso la bevanda.
“Sei matto, Ryou?” intervenne allarmato Keiichiro. “Non può bere alcool nelle condizioni in cui è.”
“Un goccino non le farà certo male”, gli rispose il più giovane, stappando la lattina e porgendola ad Angel.
“Oh- oh, è davvero Ryou-kun che parla?” fece un risolino Retasu, e lui girò gli occhi, vergognoso.
Angel attaccò la bocca al foro e cercò di mandare giù qualche sorso, ma riuscì a deglutire solo una volta, poi dovette fermarsi.
“Non ce la faccio…” si scusò, appoggiando la lattina sul comodino di fianco al letto. “Però grazie, boss, veramente. Sentirò la tua mancanza mentre sarò qua. Mi mancherete tutti.”
“Non penserai che ti lasciamo qui da sola?” chiese Minto con tono offeso. “Ti piacerebbe liberarti di noi, eh? E invece no, ci dovrai sopportare, tutti i giorni, poi!”
Ad Angel si illuminò lo sguardo. “Davvero starete con me?”
“Avevi dei dubbi, per caso?” la rassicurò Bu-ling. “Ma se ancora non hai visto nemmeno la metà di tutti i numeri che Bu-ling sa fare!”
“Ed io non ti ho mai insegnato a giocare a scacchi”, riprese Minto, mani sui fianchi, mento sollevato e occhi socchiusi. “Appena avrai imparato a giocarci, ti distruggo.”
“Io non ti ho mai mostrato quel libro di fotografie che ho a casa”, aggiunse Retasu.
“E se ti sentirai confusa e avrai bisogno di parlare con qualcuno”, concluse Zakuro “io ci sarò.”
“Nessuno di noi potrebbe abbandonarti, Angel-san”, le disse Keiichiro. “Ognuno di noi qui ha la sua vita e ha tanto da fare, ma non sarà un buon motivo per lasciarti sola, proprio adesso che hai più bisogno. Ogni giorno qualcuno verrà verso sera e starà con te per un po’. Finché non sarai guarita.”
“E non pensare che, se sarà il turno di un’altra persona, io non verrò”, aggiunse Ichigo, stringendo più forte la mano di Angel. “Verrò qui da te tutti i giorni.”
Gli occhi di Angel, per quanto la sua posizione glielo consentiva, andavano dall’uno all’altro viso, con l’espressione piena di gratitudine e riconoscenza.
I ragazzi si trattennero nella stanza per un’altra mezz’ora, chiacchierando fra loro come se fossero stati nel salone del Caffè. Ichigo, che stava sempre inginocchiata di fianco ad Angel, notò che, man mano che la conversazione andava avanti, l’aria che aveva sua figlia cambiava. Appena entrata in camera, si ricordava di come fosse abbacchiata, con l’aspetto e gli occhi stanchi, non riuscisse quasi a muoversi, e anche la sua voce pareva un’altra da quanto era fioca e affaticata. Invece, da quando erano entrati lei con i loro amici, da quando tutti quanti le avevano mostrato la loro vicinanza e solidarietà, e da quando avevano iniziato a parlare in modo allegro e leggero delle cose di tutti i giorni, Angel le sembrava molto meno sofferente, e più il tempo passava e più le pareva migliorare. Le sue ferite erano sempre quelle ma, verso la fine della visita, la ragazza sorrideva, la sua espressione era distesa e allegra, spesso si metteva a ridere quando Bu-ling faceva una battuta, quando era il suo momento di parlare la sua voce era squillante, il suo sguardo era tornato vivace come quando stava bene, il suo corpo sotto le coperte aveva assunto una postura meno rigida e ad un certo punto era perfino riuscita a sollevare la testa.
Ichigo si rese conto di tutto questo con stupore. Quando quel giorno aveva visto Angel per la prima volta non aveva pensato che fosse in fin di vita solo perché gliel’aveva assicurato il dottore. Eppure le era bastata la vicinanza dei suoi compagni e amici per avere un netto miglioramento, almeno a livello emotivo. E si rese conto di qualcosa: sua figlia era una grande guerriera, su questo non c’erano dubbi. Ma senza di loro, di tutti loro, i suoi amici, Angel non poteva stare. Era giunta nel loro mondo senza la minima concezione di termini come collaborazione e lavoro di gruppo, ed era arrivata al punto di non poter fare a meno dei suoi compagni, anche per cose apparentemente sconnesse come la propria salute. Strinse forte la mano di Angel, che smise di guardare gli altri per girarsi verso di lei, stupita. Ichigo la guardò risoluta negli occhi: non le importava niente dei turni che avrebbero fissato i suoi capi, lei sarebbe venuta a trovarla tutti i giorni, e in ogni minuto di tempo libero. Voleva godersi il più possibile il tempo con lei, e voleva almeno sperare che, più sarebbe stata in grado di tenere alto il morale di sua figlia, prima si sarebbe guarita.

Tra una chiacchiera e l’altra il tempo passò, e arrivò l’ora per i ragazzi di tornare a casa. Angel era dispiaciuta, ma allo stesso tempo si sentiva assai meglio rispetto a quando ancora non erano arrivati. Non sapeva chi di loro sarebbe venuto a trovarla l’indomani, sperava solo che la serata, la notte e la mattina dopo passassero velocemente.
“Tornate presto!”, si raccomandò a mo’ di saluto mentre i suoi amici iniziavano a uscire.
Ichigo fu l’ultima a staccarsi da lei, e Angel ebbe un attimo di sconcerto quando la leader le lasciò la mano. C’era qualcosa di strano in lei, qualcosa che non le tornava: avrebbe potuto affermare senza esitazione che Ichigo era una persona completamente diversa rispetto solo alla sera precedente. Eppure non sapeva spiegarsene la ragione. Era vero che lei, Angel, aveva rischiato la vita il giorno prima, ma non solo per Ichigo, anche per i suoi compagni questo aveva rappresentato uno shock notevole. Eppure Angel aveva potuto riconoscere in ognuno di loro esattamente quello che erano, cioè gli stessi di sempre. Ichigo invece… il modo di fare che aveva, il modo che aveva di parlarle, il modo che aveva di guardarla… non erano quelli che lei conosceva, assolutamente. Le sembrò un’assurdità il pensarlo, ma il modo in cui le aveva stretto la mano e in cui l’aveva guardata le avevano portato di nuovo alla mente la nonna. Era esattamente il modo di rapportarsi con lei che Angel nei mesi precedenti aveva tanto cercato, non riuscendoci, fin quasi all’ossessione. Lo sguardo che le aveva rivolto prima che la venisse a prendere l’ambulanza non se lo sarebbe mai levato dalla testa. Eppure, non riusciva a collegare i pezzi. Perché questo comportamento della leader? Cosa voleva significare? Cosa era cambiato, in lei? E Masaya?
Giusto, Masaya. L’unico fra i suoi compagni ad essere rimasto un po’ in disparte, senza partecipare alla conversazione, dal momento in cui erano entrati nella stanza. Non le era andato vicino, non le aveva parlato, non l’aveva nemmeno salutata. Ogni tanto Angel aveva provato a incrociare il suo sguardo per cercare di comunicare con lui, ma il modo in cui lui l’aveva guardata di rimando le aveva subito fatto distogliere gli occhi. Non aveva idea di quello che Masaya stesse pensando: aveva avuto, per tutto il tempo, un’espressione assolutamente indecifrabile, e le poche volte in cui si erano guardati Angel aveva colto quello sguardo particolare ed intenso che, da solo, non voleva dire nulla, ma che era capibile dal contesto. C’erano state altre volte in cui l’aveva guardata così, ed erano state tutte occasioni in cui si era infuriato con lei per una mancanza grave. Angel non avrebbe mai augurato a nessuno di subire la rabbia di Masaya: in genere aveva una pazienza e un livello di sopportazione veramente elevati, ma quando il vaso traboccava erano dolori. E non tanto per il modo di fare che aveva quando si arrabbiava – il boss riusciva ad urlare ben più forte di lui, e per molto meno – ma appunto per quello sguardo particolare che aveva il potere di terrorizzarla. Era uno sguardo che trapassava da parte a parte e, le volte in cui l’aveva fissata in quel modo, Angel si era sentita afflosciarsi come un sacco vuoto, e venire meno ogni potenziale di difesa. Erano state le uniche volte in cui davvero si era sentita in balìa totale di qualcun altro. Le uniche volte in cui qualcuno avrebbe potuto colpirla fisicamente – anche se sapeva che lui non l’avrebbe mai fatto – e lei non avrebbe nemmeno provato a reagire.
Non era uno sguardo di per sé rabbioso. Ma era appunto un modo di guardare che lei aveva imparato ad associare ai momenti in cui lui si infuriava. Perciò durante quella visita, dopo i primi tentativi di catturare i suoi occhi, aveva cercato di non incrociare più il suo sguardo e di concentrarsi sulle chiacchiere con gli amici. Ma era dura per Angel ignorare una persona per lei così importante. Tanto più che, al momento per i ragazzi di andare via, lui, invece di uscire insieme a loro, rimase fermo al suo posto.
Angel iniziò a sentirsi sudare. Cominciò a fare mente locale per cercare di ricordare un qualche errore che aveva commesso, qualcosa che potesse giustificare una bella strigliata. Ma certo: il fatto che fosse uscita da sola la sera prima, finendo quasi ammazzata, nonostante i suoi espliciti divieti di farlo. E quando lo vide iniziare ad avvicinarsi anche lui al suo letto si rattrappì sotto le coperte e strizzò gli occhi. Non aveva idea di come l’avrebbe sgridata o cosa le avrebbe detto; in passato era stata rimproverata dal nonno molte volte, che le aveva anche tirato qualche schiaffone, ma la paura che aveva provato in quelle occasioni era stata niente rispetto a quello che sentiva ora.
Ad occhi serrati, sentì i passi del giovane farsi vicini a lei; poi il suo respiro lieve scompigliarle i ciuffi sulla guancia. Il parlare a bassa voce invece dello sfogo della rabbia! Questa era una cosa che Angel non sopportava. Se c’era una cosa che la terrorizzava più di una sgridata di Masaya, era una sgridata di Masaya sussurrata, senza urlare. Chissà che parole castranti le avrebbe mormorato nell’orecchio.
“Sei una guerriera coraggiosa, la tua battaglia di ieri verrà sempre ricordata. Sono fiero di te.”
Ma aveva capito bene? Non era stata un’allucinazione uditiva? Suo padre, invece di sgridarla, le aveva fatto i complimenti e le aveva detto che era fiero di lei? Con un tono sussurrato oltretutto scosso dalla commozione?
Riaprì gli occhi e trovò il coraggio di guardare l’uomo vicino a lei. Lui, prima di allontanarsi per seguire i loro compagni, le rivolse ancora lo sguardo di prima, ma questa volta Angel riuscì a leggerci quello che c’era dietro. Non era una cosa le aveva detto così tanto per: davvero l’aveva riconosciuta come una guerriera coraggiosa, davvero l’aveva lusingata assicurandole che il suo combattimento non sarebbe andato dimenticato, e davvero era fiero di lei. Suo padre le aveva detto che era orgoglioso di lei.
Angel, dopo l’ultimo scambio di sguardi, non guardò Masaya alzarsi per avviarsi verso l’uscita: si coprì gli occhi col braccio, rimanendo immobile e trattenendosi. Solo quando ebbe sentito il rumore della porta che si chiudeva e fu sicura che nella camera non ci fosse più nessuno si mise a piangere. Senza emettere un verso e senza singhiozzare, sentì solo qualche lacrima scivolarle dagli occhi sulle guance e le tempie per poi finire sul cuscino, ed il tutto non durò più di dieci secondi.
Rimasta sola nel silenzio asettico della camera, Angel ebbe modo di fare un veloce riepilogo: in un momento di difficoltà, i suoi amici si erano fatti avanti tutti per darle il loro aiuto, avrebbero continuato a starle vicino finché non fosse guarita del tutto, sua madre aveva iniziato a comportarsi con lei in un modo che le era alquanto familiare e suo padre l’aveva lodata dicendole che era orgoglioso di lei.
Nonostante la brutta situazione in cui si trovava, nonostante avesse il corpo pieno di ferite e di punti, nonostante avesse la consapevolezza – ancora cercava di non pensarci, ma non sarebbe riuscita ad ignorarla ancora per molto – di aver ucciso Waffle con le sue mani, la sua mente andò molto più indietro, a uno dei primi ricordi della sua vita.
Doveva avere circa quattro anni… anzi, no, meno, tre. Stava seduta davanti alla tenda a giocare con Rau, questo se lo ricordava. Poi aveva visto arrivare suo nonno con un sorriso tronfio e soddisfatto. Allora si era alzata andandogli incontro, come faceva ogni volta che lo vedeva. Ma il nonno non era solo: stringeva tra le braccia tre pacchi di riso. Angel si ricordava le parole che aveva pronunciato, come se fosse stato ieri.
“Guarda qua, angioletto! Tre pacchi di riso, tre invece di due! E tutto questo solo per quattro bracciate di legna, invece di cinque!”
Angel ancora era troppo piccola per capire i numeri e dei concetti così complicati, però aveva guardato con curiosità il riso portato dal nonno, per vedere cosa avesse di così speciale. Ma le sembrava normalissimo riso, come quello che aveva sempre mangiato.
“Ascolta bene, luce dei miei occhi, questa è roba preziosa, è un vero tesoro! Non ci capiterà mai più un baratto buono come questo!”
C’erano state altre volte in cui il nonno aveva appellato qualcosa di specifico come tesoro. Non solo cose più particolari o rare che riusciva a barattare – l’olio per la lampada, ad esempio, non era semplice da trovare e costava parecchio – ma anche quando si trovavano dei frutti in giro o piante o radici che si potevano mangiare, senza dover dare qualcosa in cambio. Comunque, Angel si era fatta col tempo un’idea ben precisa di cosa fosse un tesoro. Era un qualcosa dal valore molto superiore al comune, che non si poteva quasi calcolare.
Finora al concetto di tesoro aveva abbinato solo cose materiali e utili per la sopravvivenza. Ma quegli otto ragazzi che oggi erano venuti a trovarla non rispondevano alla perfezione a questi requisiti? Ognuno di loro, a modo proprio, aveva dimostrato che le voleva bene e che teneva a lei, proprio adesso che ne aveva così bisogno. E lei era certa che non avrebbe più potuto fare a meno di nessuno di loro. Come aveva fatto prima, quando ancora non li conosceva? Veramente era riuscita a campare tutti quegli anni da sola, con la sola compagnia dei suoi nonni? E, cosa che la riempiva di soddisfazione, era la consapevolezza che quel tesoro immateriale nessuno gliel’aveva dato e nessuno gliel’aveva regalato. Lo aveva trovato e saputo conquistare da sola. Angel era certa che, se quella lotta mortale con Waffle fosse avvenuta il primo giorno in cui era arrivata, nessuno dei suoi amici le avrebbe dimostrato la sua vicinanza in modo così appassionato. Di sicuro l’avrebbero aiutata, ma per puro senso del dovere e basta. Invece adesso le volevano davvero bene, quel legame che avevano sviluppato con lei non era calato dall’alto, ma Angel se l’era saputo conquistare e l’aveva costruito con fatica, impegnandosi, imparando ed adattandosi di continuo. Ed ora, nove mesi dopo, dopo tante avventure, tante battaglie, sudore e sangue, era arrivata a una sola conclusione: non sarebbe riuscita facilmente a staccarsi da loro con la consapevolezza che non li avrebbe mai più rivisti, una volta sconfitto Flan – sempre che fosse riuscita a sopravvivere alla battaglia, cosa non affatto scontata. Come avrebbe fatto senza l’accoglienza e la gentilezza di Keiichiro? La tacita ma profonda amicizia col boss condita dai loro battibecchi quotidiani? La saggezza di Zakuro, che tendeva a stare sulle sue ma a cui Angel si era sempre potuta rivolgere quando aveva qualche grave dubbio? La vitalità con cui Bu-ling condiva tutte le loro giornate? Il silenzioso rispetto che lei e Minto provavano l’una per l’altra, nonostante avessero stili di vita così diversi? La disponibilità e la sensibilità di Retasu? Suo padre, che l’aveva istruita su così tante cose, aveva aumentato le sue conoscenze e allargato la sua mente, che l’aveva addestrata al combattimento, e a cui andava buona parte del merito, se non era morta subito contro Waffle? Sua madre, che aveva sempre guardato con ammirazione e che aveva sempre seguito nelle battaglie, imparando da lei cosa vuol dire essere un leader e avere a carico la responsabilità di un gruppo di persone? Non aveva nemmeno idea del tremendo senso di vuoto che avrebbe provato, una volta che non li avrebbe più avuti nella sua vita. Certo, c’era sempre la nonna che la aspettava, e inoltre non era quello il mondo da cui proveniva. Era nata nella vita selvaggia e primitiva della sua Tokyo distrutta, ed era giusto che vi facesse ritorno, una volta compiuto il suo dovere. Lo sapeva e lo aveva sempre saputo. Ma per la prima volta da quando aveva incontrato i suoi compagni, dopo tutto quel tempo di obiettivi fissati in anticipo e propositi molto chiari, Angel sentì, con dolore, il proprio cuore diviso in due.

 

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Ora mi viene una domanda... non è che questi ragazzi li sto idealizzando un po' troppo? Penso che tutte voi ricorderete l'immensa stronzaggine di Minto, Retasu, Zakuro e Ryo quando Ichigo era incasinata coi compiti e loro, in modo alquanto sadico, la lasciavano cuocere nel suo brodo invece di aiutarla (vabbé che finire in ospedale con la pancia bucata è un po' diverso dal non riuscire a fare i compiti). Io, ero piccola, facevo le medie, ricordo con chiarezza mentre guardavo in DVD quella puntata con mia sorella di fianco, e arrivata a quel punto il suo commento disgustato "che amiche del ca**o che sono!". E non ho potuto fare altro che darle ragione xD

Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate! Fra un po' dovrei anche postare qualche altro disegno, li devo solo inchiostrare. Grazie di nuovo a tutte, al prossimo aggiornamento!

   
 
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