Seconda parte
“Tesoro,
raggiungi la zia Freya in macchina, per favore, io arriverò tra pochi minuti”
disse Hayley alla figlia. La bambina osservò con interesse il giovane
sconosciuto che accompagnava zio Elijah e zia Rebekah, poi salutò tutti con la
mano e con un gran sorriso e si rivolse alla madre.
“Va
bene, mamma, però tu fai presto, non farci aspettare come al solito!” disse,
prima di uscire di corsa dal palazzo.
Elijah
e Rebekah rimasero attoniti a guardare la bambina che correva allegra verso la
macchina della zia, mentre Hayley li squadrava con un sorriso di trionfo
dipinto sul volto.
“Cos’è
questa novità? Dove state andando tu, Freya e Hope? E perché non mi avete
avvertita?” domandò Rebekah, dispiaciuta.
“Tu
non c’eri, mia cara, evidentemente preferisci un altro tipo di compagnia alla
nostra” le rispose Hayley con malignità. “Tuttavia saremo sempre pronte a
riaccoglierti se decidessi di ritornare in te stessa… Elijah, ti avevo
avvertito che non avrei tollerato di sapere mia figlia nella stessa casa con
questo mostro psicopatico, ma tu non mi hai ascoltata. D’ora in poi farò in
modo che Hope torni qui solo per dormire e, durante la giornata, la porterò
fuori in modo che stia il più lontana possibile da lui… e anche da te, visto
che, a quanto pare, hai perso completamente la ragione e non sei più una
persona di cui ci si possa fidare. Oggi andremo a pranzo in un pub, poi a
prendere un gelato e al cinema e stasera mangeremo una pizza.”
Elijah
era rimasto ancora più turbato di Rebekah a queste parole, ferito dal fatto che
Hayley considerasse anche lui un pericolo per la bambina.
“Klaus
è d’accordo? Non credo che gli farà piacere essere tenuto lontano da sua
figlia” fu tutto quello che riuscì a dire.
“Ho
già parlato con Klaus ed è d’accordo con me” ribatté la ragazza, compiaciuta.
“Non ho intenzione di tenerlo lontano da Hope, anzi, lui ci raggiungerà al
cinema e verrà con noi a mangiare la pizza questa sera. Sei tu quello che non dovrà più starle
vicino, a meno che non riesca a staccarti da questo pazzo malvagio che ti ha
plagiato e irretito! Ci vediamo, adesso devo andare, Hope e Freya mi
aspettano.”
Detto
questo, Hayley si affrettò a raggiungere la figlia nell’auto di Freya che
l’attendeva fuori dal palazzo. Rebekah la seguì con sguardo deluso e
addolorato, mentre Elijah pareva del tutto annichilito.
“Petit chien…”
mormorò Tristan, tornando alla sua lingua madre per esprimere la rabbia e il
disgusto che provava per quella donna subdola e ipocrita. Era chiarissimo che
questa decisione non era stata presa per proteggere Hope, bensì per ferire
Elijah. Come al solito, Hayley mascherava le sue scelte più meschine con belle
parole e dichiarazione di amore materno…
Voleva
soltanto vendicarsi di Elijah che le aveva preferito lui e, per farlo, aveva
scelto il metodo più crudele, da quella vipera infida che era.
Rebekah,
seppure molto rattristata dall’atteggiamento di Hayley, tentò di reagire.
“Sono
certa che Hayley non arriverà a tanto” disse, cercando di convincere il
fratello e anche se stessa. “La sua è una reazione istintiva, ma quando avrà
modo di rifletterci comprenderà che questo atteggiamento danneggia anche Hope.
Bene, a quanto pare siamo rimasti soltanto noi in casa. Vogliamo pranzare?”
“Ti
ringrazio, Rebekah, ma adesso non voglio niente, ho bisogno di restare un po’
da solo” replicò Elijah, scuro in volto e in tono cupo. Parve dimenticare
persino la presenza di Tristan e, senza un’altra parola, si avviò per le scale
verso la sua stanza.
Rebekah,
turbata e imbarazzata, si rivolse a Tristan.
“Senti,
io… vorrei parlare con Marcel di questa situazione” disse, senza sapere bene
come spiegarsi. “Mi spiace lasciarti qui da solo, ma…”
“Non
preoccuparti, me la caverò benissimo. Vai pure da Marcel” la tranquillizzò il
giovane Conte. “E, a proposito, volevo ringraziarti per come ti sei occupata di
Aurora, stamani. Lei è veramente cambiata e credo che senta il bisogno di
un’amica.”
“Mi
fa piacere passare del tempo con lei, te lo assicuro” rispose la ragazza, con
un sorriso. “Bene, allora, se non ti dispiace, io andrei…”
Tristan,
così, restò solo nel grande patio di casa Mikaelson. L’unica sua compagnia
erano i muratori che continuavano a lavorare nell’ala est per preparare il suo
appartamento ma, per come si erano messe le cose, adesso lui dubitava che
quelle stanze sarebbero mai servite a qualcuno. Provava una gelida collera e un
totale disgusto per Hayley e ciò che aveva fatto ad Elijah, ma anche la
reazione del suo Creatore lo aveva ferito. Pareva che, nel dolore per
l’allontanamento da Hope, si fosse completamente dimenticato di lui… Era stata
solo un’illusione, dunque. Per Elijah la sua famiglia sarebbe sempre venuta
prima di chiunque altro e, di fronte alla prospettiva di perdere l’affetto
della nipote, nulla contava più, nemmeno il legame con il suo amante.
Era
strano, però.
Se
una cosa del genere fosse accaduta un anno prima, Tristan si sarebbe infuriato
anche con Elijah, lo avrebbe accusato di mettere sempre la famiglia al primo
posto e di abbandonarlo ancora una volta, come già aveva fatto mille anni prima.
Gli avrebbe rinfacciato tutte le volte in cui lo aveva deluso e gli aveva fatto
del male, rammentandogli anche la terribile condanna all’eterno annegamento nel
container. Sarebbe stata l’occasione per sfogare ogni dolore e sofferenza
provocatigli da Elijah.
Quella
volta era diverso.
Tristan
non si curava tanto del proprio personale dolore, della delusione che aveva
provato; continuava invece a vedere con gli occhi della mente il volto ferito e
addolorato di Elijah alle parole di Hayley, il suo sguardo vuoto e perso quando
Hope aveva lasciato di corsa la casa.
La
sofferenza di Elijah era per lui più difficile da sopportare della propria…
Fu
questo il motivo per cui il Conte De Martel non prese la decisione di
tornarsene, offeso, a Davilla Estate, come avrebbe fatto un anno prima; rimase
invece nel patio di villa Mikaelson, da solo, seduto su uno dei divanetti,
guardando senza vederli i muratori al lavoro nelle stanze che sarebbero dovute
diventare sue.
E
attese.
Attese
che Elijah uscisse dalla sua stanza, che avesse voglia di parlargli, di
sfogarsi con lui, di cercare assieme una soluzione.
Attese
fino al pomeriggio inoltrato, poi alla sera, ma Elijah non si fece vedere e la
porta della sua camera restò chiusa.
Era
già quasi buio e gli operai avevano terminato il lavoro per quel giorno quando,
finalmente, il vampiro Originale lasciò la sua stanza e si affacciò sul patio,
stupendosi nel vedere che Tristan era ancora là, solo e a malapena visibile
nell’oscurità che aumentava.
“Tristan?”
lo chiamò, quasi incredulo, come se avesse dimenticato di averlo portato alla
villa con sé.
Il
giovane trasalì alla voce del suo Sire, alzò la testa e gli rivolse uno sguardo
al contempo affettuoso e addolorato per essere stato dimenticato così a lungo.
“Credevo
che…” mormorò Elijah, che appariva molto confuso. “I muratori sono andati via?
E dov’è Rebekah?”
“Tua
sorella è andata da Marcel, aveva bisogno di parlare con lui; i muratori hanno
finito di lavorare e se ne sono andati circa un’ora fa” rispose Tristan, come
se fosse normale parlare di simili banalità.
“Vieni
nella mia stanza” disse, laconico, il vampiro Originale. “Ritengo che dovremmo
parlare.”
Tristan
ne era altrettanto convinto, perciò annuì, si alzò dal divanetto e salì le
scale per raggiungere la stanza del suo Sire. Elijah lo fece entrare e chiuse
la porta.
Il
ragazzo si guardò intorno per un attimo, ma non fece nemmeno l’atto di
accomodarsi. Rimase in piedi, fermo davanti al suo Creatore, come per una resa
dei conti. Poiché Elijah non accennava a iniziare il discorso, fu lui a
parlare.
“Ciò
che ha fatto Hayley è qualcosa di inqualificabile” esordì, “e dimostra, come se
ce ne fosse ancora bisogno, che ci sono delle creature che vivono sul fondo
delle paludi del Bayou che hanno un quoziente intellettivo e una sensibilità
notevolmente maggiori dei suoi. E’ un’ipocrita e finge di voler agire per il
bene di sua figlia quando, chiaramente, la sua è soltanto una vendetta per
essere stata messa in secondo piano.”
Elijah
non replicò e non tentò di difendere Hayley dalle accuse taglienti di Tristan.
Per una volta, si rendeva conto che ciò che il giovane diceva era la pura e
semplice verità: la donna stava usando Hope per ferirlo… e, purtroppo, aveva
usato l’arma più efficace in suo possesso.
“In
una situazione normale, preferirei strapparmi il cuore da solo e darlo in pasto
ai cani piuttosto che cedere ad un suo ricatto” continuò Tristan, acido, “ma
questa non è una situazione normale. Ritengo pertanto che la cosa migliore per
tutti sia che io torni a vivere con Aurora a Davilla Estate.”
A
quelle parole inaspettate, Elijah alzò lo sguardo. Fino a quel momento i suoi
occhi erano apparsi privi di espressione, ma ciò che il Conte De Martel aveva
detto gli accese una nuova luce dentro. Fissò il ragazzo come se volesse
sondarlo da capo a piedi.
“Probabilmente
non saremmo mai dovuti tornare a New Orleans” riprese il giovane Conte, turbato
da quello sguardo così insistente e profondo, “ma ormai siamo qui e non saprei
come spiegare ad Aurora un nuovo trasferimento. Posso tuttavia riprendere il
mio posto al quartier generale della Strix e al fianco di mia sorella, in modo
tale da risolvere questa spinosa questione. Se io non ci sarò, Hayley non avrà
più motivo di tenerti lontana Hope.”
“E
tu lo faresti davvero? La daresti vinta ad Hayley?”
“Come
ho già detto, non lo farei mai in una situazione normale” ribatté Tristan. “Il
solo pensiero mi ripugna… ma credo che non ci sia un’altra soluzione. Non mi
importa assolutamente niente di quella stupida cagnetta né delle implicazioni
negative che tale comportamento potrebbe apportare al benessere psicologico di
tua nipote, sia chiaro. Però…”
“E
allora perché lo fai? Io ti conosco bene, sei fiero, orgoglioso, arrogante.
Perché mai dovresti cedere ad un simile ricatto?” insisté Elijah, avvicinandosi
al ragazzo.
Perché ti amo e
non voglio che tu soffra, questa era la risposta che salì spontaneamente alle
labbra del Conte De Martel. Ma per quella sera si era già esposto abbastanza e
non avrebbe calpestato la propria dignità fino a quel punto…
“Perché
è una situazione che mi mette a disagio e…” cominciò a dire Tristan, scegliendo
con cura le parole. Ma non fu necessario, perché Elijah lo interruppe
stringendolo convulsamente contro il suo petto e sigillandogli le labbra con un
bacio intimo e profondo, lunghissimo. Senza staccarsi dalla sua bocca, lo
sollevò e lo portò fino al letto, dove lo spinse, imprigionandolo con il peso
del suo corpo.
Mentre
si liberava degli abiti e li strappava letteralmente di dosso al giovane,
Elijah pensava confusamente che non avrebbe mai sopportato di perdere Hope, ma
che sarebbe stato altrettanto devastante per lui rinunciare a Tristan. Per
tutto il giorno si era lacerato alla ricerca di una soluzione al crudele
ricatto di Hayley e non l’aveva trovata, ma non poteva accettare che il suo
giovane amante se ne andasse un’altra volta. L’immagine del suo incubo, di
Tristan che sprofondava con il container in un luogo che lui non poteva
raggiungere, era sempre viva e dolorosa nella sua mente e questa volta non
avrebbe permesso che qualcosa li separasse.
Il
contatto dei loro corpi allacciati fu una ventata d’aria fresca dopo
l’opprimente angoscia che lo aveva attanagliato per tutta la giornata. Elijah
continuò a baciare Tristan sempre più intensamente, esplorando con la lingua la
sua bocca, accarezzandolo in modo sempre più audace e infine entrando in lui e
lasciando che le loro carni si unissero e si fondessero. Voleva sentire che il
giovane che amava era lì con lui e che non lo avrebbe perso mai più, voleva
perdersi in lui, fino a smarrire il confine tra i loro corpi. Lo possedette
ripetutamente, per ore, lentamente e pazientemente per arrivare a quella
fusione totale che desiderava, alla completa estasi di esplodere nell’infinito
insieme a Tristan, senza più tempo né spazio, senza pensieri e preoccupazioni,
in un universo in cui esistessero soltanto loro due.
Alla
fine, dopo ore di passione e tenerezza, Elijah avvolse uno stremato e disfatto
Tristan in un abbraccio protettivo e tenero, baciandolo affettuosamente sulla
fronte e nascondendosi con lui sotto le lenzuola, come per prolungare la
sensazione di vivere in un mondo che fosse tutto per loro. Lo guardò con
dolcezza, pensando a quanto quel ragazzo fosse diventato prezioso e
insostituibile nella sua vita.
Ti amo, Tristan, avrebbe voluto
dirgli, ma qualcosa ancora lo trattenne.
Quel
timore, mai del tutto sopito, che di quelle parole il Conte De Martel avrebbe
potuto ancora approfittarsi, in qualche modo. La sensazione, vaga ma
inquietante, che una simile ammissione di debolezza sarebbe stata tuttora
eccessiva. Erano legati, avevano trovato una sorta di equilibrio, avrebbero
lottato per costruirsi un futuro insieme giorno dopo giorno, ma non era il
momento di lasciarsi andare ad ammissioni che avrebbero potuto portare a conseguenze
inimmaginabili.
Invece
di ammettere ciò che provava, invece di lasciarsi sfuggire quelle due lievi
parole che avrebbero sconvolto il mondo di entrambi, Elijah scese con la bocca
sulla gola morbida del giovane e lo morse, assaporando ancora una volta il suo
sangue. Anche quello era un modo per fondersi con Tristan, per unirsi a lui in
modo inscindibile e perdersi nel suo sapore e nella sua più profonda essenza.
E
solo dopo tutto ciò Elijah riuscì finalmente ad abbandonarsi al sonno, con il
giovane Conte sempre più sperduto che si addormentava sfinito sul suo petto.
Niente
più incubi, non quella notte.
FINE