Libri > Stephen King, Varie
Segui la storia  |       
Autore: Hi Asija    26/11/2017    1 recensioni
---- I PERSONAGGI SONO QUELLI DI IT RIADATTATI ALL'EPOCA IN CUI E' AMBIENTATA LA STORIA -----
RUSSIA, 1990
Sei neo-adolescenti.
Frequentano la stessa scuola, gli stessi amici e gli stessi luoghi da tempo ormai, si può dire che si conoscono da sempre.
Vivono il periodo più bello della loro vita in una noiosa e monotona cittadina nei pressi della grande e caotica San Pietroburgo, fino a quando, un giorno, un' enorme scritta posta sull'entrata della loro scuola non attira l'attenzione di tutti gli studenti.
"Prevenite i suicidi, ma siete gli stessi che mi chiamano "frocio" e lentamente mi distruggete".
Una vita in un'epoca di disprezzo, odio e rabbia repressa, è abbastanza per salvarne altre milioni in pericolo?
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~•••

"'Cause we were just kids when we fell in love

Not knowing what it was

I will not give you up this time

But darling, just kiss me slow, your heart is all I own

And in your eyes you're holding mine."


Bill non alzava lo sguardo: i suoi occhi erano fissi, spenti, puntati sul pavimento di legno finto di quella palestra troppo vecchia perché resti ancora in piedi    

Bill non alzava lo sguardo: i suoi occhi erano fissi, spenti, puntati sul pavimento di legno finto di quella palestra troppo vecchia perché resti ancora in piedi. Una palestra veterana che aveva ospitato tanti alunni. Alunni spaventati, alunni divertiti, alunni inespressivi che non lasciavano trasparire nessun tipo di emozione; felicità, tristezza, paura, angoscia, nulla. La stessa palestra che da anni tormentava Bill, la stessa palestra diretta dalla sua professoressa di ginnastica che tanto odiava, che tanto gli faceva provare paura, terrore, panico.

La stessa palestra che sta volta, però, non gli faceva provare assolutamente nulla, perché nella sua mente vi era un muro alto, una paura talmente grande, una sensazione di fifa che raggiungeva livelli estremi. E lui, Ivan Billvic Denburv, non c'entrava assolutamente nulla. Ma allora perché quella percezione?

Un senso di colpa s'impadronì del corpo debole e tremante di Bill, il quale rabbrividì. Si crede di conoscere davvero la morte, ma la realtà è che non si ha la minima idea di cosa essa sia fino a quando non arriva quel giorno, il giorno in cui ci ritroviamo faccia a faccia con quella bestia così spaventosa e forte, talmente forte da riuscire a colpire tutti, prima o poi.

Ripensava al corpo leggero di Jackson Miletov, talmente leggero che sembrava galleggiare nell'aria, mentre leggiadramente andava a cadere, spezzando ogni singolo osso di esso. Ripensava al rumore della sua pelle, della sua persona che in un colpo veloce, violento, tremendo alle orecchie dei ragazzi, ma soprattutto a quelli di Bill. Ed era così: un suono doloroso, riluttante e feroce. Un suono che il ragazzo non augurava di udire nemmeno al suo peggior nemico.

Nemico. Bill ripensò a questa parola, più e più volte, mentre sempre più professori e alunni si addentravano nella nemica palestra dell'istituto. Bill pensava, si chiedeva, si logorava nella sua testa, come se avesse anche una minima colpa di quello che era successo a Jackson, se la sua scelta così dura e singolare centrasse con la sua persona, le sue azioni passate o le sue parole tartaglianti. Non trovava risposte, ma si sentiva come se fosse stato nemico di Jackson, che conosceva a malapena. Se forse avesse provato a parlargli, a proferire parola, anche qualche sillaba detta per la paura di fare qualcosa di sbagliato: se Bill avesse rivolto la parola a Jackson nel momento del bisogno, gli avrebbe forse fatto cambiare idea?

E Bill ci pensava, si chiedeva perché lo avesse fatto, perché non avesse chiesto aiuto. E se lo avesse fatto, invece? E se si fosse inchinato davanti ai ragazzi, pregandoli di farli smettere, di far smettere le persone di parlare, di proferire parola, di vociferare quello che da mesi ormai si diceva nei confronti di Jackson? Forse lo aveva fatto, forse lo aveva fatto anche il giorno prima di lanciarsi dal tetto dell'istituto, ma loro non se ne erano mai accorti. Ma quello che Bill voleva sapere davvero era, loro erano dei suoi nemici solo perché non lo avevano aiutato?

«Ora ci riempiranno di domande, lo sapete questo?» chiese Edvard, sospirando e fissando un punto sconosciuto al resto del gruppo. Eddie cominciò a giocherellare con le sue mani. Delle mani piccole, troppo piccole per appartenere ad un tredicenne, un tredicenne con una famiglia di uomini e donne sul metro e ottanta e con corpi ingombranti.

Stan annuì, spostando lo sguardo verso l'entrata affollata della palestra. Una prima del liceo stava entrando: la 1°F. Stan scrutò attentamente ogni alunno e alunna della classe, professori compresi. Nella sua testa s'immaginava di poter leggere i loro pensieri, di poter capire ciò che ogni singolo ragazzo che entrava da quella porta stesse pensando in quell'esatto momento. Si aspettava di udire un "a me non frega nulla di restare qui, non lo conoscevo nemmeno", alternato a qualche "quello è il ragazzo che qualche settimana fa ho preso in giro perché portava dell'ombretto rosa sulle palpebre", e cose così. «Ma non siamo stati noi, Eddie», commentò freddo Stan, con quella voce grossa e inespressiva che aveva sempre. Probabilmente, se avesse dovuto dire un sincero "Ti amo", sarebbe risultato un bugiardo, congelato e inutile insulto nei confronti della ragazza.

Bella annuì, accarezzando i suoi stessi corti e rossi capelli. Non erano stati loro, i perdenti non fanno del male ad altri perdenti. Loro non erano portati per ferire le persone, ma erano bravissimi a ferire se stessi e a venire feriti da chi sapeva solo ferire. E Bella era la prima, forse la più brava in entrambi i campi. A venire ferita dalle persone, era la più brava, la preferita di chi aveva bisogno di una ragazzina debole e con l'autostima sotto zero. Il suo respiro era lento, stabile, leggero. Chiuse gli occhi, quando dall'entrata spalancata della palestra, comparve la figura di Gretel Berzek.

Bill puntò gli occhi su Bella. «S-secondo me è stata l-lei», disse infine.

«Bella?» chiese Richie.

Bill scosse la testa. «N-no... io parlo di...» cercò di spiegare, ma nessun nome uscì dalle labbra del ragazzo. Nessun nome, nessuna parola, nessun sospiro. Solo un continuo sibilo di una sillaba che cercava di liberarsi dalla gabbia che era la gola di Bill.

«Gretel Berzek», replicò Stan. Conosceva la situazione di Bella, probabilmente meglio degli altri.

Richie ridacchiò. «Quella bella figa?»

Gretel Berzek, primo anno del liceo. Alta, capelli neri, occhi verdi e di origine bielorussa. Probabilmente Richie aveva ragione, era bella, ma crudeltà e bellezza andavano a braccetto quando si parlava di lei. Si sapeva poco, si sapeva che suo fratello frequentava il quinto anno ed era più popolare di quello che si sarebbe mai potuto pensare. Il padre aveva dato la svolta, la botta, la mano decisiva alla Bielorussia per separarsi dall'Unione Sovietica, quel 16 luglio 1990. Era considerato un eroe, un salvatore, un uomo che per i bielorussi faceva la differenza e doveva continuare a rappresentarli, ma che aveva preso la brillante scelta di far studiare i figli in una scadente scuola medio-superiore della sperduta cittadina di Dukii, talmente sperduta che gli autobus erano leggende per gli abitanti di essa. Una scelta azzardata e insulsa, poiché avrebbero benissimo potuto studiare in una delle migliori scuole superiori di Minsk.

Ben rabbrividì. Durante i primi giorni di scuola, quando ancora non conosceva nessuno, aveva parlato con Gretel, la quale lo aveva apertamente umiliato davanti agli studenti del liceo, senza un apparentemente motivo.

Gretel era stata crudele soprattutto con Bella, e continuava a esserlo. Dopotutto, una ragazza con il carattere come quello di Gretel poteva essere brava solamente a ferire. Era una ragazza superficiale, che si preoccupava solo di se stessa e di cosa pensavano gli altri di lei. Molto, forse troppo superficiale, soddisfatta della sua vita e orgogliosa di uscire con uno dei ragazzi più popolari della provincia di San Pietroburgo, e a detta di molti, senza sentimenti. Talmente senza sentimenti, che aveva più di una volta umiliato apertamente Bella dandole della puttana, della stronzetta. Parole che l'avevano resa ulteriormente debole e con l'autostima ormai quasi inesistente. Scritte nei bagni, scritte che le davano della succhia cazzi, parole che avrebbero ferito anche la persona più insensibile, parole che se probabilmente fossero state proferite nei confronti di Gretel, avrebbero reso debole anche lei. Ma nessuno aveva il coraggio di insultarla, di dire qualcosa di cattivo nei suoi confronti davanti a lei. Lo facevano tutti alle sue spalle, e Bella pensava che fosse peggiore. Ogni tanto si chiedeva se Gretel avesse mai capito quanto odio provavano certe persone nei confronti, si chiedeva se si fosse mai accorta e se lo avrebbe mai fatto, di quello che le persone pensavano di lei; era completamente diverso da quello che lei era convinta fosse il pensiero delle persone che la circondavano ogni giorno a scuola. Non era il massimo, essere figlia del "salvatore" della Bielorussia e ripagare le persone in quel modo freddo, insensibile e tagliente come la lama di una spada di un cavaliere. La rendevano solo fastidiosa, a chi veniva a scuola per studiare e non per dimostrare qualcosa agli altri.

Eddie schiuse le labbra in un modo quasi impercettibile, quando sentì le parole dell'amico, poi tossì. «Non è poi così bella, insomma...»cominciò.

Bella annuì. «Non è per niente bella, Richie. È solo una puttana.»

«Oh, questa si chiama invidia.»

«Invidia per cosa? Per essere una serpe crudele che è solamente capace di essere infame con tutti?»

Richie scosse la testa. «No, invidiosa perché lei è fidanzata con Dimitri Slavski, mentre tu tappezzi la camera di foto di Alex Rose. E poi, Gretel non è cattiva con tutti», disse, spostando lo sguardo nella sua direzione. La fissò per un attimo, fino a quando anche Gretel non si accorse dello sguardo dell'occhialuto puntato sul suo. Lo guardò, si contrasse in una smorfia. Richie la salutò, ma lei gli rispose facendogli il dito medio. «È già mia.»

Eddie rise, posando una mano sulla spalla dell'amico. «Primo, io credo che il cantante dei Guns 'n' Roses si chiami Axl Rose, e che a Bella non importi proprio nulla della relazione di Gretel. E poi, non ricordi di quando sei caduto nel vaso pieno di olio di sardine, e credendo che l'odore le ricordasse la Bielorussia e il padre ti sei avvicinato a lei e ci ha provato? Ti ha mandato a quel paese... e tu ti saresti potuto prendere un'infezione o qualche malattia dei pesci. E per cosa? Per aver infilato il tuo corpo nell'olio per sardine per fare colpo su una ragazza! Sai, è davvero stupida come cosa», annusò il collo di Richie. «Se mi concentro posso ancora sentire la puzza di pesce sulla tua pelle. Ma non la senti?», si avvicinò ancora di più a lui, annusando anche la sua guancia, lentamente, posando una mano sulla sua gamba. «Pensi che Gretel sia bella e non senti la puzza che hai addosso. Hai gli occhi come il tuo naso, dannatamente ciechi!»

Stan, per la prima volta in un lungo intervallo, trattenne una grande risata. Bill era ancora sperso tra i suoi pensieri, che in quel momento vagavano verso Georgi, mentre Bella e Ben prestavano attenzione ai due ragazzi in discussione.

Richie spostò velocemente Eddie. «Ugh! Togliti!» gli urlò contro, attirando l'attenzione di qualche studente.

Eddie lo guardò sconcertato e imbarazzato. L'imbarazzo si poteva tagliare con il coltello.

Richie guardò Edvard. «Il mio naso ha dei problemi?» chiese arrabbiato. «Hai detto che il mio naso ha dei problemi?» chiese ancora.

Lui non rispondeva, guardava solamente l'amico.

«E tu, Eddie? Sei tu il problema!» urlò ancora. «devi allontanarti da me, smetterla di piagnucolare per qualsiasi cosa e soffiarti quel cazzo di naso! E magari curarti da quelle allergie che hai...»

Bill si risvegliò, cercò di difendere Eddie. «R-Richie, ora b-basta, abbiamo c-capito...»

Richie rise. «Beep beep, Ivan. Non vorrai prenderti qualche allergia dal nostro amico Eddie, ne ha così tante, ma se vuoi te ne posso elencare una.»

Gran parte della palestra era ormai in ascolto del discorso tenuto dall'occhialuto.

«Richie...» sussurrò Edvard.

«La figa», disse solamente.

La platea scoppiò in una risata, una risata che trafisse il cuore e i sentimenti di Eddie. Dolore, paura, terrore, odio. Un mix di queste emozioni navigava nelle vene del ragazzo più piccolo.

Una mano si poggiò sulla spalla di Richie, ma non con la stessa grazia con la quale si era appoggiata quella di Eddie poco prima, prima che innescasse la bomba. Era la mano del direttore della scuola. «Toszev.»

Richie rabbrividì. «Signore.»

🐺🐺🐺

«Io non lo conoscevo, insomma, sentivo che parlavano di lui, ma mai mi sono permesso di, insomma, dirgli qualcosa. Mi ricordo che al secondo anno frequentavamo lo stesso corso di matematica e che gli avevo prestato una matita...» aveva raccontato Ryurik.

Ryurik Toszev, che ti era preso? Avevi urlato contro il tuo migliore amico, lo avevi insultato e gli avevi dato del frocio.

Frocio, gay.

La realtà era che nemmeno Richie sapeva cosa volesse davvero significare essere "gay", provare amore, un'attrazione per una persona con il tuo stesso sesso. Non credeva davvero che Eddie fosse gay.

Lui scherzava.

Sempre troppo.

Come sempre.

Per Richie era una cosa strana, insana, non normale. Ma cos'è la normalità quando cresci vedendo cose disgustose, insensate, crudeli?

Quando suo nonno era giovane, la rivoluzionaria comunista russa Inessa Armand approvò pubblicamente sia il femminismo sia l'amore libero, senza però affrontare mai direttamente il tema dei diritti delle persone come Jackson. Attraverso l'abolizione delle vecchie leggi zariste, il partito Comunista dell'Unione Sovietica legalizzò effettivamente in un primo momento l'omosessualità: il primo codice penale sovietico non conteneva alcuna criminalizzazione degli atti omosessuali.

Eppure, la legalizzazione delle relazioni omosessuali consensuali svolte in privato e tra adulti non venne applicata.

Quando Stalin era salito al potere nel 1924, l'omosessualità divenne un argomento inadatto all'immagine che la Russia doveva dare di sé (un po' come Gretel.) Nel 1933, quando il padre di Richie venne al mondo, venne inserito all'interno del codice penale un articolo che vietava espressamente in tutta l'Unione Sovietica l'omosessualità maschile, con pene per i trasgressori che potevano arrivare fino a cinque anni di lavori forzati nei campi di prigionia e nei gulag.

Richie era nato nel 1976, quando le cose non erano cambiate molto, fu solo nel 1987 che i medici e i giornalisti iniziarono a discutere apertamente la questione da un punto di vista scientifico e umanitario. E Richie ascoltava, ma non apprendeva. Come può una cosa cambiare da un giorno all'altro? Si chiedeva.

Prima che Jackson compisse quell'atto, quella mattina, l'ultima volta che Richie aveva trattato dell'argomento "gay", era stato l'anno prima, quando nella sua scuola fu svolto un sondaggio. Era stato constatato che il 91% degli alunni di quella scuola riteneva che gli omosessuali dovessero essere "isolati dalla società". Richie si era astenuto dall'andare così pesante con le parole, perché effettivamente lui sapeva davvero poco dell'argomento. Aveva solamente detto che gli omosessuali avevano un "orientamento sfortunato".

Fissava il preside della scuola e i due poliziotti con fare preoccupato, il più preoccupato possibile per dimostrare che a lui di quello che era capitato a Jackson importava veramente, quando in realtà non ricordava nemmeno il suo nome.

«Tu conosci qualcuno che potrebbe averlo spinto a compiere questo gesto?» chiese un poliziotto calvo sulla quarantina.

Richie aveva scosso la testa. «Non ho molti amici, non parlo con le persone che non frequentano il mio stesso gruppo.»

I poliziotti si erano guardati per un attimo, poi l'altro aveva scritto qualcosa con una calligrafia davvero oscena su un foglio di carta. Un foglio di carta che fino a poco prima era vuoto, perché Richie non aveva detto nulla di utile. «Perché?» chiese il pelato.

Richie avrebbe voluto rispondere, dire tutto quello che sentiva di dire, spiegare che le persone fanno davvero del male, a volte. Avrebbe voluto dire che se è diventato stronzo, acido e fastidioso com'era, era stato per colpa delle persone. Colpa delle persone che lo avevano lentamente fatto diventare sarcastico e stupido. Perché Richie era stupido. Era stupido anche per i suoi amici. Era stupido anche per Eddie.

«Forse c'è qualcuno...» aveva ripensato infine, attirando l'attenzione dei poliziotti. E avrebbe voluto dichiarare la verità anche questa volta. Avrebbe voluto dire tutto su Gretel Berzek, avrebbe voluto svuotare il sacco e spiegare di quanto crudele fosse stata nei suoi confronti, nei confronti di Bella, Stan, Ben ed Eddie. Avrebbe voluto raccontare di quella volta in cui aveva spifferato in giro di un'imbarazzante allergia di Eddie ai dolci, facendolo passare per stupido. Avrebbe voluto dire che gli si era spezzato il cuore quando aveva visto Eddie piangere, avrebbe voluto dire che gli dispiaceva se prima aveva detto solo cazzate e aveva spezzato il cuore del suo migliore amico, del suo compagno di vita. Ma c'era qualcosa che veniva prima, l'orgoglio. Se avesse detto quello che realmente provava nei confronti di Gretel, sarebbe passato per il ragazzino debole, con gli occhiali a forma di fondo di bottiglia e con la paura di una ragazza del primo anno di liceo.

«I gemelli Zaslavski», aveva detto infine. Aveva tirato in gioco il nome di due ragazzi che erano rimasti in panchina fino a poco prima, ma che erano già entrati in campo molte volte, facendo del male. Forse anche più male di quello che avrebbe mai fatto e potuto fare Gretel. I due bulli più conosciuti in tutto l'istituto, due ragazzoni di quasi due metri che facevano paura anche ai professori. Perché per Ryurik Toszev era stato molto più semplice tirare in mezzo chi già aveva colpe riconosciute, che affermare la verità su qualcuno che continuava a farla franca da ormai troppo tempo, distruggendo lentamente chi feriva giorno dopo giorno con le sue parole e i suoi taglienti insulti. «Danno fastidio anche a me e ai miei amici, lo scorso anno hanno rotto il braccio al mio amico, Edvard Kasprav...» dichiarò titubante, sistemandosi gli occhiali.

Il preside sorrise. «Lo stesso Edvard Kasprav al quale hai urlato contro una mezz'ora fa?»

Ryurik rabbrividì. Cominciavano a dargli fastidio. Sperò che quell'interrogatorio finisse presto, così da potersene tornare a casa e dimenticare quella giornata. Forse sarebbe passato a salutare e a fare le condoglianze ai genitori di Jackson, o forse sarebbe solamente rincasato prima del solito e avrebbe giocato a qualcosa, da solo, perché c'erano molte probabilità che Eds non gli volesse più rivolgere la parola o semplicemente lo sguardo. «Sì, signore.»

Qualcuno bussò alla porta e seguì un "avanti" da parte di un poliziotto. La porta si aprì, una donna bionda e sovrappeso era allo stipite. «C'è la prossima.»

Richie quindi prese le sue cose, alzandosi dalla sedia. Prima di andarsene si girò verso i due uomini, proferendo un semplice: “Io non sono come voi pensate che io sia”. Si voltò, trovandosi a pochi passi da Gretel Berzek. Deglutì, rabbrividendo. Una scarica di rabbia percorse tutta la schiena del ragazzo. Avrebbe voluto maledirsi da solo... se solo avesse saputo che la prossima era proprio Gretel, probabilmente avrebbe svuotato il sacco. Avrebbe raccontato tutto ai poliziotti, dall'inizio alla fine. O forse no, forse sarebbe rimasto zitto, perché nessuno aveva il coraggio di insultarla, di dire qualcosa di cattivo nei suoi confronti davanti a lei. Lo facevano tutti alle sue spalle. E Richie era talmente spaventato da tutte quelle cose che in poche ore erano accadute, che non era riuscito nemmeno a farlo alle sue spalle. E se lo avesse fatto, probabilmente Gretel lo avrebbe scoperto e lo avrebbe definitivamente mandato a quel paese, perdendo tutte le possibilità che aveva con lei. Probabilmente si sarebbe messa d'accordo con i gemelli Zaslavski e lo avrebbero pestato tutt'insieme, fregandosene di lui, perché sapevano non avrebbe reagito. Era un perdente, non un combattente.

"Ryurik, perdente."

"Gretel", e se n'era andato, chiudendo la porta.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Stephen King, Varie / Vai alla pagina dell'autore: Hi Asija