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Autore: Emma_Jane84    27/10/2017    1 recensioni
Bertram è un virtuoso del pianoforte, con la strada del successo spianata davanti a sé: fino a quando un incidente gli lascia una mano paralizzata e lo costringe ad andarsene da Vienna per tornare in Inghilterra, a guadagnarsi da vivere come insegnante privato.
Rose è cresciuta suonando le composizioni di Bertram, ma quando ha la possibilità di incontrare l'uomo che ha idolatrato fin dall'infanzia si trova di fronte a un'amara realtà: lui è sgarbato, scortese, un animale ferito che si rintana nell'ombra.
A spingerli l'uno verso l'altra c'è soltanto quella composizione che lui inizia la sera e lei prosegue di giorno. Sulle note di una sonata, due anime iniziano a parlarsi attraverso il pentagramma prima ancora di potersi guardare negli occhi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, L'Ottocento
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Contea del Surrey, Inghilterra
Novembre 1814

Mrs Kirby posò la tazza da tè, che tintinnò sgraziata sul piattino. Alzò lo sguardo sulla figlia minore, arcuando il più possibile le sopracciglia.

«Prego?»

Octavia non abbassò lo sguardo e non esitò. Con un contegno da perfetta signora, ripeté:

«Ho detto che desidero fare il mio debutto in società durante la prossima Stagione, madre.»

Seduta al pianoforte accanto alla finestra, Rose assisteva alla scena tra la madre e la sorella fingendo di concentrarsi sul solfeggio degli spartiti; in realtà, con la coda dell'occhio era impegnata a catturare ogni loro gesto. Nonostante i capelli ancora sciolti sulle spalle e gli abiti ornati di grandi fiocchi infantili, Octavia era già una piccola donna, perfettamente in grado di combattere da sola le sue battaglie. Tuttavia, Rose era certa che la roccaforte non sarebbe stata espugnata. La loro madre era sempre stata chiara a riguardo: non avrebbe mai permesso che...

«...la mia figlia minore debutti in società fino a che la maggiore non sarà sposata. E questo è quanto, Octavia. Puoi tornare a dedicarti agli esercizi di violino, ora.»

«Non è giusto! Rose aveva esattamente la mia età quando ha debuttato!»

Rose rabbrividì nell'udire proprio nome. Tirarla in ballo a quel modo era stato sleale.

Mrs Kirby non rivolse nemmeno un'occhiata alla figlia maggiore, come se non fosse nemmeno presente nella stanza. Meglio così. Rose scrollò le spalle, concentrandosi sulle note dello spartito che aveva davanti. Le voci della madre e della sorella si fecero lontane; mentre leggeva i segni sul pentagramma, le note prendevano forma nella sua mente, e non restava spazio per nient'altro.

«Sai bene che Rose ha un diritto di precedenza su di te, Octavia.»

Un minuetto in fa maggiore. La composizione era datata 1799: suo padre l'aveva portata da un soggiorno a Londra, quando Rose non aveva che nove anni e non era ancora in grado di suonare bene. Almeno, non ai livelli di adesso.

«Debutterai al momento in cui lei sarà accasata, non un minuto prima.»

L'autore era un virtuoso che aveva avuto molto successo da bambino in Inghilterra, prima di trasferirsi in Austria.

«Madre, di questo passo invecchierò zitella! Debutterò quando sarò brutta e passita, e nessuno mi vorrà più!»

Rose cercò di concentrarsi disperatamente sulla musica. Chi aveva composto quella sonata? Ma certo, certo. Il bambino prodigio d'Inghilterra. Quindici anni prima si esibiva in tutto il Regno insieme alla sorella maggiore, anche lei estremamente talentuosa. La straordinaria coincidenza aveva fatto gridare al miracolo: erano nati altri due fratelli Mozart.

«Diciassette anni o settanta, non ha la minima importanza per me, Octavia Marianne Kirby.»

Il nome di quel ragazzo prodigio era...

«Madre, vi prego...»

...Bertram Foster. Poteva dire che fosse per sua colpa e suo merito se aveva iniziato a suonare. Fin dal primo momento, le sue composizioni le avevano solleticato lo spirito, portandolo ad altezze mai sfiorate. Certo, nel fraseggio alle volte si sentiva l'impronta del suo maestro, il celebre Beethoven, ma dentro quei suoni echeggiava una ruvidezza che parlava di brughiere, cottage di sassi di fiume con i tetti di paglia e rampicanti nel cortile, muretti a secco a strapiombo su alte scogliere. I cieli d'acciaio sulla brulla campagna inglese vivevano nella musica di Mr Foster, insieme a un sapore lontano di tempesta appena passata, che lascia la speranza di un raggio di sole.

«Questo è quanto, e da me non otterrai di più. Considera la discussione conclusa.»

Rose sospirò, e lasciò gli spartiti. Il duetto della madre e della sorella era riuscito a fagocitare la melodia struggente dei cieli d'acciaio, strappando la sua immaginazione alle campagne e alle scogliere.

«Puoi andare, ora.»

Octavia strinse le labbra e si fece livida di stizza. Tutta quella rabbia non era destinata a lei, lo sapeva, eppure Rose se ne sentiva responsabile. Se solo fosse stata già sposata. Se fosse riuscita ad interessare un giovane all'altezza delle aspettative della sua famiglia. Se fosse stata un poco più bella.

Soffiò via il ricciolo ribelle che le sfiorava il sopracciglio. Tutta l'avvenenza che sua madre aveva portato in dote dalla stirpe dei Vaughan del Sussex era andata a Octavia, che con i suoi capelli castani, gli occhi verdi come prati di primavera e la figura alta e morbida era descritta come una delle giovani più belle del vicinato.

A Rose invece era spettata l'eredità dei Kirby: fisico secco, bassa statura, indomabili ricci biondi e un naso che perfino il più delicato degli osservatori avrebbe definito decisamente aquilino. Conversava con garbo di qualunque argomento, dal tempo, alle corse dei cavalli, alla filosofia; suonava il pianoforte e l'arpa; parlava un po' di italiano (appreso dall'opera), francese (grazie alle tragedie di Racine) e tedesco (colpevole una passione per le opere di Mozart e i lieder di Beethoven). Eppure, nessuna delle arti femminili che si era impegnata tanto a imparare sembrava sopperire a quella mancanza di bellezza.

Si scoprì a torturarsi le unghie, e subito strinse le dita tra loro. Non erano belle nemmeno le sue mani. Troppo ossute. Almeno, quelle dita sottili e lunghe le permettevano di suonare con più facilità il suo amato pianoforte.

Come lo schioppo di un fucile da caccia, la voce di sua madre riportò di nuovo alla realtà.

«Ho detto: puoi andare.»

Octavia fece per dire qualcosa, poi ci ripensò. Girò i tacchi, e lasciò che fossero le suole dei suoi nuovi stivaletti a esprimere rumorosamente il dissenso che provava, per tutto il tragitto che lungo le scale conduceva alla sua stanza.

Mrs Kirby sospirò, e proseguì il suo ricamo al tombolo senza dire una parola.

«Mi dispiace» mormorò Rose, con gli occhi fissi sugli spartiti.

«L'impertinenza di tua sorella non dipende da te. Avanti, adesso. Continua a esercitarti.»

Sua madre le aveva mentito: l'occhiata che le aveva rivolto parlava per lei. L'intemperanza di Octavia e le continue liti tra loro dipendevano da lei soltanto.

Rose chiuse gli occhi, accarezzò i tasti. Pensò che sarebbe dovuta salire in camera per parlare con Octavia. Pensò che sarebbe stato bello nascere secondogenita, e avere più tempo per dedicarsi al piano. Molte donne smettevano i loro esercizi musicali, una volta sposate; dopo tre Stagioni infruttuose, ci si aspettava da Rose che la prossima fosse quella decisiva per convolare a giuste nozze.

A lei non importava poi molto: l'unica cosa che contava davvero era che il suo futuro marito possedesse un pianoforte, e le permettesse di continuare a suonare.

***

Ogni settimana la sceneggiata si ripeteva, con lo stesso canovaccio. Anche le battute iniziavano a suonare sempre più simili. Tutti i martedì, in corrispondenza dei pomeriggi liberi di Miss Russell, Octavia non perdeva tempo per ricordare a sua madre quanta fretta avesse di sbarazzarsi dell'istitutrice e poter finalmente acconciarsi e vestirsi come un'adulta.

Quel martedì in particolare, Mrs Kirby andò in visita dai vicini dopo pranzo. Aveva lasciato a casa la figlia minore per punizione, e la più grande con la scusa che le avrebbe fatto compagnia. Rose ne fu sollevata. Lasciò con gioia Octavia ai suoi progetti per il debutto, nei quali la sua presenza non era comunque richiesta, e decise di fare una passeggiata a cavallo nei dintorni, per distendere i nervi.

Gli stallieri la guardarono un po' storto quando chiese di cavalcare Proserpina, ma sapevano che Mr e Mrs Kirby incoraggiavano qualche salutare passeggiata a cavallo di tanto in tanto. Il tempo era mite, assicurò, il cielo sgombro da nuvole; inoltre non avrebbe superato i confini della tenuta. La promessa sembrò bastare a convincerli; l'aiutarono a salire in sella, e la salutarono mentre si allontanava.

Decise di approfittare dei pochi sprazzi di sole freddo, e condusse Proserpina verso il boschetto. A dispetto del suo nome, la cavalla era mansueta e lenta nell'incedere; a Rose quell'andatura non dispiaceva affatto. Le permetteva di rilassarsi, e di ascoltare la melodia della natura intorno a lei.

Lontano dai sentieri battuti dalle carrozze poteva cogliere il fruscio della brezza tra le fronde, il ritmico scricchiolio dei rametti spezzati sotto gli zoccoli del cavallo, un frullio di ali nascosto tra i rami spogli delle betulle. Ogni tanto a quella sottile armonia si univa il gorgheggio di un merlo, e Rose pensava che avrebbe dovuto trascriverne la melodia una volta tornata a casa, e ricavarne una romanza.

Si strinse nella mantella, infreddolita e felice. L'aria pungente le portava il sangue alle guance, la faceva sentire viva e non più invisibile.

Desiderava così tanto essere vista.

Da sua madre, ad esempio: desiderava che smettesse di considerarla un intralcio per la famiglia, e riconoscesse tutti i suoi sforzi, e la guardasse anche solo per una volta con occhi orgogliosi.

Desiderava che sua sorella vedesse in lei una confidente, e non un ostacolo.

Desiderava che suo padre smettesse di inviarle nuovi spartiti da Londra, e che venisse ogni tanto ad ascoltarla suonare quelli che possedeva già. Da quanti mesi ormai era lontano? Di certo i suoi affari a Londra richiedevano grande cura, ma non poteva fare a meno di pensare che fosse ben altro a trattenerlo laggiù. L'avrebbe rivisto, almeno per Natale?

Sospirò, e il respiro si condensò in vapore appena uscì nell'aria gelida. Soffiò sulle mani intirizzite. Aveva dimenticato i guanti, per la fretta di uscire.

D'improvviso, sul ciglio della strada scorse qualcosa che la stupì.

Non era raro vedere le rose crescere selvatiche nel boschetto accanto a Broxenban Manor, sua madre a volte faceva prelevare cespugli interi per il suo giardino; di certo però non se ne trovavano a novembre inoltrato.

Scese da cavallo, e con le briglie di Proserpina tra le mani si avvicinò al bocciolo. Era giallo, con la testa mestamente piegata: eppure non sembrava congelato, anzi, iniziava a sbocciare. Si chinò, per esaminare il fusto. Il freddo non l'aveva ancora bruciato.

Se l'avesse lasciato a se stesso, il bocciolo sarebbe appassito. Ma come sradicarlo, a mani nude e senza l'aiuto di nessuno strumento da giardinaggio?

«Rose Kirby, che piacevole sorpresa! Cosa vi porta qui?»

La voce gioviale la costrinse a voltarsi. Rose sorrise e chinò il capo di fronte al giovane gentiluomo a cavallo, seguito dal valletto.

«Buongiorno, Colin. Sono uscita per una passeggiata. Credo che mia madre sia in visita da voi in questo momento.»

Conosceva quel ragazzo alto e biondo da una vita intera: in società dovevano usare un freddo Miss Kirby, Mr Sterling, ma quando erano in un ambiente più famigliare scivolavano con naturalezza nella vecchia abitudine di chiamarsi per nome, come facevano da bambini. Gli Sterling abitavano a meno di due miglia da Broxenban; i padri di Rose e Colin erano stati compagni di università da giovani, e questo aveva permesso alle famiglie di frequentarsi spesso. Tanto spesso, che Rose sospettava sua madre avesse qualcosa in mente.

«Dite? Non ne sono stato informato. Ho fatto un salto in città con Thomas, per far ferrare il cavallo e ritirare la nuova sella.»

«Allora vi consiglio di rimanere fuori casa il più a lungo possibile, perché dubito che mia madre se ne andrà prima di sera.»

Colin sorrise. Aveva occhi scuri molto belli, quasi da bambino, che si illuminavano completamente quando sorrideva.

«E di certo mia madre la tratterrà più a lungo che potrà. Oh» fece poi, notando la rosa «Stavate guardando questa meraviglia? L'ho vista anche prima, all'andata. C'è del miracoloso, non credete? Una rosa che fiorisce nel pieno dell'inverno.»

Rose gettò un'occhiata al bocciolo giallo. Le sembrò quasi che tremasse sotto la brina.

«Vorrei portarla nella nostra serra, a Broxenban Manor. Temo che morirà presto se verrà lasciata a se stessa.»

«Purtroppo non abbiamo strumenti da giardinaggio a disposizione, ma forse c'è qualcosa che potrebbe fare al caso nostro.»

Colin Sterling fece un cenno al suo valletto, che estrasse dallo stivale un coltello portatile.

«Può esservi utile, miss?» chiese Thomas.

Sorridendo riconoscente, Rose prese il coltello, e tracciò un cerchio a terra per delimitare il perimetro della zolla di terra da prelevare. Sperava che le radici non fossero conficcate troppo in profondità, o sarebbe stato impossibile salvare la rosa.

Sentì che Colin scendeva da cavallo, e le si inginocchiava accanto. Lo vide sfilarsi i guanti.

«Le vostre mani sono congelate. Tenete, e datemi quel coltello.»

Rose esitò. «Sapete come trapiantare un arbusto?»

Colin rise. «Sono certo di poterci riuscire, se mi spiegherete come fare.»

Rose infilò i suoi guanti imbottiti di pelliccia, e, mentre gli dava spiegazioni su come incidere il terreno facendo attenzione a non recidere le radici, godette del calore che si spandeva lungo le dita, facendole tornare in vita. Colin era sempre stato così. Anche adesso, non si curava affatto di patire il freddo e di graffiarsi pur di soddisfare il suo capriccio. Dopo tutto, se veramente le loro madri avevano intenzione di combinare un matrimonio tra loro, sarebbe stata una ragazza fortunata.

Colin era un giovane serio, non brillante ma nemmeno stupido, che studiava a Oxford nell'attesa di succedere al padre nell'amministrazione della ricca tenuta di Candall. Possedeva un'ottima rendita, e sarebbe stato una saggia scelta. Aveva perfino un buon carattere e una condotta temperante, per un giovane di vent'anni appena. Era sempre stato gentile con lei. Sarebbe stato un buon marito.

Allora perché non riusciva a scacciare un moto d'ansia all'idea che si stesse combinando un fidanzamento alle loro spalle?

   
 
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