Un
fratello
è quel legame che non potrai mai spezzare, non importa
quanto ci provi
Itachi
stava davanti alla porta chiusa senza sapere cosa fare. In
quell’ultimo periodo
gli stava succedendo un po’ troppo spesso di ritrovarsi
indeciso, proprio lui,
la persona in grado di portare fino in fondo anche le scelte
più difficili,
perché certo che conducessero alla strada giusta, verso il
suo obiettivo.
Il vero
problema, forse, era che per una volta quell’obiettivo non
era chiaro. Era
avvolto da una foschia che nessun sole o vento riuscivano a diradare, e
il
ragazzo non era avvezzo a una tale condizione.
Senza
volerlo, aveva ascoltato la conversazione telefonica del fratello,
dalle sue
parole aveva intuito che stava parlando con Gaara e non era riuscito a
fare a
meno di rimanere a origliare; la sua sete di segreti non aveva fine.
Eppure,
ora, una parte di sé desiderava non averlo mai fatto.
Era lì,
davanti a quella porta chiusa, l’intento iniziale di chiamare
Sasuke per uscire
a sciare vacillava; forse avrebbe dovuto semplicemente fare dietrofront
e fare
finta di nulla, ma quando mai era riuscito a ignorare il fratello e i
suoi
problemi?
Mai,
anche in passato quando sembrava indifferente a quello che gli
accadeva, in
realtà lo teneva sempre sott’occhio da lontano.
Fu così
che si decise a bussare ed entrò, vedendo Sasuke su una
sedia e a terra vicino
a lui una bottiglia d’acqua che l’altro non si
decideva a raccogliere. Forse
non se ne era nemmeno accorto perché, quando alzò
lo sguardo Itachi, questi
notò quanto fosse immerso nei suoi pensieri, lontano miglia
e miglia da lì.
“Cosa
succede, Sasuke?” gli chiese istintivamente, senza alcun
filtro ad ammorbidire
quella domanda.
Il
ragazzo lo guardò, con le mani incrociate in grembo,
l’espressione spaesata e
la testa che gli turbinava. Erano passati solo un paio di minuti dalla
telefonata con Gaara, non era pronto ad affrontare e mentire al
fratello e ai
suoi maledetti occhi indagatori.
Sicuro
di doverli affrontare e mascherarti,
Sasuke?
La
voce
dello psicologo risuonò chiara nella sua testa, eppure lui
rispose
automaticamente:
“Niente,
va tutto bene.”
Poteva
una menzogna essere più palese di così? Itachi lo
riteneva poco probabile e
quella volta decise di ignorare le regole non scritte del codice
Uchiha: si
fece più avanti e affrontò nuovamente il fratello
a viso aperto. Basta
nascondersi, basta fingere che tutto fosse a posto, basta pretendere di
essere
ciò che non si era.
“Che
pessima bugia, Sasuke – scosse la testa – avanti,
parlami. Ho voglia di
ascoltarti.”
Il più
giovane lo fissò con gli occhi sgranati. Quelle stesse
parole gliele aveva
dette lo psicologo, anche lui aveva detto di aver voglia di ascoltarlo,
solo…
quello in fondo era il suo lavoro ed era pagato per farlo, Itachi no.
Itachi
aveva scelto di ascoltarlo, di dedicargli tempo, di vincere
l’imbarazzo e
quella freddezza di fondo che gli aveva sempre impedito di confidarsi
realmente, di raggiungere quel livello di profondità comune
nei fratelli.
La neve
cadeva leggera fuori dalla finestra, nei corridoi si sentiva lo
scalpiccio dei
passi, mezze risate, stralci di conversazioni e il calore di
quell’elegante
chalet in legno, animato dalle persone che lo riempivano. I due
continuavano ad
osservarsi in silenzio, il disagio era palpabile, come una cappa solida
che li
avvolgeva, ma Itachi non indietreggiava, rimaneva lì, a
dargli tutto il tempo
necessario, ad aspettarlo.
“Non… non
è tutto a posto, ma – mormorò Sasuke in
difficoltà – non è il momento adatto,
non siamo soli.”
Itachi
sospirò appena, incrociò le braccia davanti al
petto e rispose, lieto che il
fratello non lo stesse respingendo:
“Se è
solo quello il problema si risolverà presto: ero venuto ad
avvisarti di
prepararti per uscire tra poco, per partecipare alla fiaccolata
notturna sugli
sci. Gli zii sono già usciti coi figli più
giovani, mancavamo solo noi più
grandi e i nostri genitori. Dirò a mamma che hai mal di
testa e non te la senti
e che io rimarrò con te; ci crederà, in fondo
aveva notato già a pranzo che eri
pallido e hai mangiato poco.”
Pratico
ed efficiente, due caratteristiche che contraddistinguevano sempre
Itachi e il
ragazzo stesso si sentì meglio, perché a quel
modo sentiva di riprendere almeno
un po’ dell’abituale controllo, benché
non fosse certo di dove quella
chiacchierata li avrebbe condotti.
“Ma è
importante, avevamo detto che si saremmo stati…”
tentò di dire Sasuke, in un debole
tentativo di evitare il loro confronto.
“Tu sei
più importante – affermò Itachi, serio
– tu per me sei più importante, Sasuke.
Ti aspetto di là.”
Uscì,
senza nemmeno attendere una sua risposta e al minore parve di scorgere
sul suo
viso un accenno di rossore. Forse, se si fosse specchiato, avrebbe
visto la
stessa cosa sul proprio.
A Sasuke
sembrava di essere nello studio dello psicologo, se si voleva escludere
il
bicchiere di whisky in mano e l’atmosfera sicuramente
più elegante e lussuosa.
Tuttavia era seduto sempre su una poltroncina, aveva
l’interlocutore di fronte
a sé, l’unica differenza era che gli occhi
intelligenti e attenti non erano
nascosti dietro a delle lenti.
E poi era
suo fratello.
Perché
sentirsi così agitato e nervoso?
Bevve un
sorso del drink che Itachi gli aveva preparato, godendosi
l’ottimo liquore, il
tepore del caminetto che scoppiettava e si trovò a
riflettere che non si erano
mai trovati in una situazione del genere. Non aveva mai nemmeno chiesto
scusa e
ammesso di aver sbagliato, eppure nemmeno un’ora prima lo
aveva fatto con
Gaara; quel natale gli stava regalando un sacco di prime volte.
“Mamma ti
ha creduto senza problemi?”
“Ovviamente
– sorrise Itachi – non è passata a
salutarti perché le ho detto che stavi
riposando.”
Posò il
bicchiere sul tavolinetto tra di loro, dopo di che intrecciò
le mani
posandosele su una coscia e lo guardò, in attesa.
Sasuke
continuava a rimanere in silenzio, consapevole che toccava a lui
iniziare, ma
non riusciva a staccare gli occhi dai cubetti di ghiaccio nel suo
whisky, era
davvero interessante osservare il loro movimento randomico quando
scuoteva il
bicchiere. Tuttavia le sue osservazioni, sicuramente degnissime di una
pubblicazione scientifica, vennero interrotte da Itachi:
“Non
voglio costringerti a parlare, ma credo che tu abbia bisogno di farlo,
per
questo sono così insistente, come mai prima. So di stare
forzando i tuoi tempi,
ma sono mesi che covi qualcosa, come una malattia, e negli ultimi tempi
si è
aggravata. Non voglio che l’infezione dilaghi e ritrovarmi in
futuro a
incolparmi per non aver fatto nulla quando c’era ancora
tempo, frenato dalla
vergogna o dall’inabilità a parlare –
sospirò – Sì, Sasuke. Noi due non siamo
per niente bravi a comunicare, a volte vorrei avere anche solo un
briciolo
dell’abilità di Shisui.”
Sasuke lo
guardò esterrefatto: un’ammissione del genere era
qualcosa di stupefacente,
quasi quanto un’invasione aliena, e si chiese se il fratello
non si fosse
scolato uno o più drink prima di sedersi nel salotto con lui.
“Non ti
sembra di essere un po’ melodrammatico? –
ironizzò – E poi per invidiare anche
solo un’unghia di nostro cugino devi avere la febbre
alta.”
“Forse –
disse Itachi per entrambe le domande – ma le cose stanno
così, quindi… parlami,
ti ascolto.”
Il
bicchiere di Sasuke andò a fare compagnia al suo sul
tavolino, dopo di che il
ragazzo incrociò le braccia davanti al petto e
guardò in giro per la stanza,
fissandosi poi sulla finestra dove si intravedevano le luci delle altre
abitazioni nella notte scura.
Chissà
come doveva apparire quel luogo dall’alto, con quelle case
coperte di neve
eppure illuminate, immerse nel verde, con qualche umano affaccendato al
di
fuori. Magari sarebbe sembrato un grande presepe naturale, e loro tutti
i
personaggi della recita natalizia che fingevano di essere i pastori,
gli
artigiani, i musicanti, i re magi…
Sasuke
non era un attore, ma aveva sempre interpretato un ruolo. Quello del
bambino
composto, serio, che odiava i dolci e fare confusione con altri bambini
per
dimostrarsi all’altezza dell’impeccabile fratello e
ricevere anche lui gli
elogi paterni. Aveva continuato con quella recita
nell’adolescenza e l’età più
adulta, aggiungendo o togliendo alcuni elementi sul copione, come la
rabbia, il
risentimento, o l’interesse per fidanzate mai realmente
desiderate, ma aveva
sempre seguito le battute già scritte, senza uscire dal
ruolo.
Per uno
strappo alle regole era riuscito a capire e scoprire il suo interesse
per gli
uomini, ma lo aveva tenuto celato, interpretando il suo personaggio con
maggior
convinzione di prima, col bisogno di convincersene lui per primo,
perché… se
quello non era lui, allora chi era lo sconosciuto sotto la maschera?
“Sono
gay, Itachi.”
Era tempo
di scoprirlo.
Il
maggiore inspirò più profondamente e socchiuse
gli occhi, ma a parte questo non
fece altro. Non saltò, non sobbalzò, tantomeno
scappò inorridito, rimase a
guardare il fratello e gli sorrise leggermente:
“Non ti
farò domande stupide come ‘Ne
sei certo’ o
altro, se sei arrivato a dirmelo lo sei – iniziò a
dire – e posso immaginare
quanto questo ti stesse logorando. Non è facile ammettere
una cosa simile,
ancor meno in una famiglia rigida e legata alle tradizioni come la
nostra, ma
sono felice che tu abbia deciso di fidarti di me.”
Fu invece
Sasuke a sobbalzare e a piantare le dita nei braccioli imbottiti,
pareva sul
punto di saltare addosso all’altro per sbranarlo, ma
ovviamente non fece nulla
di ciò, limitandosi a fissarlo e mordersi le labbra.
“Tutto
qui?” sputò acido.
“Tutto
qui cosa? – rispose Itachi invece tranquillo – Ti
aspettavi che ti dessi del
mostro, dello scherzo della natura, come nostro padre ogni volta che
sente
nominare i gay? Mi deludi, Sasuke… pensavo avessi capito che
io e lui siamo
molto diversi. Oppure non ti aspettavi che io fossi così
comprensivo, cercavi
un motivo per essere arrabbiato con me?” indagò,
senza smettere di guardarlo e
vedendolo fremere.
Sasuke era
un concentrato di rabbia e frustrazione che però non sapeva
dove dirigere e
spesso finiva per riversarsela addosso, complicandosi inutilmente la
vita,
Itachi lo sapeva. Come sapeva che il fratello senza quel sostegno di
livore e
ira non sapeva stare, era ciò che lo aveva mantenuto in
piedi durante tutti gli
anni del loro conflitto, e adesso anche lui doveva scontare le
conseguenze dei
suoi sbagli passati.
“Cazzo,
Itachi…” sbottò Sasuke dando un pugno a
un bracciolo maltrattato. Accavallò le
gambe e tornò a far sfrecciare lo sguardo per la stanza
prima di posarlo di
nuovo sull’altro. “Non lo so, non lo so davvero
cosa mi aspettassi da te, io
non ci sto capendo più niente da un pezzo –
sospirò – so solo che sono stanco
di fingere, tutto qui.”
Itachi
ammirò il suo coraggio, perché ce ne voleva per
arrivare a quel punto e
ammettere la verità, invece lui, quel coraggio, non lo
aveva. Infatti,
cogliendo l’occasione, avrebbe potuto rivelargli la propria
bisessualità, la
notizia avrebbe persino potuto dare sollievo al fratello, ma Itachi
preferiva
rimanere nell’ombra coi suoi segreti. Forse più
avanti, si disse, in fondo quel
momento doveva essere solo di Sasuke.
“Non deve
essere stato facile reggere un simile segreto da solo e trovare la
forza di
ammetterlo – disse Itachi – ma credo che il tuo
problema non sia finito qui, ma
che tu abbia qualche screzio con un ragazzo, giusto?”
“Già –
mormorò – io, non…”
Sasuke
non riuscì a completare la frase che rimase ad aleggiare tra
di loro, unendosi
al profumo di legna e pino, gli odori tipici dell’inverno, ma
soprattutto di
quello chalet dove soggiornavano sin da quando erano bambini.
“Hai dei
problemi con Gaara” lo soccorse Itachi, prendendosi la
responsabilità di fare
quel nome proibito.
Quel nome
deflagrò con la violenza di una bomba e Sasuke non era
pronto. Non era corso a
cercare riparo in una trincea, non si era protetto il viso con le
braccia, non
aveva fatto nulla, era rimasto fermo a ricevere la detonazione e i
frammenti
che volavano tutt’intorno. Li sentì premere nella
carne e, guardandosi, si
stupì di non trovare i suoi abiti tinti di rosso, nel
costume di un grottesco
babbo natale.
“Tu
come…?”
“Era
palese che ci fosse qualcosa che non andava tra voi” gli
spiegò Itachi. In quel
momento provò odio per se stesso, per il dolore che gli
aveva procurato pronunciando
il nome di Gaara, e per il modo ipocrita in cui si stava giustificando,
dicendosi che a volte bisognava rompere qualcosa per poi renderlo
più bello e
migliore saldandolo in una nuova forma.
“Tu
sapevi già di me” disse ancora Sasuke, chiedendosi
fin dove riuscissero a
vedere quei occhi, refrattari alle sue bugie e alle illusioni in cui
gli altri
invece cadevano.
“No, era
un sospetto – rispose Itachi, accomodandosi meglio
– non ti ho detto nulla
finora perché volevo lasciarti la tua privacy, ma oggi ho
capito che non era la
strada giusta da seguire. Siete stati insieme?”
domandò ancora a bruciapelo,
sentendo improvvisamente il cuore in gola. Sapeva, comprendeva che
quella
risposta avrebbe decretato inevitabilmente anche il proprio futuro,
perché lui,
per Sasuke, avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Sì, no,
sì… cioè… è
complicato”
balbettò il più giovane, passandosi una mano sul
viso
per poi sospirare, non sapendo come spiegare quel casino che
c’era tra di loro.
“Ci siamo conosciuti per caso mesi fa, ci siamo frequentati,
ma
poi… diciamo
che potrei non essermi comportato in maniera ineccepibile nei suoi
confronti.
Sì, diciamo così” concluse. Era
difficile ammettere
le proprie responsabilità,
anche se quella volta era stato più tenero con se stesso
rispetto alla
telefonata.
“Ineccepibile,
interessante sinonimo per
dire stronzo – Itachi sorrise appena, conosceva abbastanza il
fratello da
sapere quanto potesse diventare caustico – almeno oggi gli
hai chiesto scusa.”
“Itachi!
– esclamò l’altro imbarazzato
– Da quando in qua origli?”
“Beh,
ammetto che non è stato proprio etico –
replicò con un filo di imbarazzo – ma
ero venuto a chiamarti, ti ho sentito al telefono e non sono riuscito
ad
evitarlo. Devo però confessarti che non me ne pento:
è stata quella telefonata
ad avermi spinto a farti certe domande e ci ha condotti fin qui. Direi
che per
questa volta puoi perdonarmi, o no?”
Sasuke
sprofondò nella poltrona, con la fronte corrucciata e la
faccia funerea. Non
era stato per niente facile dire certe cose a Gaara, sentirle ad alta
voce e
rendersi conto che erano vere; non era certo felice che le avesse udite
anche
il fratello. Si stava confidando con lui, ma faticava a tenere a bada
il
proprio orgoglio che premeva per uscire e prendere il controllo per
soffocare
il senso d’inferiorità sempre pronto a divorarlo.
“Diciamo
di sì” concesse, con un’aria lontana
dall’apparire magnanima.
“Non
accadrà di nuovo, ne puoi stare certo – gli
assicurò Itachi che poi bevve un
sorso di whisky – quindi come stanno adesso le cose tra
voi?”
“Se hai
origliato hai sentito anche la mia proposta di vederci, e la mia
risposta
successiva. Visto che sei così bravo arrivaci da solo
– sputò acido, per poi
sospirare – scusa.”
“No,
penso di essermelo meritato” ammise Itachi, chiedendosi come
avrebbe reagito se
avesse saputo del bacio tra lui e Gaara, ma soprattutto
dell’interesse che
cercava di negare nei confronti del segretario. “Quindi ha
rifiutato?”
Sasuke
prese a sua volta il bicchiere e in un sorso lo finì,
sentendo che bruciava
maledettamente in gola, ma ne aveva bisogno e si alzò per
prendersene un altro.
“Non
proprio – disse dando le spalle all’altro mentre
trafficava davanti all’angolo
bar – ha detto che forse è presto e che ho altre
cose da risolvere per conto
mio. Immagino avrai sentito anche che vado da uno psicologo.”
Itachi
fissò la sua schiena leggermente curvata in avanti; quando
era diventato tanto
alto? Se chiudeva gli occhi gli sembrava di vedere ancora il moccioso
che lo
seguiva come un’ombra, invece di quel giovane adulto che
cercava il proprio
posto nel mondo.
“Sì, ho
sentito – confermò – credo tu abbia
preso una buona decisione, così avrai
l’opportunità di chiarire tutti i tuoi dubbi e
conoscerti meglio, anche se è la
cosa più difficile che esista. Molto spesso quello che
troviamo non ci piace e
allora ci si trova davanti a un bivio: scegliere se accettarsi o se
continuare
a mentire a se stessi, rinnegando ciò che si è.
Ma io so che sei coraggioso,
farai la scelta giusta.”
Pensò
anche che la risposta di Gaara era proprio tipica del ragazzo: pacata e
assennata, eppure immaginava che per lui non fosse stato facile dirla.
Non
dedicò ulteriore energia mentale al segretario,
perché in quel momento era
dedicato unicamente al fratello che continuava a dargli le spalle; la
loro
discussione non era ancora finita e forse la parte più
difficile stava
arrivando ora.
Sasuke
infatti ricominciò a parlare, ma lo fece lentamente, come se
stesse scegliendo
con cura le parole o, forse, per mascherare il tremolio nella voce.
“Non sono
coraggioso, affatto. Sono un codardo e anche bugiardo,
perché sono anni che ho
dubbi, anni che provo interesse per gli uomini, credevo addirittura di
essermi
innamorato di Naruto, ma ho continuato a negare tutto. Facevo finta che
questa
parte di me non esistesse, solo una volta ho ceduto e ho avuto una
brevissima
relazione, ma mi sentivo così in colpa, avevo paura di dove
avrebbe potuto condurmi
quella strada e me ne sono tirato fuori, finché…
finché Naruto non mi ha
presentato Hinata e lì è andato tutto in pezzi;
ho conosciuto Gaara e forse
l’ho portato sul fondo con me. Ho paura, Itachi, del me
stesso codardo e
bugiardo che ha sempre tenuto il controllo, perché non so
dove mi porterà e non
so se riuscirò a impedirglielo. Però non so
nemmeno se ce la faccio a
continuare a mentire, non so se sarò in grado di trovare una
fidanzata che
piaccia ai nostri genitori, sposarla, andarci a letto e fare un figlio
o due.
All’idea mi viene voglia di inghiottire un pacco di lamette e
basta. Come
faccio a vivere così, nella menzogna? E come posso non
farlo, vivere appieno la
mia natura, amare un altro uomo come se niente fosse? Non
sarò mai perfetto
come te.”
Itachi
non lo aveva interrotto, aveva lasciato che le parole taglienti di
Sasuke
incidessero più a fondo la ferita in modo da far sgorgare
tutto il pus, il
marcio che lo stava avvelenando, così che una volta pulita
quella ferita
potesse richiudersi, lo avrebbe aiutato anche a mettere i punti se
necessario.
Tuttavia, sentendo quelle ultime parole, non riuscì
più a stare fermo e
lasciare che l’altro si torturasse.
Scattò in
piedi e lo raggiunse in pochi, rapidi passi. Per completare la lunga
lista
delle prime volte di quel giorno, lo abbracciò: rimase alle
sue spalle e gli
passò le braccia attorno al busto, stringendolo contro il
proprio. I suoi
capelli corti gli solleticarono il collo e Itachi avvertì
l’odore di shampoo,
dell’acqua di colonia leggera che lui stesso gli aveva
regalato e aumentò la
stretta.
Sasuke
non lo allontanò, lo lasciò fare, e Itachi
avvertì il suo respiro difficoltoso,
la cassa toracica che non si contraeva bene, così gli
portò una mano sul viso,
lasciandola lì ad asciugare le lacrime silenziose che non
poteva vedere.
“Non
dirlo mai più. Mai più, Sasuke – gli
intimò a bassa voce – io non sono
coraggioso, rimango sempre nascosto e non mi espongo. Altrimenti ti
avrei già
parlato tempo fa, quando ho iniziato ad avere i miei sospetti oppure,
quando tu
mi hai confessato di essere gay, avrei potuto confessarti allo stesso
modo di
essere bisessuale.” Avvertì chiaramente i suoi
lineamenti distorti che, sotto
al palmo della sua mano, si distendevano in un’espressione
sorpresa, ma non gli
diede modo di interromperlo. “Sì, sono bisessuale
e nella nostra famiglia non è
certo l’unico segreto che c’è. La cugina
di mamma, Makoto, te la ricordi? Ha
una relazione col cognato da anni. Mentre lo zio Ryuta ha fatto
abortire la sua
amante molto più giovane di lui e questo non è
quasi niente. Se solo volessi
potrei andare avanti a lungo a parlare di questi segreti, di
perversioni
grottesche e azioni tutt’altro che nobili che la nostra
famiglia nasconde.
Alcune cose si sanno, ma si fa finta di niente per una stupida idea di
decoro,
e queste stesse persone si permettono di riempirsi la bocca di giudizi
per
stabilire cosa possa essere morale o no. Stupidi ipocriti arroganti,
che
vogliono solo apparire irreprensibili, quando in realtà sono
marci. Ti ho detto
questo perché voglio che tu capisca
di
non avere niente che non va, mettitelo bene in testa, sei solo un
normale
ragazzo che ha capito che gli interessano altri ragazzi. Tu non devi
vivere
come vogliono gli altri, come vuole papà o come pensi che
vorrei io, ma solo
come vuoi tu… cazzo, avrei dovuto dirti queste cose molto
tempo fa invece di
tenerti a distanza, ma mi dicevo che lo facevo per il tuo
bene… che stupido,
come puoi ammirare uno stupido cieco come me? – una smorfia
ironica gli
percorse il viso, era difficile ammettere i propri errori e accettarne
le
conseguenze – Se vorrai mai fare coming out io ti
sosterrò, oppure puoi vivere
la tua sessualità senza rivelarla al mondo, qualsiasi
decisione prenderai sarà
quella giusta, perché sarà quella che ti
farà stare bene e io sarò al tuo
fianco, così come Shisui ha fatto per me. Senza
quell’idiota forse non sarei
mai arrivato fino qui, insieme siamo cresciuti e abbiamo capito molte
cose di
noi stessi” concluse quel lungo sfogo con un respiro
profondo, salutando senza
troppo rammarico uno dei suoi segreti, in fondo non era stato
così traumatico,
specialmente se poteva aiutare Sasuke.
Questi
intanto rimase in silenzio, preso ad assorbire quella mole di notizie
piuttosto
indigesta. Sentiva il calore di Itachi, il suo profumo unito a quello
lieve
delle sigarette che fumava di nascosto dal padre, ma lui sapeva del suo
vizio
da parecchio, anche quello era un altro dei suoi segreti svelati.
Chiuse gli
occhi, godendosi quell’abbraccio, perché non lo
avevano mai fatto prima? Era
così bello, erano davvero due idioti!
Quando
sollevò nuovamente le palpebre focalizzò davanti
a sé le bottiglie costose
dell’angolo bar e le mani candide del fratello sul suo
maglione scuro, ne
strinse una.
“Potevi
scegliere un mentore diverso, ti ha attaccato la sua idiozia.”
Itachi
sorrise e poggiò la bocca contro la sua nuca, lasciandosi
sommergere dai suoi
capelli setosi e neri quanto i propri.
“Forse
hai ragione, ma ormai è andata così.”
“È tutto
vero?” gli domandò Sasuke più serio e
Itachi non fece nessuna battuta, nemmeno
per sdrammatizzare.
“Sì,
tutto. Sì, sarò sempre al tuo fianco,
sì sono bisessuale e sì, la nostra
famiglia è tutto meno che perfetta.”
“Cazzo!
Se si sapesse…”
“Se si sapesse
la Terra continuerebbe lo stesso a ruotare e nessun fulmine divino si
abbatterebbe su di noi – disse Itachi, pragmatico –
e a questo proposito ti
consiglio di non perderti la cena di capodanno. Nostro cugino Ryuji ha
intenzione di fare coming out davanti a tutta la famiglia.”
Sasuke si
sciolse dall’abbraccio e si ruotò di scatto per
guardarlo in faccia, dimentico
degli occhi umidi e arrossati o qualsiasi altro segno che potesse
testimoniare
il suo cedimento.
“Sul
serio? No, non ci credo!” esclamò pensando a quel
ragazzo tanto riservato e
dall’aria perennemente malinconica.
“Fallo,
vedrai che dovremo chiamare almeno un’ambulanza”
rise Itachi, asciugandogli
l’ultimo alone di lacrime sul viso.
Lo guardò
e gli sorrise, felice di poterlo aiutare concretamente e di non essere
solo una
figura distante per quel fratello amato in un modo che non era
possibile
esprimere a parole.
Pensò a
Gaara e fu felice di avergli dato almeno un bacio, perché
d’ora in poi il
segretario sarebbe stato solo un suo collega, magari amico, ma niente
di più.
Sorrise
di nuovo a Sasuke, soffocando la propria tristezza, perché
era giusto così.
Qualsiasi cosa per te,
fratellino.
L’angolino
oscuro: Eccomi qui, sono tornata in
pista più o meno. Riprendiamo
esattamente dove ci eravamo fermati al capitolo scorso, dalla
telefonata di
Gaara e Sasuke. Ho scelto di dedicare un capitolo intero a questo
momento tra
fratelli perché ho pensato che fosse molto importante per
far capire
esattamente come fossero le dinamiche tra di loro, ma anche per dargli
un’opportunità di confrontarsi per bene, senza
più maschere, mettendosi a nudo
e rivelandosi.
Itachi ha compreso
bene
quanto sia profondo l’interesse del fratello per Gaara e
decide di tirarsi
indietro per non intralciarlo, ma Gaara cosa ne penserà?
Sarà d’accordo? O
magari Itachi cambierà di nuovo idea? Eheheh non vi dico
nulla XD
Spero che questo
capitolo
ad alto livello Uchiha vi sia piaciuto e ci sentiamo alla prossima!