Angolo
dell’autrice
Buongiorno
a tutti! Oggi aggiorno di lunedì siccome ho un po’ di tempo libero. In
università è il momento della pausa per gli esami, quindi mi rilasso e studio
nel frattempo. Ringrazio le due persone che mi hanno lasciato un recensione,
siete state gentilissime e mi ha fatto molto piacere leggerle.
Vi lascio
alcune note per rispondere alla domande/critiche delle recensioni, ma che sono
molto utili per tutti a mio parere. Mi piace descrivere i personaggi man mano
che si procede nella storia, quindi non ci saranno mai descrizioni molto
precise delle loro fisicità o dei caratteri, stessa cosa vale per la loro età.
Sarà così per ogni personaggio. Per quanto riguarda la trama invece, è abbastanza
complicata. Ci saranno spesso parti poco chiare o che non si riusciranno a
collocare fin da subito in un punto preciso. Non preoccupatevi, ogni questione
lasciata in sospeso verrà risolta e spiegata, e tutto, alla fine, avrà un senso
sia nel momento, sia nel progetto globale.
Detto
ciò, un saluto e un abbraccio a tutti voi che leggete soltanto! Lasciatemi un
parere se avete voglia.
Buona
lettura,
Nemamiah
Il
pomeriggio successivo Verity tornò a casa sorridente e leggera come se potesse
spiccare il volo con un piccolo salto. Entrò nella sua camera passando per la
scaletta d’edera sul retro e rimase per un po’ sulla terrazza. Si distese come se
dovesse fare un angelo sulla neve: il sole però era alto nel cielo e il tepore
lieve dei suoi raggi riusciva ancora a scaldarle il viso.
Pensò
di essersi addormentata perché quando aprì gli occhi la temperatura si era
abbassata, il sole stava ormai tramontando e il cielo si faceva sempre più
viola e blu. Nella cucina c’era un post-it di Eleonore, dove giustificava la
sua assenza con la scusa di una cena di famiglia, e sulla segreteria telefonica
c’era un messaggio di Victor che avvisava che sarebbe rimasto tutta la notte
nel laboratorio, di nuovo.
Si
rifugiò nella biblioteca di famiglia con la cena per cercare libri o saggi
sugli angeli, sulla loro tipologia di magia, sull’apparizione e su quant’altro
fosse collegabile o potesse illuminarla su quello che aveva visto, ma trovò un
solo volume che sembrasse realmente promettente. Si accomodò sulla poltrona che
usava da bambina, grande e morbida, e si immerse nella lettura. Sperava di
trovare almeno un indizio, un appiglio per capire che genere di mago fosse Scar,
perché, con tutte le probabilità, non era nemmeno quello. Poteva essere uno di quegli stregoni
potentissimi, che creano il futuro solo immaginandolo e nascono una volta ogni
mille anni e più; forse era un essere ultraterreno, magari un messaggero degli
angeli o qualcosa di simile. La seconda possibilità l’interessava di più e,
soprattutto, la convinceva di più.
Quell’unico
libro aveva il profumo della carta antica, tenuta chiusa per molti anni, e le
pagine erano fragili, così sottili al tatto che Verity si impose di prestare
estrema attenzione per non rovinarlo. Parlava delle apparizioni degli angeli
nel corso dei secoli in modo molto accurato, ma trovando pochissimo di quello
che già aveva letto sull’argomento, dubitò di molte delle informazioni in esso
contenute. A metà lettura però non riusciva a tenere più gli occhi aperti e
tanto era il sonno che finì per addormentarsi profondamente.
Un
secondo prima era accoccolata sulla poltrona della biblioteca, un secondo dopo
si trovava su una pianura rossa di sangue e arsa dal fuoco. Le fiamme avevano
bruciato ogni sprazzo di vegetazione e ogni tanto si vedevano gli scheletri
contorti degli alberi neri, che emanavano morte, e si tendevano verso il cielo
quanto potevano in un atto di disperata richiesta di aiuto. Verity camminava
lentamente e tutto quello che vedeva le faceva accapponare la pelle, la scarica
della paura che si diffondeva per il midollo come il sangue tra le vene. Avanzò
attenta a non inciampare tra i detriti e si fermò solo di fronte a quella che
sembrava essere una fossa non troppo profonda. La vista era terrificante e
orribile: cadaveri carbonizzati, appena riconoscibili, ammucchiati l’uno
sull’altro come spazzatura, alcuni distrutti, altri dilaniati. Riusciva però a
distinguere il volto di Dakota e quello di suo padre.
Arretrò
di qualche passo, con una mano di fronte alla bocca contratta in una smorfia di
puro orrore e gli occhi velati dalle lacrime. Perché vedeva il viso deturpato
di coloro che conosceva?
‹‹Tu
cosa ci fai qui?››
Si
voltò appena sentì quella voce profonda, senza perdere la luce triste e amara
dei suoi occhi, nella bocca ancora la voglia di gridare e piangere
contemporaneamente. C’era un uomo dietro di lei… No, forse un uomo era troppo.
Sembrava più un giovane adulto, retto nella postura e con un brillio sorpreso
negli occhi. I capelli erano neri come il petrolio, lunghissimi e intrecciati
con perle cremisi lucenti; gli occhi erano scuri con una vena viola, come
quelli di Scar ma con i colori invertiti, eppure erano lucidi e rossi, e le
guance erano ancora rigate dal segno delle lacrime. Ciò che era più
impressionante però, al di là dell’aspetto, erano le due ali nere che si
stagliavano eteree e bellissime.
‹‹Me
lo sto chiedendo anche io… Tu lo sai?››
Il
giovane la guardò con interesse, studiandola come se non credesse alla sua
vista.
‹‹Siamo
in una visione del futuro o meglio, uno dei possibili futuri della Terra.
Sempre che Caliel non riesca a cambiarlo.››
‹‹Caliel?
Chi è Caliel?››
‹‹Caliel
è la giustizia e l’amore. È l’equilibrio tra i mondi angelici, tra i beati e i
tristi dannati dell’Inferno; è il balsamo per la sofferenza e le tenebre che
cura il mio cuore, l’unica che riesca ancora a dargli la forza di andare avanti
dopo tutti le morti e tutta la solitudine che ha vissuto.››
‹‹Chi
sei tu?››
‹‹Lucifero,
prima e ultima luce del Paradiso.››
‹‹Il
re dei traditori…›› sussurrò Verity, senza nemmeno accorgersene.
‹‹Traditori?
Ho chiesto di poter amare, ho cercato l’amore e sono millenni che attendo. È
forse peccato, è forse tradimento amare quando siamo stati creati per farlo?››
Si
sentì in colpa, terribilmente.
Gli
occhi di Lucifero erano lucidi, come se le sue parole lo avessero trafitto
peggio di una spada: la sua espressione era sconsolata, triste, in cerca di
comprensione, e lei non se ne era accorta. Lei che pensava di saper riconoscere
il dolore e invece aveva parlato senza pensare.
‹‹No,
non lo è. Perdonami… Io non volevo addolorarti.››
‹‹Non
hai nulla da farti perdonare: so cosa dicono di me sulla Terra. Non lo
considero nemmeno più, so che lei saprà guardare oltre tutto ciò.››
‹‹Spero
sia così… Ma adesso perché io sono qui, sul campo di questo massacro?››
‹‹Lo
scoprirai presto… Mia dolce Caliel.››
Verity
sgranò gli occhi e cercò di avvicinarsi a Lucifero, urlando per attirare la sua
attenzione, per ottenere risposte, ma l’angelo alzò lo sguardo verso i nuvoloni
del cielo cremisi, dove i fulmini si rincorrevano tra loro, ignorandola e
scomparendo. Si sentiva però ancora la sua voce rimbombare.
Guarda oltre tutto quello
che ti diranno. Tutti gli angeli hanno un segreto, un sentimento a cui hanno
paura di lasciarsi andare. Soffocano le loro emozioni. Svelale, falli
comprendere.
I
contorni dell’ambiente cominciarono a svanire, sfarfallando e sbrilluccicando nell’aria
ancora pregna dell’odore del sangue, e poi tutto rimase bianco. Si respirava
un’aria pura, incontaminata, e non si distinguevano gli spazi, come in quelle
stanze create per testare la resistenza psicologica dei maghi e delle streghe.
Una volta aveva provato ad entrarvi: aveva superato il tempo massimo di
resistenza senza problemi ed era andata avanti ancora un po’. Non che avesse
dimostrato chissà quali particolari capacità, ma il silenzio non le era
dispiaciuto e aveva trovato modo di pensare e rimuginare senza che nessuno
venisse a disturbarla. Le era addirittura piaciuto, all’inizio, poter sentire
tanto chiaramente il battito del suo cuore, ma dopo averlo contato e ricontato
per curiosità infinite volte, anche lei aveva iniziato a odiarlo. Il rimbombo
nelle orecchie era perpetuo e inarrestabile: aveva visto dei ragazzi cercare di
farlo smettere dopo solo pochi minuti in quella stanza. Quando chiese di uscire
perché non riusciva più a sopportarlo, pensò che l’avrebbero presa in giro e
che sicuramente avesse fatto un tempo molto inferiore rispetto a quello dei
maghi esperti. Invece tutti le avevano fatto i complimenti e le avevano chiesto
suggerimenti su come migliorare.
Allo
stesso modo era a suo agio nel luogo in cui si trovava: non sentiva il battito
del suo cuore ma solo le parole di Lucifero, anche se erano ormai lontane e
poco più che sussurri. Il problema era la luce bianca abbagliante che la
costringeva a stringere gli occhi per poter vedere almeno un poco e non essere
completamente cieca. Nell’infinito scorse la sagoma di una donna in
avvicinamento. Dapprima ne distinse i contorni, ma in pochi minuti fu
abbastanza vicina da portela osservare in tutti i suoi particolari e di nuovo
Verity quasi si spaventò. Era una donna anziana, con la fronte e gli angoli
degli occhi segnati da molte rughe; aveva i capelli rossi come i suoi, ma molto
più lunghi, e portava una treccia intorno al capo come una corona. Le sembrava
di somigliarle e non solo per il colore dei capelli. Gli occhi avevano la
stessa sfumatura di verde smeraldo, anche se quelli della donna trasmettevano
saggezza e conoscenza. Ma la postura, il modo elegante in cui muoveva le mani,
la piega amara del sorriso, la testa leggermente piegata di lato, erano tutte
caratteristiche che Verity ritrovava in se stessa, che sapeva di avere perché
le aveva viste riflesse negli specchi e negli occhi degli amici. E soprattutto
vedeva la maschera: la donna fingeva di essere serena e tranquilla, come se
andasse tutto per il meglio, ma occhi e bocca stonavano in quel quadretto,
palesando l’animo sofferente. Come avrebbe potuto non accorgersi di quello che
faceva lei ogni volta che si sentiva triste o sola?
La
donna mosse le labbra ma Verity non udì un solo suono provenire da lei. Era
certa però che stesse dicendo qualcosa e si concentrò di più sul movimento:
ripeteva sempre la stessa frase, senza fermarsi, ma captò solo una parola in
ciò, il suo nome. Provo a chiederle perché dicesse il suo nome con tale
insistenza, ma quando si avvicinò e la sfiorò, la donna scomparve in un vortice
di luce.
Verity
si svegliò di soprassalto nella sua stanza, trovando Kai e il suo peso distesi
sulla sua pancia, pronto a leccarle il viso come tutte le mattine. Lo spinse
giù con un colpetto sulla schiena e si sedette, massaggiandosi le tempie e
passandosi le mani sugli occhi per svegliarsi: le pareva di essere ancora
dentro un sogno. E che sogno: Lucifero, una donna uguale a lei e una distesa di
sangue e cadaveri bruciati, e morte, sopra ogni cosa. Ma se senza la magia non
era possibile avere sogni premonitori, cos’era successo allora?
Probabilmente mi sono
autosuggestionata leggendo quel libro, pensò vedendolo appoggiato sulla scrivania. Non
c’erano notizie di guerre in corso anzi, erano secoli che di guerre e battaglie
non se ne vedevano: la magia aveva portato un grande senso di pace e unità e
aveva calmato la maggior parte degli animi più irosi e inclini al conflitto.
Doveva essere stato solo uno spaventoso e terrificante incubo causato dal suo
troppo pensare a storie macabre e violente. Ma se per caso fosse davvero una
visione di un possibile futuro, come aveva detto Lucifero? Cos’avrebbe potuto
fare lei a quel punto? Per iniziare una guerra però, e pensare di poterla
vincere, era necessaria un’enorme quantità di energia e solo gli Ingranaggi
potevano darla. Forse valeva la pena di chiedere a suo padre qualche
informazione, solo per stare più tranquilla. Si vestì e scese al piano terra,
dove sua nonna stava lavorando ai fornelli e il nonno era seduto a tavolo,
ascoltando le notizie dal giornale. Lo aveva sempre trovato meraviglioso: la
magia riproduceva le pagine di un giornale vero, ma anziché doverle leggere
erano gli autori stessi che uscivano dalle pagine ed esponevano ad alta voce i
propri articoli. Quando si finiva bastava un gesto della mano per farli
dissolvere in una nuvola di fumo grigio e allo stesso modo si poteva far
scomparire il giornale: così non si inquinava l’ambiente e tutti potevano
sentire le notizie mentre erano occupati in altre attività.
‹‹Buongiorno,
tesoro! Ti sei stancata molto in questi giorni… Dante ti ha dovuta portare su
di peso dalla biblioteca, non c’è stato verso di svegliarti.››
‹‹Solo
un po’, nonna, ma grazie mille. Cosa stai preparando?››
‹‹Niente
di che, solo uova e bacon per la mia nipotina.››
Le
servì un piatto abbondante e si sedette al suo posto sorseggiando un thè allo
zenzero proveniente da chissà dove. Sembrava un duchessa, o una gran dama del
passato, con i capelli grigi raccolti sulla nuca in una crocchia e il vestito
di velluto verde scuro. Teneva gli occhi chiusi e annusava il profumo ancora
non troppo forte.
Quale ricordo le porterà
alla mente?
I
viaggi erano sempre stati la passione della nonna e si poteva affermare con
sicurezza che avesse visitato quasi tutti i paesi della Terra. Per questo
motivo l’aveva sempre vista poco, ma ogni volta rimaneva affascinata dalle
storie che raccontava. Portava dai viaggi abiti, oggetti tradizionali, cibi e
tante ricette da ricreare a casa: un anno aveva mimato, per Capodanno, una
danza aborigena; l’anno successivo aveva potato dal Giappone un kimono azzurro
con un ricamo floreale fatto di fili d’oro e d’argento; per Natale preparava
sempre una cena dove ogni piatto veniva da una tradizione culinaria diversa e
la notte, quando Verity era ancora piccola, scivolava nel suo letto e le
raccontava tutte le sue avventure e di come ogni volta uscisse da grandi
pericoli per un colpo di fortuna. Conservava quei ricordi con grande gelosia e
non li aveva mai condivisi con nessuno, scegliendoli con cura quando voleva
rivederli e riponendoli con attenzione. Guardando i nonni provò un senso di
indecisione: avrebbe potuto lasciare la questione degli Ingranaggi e andare a
scuola per cercare Scar, oppure avrebbe potuto rivedere suo padre e scoprire
qualcosa di interessante e potenzialmente utile per le sue ricerche. Si
vergognava un po’ di dover andare dal padre dopo anni di silenzi e
disattenzioni verso di lui… Non che lui si fosse molto curato di lei, ma era
l’unico, insieme ai nonni, che le rivolgesse una parola, per quanto
imbarazzato, quando tornava a casa per le feste, chiedendole come stesse e
lasciandole un regalino sul letto prima di scomparire nel laboratorio.
Guarda oltre…
Proprio
in quel momento doveva pensare alle parole di Lucifero? Forse non erano una sciocchezza;
aveva sempre desiderato un padre presente nella sua vita, ma non aveva mai
lottato per ottenerlo. Una volta accettata la sconfitta avuta con Eleonore, non
aveva nemmeno avuto il coraggio di provare a creare qualcosa con lui, troppo
spaventata di ricevere un secondo rifiuto.
Sarebbe
andata da lui e se l’avesse mandata via, sarebbe entrata dalla porta sul retro;
se l’avesse cacciata di nuovo, avrebbe corrotto qualche ricercatore per farla
rimanere. In ogni caso c’era molto tempo, il messaggio nella segreteria del
giorno prima diceva che sarebbe rimasto là per almeno tutta la settimana. Nel
frattempo…
‹‹Nonna,
tu sai che legame c’è tra la magia e gli Ingranaggi.››
La
nonna non lo sapeva con precisione: le leggende erano tantissime ed estrapolare
da esse la verità era complicato, soprattutto perché molte di queste erano in
contraddizione l’una con l’altra. Si raccontava che due arcangeli tra i più
potenti li avessero portati sulla Terra per salvarli dalla ribellione di
Lucifero; altre dicevano che fossero i figli di Dio, creati dalla sua stessa
materia divina, e che rappresentassero le sue due facce, quella di tenebra e di
luce; altre ancora, appartenenti alle tribù e alle vecchie credenze, li
vedevano come i creatori del mondo.
‹‹Interessante…
Conoscevo solo la prima versione. Un’altra cosa, dov’è di preciso il
laboratorio di papà?››
Per
poco il nonno non si strozzò con il caffè e tossicchiò per un po’ prima di
risponderle. Da padre aveva sperato che figlio e nipote riuscissero ad avere
quello stesso rapporto che aveva avuto lui, ma si era reso conto che sarebbe
stato necessario un miracolo per crearlo e adesso Verity chiedeva addirittura
dove lavorasse Victor. Anche la nonna rimase molto sorpresa, ma aveva sempre
creduto che Verity sarebbe riuscita, prima o poi, a sciogliere uno dei suoi
genitori e se la scelta era ricaduta Victor, non avrebbe potuto essere più
felice: conosceva bene sua figlia e sapeva che Eleonore non era adatta per
essere il tipo di madre di cui la nipote avrebbe avuto bisogno mentre il padre
poteva essere adatto.
‹‹Fuori
città,›› disse il nonno, deglutendo rumorosamente ‹‹vicino al bosco. Ti basta
uscire dalla città seguendo la strada per il mare e svoltare quando vedi
l’indicazione.››
Ringraziò
i nonni con una grande sorriso e finì in silenzio la propria colazione. Prese
poi la bicicletta che aveva comprato con i suoi risparmi e pedalò fino a
scuola, facendo un saluto di sfuggita a Dakota e fermandosi in biblioteca,
decisa a leggere quanto poteva sugli Ingranaggi. Sapeva che, per quanto estesa,
la libreria di casa non avrebbe potuto aiutarla perché tutti i libri
sull’argomento li aveva presi Victor, portandoli nel suo ufficio. Per la
maggior parte trovò leggende, molte delle quali a lei sconosciute, e rimase
stupita dalla quantità di storie che l’uomo aveva ideato per creare una
continuità tra magia e religione. La più interessante era stata sicuramente
quella sui volti di Dio e su come esistessero una parte cattiva e una buona.
Dio, diceva la leggenda, era un concentrato di tutti i sentimenti che l’uomo
conosceva e ognuno di essi aveva, e ha, un valore positivo; gli Ingranaggi
erano invece l’emanazione di alcuni dei sentimenti, ma mentre uno era in grado
di resistere alle influenze esterne, l’altro era facilmente corruttibile,
estremizzandosi e trasformandosi in un essere malefico. Verity aveva amato il
fatto che la parte malvagia non fosse così per sua natura, ma solo perché
spinta da forze esterne. La pensava esattamente a quel modo: nessuna persona
nasceva, per natura, crudele o senza cuore, erano le circostanze della vita a
trasformarla, a corrompere lentamente il bene insito in lei fino a cambiarla,
anche completamente. Lesse anche le altre storie, ma nessuna l’entusiasmò come
quella, e alla fine uscì dalla biblioteca con una grande confusione di nomi in
testa e allo stesso tempo molta soddisfazione. In una sola giornata aveva
imparato più di quanto si aspettasse, ma i giorni successivi furono
fondamentali per riordinare accuratamente ogni cassetto della sua mente.
Fu
Dakota ad accompagnarla fino al laboratorio, con la moto che suo padre le aveva
regalato mesi prima, ma che solo in quel periodo aveva capito come guidare. Era
una vecchia moto, con le ruote nere e due borse ai lati del sedile di pelle
lucida. Faceva un rombo spaventoso ogni volta che Dakota accelerava e Verity le
stringeva la pancia in una morsa. Le aveva chiesto perché non l’avesse stregata
per farla volare e la risposta era stata: “ti
sembro la ragazza che vola su una moto?”. Non le aveva più domandato nulla
su quel mezzo infernale.
‹‹Verity,
sei sicura di voler entrare da sola? Ti accompagno volentieri: sai anche tu che
voci girano a scuola…››
La
ragazza rise: ‹‹Non pensavo ti interessassero le dicerie!››
‹‹Infatti
se dovesse entrare Michelle, non potrebbe importarmene di meno, ma tu sei tu ed
è un'altra storia.››
‹‹Vai
a casa, Dakota. C’è mio padre qui dentro, sono più al sicuro qui che in altri
luoghi. Non mi farebbe mai del male.››
Dakota
sospirò, riconoscendo come Verity avesse ragione, e ripartì velocemente per scomparire
dietro una scia di polvere alla prima curva. Non c’era davvero modo di far
cambiare idea all’amica quando si metteva in testa qualcosa.
Quando le aveva suonato alla porta quella stessa mattina con
quel sorriso strano, troppo soddisfatto, l’aveva accolta a braccia aperte,
sperando che qualsiasi cosa volesse fare non fosse pericolosa o azzardata,
anche se il brillio negli occhi le rivelava idee bizzarre e problematiche. Dopo
aver ascoltato tutto il suo “piano”, era corsa fino alla sua camera e si era
chiusa dentro, ridacchiando appoggiata alla porta. Si era anche vestita
fingendo di sbuffare per polemica, ma l’aveva accompagnata. Certo, era
preoccupata perché le voci sugli strani esperimenti esistevano realmente, ma
forse conoscere Victor nel suo ambiente naturale avrebbe prodotto un piacevole
cambiamento nella vita dell’amica.