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Autore: voiceOFsoul    20/11/2017    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Siamo seduti vicino al tronco dello stesso albero sotto cui mi sono rintanato prima di suonare e prima di… beh, quello che è successo. Ram è appoggiata al tronco, gli occhi fissi al cielo. Le nuvole ancora dipingono pennellate di grigio nel cielo blu, ma hanno lasciato libera la luna che ora splende solitaria in tutto la sua magnificenza.
«E così, sei una che fa incazzare parecchia gente, eh!»
Non è la frase migliore con cui rompere il gelo che sento, ma siamo qui fuori da dieci minuti buoni e l’unico suono che è uscito dalle nostre bocche sono stati sospiri. Era necessario che iniziassi a parlare e il mio cervello ha fatto il solito casino.
Ram stacca gli occhi dal cielo e mi fissa in un modo che per me è del tutto nuovo sul suo viso. Non sta ridendo, a ragione non ha apprezzato il mio tentativo di ironia. Non è arrabbiata, non è triste, sui suoi tratti non c’è nessuna increspatura che possa rivelare un sentimento o un pensiero. Impassibile, come una statua di cera.
«Scusami di nuovo, Ram. Non so che mi prende! Non riesco a dire o fare niente di sensato stasera.»
Lei si volta di nuovo a guardare la luna, la stessa espressione fissa sul volto. Mi maledico, abbasso lo sguardo a guardarmi le mani e desidero vivamente darmi un pugno in faccia da stordirmi. Torno a osservare il suo profilo silenzioso. Mi sento inutile, non ho idea di cosa poter fare. Dopo tutto, come potrei averne? Ram mi ha stregato, tutto di lei sembra parlare direttamente al mio cuore, ma la verità è che io non la conosco, non so nulla di lei tranne che sembra attirare gli psicopatici come una calamita.
D’improvviso la vedo alzarsi, non di scatto, molto lentamente, con le movenze di una scena rallenty. Incapace di muovermi, resto fermo a terra, mentre lei sta già togliendo la polvere dai pantaloni.
«Potresti chiamare un taxi? Vorrei tornare al mio hotel.» la sua voce è a mala pena percettibile, poco più di un sussurro.  
Salto in piedi, tanto veloce da avere l’effetto faccia da clown che viene sparata fuori da una scatola a molla. Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, cerco velocemente il numero del servizio taxi romano su Google e avvio la chiamata. Ram ha abbassato la testa, si fissa la punta delle scarpe. Il centralinista risponde poco prima che la linea cada, detto l’indirizzo, ci vorrà circa un quarto d’ora, ringrazio e saluto.
«Grazie.» sussurra di nuovo. Stavolta mi guarda, ma solo per un attimo.
Si muove verso l’entrata del salone, mantenendo il suo andamento lento. Ancora immobilizzato, la osservo mentre nella mia mente si combatte una indicibile guerra di reazioni. Si ferma sulla soglia, si volta.
«Mi accompagneresti?»
Esito un attimo. «Certo. Devo solo avvisare i ragazzi.»
«Io devo cercare Rebecca. Ci vediamo al portone d’uscita.» lo dice rapidamente e si infiltra tra la gente, mentre gli Aereosmith stanno concludendo Let The Music Do The Talking.
Sospiro. Cosa diavolo ho combinato? Cosa c’è dietro questa ragazza? Cosa nasconde il suo passato? Da dove vengono i suoi fantasmi? E, soprattutto, mi lascerà aiutarla a sconfiggerli?

Non cerco subito Rebecca, ma filo in bagno. Due ragazze mi lanciano un’occhiataccia perché sono entrata nell’anticamera con troppa foga. Raggiungo il lavandino e mando a fanculo il trucco anni ‘80 buttandomi sotto il getto d’acqua fredda. Mi guardo nello specchio. L’espressione schifata delle due tipe si riflette chiara e anticipa la loro fuga. Non posso biasimarle, d’altronde. La mia faccia sembra uscita da una sceneggiatura horror. Il fondotinta si è raggrumato in piccoli accumuli molli, il mascara e l’ombretto sono colati in lunghe righe disordinate sulle guance, il rossetto si è spalmato oltre le labbra ricordando il sorriso del Jocker di Heath Ledger. Gli occhi sono arrossati e li vedo lucidarsi. Sto per piangere.
Mi sono bloccata. Quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui è successo? Lo odio. Mi odio. Ho appena buttato anni di lavoro della dottoressa De Simone nel cesso. Sono retrocessa, ho disimparato il modo in cui tenere sotto controllo le emozioni forti, mi sono lasciata sopraffare. E invitare Tommaso ad accompagnarmi in hotel? Un colpo di genio, no? Crederà che sono solo una disturbata circondata da pazzi e in cerca di sesso facile. E lui ha accettato, da vero porco. No, è solo un uomo, uno come gli altri, un altro che ho sopravvalutato. Ma dopo tutto, non lo conosco per nulla.
La porta si apre di nuovo. La ragazza che entra si blocca un attimo quando mi vede, ma decide saggiamente di far finta di nulla e si chiude velocemente dietro una delle porte interne. È ora di andare, devo sbrigarmi. Afferro un bel po’ di carta dal distributore e la uso per togliere alla meno peggio il disastro che ho in viso. Riesco con un po’ di sforzo a ottenere un risultato quasi decente, i rossori sono evidenti ma spero non si noti con le luci basse. Sento il rumore dello sciacquone, la ragazza esce dal bagno e si avvicina al secondo rubinetto. Mi osserva di sfuggita cercando di non farsi notare. Le sorrido, ricambia, le faccio tenerezza, forse pena. Esce, chissà se si sta chiedendo il perché o se sta pensando a quando era lei a piangere in un bagno da sola con una sconosciuta che si preoccupa per te.
Guardo l’ora, il taxi sarà quasi arrivato e io devo ancora trovare Reb. Torno in sala. La trovo totalmente al buio se non per le piccole fiammelle di accendini che formano uno strano cielo artificiale. Una folata di emozione mi scuote. La band sta suonando I Don't Want to Miss a Thing, una meraviglia di canzone a cui non si può restare impassibili. Mi appoggio di nuovo al muro, chiudo gli occhi. Rivedo le scene di Armageddon passarmi nella mente, Ben Affleck e Liv Tyler che si baciano contro la luce del tramonto giocando con crackers a forma di animale, lo sguardo psicopatico di Steve Buscemi, Bruce Willis che si sacrifica per la figlia. Il volto di mio padre lo sostituisce d’improvviso. Apro gli occhi, scuoto la testa, ricominciare a piangere adesso equivarrebbe a crollare di nuovo. Respiro profondamente, creando un’immagine mentale che possa rilassarmi.
Una spiaggia all’alba, il mare che accarezza placidamente la sabbia, le nuvole che si tingono di rosa e arancione, indosso un vestito bianco che svolazza portato dal vento, delle mani mi accarezzano il viso coprendomi gli occhi, le mie labbra vengono raggiunte da altre labbra morbide che mi baciano con tenerezza, lascia liberi i miei occhi, è Tommaso.

I just wanna hold you close,
Feel your heart so close to mine
And just stay here in this moment
For all the rest of time.

Resto in questa immagine finché la musica non termina e l’intera sala applaude commossa la band. Tommaso è realmente di fronte a me.
«Scusa, ti ho vista sovrappensiero e non volevo farti spaventare di nuovo.»
«Devo cercare ancora Reb.»
«Ok. Il taxi è arrivato, esco a fermarlo.»
«Grazie.»
Cosa mi hai fatto Tommaso? Chi sei? Come hai fatto a entrare così nel profondo dei miei pensieri?

Il taxi si ferma, dopo una corsa di venticinque minuti in totale silenzio, di fronte a un tre stelle dall’aspetto elegante. Ram è rimasta immobile a fissare fuori dal finestrino per tutto il tempo, tormentandosi la punta delle dita con le unghie. Frugo nelle tasche interne della giacca per trovare il portafoglio, ma lei, continuando a non dire una parola, mi blocca e porge una prepagata al taxista che, sbuffando, la inserisce all’interno del POS portatile. Mentre riceve il tastierino per il pin, gli porge un foglio indicando che le serve la ricevuta per il rimborso spese. Il taxista sbuffa ancora di più e afferra il blocchetto. Ram estrae da sola la carta, preleva lo scontrino e aspetta la ricevuta, poi, come non fossi insieme a lei, augura una buona serata e scende dall’auto.
«Lei continua la corsa?»
«No, scusi, scendo subito. Buon lavoro.»
Il taxista mi dà un’ultima occhiata incazzata dallo specchietto retrovisore, mentre mi precipito fuori dal veicolo.
Ram ha attraversato la strada e si è seduta sugli scalini dell’ingresso, fissa di nuovo il cielo, continua il silenzio. Siedo vicino a lei, le nubi si son fatte di nuovo dense e si stanno scurendo, l’aria si è fatta più fredda, la giacca di pelle non basta più. Mi chiedo se anche lei lo sente. Mi volto a osservarla. Ancora con il naso all’insù, trema leggermente, ma non potrei giurare che si tratti solo di freddo.
«Andate via!» una voce alle nostre spalle ci fa trasalire.
Ci voltiamo di scatto, da seduto il receptionist sembra un gigante pronto a schiacciare due formichine. Scatto in piedi tirando Ram per il braccio. La situazione non cambia molto, è comunque quasi una spanna più alto di me.
«Non potete stare sulle scale! Dovete andarvene.»
«Certo. Andiamo via immediatamente.»
«Sarà meglio che vi sbrighiate se non volete che vi porti via io.»
«Mi scusi signore» lo interrompe Ram. «Io non credo di dover andare via. Sono un ospite dell’hotel, stanza tre-sette-quattro.»
«E io sono Babbo Natale arrivato in anticipo.» Incrocia le braccia sul petto e ci guarda sarcastico.
«Guardi che non sto scherzando.» estrae i suoi documenti dalla borsetta e glieli porge. «La pregherei di controllare e poi tornare a scusarsi con me e con il mio amico. O preferisce che sia il suo direttore a controllare al suo posto?» Sul suo volto compare un sorriso al vetriolo.
Il gigante continua a guardarci male ma afferra la carta d’identità e rientra nella hall, stando attento a chiudere bene la porta alle sue spalle. Ne esce cinque minuti dopo con le pive nel sacco. Porge stizzito i documenti a Ram.
«Mi scusi signorina Centini. Non l’avevo riconosciuta.» Apre la porta. «Si accomodi pure. Entra con lei anche il suo amico?»
«Sì.» dice Ram, con un tono da saputella che farebbe girare le scatole a chiunque. Attraversa impettita la soglia, mi fa cenno di sbrigarmi a seguirla.
Il gigante rientra subito dopo di noi, richiude la porta e va a rintanarsi dietro il bancone. Ci porge la chiave magnetica. Lei l’afferra, ancora con il sorriso da stronza. La seguo mentre ondeggia verso l’ascensore. Un attimo prima che le porte si chiudano, sfotte il gigante salutandolo con la mano.
Una volta al sicuro dentro l’ascensore, scoppia a ridere. Una risata isterica, senza freno, liberatoria. Le vado dietro.
«L’hai proprio distrutto nell’onore. Sei stata senza pietà.»
«Ehi! Ha iniziato lui. Ha voluto disturbarci. Cosa avremmo potuto fare di male seduti su quegli scalini?»
Indico la nostra immagine riflessa nello specchio laterale «Puoi dargli torto? Guardaci. Sembriamo due tossici.»
Si avvicina allo specchio e con le dita cerca di tirare via un po’ di nero da sotto gli occhi. Ha il viso sfatto, il trucco sciolto, i capelli scompigliati, ma è comunque bellissima. L’ascensore termina la corsa, usciamo in corridoio e arriviamo alla sua stanza.
«Ti offro da bere e poi chiamiamo un taxi che ti riporti a casa. Ti va?»
«Ok» Ho la gola improvvisamente secca.
Apre il frigo bar e ne esce una piccola bottiglia di prosecco. «Questa mi sa che non posso addebitarla sulla carta aziendale.» ride.
«Potrebbero esserci dei problemi, sì.» Cosa sto dicendo? Come sto ridendo? Mi sento un’idiota.
«Aspettami qui. Vado un attimo a togliermi questo cerone dal viso e a mettermi qualcosa di decente addosso.»
Si chiude in bagno. Mi osservo intorno. La stanza non è troppo grande ma è sistemata con molta raffinatezza. C’è un piccolo balcone, con vista sulla città. Sento l’improvvisa necessità di prendere aria. Esco fuori, un brivido mi scuote, c’è sentore di pioggia nell’aria.
«Non ne potevo più!»
Ram esce dal bagno con addosso una tuta abbondante, ha tolto ogni filo di trucco sbavato e ha raccolto i capelli in una crocchia frettolosa. La mia mente viaggia e la immagina in questo modo accoccolata sul divano di casa dopo cena.
Afferra il piumone aggiuntivo dentro l’armadio, la bottiglia di prosecco e mi raggiunge. Ci sediamo avvicinando tra loro le sedie e mettiamo il piumone sulle spalle per riscaldarci. Ram stappa la bottiglia e me la porge.
«Scusa, non ho trovato i bicchieri. Puoi accontentarti?»
Bevo a collo un paio di sorsi, le ripasso la bottiglia, beve anche lei.
«Bello qui, vero? L’azienda per cui lavoravo prima era di un altro stampo. Tutta hotel super lusso, stanza enormi, vasche idromassaggio. Ma anche qui non è male, questo hotel è carino. A parte il gorillone lì sotto, certo. Voi dove alloggiate? Siete in centro?»
«No, è un appartamento in periferia. Squallido ma serve allo scopo.»
«Siete venuti per la serata di stasera?»
«In realtà quella è venuta dopo...»
Le racconto di De Blasi, del nostro colloquio con lui. Iniziamo a parlare di lavoro, di me che l’ho perso e di lei che ne ha iniziato uno nuovo, di cosa ci sarebbe piaciuto fare da grandi - lei sognava di fare la professoressa -, di quanto lontani o vicini ci troviamo dal realizzare i nostri sogni o dal cambiarli. Ci ritroviamo a parlare di noi, a conoscerci ancora. La osservo aprirsi con me, come se tutto quello che è successo oggi non fosse mai esistito. Provo il forte desiderio di abbracciarla, ma non lo faccio. Sto fermo ad ascoltarla.
«Ti va di parlarmi della madre di tua figlia? Cosa è successo?»
Eccoci qui, aspettavo con timore il momento in cui saremmo arrivati a questa domanda. Eppure parlarne con lei si rivela più facile del previsto. Le racconto tutto, dall’inizio, da quando conobbi Simona alle superiori. La nostra storia, gli alti, i bassi, i momenti dolci da far scoppiare il cuore, i litigi, di quando abbiamo deciso di sposarci, di quando la piccola Rose è arrivata come il più bell’imprevisto che potesse donarci il destino. E poi del declino, dei silenzi, della routine, dei segreti, del tradimento con Davide, di come me l’ha confessato con il suo sguardo colpevole seduto nel vicolo di casa mia, della lettera e di come è sparita per sempre. O almeno spero.
«Incredibile. Deve essere stato un colpo tragico per te. Ecco perché ti comportavi in modo così strano la sera che ci siamo conosciuti.i»
«Strano? Mi sono chiuso in bagno come una dodicenne alle prime mestruazioni. Dire “strano” è farmi un complimento.»
«Non volevo essere così drastica.» ride.
«Mi dispiace che ci siamo conosciuti in quel modo.»
«A me no. Forse era l’unico modo per poterti conoscere.» Mi guarda fisso negli occhi, un sorriso dolce le increspa le labbra. Dio, quanto è bella. «E a me ha fatto davvero molto piacere conoscerti.»
«Anche a me.» Continua a sorridermi.
Il silenzio si riempie di elettricità, quella che creano le nostre cellule attraendosi con sempre più forza. Stupido, baciala! Baciala adesso. Non perdere un momento di più.
Invece lo perdo.
Ram tossisce, prende di nuovo la bottiglia e beve la metà di quello che ne rimane, la passa a me per finirla.
«Grazie di avermi raccontato la tua storia.»
«Figurati! Quello che non ti uccide ti rende più forte.» sorrido e mando giù il resto del prosecco, ma vedo il suo viso trasformarsi tornando serio.
«Questa cosa è una balla. Quello che non ti uccide, ti ferisce gravemente e le ferite sono ferite e basta. Si rimarginano, ma la cicatrice rimane comunque. E ci sono cicatrici che ti sfregiano.»
I suoi occhi sono di nuovo spenti, non reattivi.
Le afferro la mano, sembra svegliarsi dal torpore.
«Ram, ti va di raccontarmi della tua ferita?»


Ancora una volta, un capitolo accompagnato da una colonna sonora che vi consiglio stavolta tutta targata Aerosmith :)

Let The Music Do The Talking e la famosissima (e più recente) I Don't Want to Miss a Thing (e se non avete mai visto quel gran capolavoro di Armagheddon, cosa state aspettando a recuperarlo e versare tutte le lacrime che il vostro fisico è in grado di produrre?).
   
 
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