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Autore: acchiappanuvole    16/11/2017    2 recensioni
Erano davanti alla stazione, il treno che li aveva portati era già ripartito, una folla si accalcava ancora alle barriere: infermiere, soldati francesi e belgi, una vecchia vestita di nero con una stia di polli. Candy si voltò. In lontananza, come le aveva promesso il Dottor Martin, c’era la sua destinazione: Etaples.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Signori, il tempo della vita è breve. | Ma quand'anche la vita, | cavalcando la sfera del quadrante, | giungesse al suo traguardo dopo un'ora, | anche quel breve corso | sarebbe esageratamente lungo, | se trascorso in un'esistenza vile. | Se vivremo, vivremo per calcare | i nostri piedi sui corpi di re; | se morremo, morire sarà bello | trascinando alla morte anche dei principi. | Assicurate le vostre coscienze: | l'armi son belle e giuste | se giusto è il fine per cui son brandite.
(Enrico IV)


L’aria soffiava gelida sul promontorio, Pointe Sublime resisteva al vento e alla salsedine con antica tenacia, un guardiano di rocce erose spoglio di ogni attrattiva, non era che una levatura naturale affacciata su un mare perennemente grigio. Candy sedeva su una delle innumerevoli sporgenze, il vento le schiaffeggiava il viso e si insinuava sotto il cappotto, sfidava la ruvida stoffa dell’uniforme per raggelarle le ossa, ma la ragazza non sembrava dargli bado, teneva lo sguardo fisso sul canale della Manica e nelle mani rimestava tre buste gualcite; l’assenza del sonno le cerchiava gli occhi che parevano essere diventati scuri quanto l’acqua sottostante. Di tanto in tanto scoteva il capo, sembrava non riuscire a capacitarsi di quei giorni che si erano susseguiti, della totale e inascoltata supplica che aveva rivolto ad ogni figura che avesse un qualche diritto decisionale in quel campo. Batté un piede a terra e si portò la testa tra le mani, persino quei minuti di pausa diventavano una tortura poiché non la portavano ad alcuna soluzione nonostante la sua mente aggrovigliasse mille pensieri, mille diverse possibilità.
“Signorina Andrew ti ho trovata finalmente,” la voce di Jonathan, condita di una vivacità stanca, sfidò il vento, le si avvicinò ma Candy non diede segno di averlo udito.
“Candy?” la sfiorò appena e la ragazza sollevò la testa di scatto quasi spaventata.
“Jonathan…”
“Che fai quassù? Si gela, ti ho cercato in lungo in largo.” Ammise affiancandola. Candy si guardò attorno, come se si rendesse conto solo in quell’istante di essere arrivata fin lassù, come se le gambe ce l’avessero portate senza che lei ne avesse avuto coscienza.
“Sono rientrato ieri sera da Amies, un viaggio tremendo metà a piedi metà con mezzi di fortuna, quando ho saputo che le caverne non erano ancora state evacuate ho temuto fosse accaduto qualcosa.”
“Sto bene” si limitò a dire la ragazza con tono assente.
“Hai visto cose tremende vero Candy? Ti avevo detto che certe immagini non ti si sarebbero più levate dagli occhi, avresti dovuto darmi retta ed andartene. A meno di trenta chilometri da qui si sta combattendo ferocemente, ci sono stati diversi attacchi aerei la notte scorsa, persino Londra è stata attaccata da alcuni Zeppelin, fortunatamente sembra che non vi siano state vittime tra i civili, gli allarmi antiaereo paiono efficaci, si rifugiano nei tunnel della metropolitana sai.”
Candy annuì, alzò nuovamente lo sguardo, l’Inghilterra si trovava oltre quel tratto di mare.
“Candy vuoi dirmi che ti succede?”
Candy sembrò trattenere il respiro, alzò prima gli occhi verso il cielo e Jonathan poté chiaramente vedere che dovevano essere stati tormentati a lungo dal pianto.
“Non so che fare Jonathan.” Ammise “ mi impediscono di prendermene cura, riesco a fuggire da lui per poco fintanto che non vengo scoperta e ricacciata nella mia ala. Sono sempre stata brava a scappare, ad intrufolarmi senza che la gente se ne accorgesse, è sempre stata una mia peculiarità. Ma qui non siamo alla Casa di Pony, né dai Legan o alla Saint Paul’s School, qui è diverso, qui ho delle responsabilità, ho  a che fare con dei malati, se mi allontano rischio di metterli in pericolo, di non accorgermi di un eventuale peggioramento, di…”
Jonathan la fermò stringendole con salda gentilezza la mano, “ di cosa parli?”
“Terence,” fu quasi doloroso pronunciare quel nome “Terence è qui.”
“L’attore?” Jonathan ne era di certo sorpreso “è tra i feriti?”
La ragazza annuì mordendosi le labbra “ è sempre stato così dannatamente impulsivo, che diavolo gli è saltato in testa di arruolarsi! Doveva essere a New York, recitare nei migliori teatri, sposato con Susanna. Perché è qui! Quello stupido!” Candy tremò nell’impeto di quelle parole “è tutto così assurdo.”
“Candy calmati. Da quanto è che non dormi?”
Candy scrollò le spalle rassegnata “come posso dormire? Le sue condizioni sono critiche ed io mi sento così impotente, il Dottor Martin dice che dovrebbe essere mandato in Inghilterra ma a causa degli allarmi aerei non vi sono navi in procinto di partire” riprese fiato “ho scritto queste lettere, il servizio di posta è ancora sospeso, la ferrovia inagibile ed io…se solo riuscissi ad avvertire Albert sono certa che lui saprebbe cosa fare,” gli occhi si inumidirono nuovamente “ho bisogno di poter parlare con lui ma anche quando lo scambio postale sarà ripreso i tempi saranno troppo lunghi.”
Jonathan se l’attirò contro e lasciò che la ragazza si sfogasse “Candy cerca di calmarti, ti aiuterò a trovare una soluzione te lo prometto. Ma tu ora devi approfittare di questo tempo e riposare un po’, se collassi non gli sarai utile di certo.”
“Lo sai qual è la cosa strana Jonathan…io e Terence ci siamo sempre mancati, le nostre tempistiche non hanno mai combaciato, potrei farti una miriade di esempi. Quando rientrai dall’Inghilterra per tornare alla Casa di Pony lo mancai di pochi minuti, alla prima di Re Lear fu la stessa cosa, e così per altri episodi fino a Rockstown. Lì lo feci volutamente lo ammetto. Ora sta accedendo di nuovo.”
Jonathan prese un fazzoletto per asciugarle gli occhi, “perché dici così Candy, ora siete nello stesso posto e forse non è un caso.”
La ragazza sorrise amaramente, “siamo nello stesso posto fisicamente ma Terence non è qui, ai suoi occhi sono invisibile, non credo nemmeno mi riconosca Jonathan.”
“E allora devi fare in modo che lo faccia. So che c’è stato uno scambio di prigionieri a Passchendaele, è stata una battaglia terribile Candy. Alcuni sopravvissuti sono stati portati qui e può essere che Terence sia uno di loro. Molti soldati francesi hanno ammutinato lasciando in difficoltà il resto dell’esercito alleato, ho raccolto testimonianze inenarrabili.” Lo sguardo di Jonathan si perse nella foschia che si alzava dal mare, la paura che anche Scott fosse in quella battaglia gli tormentava l’anima. Troppi morti, troppi corpi senza nome per poter sapere. Scacciò il pensiero con uno scongiuro e tornò a stringere a sé la ragazza, l’aiutò a rialzarsi cercando di convincerla a rientrare.
“Da brava Candy ora rientriamo, possiamo bere qualcosa di caldo se ti va. Ho il mio vecchio cognac a portata qui in una fiaschettina. E’ tremendo a dire la verità ma potrebbe tirarti su.”
Candy scosse il capo “ti ringrazio Jonathan ma non mi va proprio di bere.”
“Ascolta perché non dai  a me le tue lettere?”
La ragazza lo fissò senza capire “perché mai?”
“Forse posso trovare il sistema di farle pervenire, certo non tutte  e tre ma almeno il contenuto di una. Hai parlato di  Albert, è il tuo famoso principe?! Le altre a chi sono indirizzate?”
Candy gliele mostrò trattenendole tra le dita in modo che il vento non gliele strappasse di mano, “una è per il Duca di Granchester, è il padre di Terence. L’altra per Eleonor Baker, sua madre. Avevo un vecchio indirizzo mi auguro viva ancora a New York.” D’improvviso fu colta da sorpresa, come se il pensiero le fosse balenato solo in quell’istante “e Susanna! Dovrei scrivere a Susanna ma…non so dove…” sembrava nuovamente agitata e nuovamente Jonathan cercò di calmarla.
“La cosa più saggia credo sia quella di tentare di contattare il tuo Albert, mi sembra la cosa migliore.”
Titubante Candy gli consegnò la lettera e Jonathan le sorrise rassicurante “andrà tutto bene.”
Discesero da Pointe Sublime, in lontananza i cannoni tuonavano ancora ed una delle sirene irradiò il suo suono terribile per tutto il campo, era necessario rientrare nelle caverne.



Flanny era diventata ormai  esperta ad assistere i medici negli interventi chirurgici, tuttavia il cloroformio iniziava a scarseggiare e certe amputazioni si dovevano effettuare ricorrendo a blandi palliativi. Nelle zone delle caverne adibite a stanze operatorie si alzavano grida atroci, il più delle volte i pazienti perdevano coscienza o non superavano la notte. Flanny Hamilton usciva da quei momenti cercando di mantenere un’aria distaccata, per qualcuno che moriva c’era sempre qualcuno che poteva vivere, si diceva. Ma giunta davanti alle catinelle per poter lavare via sangue e sudore, si ritrovava a trattenere a stento conati di angoscia che le attanagliavano lo stomaco. Ormai conosceva gli orrori della guerra da oltre due anni ma a certe cose era impossibile abituarsi. Diede ordini come al solito, riprese le infermiere più lente, alzò le coperte da alcuni letti constatando la morte di alcuni giovani, “liberate il letto” si limitava a dire passando per una figura priva di compassione. “Così va fatto non discutete.” Era troppo complessa e devota al suo lavoro Flanny Hamilton per permettersi il lusso di mostrare la propria debolezza.
“Flanny…”
“Ah sei qui Candy, bene aiutami a medicare quest’uomo, le ferite sulla spalla si stanno infettando dobbiamo pulirle con l’acido borico.”
 “Flanny ascolta,” tentò Candy ma Flanny l’anticipò alzando una mano per zittirla.
“Te l’ho già detto Candy la mia risposta è no!”
“Per l’amor di Dio cosa ti costa fammi fare un altro turno insieme ad Anne?!” esclamò la ragazza con esasperazione.
“ Non metterò a repentaglio la vita di questi giovani per accontentarti.”
“Cosa stai dicendo? Non smetterei certo di occuparmi anche degli altri.”
Flanny la guardò spazientita “ pensi di poter davvero reggere un doppio turno?! E’ follia e lo sai, lo sappiamo entrambe. In quanto ad affiancarti ad Anne ti ripeto nuovamente la differenza tra i pazienti dati a lei e quelli di cui ci occupiamo noi: le volontarie come Anne non sanno suturare ferite, non assistono le operazioni né sanno riconoscere un’infezione da una cancrena! Siamo solo in cinque in questa sezione del campo Candy, fintanto che la ferrovia non sarà riparata non avremo altri aiuti, se io ti facessi trasferire resteremmo in quattro e tu sai bene quanto questo faccia la differenza. Quindi, ripeto, la mia risposta è no.” Flanny si piegò su di un fornelletto che stava facendo bollire un’ampia pentola d’acqua, trafficò con alcune boccette non aggiungendo altro, per lei il discorso era chiuso ma non per Candy.
“Ti supplico Flanny,” Candy si sarebbe prostata anche in ginocchio “proprio perché da sola Anne non è in grado di farcela, ci sono venticinque uomini in quella caverna, alcuni si stanno lasciando morire, non riescono nemmeno a mangiare.”
“Ed immagino che il tuo Terence sia uno di questi!?” sbuffò Flanny immergendo dei panni nell’acqua, “cosa nel discorso che ti ho fatto poc’anzi non ti è chiaro?”
Candy la guardò duramente “ho compreso benissimo e non ho nessuna intenzione di mancare alle mie responsabilità, ti chiedo soltanto di poter aiutare anche Anne, tutto qui.”
Flanny si concesse un risolino nervoso “tutto qui” ripeté tagliente, “ appena la ferrovia sarà riparata molti di quegli uomini verranno trasferiti, probabilmente condotti in Inghilterra. Può anche darsi che a breve riprendano le navigazioni quindi anche il tuo amico sarà mandato in un luogo più consono al suo disagio.” Flanny le dava le spalle e fu certo sorpresa quando Candy la strattonò per un braccio costringendola a guardarla negli occhi. “A breve non significa nulla Flanny e lo sai! Credi non mi sia accorta che la nave allo sfocio della Chance è sparita?! Ufficiali di alto grado se ne sono andati con quella nave per timore di bombardamenti e tu mi parli di una ripresa delle traversate a breve!”
“Era necessario Candy o l’avrebbero affondata. Sarà attraccata in qualche porto più sicuro e non appena possibile vedrai che torneranno qui.”
“ Ma non c’è tempo Flanny! Perché non hanno issato la bandiera ospedale sulla nave? Non avrebbero osato bombardarla se ci fosse stata la bandiera!”
Flanny liberò il braccio e si concesse di ridere amaramente, “sei davvero ingenua Candy Andrew, credi che solo perché una nave sventola un pezzo di stoffa questo sia sufficiente a salvaguardarla da qualche Zeppelin nemico? Credi davvero che in guerra chi è pronto a spararti addosso si faccia certi scrupoli!? Ora smettiamola di ciarlare e mettiamoci al lavoro, prendi questa bacinella e aiutami.”
Candy prese la bacinella ma era ben distante dal voler cedere “morirà se non lo aiuto. E’ denutrito, a malapena si riesce a farlo bere…ti prego Flanny…ti prego…”
Flanny allargò le braccia il suo volto era livido di rabbia “ e loro? Loro forse non rischiano di morire!?” sembrava, in quel gesto disperato, in quelle braccia spalancate, voler avvolgere tutti i feriti che giacevano in quei letti “loro sono forse da meno? Ho già dovuto far liberare sei letti stamattina Candy! Ragazzi morti in silenzio con solo il ricordo dell’orrore davanti agli occhi.”
“E perché ne vuoi condannare altri quando si può fare qualcosa?” la voce di Candy era calma, composta e decisa nonostante le lacrime le rigassero le guance “ userò le mie ore di riposo per occuparmi di lui, ti dimostrerò che posso farcela e cambierai idea.”
“Stramazzerai al suolo ecco quello che accadrà! Bada Candy non te lo starò a ripetere se farei di testa tua ti farò rapporto e allora verrai trasferita in un’altra zona del campo, chiederò che tu venga scambiata con un’altra infermiera e non sto scherzando. Ed ora aiutami!”


Quando la luce nella caverna si fece più fioca e la luce del giorno che illuminava le entrate rocciose lasciò spazio al rosso crepuscolo della sera, Candy si tolse la cuffietta da infermiera, lavò le mani nell’acqua gelida e si passò un panno freddo sul viso. Iniziava il riposo. Cercando di non farsi notare dalle altre infermiere percorse la caverna rimanendo accostata alle zone buie della roccia, andò oltre la caverna delle preghiere e raggiunse l’ala più silenziosa e profonda. Anne si era appena data il cambio con un’altra delle volontarie, controllava i pazienti ed annotava il loro stato su delle cartelle posticce cancellate più volte. Non appena vide Candy impallidì guardandosi attorno guardinga “che fai qui? Sono stata ripresa più volte per averti lasciato venire i giorni scorsi, te ne devi andare!”
Candy non le badò, “sono in pausa” disse solamente “e durante la pausa posso fare quello che credo.”
Anne scosse il capo “sai bene che accade se Flanny lo viene a sapere.”
“E tu non glielo dire” si limitò a rispondere Candy accennando un sorriso. Si muoveva sicura, quasi distaccata tra le brande, lo sguardo diritto davanti a sé pur di non doverlo abbassare, ma man mano che si avvicinava al letto  il cuore le saliva in gola.
“Ho provato a togliergli un po’ di barba” disse Anne raggiungendola “ma d’un tratto si è voltato e la lama gli ha ferito il viso.”
“Lo hai medicato?”
“Certamente.”
Candy si mosse pratica, legò i capelli, predispose su di un vassoio di legno un piatto di brodo, una mela matura, del pane. Ad Anne non sfuggì il fatto che evitasse in tutti i modi di guardare il ragazzo che giaceva nel letto.
“Vuoi che ti aiuti?” chiese la ragazza, “ lui è l’unico che si rifiuta di mangiare, gli altri qualcosina riescono a mandare giù.”
“Non preoccuparti Anne faccio da sola e poi ti do una mano anche con gli altri.” Notò che nell’altro letto un ragazzo dal viso deturpato da alcune ustioni la stava fissando, Candy sorrise “ciao” esclamò guardando poi Anne perché le rivelasse il nome del giovane.
“Mi sembrava che Oliver gli stesse bene” mormorò Anne “ora che lo dico è assurdo, sembra che io stia parlando di animali” e per la prima volta Anne ebbe un tremito, inspirò profondamente cercando di calmarsi “se vado fuori di testa anch’io è un bel problema,” disse ridendo tristemente.
“Oliver è un bel nome” disse dolcemente Candy parlando direttamente con il giovane il quale allargò un po’ la bocca in un sorriso quasi fanciullesco, poi chiuse gli occhi senza mutare espressione. Candy cercò di controllare il proprio respiro, mentre avvicinava il vassoio al letto avvertiva già un lieve tremore tradire i suoi movimenti, perché ogni volta doveva essere così difficile?
“Ciao Terence,” disse cercando di mantenere un tono allegro, sedette accanto alla branda ma ancora non osava guardarlo “qui c’è del buon brodo o almeno nessuno se ne è lamentato quindi non deve essere male” rise “puoi stare tranquillo dato che non l’ho preparato io.”  Rigirò il cucchiaio nel brodo denso, ne rimase ad osservare la bordatura unta ed infine si decise a volgere lo sguardo a Terence. Giaceva sui cuscini scomposto e rigido come una bambola rotta, il viso sbarbato malamente era di un pallore trasparente e sulla guancia risaltava il taglio del rasoio, una striscia nero rossastra appena sotto lo zigomo. La cosa più terribile non era quel volto emaciato che rendeva più duri e spigolosi i tratti del viso, no la cosa più terribile erano gli occhi. Candy deglutì e gli si accostò maggiormente, gli occhi di Terence erano sempre stati lo specchio vivido delle sue emozioni, in passato quegli occhi le avevano fatto provare svariate  emozioni, sapevano essere dolci quanto colmi di rabbia, passionali quanto distaccati, eppure sempre vivi, brillanti, la complessità irruenta e libera del suo animo era sempre emersa da quello sguardo, qualcosa che Candy aveva conosciuto solo in lui e poco aveva a che vedere con il calmo e sereno lago azzurro degli occhi di Anthony o Albert, la placida calma miope di Stear o la composta impulsività di Archie. Gli occhi di Terence non avevano mai avuto paragoni, erano come il mare che aveva attraversato la prima volta che dall’America era giunta in Inghilterra, un mare a tratti tempestoso, profondo e scuro come il suo abisso, e poi vivo e blu quando la luce del sole s’infrangeva contro la  superficie e toglieva il fiato. Tutto questo in quel momento era completamente assente, quegli occhi non trasmettevano nulla, erano smarriti e opachi di una cecità interiore che non ammetteva nessun tipo di riflesso, non vi era più alcuna traccia di vita in quello sguardo. Candy strinse impulsivamente il piatto rischiando di rovesciarne il contenuto, avrebbe voluto scuotere Terence con forza, schiaffeggiarlo e avere in cambio una qualunque tipo di reazione, anche violenta ma pur sempre una reazione. A mala pena si trattenne, riempì il cucchiaio di brodo e lo porse verso il ragazzo “mangia Terence,” disse “se continui a rifiutarti non riuscirai a stare meglio” ma Terence non prestò ascolto. Candy prese un nuovo profondo respiro e chiamò Anne con un cenno, “Anne così sdraiato non riesco a farlo mangiare, dobbiamo metterlo seduto, c’è un altro cuscino?”
Anne le lanciò uno sguardo negativo, “no Candy nessun cuscino, se vuoi ho un sacco dove tengo le pezze appena lavate, possiamo mettergli quello dietro la schiena fintanto che mangia.”
Candy annuì ed aiutò la ragazza a sistemare il sacco ma non fu facile dato che Terence non dava alcuna collaborazione, “è troppo rigido c’è il rischio di fargli male alla schiena” sospirò Anne ma Candy non volle sentire ragioni “ afferralo sotto il braccio sinistro io farò altrettanto dalla parte destra e sosterrò la schiena non ho alcuna intenzione di dargliela vinta!” fecero appena in tempo a sistemarlo che un altro dei pazienti iniziò a lamentarsi, gridava che il suo letto fosse pieno di vermi intenti a mangiarlo; Anne accorse nel tentativo di calmarlo, “non c’è nulla qui Sam, stai tranquillo.” Gli parlò dolcemente come aveva imparato a fare da Candy ma il giovane non la udiva e si agitava maggiormente; Candy le venne in soccorso “Anne sotto quel ripiano ci sono dei barbiturici prendine una boccetta svelta!” la ragazza obbedì, solitamente le crisi di quel genere passavano dopo pochi attimi ma il giovane si dimenava con maggior vigore rischiando di fare del male a se stesso e ad altri; consegnò la boccetta a Candy che con tutta la forza che aveva tentava di tenere fermo il giovane “non posso fare entrambe le cose, ascolta Anne devi somministrarglielo tu ti indicherò come fare” ma Anne scosse il capo “ Candy temo di non esserne in grado, se sbagliassi la dose sarebbe molto pericoloso.”
“Stai calmo Sam, calmo.” Candy fece segno ad Anne di avvicinarsi “ vieni Anne, ascolta lo devi tenere saldamente qui per le spalle e spingere verso il basso con tutta la forza che hai, io farò più in fretta possibile” Anne obbedì “le siringhe sterilizzate dove sono?”
“Laggiù nella vetrinetta” disse Anne cercando di tenere fermo Sam come Candy le aveva detto. Fu tutto molto rapido, Candy fu lesta e pratica nel tenere fermo il braccio del giovane e praticare l’iniezione. “Starai meglio ora Sam” disse man mano che il giovane prendeva  a muoversi con meno vigore fino a calmarsi.
“Grazie al cielo” esclamò Anne sudata come non mai “ non aveva mai avuto crisi così forti.”
Candy gli asciugò il sudore con un panno per poi massaggiargli un poco le braccia “come possono pretendere che tu sola possa occuparti di una situazione simile?! Ora gli ho somministrato i barbiturici ma non sono di certo la soluzione, queste cure non servono a nulla!” Candy era chiaramente arrabbiata.
“Calmati Candy non sono sola e lo sai, io ed altre volontarie ci diamo il cambio e poi ora ho te,” le fece l’occhiolino “tuttavia non possono restare qui ancora per molto, sentivo alcuni medici parlare di eventuali trasferimenti  verso sud, vi sono dei manicomi e non sono vicini alle linee di combattimento.”
“Manicomi!? Vogliono mandarli nei manicomi!?” era allibita.
“Non vi sono altre strutture in grado di occuparsi di loro Candy. Qualcuno migliora e può essere rimandato a casa, ma la maggior parte lo vedi da te che non è possibile gestirli.”
Candy tornò a rivolgere lo sguardo a Terence, si avvicinò nuovamente e con più decisione recuperò il piatto sedendosi sulla sponda del letto “io non sono una che si arrende con facilità” gli disse quasi in tono di sfida, gli avvicinò nuovamente il cucchiaio alla bocca premendo appena sulle labbra “ oggi è una delle prime vere giornate primaverili da quando sono qui, sai? E’ maggio e persino in un posto come questo crescono  fiori piccoli e coraggiosi, sfidano il vento e colorano il paesaggio” fece una pausa “io ho sempre adorato il mese di maggio, in maggio tutto rinasce, non trovi?!” delicatamente porse una mano verso il mento di Terence incitandolo ad aprire un po’ le labbra, non sapeva se il ragazzo fosse in grado di sentire quanto gli stava dicendo ma senza perdersi d’animo proseguì “ quando frequentavo la Royal Saint’s Paul School venne organizzata una splendida festa per celebrare questo mese, ero stata scelta per essere una delle reginette dei fiori. Appena me lo dissero fui al settimo cielo, avrei indossato un magnifico abito, i miei capelli sarebbero stati agghindati con una corona di fiori ed avrei sfilato su di un carro in mezzo alla gente festante. Ma così non fu e rimasi chiusa in una delle stanze della scuola fintanto che un dono inaspettato e gradito si presentò alla mia porta chiusa” il cucchiaio riuscì ad avanzare fra le labbra, Candy si mosse delicatamente per impedire che il liquido potesse andare di traverso “fui Romeo e anche Giulietta, ricordi Terence? Ammetto che preferii maggiormente impersonare quest’ultima; nel mio bel vestito rosso venni presa per mano dal vero Romeo che mi condusse sulla nostra collina e lì danzammo, la musica lontana del grammofono veniva trasportata dal vento e ci avvolgeva. Romeo era bellissimo, così bello da far male. Su di un libro scoprii in seguito che aveva sottolineato frasi tanto dense che pronunciate poi dalle sue labbra sarebbero suonate sublimi.  Me le avresti dedicate quel giorno Terence? Si penso che l’avresti fatto,” sbatté gli occhi, li sentiva pesanti e umidi “come colomba bianca in una lunga fila di cornacchie sembra la fanciulla tra le sue compagne. La voglio vedere dopo questo ballo; come sarei felice se la mia mano rude sfiorasse quella sua. Ha mai amato il mio cuore? Negate, occhi: prima di questa notte non ho mai veduto la bellezza.” Candy recitò solennemente quelle parole, le aveva sentite limpide nella memoria vibrare poi fino alle labbra; sorrise, un sorriso ironico “forse avrei dovuto essere io a dedicarle a te, colombe bianche e bellezza sublime poco si adattano ad una signorina tutte lentiggini.” La mano le tremò un poco ma fu lieta nel constatare che il piatto era ormai vuoto.
Anne che era rimasta in disparte fino a quel momento le si fece vicino “ci sei riuscita Candy” le pose una mano sulla spalla e sentì che il corpo di Candy era teso come una corda di violino.
“Beh Shakespeare pare essere più efficace delle filastrocche di Mamma Oca” commentò cercando di nascondere il proprio stato d’animo “quando ero alla Casa di Pony la mia amica Annie faticava sempre a mangiare e Miss Pony le cantava la canzone di Georgie Porgie o quella del Pudding per distrarla e imboccarla con il minestrone. Il più delle volte la cosa si rivelava fallimentare.” Si alzò per posare il piatto e riempire una tazza con dell’acqua calda e limone “io invece sono sempre stata una mangiona mai avuto problemi d’appetito,” la sua mano sfiorò la nuca di Terence, lo aiutò a bere e un po’ del liquido gli scivolò dalle labbra colando lungo il collo, la giovane si affrettò ad asciugarlo.
“Candy ma tu…” Anne si interruppe e all’occhiata interrogativa della compagna scosse semplicemente il capo con tenerezza,“no niente. Ora dovresti riposare.”
“C’è ancora del tempo, dobbiamo riadagiarlo sul cuscino e togliere il sacco.”
“Posso farlo anche da sola, tu sei molto stanca e devi riposare almeno un poco prima di riprendere il tuo turno.”
Candy fece una smorfia ironica “non sono affatto stanca” e con l’aiuto di Anne sistemò Terence adagiandolo delicatamente sui cuscini, lo coprì concedendosi di scostargli un ciuffo pesante di capelli che gli ricadeva sul viso.
Anne recuperò due caraffe “Candy prendi almeno un po’ d’aria.”
“Vuoi smettere di preoccuparti per me, Anne?! Da quando sei così apprensiva?”
Anne scosse le spalle “non sono apprensiva sto solo pensando ai rischi che mi fai correre ogni volta. Ci vuole un bel po’ di pazienza con te! Ad ogni modo dato che io non posso allontanarmi potresti riempire queste due brocche d’acqua fresca, devo dare da bere ai pazienti.”
A Candy fu chiaro che quello di Anne era un pretesto per farla uscire a prendere una boccata d’aria, annuì con un assenso di gratitudine verso le preoccupazioni di quella giovane volontaria troppo piccola per una guerra così grande.
Raggiunse una delle uscite della caverna, due infermiere stavano accostate all’ingresso concedendosi di fumare delle sigarette prima di rimettersi al lavoro, la osservarono entrambe dubbiose “che fai qui non dovresti essere a riposare?” domandò una di loro sospettosa. Candy alzò le due caraffe “ero nella caverna delle preghiere e ne ho approfittato per fare il favore ad una delle volontarie  di prendere un po’ d’acqua.”
Le due giovani non parvero troppo convinte ma decisero di non indagare oltre “ti conviene scendere verso le taniche, l’acqua dei pozzi è troppo fredda e non salutare, i medici ci hanno proibito di usarla.”
Candy annuì.
Il cielo si era ormai fatto scuro, per giungere alle taniche si percorreva un breve sentiero che conduceva ad una costruzione cubica in cemento dove erano state posti grossi contenitori d’acqua; a pochi passi dalle taniche Candy sentì le gambe cederle, la tensione le era colata addosso d’improvviso lasciandola esausta, si inginocchiò a terra cercando di non far cadere la torcia e le brocche. Poggiò la fonte di luce sull’erba umida e con essa anche le brocche, il respiro era in affanno “stai calma Candy coraggio” si disse ma il cuore non sembrava voler smettere di farle vibrare il petto; aprì il cappotto, si premette la mano all’altezza del cuore, sbottonò alcuno bottoni perlacei dell’uniforme, slacciò appena il corsetto e ne estrasse il suo prezioso tesoro. Tenne stretto il medaglione tra le mani e se lo premette poi contro, immaginò Lakewood ed Albert seduto sulle rive del lago, il sole  gli baciava i capelli ed il volto gentile. Quell’immagine la rincuorò, lasciò che le lacrime le sporcassero ancora un po’ il viso e i sensi smettessero di confonderla.  

 

Cenni storici: Etaples, il luogo che ho scelto come uno dei contesti più significativi di questa fanfiction, si trova nell’Alta Francia, il fiume che lo attraversa, lo Chance, sfocia direttamente nel Canale della Manica. A partire dal 1916 ad Etaples venne posizionato uno dei primi campi adibiti al soccorso e alla cura dei feriti di guerra, la cittadina si trovava infatti sul fronte caldo della guerra di posizione del fronte occidentale, quella che vedeva gli anglo-francesi contrapposti ai tedeschi. La particolarità di Etaples è di essere situata in una zona ricca di grotte che durante il periodo venivano utilizzate dal personale medico per curare i feriti provenienti dalle trincee circostanti. Un gran numero di feriti provenienti dalla  battaglia di  Passchendaele ( battaglia che costò la vita a 300.000 uomini) furono inviati anche ad Etaples.
Un’altra menzione che voglio fare e credo sia necessaria ai fini di migliore comprensione della trama riguarda il così detto “shellshock” il cui equivalente italiano è “vento degli obici” , una malattia nata proprio nei campi di battaglia e nelle trincee della prima guerra mondiale. I soldati colpiti da questa sindrome avevano sintomatologie quali palpitazioni, tremori, paralisi o tremori in tutto il corpo, incubi, insonnia; a volte smettevano di parlare. Alcuni sembravano perdere il senno per sempre, altri recuperavano dopo un periodo di riposo. Ovviamente al tempo la psichiatria non aveva ancora gli strumenti adeguati per fare fronte a questo genere di sindrome, anche perché il personale medico presente nei campi non aveva nessuna esperienza riguardo questi casi ed era molto difficile diagnosticare la causa reale che spesso veniva attribuita a cause organiche come danni fisici al cervello in seguito alle deflagrazioni. Quando fu chiaro che le cause dello “shellshock” non erano da attribuirsi a danni fisici, i medici cominciarono a prendere in considerazione la componente psicologica e furono ben presto costretti ad ammettere che la guerra faceva apparentemente ammalare o impazzire anche persone di cui non si era registrata nessuna particolare predisposizione o tara ereditaria. Vennero istituiti ospedali vicino al fronte per accogliere non solo i feriti nel corpo, ma anche quelli nella mente, che talvolta venivano curati e rispediti al fronte, talvolta andavano a finire in manicomio se i sintomi sembravano troppo strani o gravi per poter essere gestiti negli ospedali. Lo shellshock era una manifestazione di quello che oggi viene chiamato “disturbo post-traumatico da stress”, il cui riconoscimento formale in psichiatria è avvenuto solo nel 1980, proprio in seguito allo studio dei reduci di guerra.


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