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Autore: Vanya Imyarek    10/12/2017    7 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                             CAPITOLO 12

DOVE  SONO  DIBATTUTE  QUESTIONI   DI  NASCITA  ILLEGITTIMA

 

 

 

 

 

                                                                  Dal Manoscritto di Simay

 

Ripensando a che persona fossi allora, posso dirmi onestamente sorpreso di aver racimolato il coraggio e l’ ‘arroganza’ necessari a parlare con Pacha. Forse fu la presenza di Corinna e Qillalla ad aiutarmi?

 E’ possibile: ricordo di essermi ripetuto che almeno durante il colloquio vero e proprio ci sarebbero state anche loro, mentre insistevo con Waray per essere ammesso a un’udienza. Il mio maestro sembrò dapprima molto infastidito, poi sempre più irritato alla mia insistenza; quando ormai iniziavo a temere seriamente di aver sbagliato tattica, di aver fatto esattamente quello che l’avrebbe convinto a non chiedere nulla a Pacha, cedette con un sospiro stanco, e si dopo un breve allontanamento, tornò a informarmi che il Sommo Sacerdote era disposto ad ascoltarmi proprio a quell’ora, se ero io a richiederlo con tanta urgenza.

 Forse Pacha pensava che volessi dirgli qualcosa a proposito dell’Incendiario? No, non potevo deluderlo tanto … forse era meglio chiarire? Se anche mi fossi deciso a farlo, Waray se n’era andato a sbrigare le sue faccende. Non mi sembrava il caso di disturbarlo ancora. L’inizio di quel colloquio sarebbe senz’altro stato umiliante, sempre che, con queste premesse, non si fosse adirato e non avesse deciso di cacciarci tutti fuori.

 La due ragazze mi raggiunsero all’orario concordato; Qillalla arrivò prima di Corinna, che sopraggiunse con qualche minuto di ritardo maledicendo il mercato.

 “Dunque?” mi chiese Qillalla. “Andremo semplicemente a parlare con il Sommo Sacerdote?”

 “Esatto” cercai di annuire, ma temo che per il nervosismo sembrò che mi tremasse la testa. “Mi raccomando il modo di parlargli e inchinarvi davanti a lui”

 “Naturalmente. Ci educano apposta per questo” replicò Qillalla, scoccando un’occhiata di traverso a Corinna, che brontolò qualcosa. Sperai che la straniera avesse almeno il buonsenso di imitare noialtri, e tenesse i suoi comportamenti sregolati sotto controllo, almeno per quella volta.

 Troppo nervoso per aggiungere altro, guidai le due ragazze alle stanze di Pacha. Lui fu senz’altro sorpreso di vederle, a giudicare dalla sua espressione, ma non commentò sulla loro presenza, limitandosi a chiedere perché avessi richiesto quell’udienza. Io decisi di cominciare spiegandogli le mie scoperte sulle mie origini. Supponevo che un approccio meno diretto di una richiesta di aiuto sarebbe risultato meno aggressivo, e avrei preferito comunque appellarmi al suo senso di giustizia piuttosto che alle sue faide con la sorella. Qillalla e Corinna mi diedero man forte non appena avevano la possibilità di parlare, quest’ultima raccontando in dettaglio di come avesse scoperto della lettera, e delle disposizioni che Llyra aveva in mente per me.

 “Quindi capirà che questa è roba seria” concluse, scoccandogli un’occhiataccia che trovai molto fuori luogo.

Il Sommo Sacerdote annuì, corrugando appena la fronte. “Cara ragazza, lo comprendo perfettamente. Trovo che ciò che mi hai raccontato sia, purtroppo, in perfetto accordo con il carattere di mia sorella. Due sono le cose che ella ama di più al mondo: suo figlio Quisquis, e il potere. E tu, mio caro Simay, rappresenti una minaccia per entrambe”

 Annuii appena. A cosa doveva far preludio quel discorso? Forse stava per dire che non intendeva coinvolgere il Tempio di Achesay in queste faccende pericolose con la dinastia regnante?

 “Inoltre, mia sorella è una donna cinica: non credo riuscirò a convincerla che tu intendi seguire il sentiero della dea e non quello per il trono. Sebbene io stesso crei un precedente, Sua Altezza rifiuterà di credere che chi si vede offrire il potere supremo possa rifiutarlo”

 Si sfregò la tempia con una mano. “Ragazzo mio, ti prego di notare che la tua situazione è molto delicata. Llyra sta  prendendo misure che una qualsiasi altra Imperatrice, in una situazione di lotta per insediare i propri figli sul trono, reputerebbe eccessive. Tentare di ucciderti sarebbe comprensibile – non giustificabile, non fraintendetemi – se tu fossi un figlio riconosciuto dall’Imperatore, figlio di una donna di famiglia illustre, nobile e potente, di cui il popolo non avrebbe difficoltà a vedere un membro sul trono. Per giunta, in queste condizioni, tu saresti probabilmente stato preparato a un’ascesa al trono fin dalla nascita, ed educato in questo senso; nelle tue reali condizioni, dubito seriamente che sia così”

 “Mio padre adottivo voleva farmi suo erede, prima della nascita di mia sorella” lo informai. “Ho qualche preparazione nell’amministrazione di una provincia …”

 “Di una provincia, appunto, non di quattro tutte insieme. La scelta dell’Imperatore, sebbene favorisca i figli della sposa legittima, è determinata principalmente dall’attitudine a regnare dimostrata dall’erede. E se venisse posto un confronto tra te e il giovane Quisquis, in qualche anno di educazione del bambino lui sarebbe nettamente superiore a te. L’unica possibilità per cui tu potresti essere preferito a lui è qualora la morte dell’Imperatore Manco dovrebbe precedere la maggiore età di Quisquis, ma anche questo non deporrebbe troppo a tuo favore considerato come la tua famiglia materna sia considerata quasi decaduta. Dovresti avere l’appoggio della popolazione, della maggior parte dei nobili e dell’esercito perché una tua pretesa al trono fosse riconosciuta, e data la tua scarsa preparazione, questo sarà quasi impossibile. Più ancora che un sovrano legittimo, la gente vuole un sovrano capace”

 “Ma io non voglio salire al trono” gli ricordai.

 “Lo ricordo, stavo solo osservando la singolare preoccupazione di mia sorella. Somiglia a sua madre, in questo, e non mi sorprende dato il modo in cui è stata cresciuta e le sono state insegnate le politiche di ascesa al trono”

 Rimase zitto per qualche istante, le labbra strette, gli occhi distanti, come se stesse osservando qualcosa di molto lontano. Forse ricordando delle lotte che lui stesso aveva dovuto sostenere per non diventare Imperatore, e della sua lunga faida con la sorella?

“E allora che si fa?” intervenne bruscamente Corinna.

 Pacha sussultò appena e le sorrise. “Ti chiedo scusa, mi ero perso in riflessioni legate in modo tenue a quel di cui stiamo discutendo. Ciò che temo, dicevo, è che se andassi semplicemente a parlarle, lei non mi ascolterebbe. Tenterò lo stesso, non mi piace escludere la possibilità di risolvere la situazione il più pacificamente possibile”

 Corinna fece quello che parve un tentativo di sbuffare senza farsi notare: credo volesse esprimere il suo scontento al vedere qualcuno disposto a rischiare per scherzi e offese di poco conto essere così tentennante quando si trattava di proteggere qualcuno, ma temesse di togliere anche l’appoggio che Pacha intendeva offrire.

 “Dovremmo essere comunque preparati al fallimento delle mie assicurazioni” continuò il sacerdote. “In tal caso, Simay, non potrò che organizzare che Sacerdoti adulti ti facciano da scorta e protezione per le cerimonie pubbliche. Ho ragione di credere che almeno all’interno di queste mura non sarà inviato alcun sicario, se non altro per evitare investigazioni”

 “E questo dovrà andare avanti … fino a quando, per sempre?” interrogò Qillalla.

 “Finché Quisquis non sarà asceso al trono, suppongo” le rispose Pacha. “Una volta incoronato, sarà ritenuto consacrato da Achemay in persona: usurparlo sarebbe sacrilegio. Nessuno appoggerebbe un colpo di Stato, e Llyra dovrebbe ritenersi soddisfatta”

 “Quisquis ha sei anni” obiettò Corinna. “Qual è l’età minima per salire al trono?”

 “Come regnante effettivo, senza reggenti, sedici” fu la risposta di Pacha.

 “E quindi questo si deve fare dieci anni sotto scorta?!”

 Volevo calmarla e dirle che ero pronto ad accettare una situazione del genere, se ciò significava creare il minor disturbo possibile al Tempio, ma lei proseguì imperterrita. “Non vi viene in mente neanche un modo per tenere buona Llyra? Per la miseria, siete Sacerdoti, ditele che se toccherà Simay l’ira della dea si abbatterà su di lei e su tutti i suoi discendenti, che finirà all’inferno o come lo chiamate voi, non è quello che fate di solito?!”

 Di nuovo, feci per intervenire e chiedere perdono per la sua maleducazione, ma di nuovo fui prevenuto, questa volta da Pacha.

“Senz’altro potrei, ma la coppia Imperiale è benedetta dal sovrano degli dei stesso” non sembrava affatto urtato dal tono arrogante e irrispettoso di Corinna, anzi, quasi lievemente divertito. “Per quanto sono sicuro che la Grande Madre proteggerà Simay, nemmeno lei può contravvenire al volere del suo sposo, che è quello dei sovrani. Noi non possiamo attaccare, solo supplicare e proteggere, di fronte alla loro volontà”

 Corinna sbuffò e borbottò qualcosa che suonava come ‘che merda’. Preferii non chiederle di elaborare a un volume udibile da tutti, e mi concentrai sulla risposta di Pacha. “Ma non sarebbe un sacrilegio opporsi alla loro volontà, anche se mi limitassi a restare nascosto …?”

 “Ragazzo mio, se c’è qualcosa che tu e gli altri novizi dovete imparare, è che non sempre l’autorità garantisce la ragione. Dovete portare rispetto a chi è sopra di voi, ma non obbedire senza domande a ogni sua singola parola. E’ anche questa una forma di rispetto. Per farti un esempio pratico, se ieri il tuo amico Capac fosse effettivamente andato da me a chiedermi il motivo di quella singolarità nelle consegne, probabilmente ci saremmo evitati un serio imbarazzo e molti disagi a quei poveri artigiani”

 Allora era stata davvero una svista da parte sua? Quindi tutta la ragione per cui mi ero deciso a chiedere il suo aiuto era fondata su un malinteso … ma si era rivelato molto più nobile, no? Non solo i pettegolezzi evidentemente non erano veri, ma era stato ugualmente disposto a venire in mio soccorso. Potevo solo ammirarlo ancora di più.

 “Finalmente un religioso che dice qualcosa di decente” fui sorpreso dal sentire questo commento da parte di Corinna. La schiava aveva un gran sogghigno: forse aveva interpretato le parole di Pacha a proposito del questionare i superiori in modo più sovversivo di quanto andassero interpretate?

 “Mi dispiace che tu abbia avuto così infelici incontri con il clero” replicò gentilmente il Sommo Sacerdote. “Quello che intendo dire, è che Simay non deve ricevere il trattamento di un sedizioso, se intende vivere da sacerdote. Mia sorella è sempre stata una regnante saggia, senz’altro, ma anche lei può errare. E il primo compito del clero è ricondurre alla ragione chi è nel torto”

 Corinna emise una sorta di sbuffo seccato a queste parole, ma non sembrava più tanto ostile. Qillalla aveva seguito tutti questi scambi senza dire una parola.

 Pacha sospirò, sfiorandosi la tempia con una mano, poi mi sorrise. “Non hai nulla da temere, Simay. Sei sotto la protezione di Achesay, e io mi impegnerò come strumento della dea. Non ho intenzione che a uno qualsiasi dei miei novizi venga fatto alcun male. E sii grato soprattutto alle due ragazze che sono con te: nessuna di loro è assistita da un dio, ma sono accorse ugualmente in tuo aiuto”

 “Naturalmente” mormorai. Non c’era bisogno che me lo raccomandasse: più tardi avrei insistito per parlare con i genitori di Qillalla, e risolvere la faccenda del matrimonio. E avrei chiesto ai novizi più anziani come contattare una sacerdotessa di Energia, e come fare loro una raccomandazione.

 “Ora ti consiglio di tornare alle tue lezioni, Simay. Passa una giornata serena, e non temere: ti farò sapere io del responso di Sua Altezza”

 Ringraziai e mi inchinai, prima di uscire, seguito a ruota da Qillalla e Corinna.

 “Il tuo Sommo Sacerdote era la persona migliore che ci potesse capitare” commentò la prima.

 “Sicuro” concordò Corinna. “Mi piace quel che ha detto dell’autorità. Finalmente qualcuno che usa il cervello, da queste parti”

 Di nuovo, ebbi il forte sospetto che avesse davvero travisato le cose.

 “Ha detto che bisogna mettere in discussione le azioni dei superiori come forma di rispetto” puntualizzai. “Non che bisogna mancargliene del tutto”

 “Certo, data la sua posizione, non poteva dire esattamente quello” rispose allegramente la schiava. “Però ricordiamoci che è la stessa persona che si è messa a sabotare gli artigiani”

 “A quanto pare, no” la corresse Qillalla. “Non hai sentito quel che ha detto? Le consegne sono state un errore. Chiunque ti abbia detto quelle cose, ha preso solo un abbaglio fenomenale. La prossima volta stai più attenta, vuoi? Non possiamo rischiare di muoverci su informazioni errate”

 Il volto di Corinna si contorse dalla rabbia. “Punto primo, io l’avevo specificato che era un sentito dire, siete voi che avete deciso di comportarvi come se fosse una verità assoluta. E poi, non è detto che non sia vero. Anzi, vista la frase con cui è stato preceduto quel discorso, sono abbastanza sicura che quelle consegne non siano state affatto un errore. Ci stava semplicemente dicendo la versione ufficiale, e richiedendo la nostra complicità”

 Non ero ben sicuro di riuscire a seguire quel discorso, né che fosse corretto come la ragazza pareva tanto convinta che fosse.

 “E’ molto maturo il tuo modo di ammettere di essere in torto. In ogni caso, non dobbiamo abbassare la guardia. Adesso, Simay, hai la protezione di un uomo importante, ma Llyra è la massima autorità dell’Impero dopo un marito che non sa nulla di tutto questo. Per favore, continua a informarmi di quello che succede, potrebbe essere utile. E tu, Corinna, continua a fare ciò che ti è stato detto”

 “Agli ordini, Vostra Altezza

 “Senza quel contegno, per cortesia, dato che comunque ci guadagni anche tu. E a proposito, non dovresti evitare di attardarti troppo?”

 “E’ vero, al contrario di certe persone, oso non avere tutto il giorno per cazzeggiare …”

 Non mi sentivo più tanto a disagio in quei battibecchi. Senz’altro, Qillalla e Corinna erano molto diverse e non andavano d’accordo, ma entrambe erano ugualmente decise ad aiutarmi, per ragioni che, a prescindere da eventuali ricompense, originavano dal sincero desiderio di aiutare una persona che a stento conoscevano. Pacha aveva assolutamente ragione anche su quello: ero stato fortunato a trovare alleate simili.

 Questo senso di contentezza e sicurezza che rimase con me per tutto il resto della giornata e per tutta la mattinata successiva fu rovinato, tra tutte le cose possibili, dalla vista del nastro blu che di nuovo sventolava dove l’avevo visto la prima volta.

 Di nuovo? Cosa poteva essere successo per due convocazioni a così breve distanza? Pacha non mi aveva detto nulla, e il mio sospetto che Corinna avesse scoperto l’esito di un confronto tra lui e l’Imperatrice diminuì man mano che le ore passavano e nessuno mi diceva nulla. Ma se Pacha non aveva ancora parlato con Llyra, cosa poteva essere successo? Cos’aveva scoperto Corinna?

 La cosa certa era che quella notte avrei dovuto ripetere le mie fughe dal Tempio. Sperai che Pacha non ne sapesse nulla, non avrei voluto neppure agire alle sue spalle dopo che era stato disposto a soccorrermi con tale prontezza, ma Qillalla aveva ragione: da un punto di vista puramente strategico, era meglio sorvegliare la sovrana in modi più sottili. Achesay avrebbe approvato di quell’impresa, o l’avrebbe vista come una mancanza di fiducia verso il suo più alto sacerdote?

 Per precauzione, digiunai anche quella sera, seppellendo i contenuti del mio piatto alla bell’e meglio dopo il pasto. L’unico ad accorgersi di quello che stavo facendo fu Capac, e non mi disse nulla: evidentemente approvava.

 Questa volta fui più abile nello scavo del mio tunnel: emersi nel punto opposto dell’esterno del Tempio da dove volevo arrivare, ma almeno non invasi  nessuna abitazione. Resi grazie alla dea e corsi verso l’ingresso, dove trovai nuovamente Qillalla ad aspettarmi.

 “E questa volta spero proprio che non sia un pettegolezzo” fu la prima cosa che commentò.

 “Corinna è solerte” tentai di difendere la schiava. “Ha detto qualcosa che effettivamente poteva essere utile. E poi è vero che ha sottolineato che quella fosse solo una voce”

 “Secondo me, sei troppo buono. Fa parte anche quello dell’addestramento dei novizi?”

 “Ci viene detto di rispettare la solerzia altrui nello svolgere il proprio dovere, a prescindere dalla casta sociale. Immagino sia quello che vi dicono anche alla Casa dell’Educazione …?”

 “Oh? Sì, sicuro. Anche se più che solerzia, questa mi sembra esagerazione e incapacità di distinguere le cose importanti dalle piccolezze. Sarò io ad avere alti standard!” mi sorrise.

 Ora posso immaginare che ci fosse un sottinteso che io avessi soddisfatto quegli standard; allora immaginai che volesse solo le mie lodi, e le concessi, dicendo che la precisione era una qualità importante per la futura signora di un’importante casata. Dubito che la risposta la soddisfò.

 Corinna impiegò molto meno tempo a percorrere il tunnel, perché lo fece di corsa. Lo percepii ben prima di vederla, tramite le vibrazioni che la terra mi inviava, e faticai a mantenere la concentrazione necessaria a tenere in piedi quel tunnel – il che scatenò una preoccupazione che mi rese le cose ancora più difficili. Fu una fortuna che ci mise poco tempo, perché quando emerse, ero coperto di sudore freddo.

 “Al …” riuscì appena ad esordire Qillalla.

 “Sì, ho scoperto qualcosa. No, non minaccia direttamente Simay. Ma è una cosa che fa vomitare, e se voi non mi aiutate con questa, ve lo sognate che vi dia altre informazioni”

 

 

Choqo non dovette quasi pensarci su, nel leggere quelle parole, per lasciare il manoscritto di Simay e prendere quello di Corinna.

 Che cosa stava per leggere? Informazioni più esatte su tutta la faccenda tra Lyra e Pacha? Le contromisure prese dall’Imperatrice contro il povero Simay? Il ruolo della stessa Qillalla?

 Qualunque cosa fosse, voleva assolutamente leggerla dal punto di vista dell’allora giovane schiava. Ecco le sue opinioni sull’attraversamento del tunnel magico – la capiva, era stato impressionante solo leggerne! – sulla conversazione notturna con Simay e Qillalla, sulla richiesta di aiuto a Pacha – la ragazza l’aveva identificato come qualcuno che sotto la ‘copertura’ religiosa aveva uno spirito ribelle simile al suo – ed ecco, ecco la parte in cui la giovane tornava al palazzo.

 

 

                                                                    Dal Manoscritto di Corinna

 

Dopo una ‘pausa’ così estenuante speravo almeno in un pomeriggio e una serata un po’ più tranquilli, in cui uccidersi di lavoro, certo, ma senza che ciò coinvolgesse complotti tra clero e Stato e tentati omicidi. Dylla non vide appropriato punirmi di nuovo, appunto perché mi ero assentata durante la pausa concessami per il pranzo; tutto quel che mi successe fu che non mangiai, appunto.

 Non avevo mai davvero digiunato: nel mio mondo di origine, facevo ben tre pasti al giorno, tutti comunque più abbondanti di quello che ricevevo a Tahuantinsuyu, dunque affrontai quel pomeriggio di lavoro a stomaco vuoto completamente impreparata. La ricordo ancora come un’esperienza orribile: la fame, di per sé, è un metodo consolidato per mettere di cattivo umore qualcuno, le chiacchiere di quelle dame mi erano già fastidiose in condizioni normali, e per di più continuavano a farsi portare, e a mangiucchiare distrattamente, quei maledetti, invitanti dolcetti.

 Fu quello a suggerirmi l’idea: farmi inviare nelle cucine, proprio per portarglieli e arraffare qualcosa. Non avevo mai fatto caso a quanto fosse popolare come compito, tra le schiave, e sospettai che fosse proprio per quell’esatta ragione: fu comunque una piccola lotta per ottenere l’incarico.

 La prima volta che la spuntai, ebbi il coraggio di rubare solo un dolce, onde non farmi scoprire e finire di nuovo a pulire le latrine; ma mi parve la cosa migliore che avessi mai mangiato, fragrante, con una punta di aspro oltre al dolce, delizioso, caldo e appena sfornato. Confesso di avere ancora una predilezione particolare per quel tipo di biscotto.

 E più che calmarmi la fame, riuscì a farmene venire ancora, e a fissare con odio le dame che rosicchiavano quelle squisitezze così distrattamente. Fu solo verso sera che mi ricapitò di nuovo un’occasione simile, ma proprio quando avevo il vassoio fumante in mano, e stavo per afferrare uno splendido dolce soffice e coperto di una cosa simile a glassa rosa, fui fermata da una voce femminile.

 “Tu! Corri a chiamare il farmacista, subito!”

 Sussultai, rischiando di far cadere il vassoio. La donna che mi aveva interpellata era chiaramente riconoscibile come una delle concubine dell’Imperatore: non solo perché non l’avevo mai vista tra le dame, ma perché aderiva alla già citata tendenza di ricoprire di gioielli il suo corpo basso e tondeggiante. Faceva quasi male agli occhi alla luce delle torce, non volevo immaginarla in pieno sole.

 Comunque la ignorai: aveva interrotto un momento catartico, e poi io avevo già il mio da fare a servire l’Imperatrice e le sue amiche, non certo quelle come lei. Si affidasse alle sue, di ancelle.

 La donna non gradì questa mia presa di posizione.

“Ti ho detto di andare a chiamare il farmacista” sbottò, afferrandomi per i polsi e facendomi cadere il vassoio. “Gli sfizi di quelle streghe possono aspettare, questa è una cosa seria. Sbrigati, piccola idiota!”

 Dovetti confessare a me stessa … insulti a parte, non potevo nascondere di essere impressionata. Contrariamente alle altre donne dell’harem, non sembrava preoccupata dal fatto che io rispondessi a Llyra, mi aveva dato ordini come se io dovessi servire lei, e soprattutto, non si era fatta remore a insultare le nobildonne. Soprattutto quest’ultima parte mi piaceva.

 E poi aveva detto di chiamare il farmacista, per qualcosa di serio. Magari qualcuna di quelle concubine stava davvero male? Se così fosse stato, sarei stata davvero in torto io a continuare a obbedire alle dame. Meglio non rischiare di prolungare i malesseri di qualcuno: mollai il vassoio lì dov’era e corsi al Cortile degli Artigiani.

 Yzda non aveva ancora chiuso la bottega, ma il mio arrivo lo colse di sorpresa, a giudicare da come rischiò di far cadere il sacchetto di erbe secche che stava preparando.

 “Chiedono di te nell’harem” gli dissi in fretta. “Credo che sia stata male una delle donne, ma non mi hanno detto altro”

 Trovai la sua reazione davvero strana: mi fissò con aria sorpresa, poi abbassò gli occhi a terra e chiamò sua figlia.

 “Alasu! Problemi nelle stanze delle concubine. Credo che sia successo di nuovo … quello che è successo le altre volte” concluse gettandomi una rapida occhiata. Uh? E tutta quella sceneggiata per che cosa stava?

 Alasu corse fuori con un lungo e sottile strumento metallico in mano, mi salutò frettolosamente, raccattò una serie di boccette e sacchetti contenenti sostanze dai colori e odori a me irriconoscibili e me ne porse qualcuno, chiedendomi se potevo assisterla. Sembrava a disagio, ma non era la sua consueta timidezza: sembrava piuttosto ansia e, così avrei pensato se la cosa avesse avuto una logica, senso di colpa. La seguii, comunque: non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo, ma suonava più serio e urgente degli svaghi di un gruppo di dame che stava comunque per finire di ammazzare la serata.

 Non ero mai stata nelle stanze dell’harem: le rare volte che mi ero presa la briga di pensarci, me le ero immaginate secondo lo stereotipo degli harem che si usavano in epoche lontane nei paesi orientali del mio mondo: letti decorati a motivi sinuosi, bracieri che bruciavano un incenso pesante, tende, tappeti e stoffe pregiate dappertutto, donne che si aggiravano seminude; dovetti pesantemente correggere questa immagine.

 Probabilmente, per un nativo di Tahuantinsuyu quelle stanze avevano la stessa atmosfera di lusso esagerato dello stereotipo che io avevo in mente, e anche a me sembravano decisamente eccentriche, ma in modo molto diverso da quel che mi aspettavo. I mobili erano tipicamente quelli che vedevo nelle sale del palazzo: un basso tavolo per i pasti, attorniato da cuscini, in quella che pareva l’anticamera, e poi stuoie e specchi e mobili da toeletta in quelle che parevano le stanze vere e proprie.

 Però tutto sembrava troppo carico: tavolo e mobili pieni di intarsi, alcuni sembravano fatti in oro e argento, specchi ornati, stuoie di quelle che sembravano stoffe preziose, coperte di ricami, e sovraccarichi di soffici cuscini; i mobili da toeletta erano semplicemente stracarichi di polveri e creme dall’odore pungente. Unico punto davvero in comune con quello che mi aspettavo, c’erano dei bracieri che emanavano un fumo profumato poco respirabile.

 Le donne vere e proprie erano vestite di tutto punto, con tuniche dall’aspetto sorprendentemente semplice, anche se ognuna aveva il suo carico di gioielli; mi sorprese come tutte se ne stessero in disparte, serie e cupe, qualcuna illuminandosi appena al veder passare Alasu. Una donna corse via. Poco dopo fummo raggiunte dalla stessa concubina che mi aveva fermata.

 “Si tratta di Aylla” ci informò. “Accusa vomito, diarrea, ed emorragia”

 Ugh. Avrei preferito continuare a servire dolcetti. Ma ormai ero in ballo: Alasu mi fece cenno di seguirla, e io obbedii. Non me la sentivo di lasciarla da sola in quella situazione, anche se era chiaro che fosse molto più esperta di me.

 Raggiungemmo quelle che dovevano essere le latrine, e l’odore mi fece rimpiangere amaramente i profumi soffocanti di quei bracieri. Per poco non vomitai anch’io. Una ragazza poco più grande di me era rannicchiata su uno dei fori, singhiozzante.

 “Aylla” la richiamò la donna che era con noi. La malata non rispose, continuando ininterrottamente a piangere. “E’ arrivata Alasu. Coraggio, ora …”

 “E’ successo di nuovo” balbettò la malata tra i singhiozzi. “E’ successo di nuovo, perché …”

 Avvicinandomi, notai che era in condizioni assolutamente pietose. La sua veste era lurida di feci e sangue, così come le sue gambe; il volto era una brutta combinazione di pallido e paonazzo, rigato di lacrime mischiate a trucco, e con ancora tracce di bile attorno alla bocca.

 “Respira profondamente” ordinò Alasu. “Innanzitutto, bisogna svestirla. Perché non l’ha ancora fatto nessuno?”

“Non riuscivamo ad avvicinarci. I suoi attacchi di malessere erano troppo frequenti”

Alasu sospirò e procedette verso la donna a terra. “Corinna, vieni qui e aiutami a togliere tutta questa gioielleria. Nuala, tenetevi pronta a sollevarle la testa se … ecco, per l’appunto”

 Aylla era stata colta da un nuovo attacco di vomito. Per fortuna, Nuala fu incredibilmente svelta a spostarle leggermente il capo in una posizione che, pur permettendole di rovesciare l’anima con tutta sé stessa, non ci intralciava mentre le rimuovevamo i gioielli (anche se qualche schizzò di bile mi finì addosso lo stesso; sono piuttosto soddisfatta di come riuscii a stringere i denti e procedere, nonostante fossi completamente nuova a quel tipo di situazione).

 Davvero maledissi la tendenza delle concubine a portarsi tutte quelle gemme addosso: tanto per cominciare, Aylla aveva su una achera (gioiello che mi parve un’assurdità, con le sue catenelle che si avvolgevano sopra le spalle, sulla parte superiore della schiena e sotto i seni) in sottili catene d’oro che sostenevano una pietra rosa al centro del petto, che ci volle un’eternità a slacciare; poi una cintura di fili d’oro intrecciati, e lì, con tempismo perfetto, la ragazza fu colta da un altro attacco di diarrea (credo di aver bestemmiato pesantemente, ma per fortuna nel caos dell’operazione nessuno ci badò); infine riuscimmo a sfilarle un’infinità di bracciali, la veste e la biancheria, lasciandola completamente nuda a tremare sul pavimento.

 “E’ pronta la vasca?” urlò Nuala. Una schiava strillò qualcosa in risposta.

 “Adesso respiri meglio?” chiese Alasu alla paziente. Sembrava di sì, ma la donna era ancora rannicchiata su sé stessa, con l’aria di star morendo di freddo. “Corinna, di’ a Leylla di portare una coperta di lana pesante, e metti a scaldare questo con due tazze d’acqua”

 Mi porse un sacchetto. Io non avevo la più pallida idea di chi fosse Leylla, quindi mi limitai a urlare l’ordine a pieni polmoni sperando che la destinataria recepisse. Tolsi il contenitore dei profumi da uno dei bracieri, ci misi su il contenitore con l’acqua che un’altra schiava prontamente mi consegnò, e ci versai la polvere del sacchetto.

 Si sprigionò un odore pungente, simile a quello dello zenzero. Mi voltai verso la direzione dei bagni, e vidi Alasu e Nuala che conducevano la paziente, avvolta in una coperta di lana stinta, verso un’altra stanza.

 “Togliete quei profumi” stava ordinando la figlia del farmacista. “Qui dentro non si respira. Corinna, quando è pronto l’infuso, portamelo nella sala da bagno”

 Obbedii, facendomi indicare la direzione da altre schiave che portavano secchi d’acqua verso le latrine – almeno quel compito non sarebbe toccato a me! La stanza da bagno aveva una grande vasca al centro, simile a una piscina, con bordi e pareti riccamente decorati e ampie finestre, in quel momento tutte aperte. L’aria fresca della sera entrava a pieni polmoni, sebbene l’acqua nella vasca fumasse.

 Trovai Alasu inginocchiata all’altezza dell’inguine di Aylla, intenta a rimuovere qualcosa con lo strumento di metallo che si era portata a dietro. Uh … non ci tenevo a sapere i particolari della medicina locale, anche perché la povera ragazza sembrava sul punto di vomitare di nuovo. Mi limitai ad annunciare che l’infuso era pronto, stando a distanza di sicurezza.

 “Nuala, vi ricordereste la procedura abbastanza da …?” fu la risposta di Alasu, ancora impegnata nel suo lavoro.

 “Certamente” fu la breve risposta della concubina, che mi ordinò di tener fermo il recipiente mentre le vi mischiava altre erbe, trasformando l’infuso un una specie di poltiglia verde-marrone con un odore da far lacrimare. Ma erano sicuri che queste cose avrebbero fatto bene in caso di vomito?

 Alasu terminò le sue operazioni e mi chiese di aiutare la povera donna a mettersi seduta, mentre Nuala accorreva a consegnare la tazza. La poltiglia le fu fatta mandar giù a piccoli sorsi, dopodiché, tutte insieme, riuscimmo a farla accomodare nella vasca.

 La donna trasse un lungo sospiro tremulo. Sembrava che tutte quelle cure avessero avuto effetto: per lo meno, non vomitò e non ebbe attacchi di diarrea mentre era nella vasca. Il suo umore però sembrò non migliorare affatto: anche se silenziosamente, piangeva ancora, e non ci rivolse la parola, fissando un punto nel vuoto.

 “Questa non era come le altre volte” commentò Nuala, fissando l’altra concubina con le braccia conserte e gli occhi assottigliati. Malgrado il fisico poco imponente, riusciva a emanare una cert’aura intimidatoria, in quel momento. “Di solito, avviene in modo molto più indolore”

 Cosa avveniva in modo più indolore? Il problema intestinale?

 “Hai ragione” convenne Alasu, a voce bassissima. “Che cosa ha mangiato?”

 Queste parole parvero catturare l’attenzione di Aylla.

 “E’ stata colpa mia?” chiese, la voce rotta. “Questa volta è stata colpa mia …?”

 “Non dire sciocchezze” si affrettò a dirle la farmacista. “Non è colpa di nessuno. Sono cose che purtroppo capitano …”

 “Sì, capitano ogni singola volta che una di noi rimane incinta” sputò Nuala. Alasu sussultò come se l’avessero colpita, e sembrò rattrappirsi su sé stessa.

 Io sgranai gli occhi. “E’ incinta?”

 Per la miseria, non ne sapevo molto di gravidanze, ma avevo la forte impressione che un malessere simile superasse di gran lunga le nausee di cui si parlava tanto, e soprattutto che non fosse affatto una buona cosa.

Nuala mi lanciò un’occhiata penetrante. “Adesso, no”

 Appunto.

 Guardai Aylla. Non aveva smesso un secondo di piangere, ma ora il motivo mi era ben chiaro. Non avevo mai riflettuto troppo sulla maternità e tutto quello che comportava: nel mio mondo, ero troppo giovane per avere figli, e dunque l’idea era fuori dalla mia sfera degli interessi. Le uniche cose che avevo sentito riguardo all’aborto era la diatriba su quello volontario, se fosse legale oppure no, e il problema non mi aveva neanche scalfita più di tanto; ora non avevo la più pallida idea di come comportarmi davanti a uno spontaneo.

 Doveva essere stata proprio agli inizi della gravidanza, dato che avevo solo visto del sangue e non un feto morto venire estratto da qualche parte – per fortuna!- ma Aylla sembrava così … vuota per qualunque cosa che non fosse la sofferenza, non saprei come altro descriverla. Sembrava che avesse perso un figlio già nato e cresciuto, e quest’impressione si rifletteva nell’espressione cupa e rabbiosa di Nuala e in quella sconfitta di Alasu.

 Nessuna riuscì a parlare, e per questo, l’intrusione arrivò con un certo annuncio di passi pesanti e affrettati.

 “Chiedo scusa” disse Clallia, squadrandoci tutte con occhi e bocca a una fessura. “Credo che abbiate una delle nostre schiave”

 “Chiedo perdono se l’abbiamo distolta ai suoi sacri doveri nei vostri confronti” con quella frase che trasudava sarcasmo, Nuala fece una rapida ascesa nella mia stima. “Ma le nostre ragazze erano tutte fin troppo indaffarate, e ho ritenuto che il malessere di Aylla fosse più importante dei vostri dolci”

 Clallia rivolse un’occhiata sprezzante alla donna nella vasca. “Ancora un aborto? Non c’era bisogno di fare tutta questa scena. L’Imperatore ha già un figlio legittimo a succedergli”

 Che stronza! Quella ragazza … bastava guardarla mentre cercava di frenare il pianto per capire che non gliene fregava un nulla di avere un figlio da mettere sul trono. Lei voleva un figlio e basta.

 “Ma non abbiamo ancora una futura Imperatrice” replicò Nuala. “E sarebbe stato pur sempre un membro della famiglia imperiale. Sono affascinata dal rispetto che stai dimostrando”

 “Un figlio suo” Clallia indicò la malata con un cenno del capo, come se degnarla di quella considerazione le costasse fatica. “non sarebbe stato che un fastidioso intralcio al figlio della mia signora. In condizioni normali, disprezzerei tutte voi, per non essere abbastanza donne da poter dare alla luce un solo figlio; ma ve ne sono quasi grata. Io so bene dove mantenere le mie lealtà, al contrario di certe famiglie che calpesterebbero l’autorità imperiale pur di accedervi”

 “Tu non sai nulla” replicò Nuala, senza nemmeno suonare offensiva: sembrava stesse constatando un dato di fatto. “Non puoi: tuo padre era un ceramista. Ha già fatto scalpore il tuo matrimonio con il figlio di Huarcay, vederti nell’harem dell’Imperatore in persona sarebbe stato inconcepibile. E questo lo sai benissimo. Altrimenti, perché ti aggrapperesti con le unghie e con i denti a quella poca nobiltà che hai acquisito?”

 Centro perfetto: Clallia assunse un colorito brutto quasi quanto quello di Aylla quando l’avevamo trovata.

“La nobiltà di una sgualdrina esaltata” sibilò tra i denti. “Preferisco un matrimonio onesto, per quanto minore, e la compagnia di donne perbene, in quartieri che non puzzino dei fiori con cui cercate di nascondere il vostro marciume. Corinna, muoviti, non hai più niente da fare qui. Dylla provvederà a te”

 Ecco, per una volta che pensavo di aver schivato punizioni. Clallia girò sui tacchi e uscì in fretta senza un’altra parola. Io chiesi ad Alasu se avesse ancora bisogno del mio aiuto.

 La ragazza sospirò. “Ti ringrazio, Corinna. Io ho da fare, ma di’ a Dylla che ti ho ordinato io di aiutarmi. E’ un po’ meno severa con gli schiavi che sono stati coinvolti nell’assistenza a me e mio padre, sa che non ne abbiamo di nostri”

 Se prima la figlia del farmacista mi era parsa più sicura di sé, quando si era trattato di dare disposizioni per la malata, adesso era l’esatto opposto. Aveva l’espressione più stanca e sconfitta che avessi mai visto a una mia coetanea; e non solo quello, pareva sentirsi in colpa. Perché non era riuscita a prevenire l’aborto? Ma a quanto avevo capito, era un’occorrenza comune nell’harem dell’Imperatore.

 Magari le donne vivevano in condizioni poco salubri – quell’aria viziata di profumi …- o mangiavano cose inadatte, e date le conoscenze mediche del luogo non si riusciva a capire il motivo? Alasu si sentiva in colpa per quello? Dannazione, perché non ne sapevo di più? Nel mio mondo c’erano conoscenze mediche più avanzate, forse sarei riuscita ad aiutarla in qualche modo …

 Lanciai un’ultima occhiata alle mie spalle. Alasu e Nuala stavano cercando di parlare con Aylla, accarezzandole i capelli e cercando di rassicurarla. Mi venne una gran pena per quelle donne. Costrette ad essere essenzialmente le schiave sessuali di un singolo uomo, quasi certamente perché vendute dalle famiglie o come schiave, e per giunta discriminate dalle ‘dame’ che contavano. Se pensavo che avevo rischiato di diventare una di loro, mi sentii incredibilmente fortunata ad essere solo un’ancella qualsiasi.

 Ma a questo proposito, anche la madre di Simay doveva aver vissuto lì. In quelle condizioni? Ebbi un misto di stima e compassione per lei. Ma lei era chiaramente riuscita ad avere un figlio … perché era scappata. Quindi era proprio colpa dell’atmosfera dell’harem se avvenivano gli aborti, pensai mentre uscivo.

 E chi faticava a crederlo? Non si riusciva a respirare con quei bracieri, le donne erano così coperte di gioielli che faticavano a muoversi, la situazione con l’Imperatrice e le sue sostenitrici doveva essere parecchio stressante … sì, doveva essere tutto quell’insieme di ragioni.

 Il giorno dopo avrei provato a parlarne con Alasu. Magari lei avrebbe potuto fare qualcosa per quelle povere donne, e magari attenuare il suo stesso senso di colpa?

 

 

 

 

 

 

GLOSSARIO (e qualche trivia):

Mekilo: essere simile a uno scoiattolo, solo molto più grande, con zampe molto più lunghe e la coda in fiamme. Essendo un animale legato al fuoco, non è considerato sacro a nessun dio, ma sfruttabile da tutto il genere umano. Viene usato soprattutto per trasportare merci e persone.

Occlo: bovino ricoperto di squame e con protuberanze lunghe e sottili, simili a serpenti che stanno al posto delle corna e da cui esce fuoco. Anch’esso animale legato al fuoco, ma per la sua pericolosità e la capacità di controllare i loro getti di fuoco sono quasi esclusivamente cavalcature da battaglia.

Kutluqun: capre anfibie con alghe al posto della pelliccia. Sono considerate sacre al dio Tumbe, e per questo, per allevarle o catturarne di selvatiche, è necessaria l’autorizzazione di un sacerdote di quel dio.

Lymplis: pesci volanti, con le pinne coperte di piume. Sono sacri alla dea Chicosi, dunque è necessaria l’autorizzazione di un suo sacerdote per possederne uno. Malgrado ciò, sono popolari come animali da compagnia presso la nobiltà.

Kyllu: uccelli simili a cigni, fluorescenti. Sono sacri al dio Achemay, e allevati solo all’interno del palazzo imperiale. Il loro piumaggio è usato per decorare le corone dei sovrani.

Lilque: creature con corpi simili a quelli degli esseri umani, ma con code di serpente al posto delle gambe. Servitori del dio Thumbe, vivono presso il mare, i laghi e in qualche caso i fiumi, quasi mai in corsi d’acqua più piccoli.

Duheviq: piante dalla capacità di mutare il proprio aspetto, assumendo qualsiasi forma desiderino. Originariamente questo veniva usato per catturare prede dei cui fluidi nutrirsi, ma con l’avanzare della società umana, ne hanno approfittato per integrarvisi. Un tempo servitori della dea Achesay, organizzati in tribù-foreste rigidamente isolate dagli esseri umani; solo i sacerdoti della dea potevano avvicinarli senza essere bollati come cibo. Al tempo di Choqo, mentre i più anziani vivono ancora tradizionalmente, i più giovani hanno preso a mescolarsi con le popolazioni umane, finendo spesso vittime di discriminazioni e relegati ai lavori meno nobili o remunerativi. Mantengono comunque un rigido codice di valori, di cui la fedeltà è il più alto.

Shillqui: piante in cui scorre un liquido per aspetto e consistenza simile al miele, che causa a tutto l’albero di agitarsi violentemente. Se bevuto, questo liquido dà gli stessi effetti agi esseri umani, ma è difficilissimo metterci le mani sopra. Pianta sacra a Pachtu, i suoi sacerdoti ne devono bere la linfa durante le cerimonie.

Likri: fiori simili a gigli rossi, dalle temperature bollenti, che esalano un fumo sottile. Se tuffati in acqua gelida e canditi, sono considerati ottimi per la pasticceria, ed essendo legati al fuoco, l’unico limite al coglierli è potersi permettere buoni guanti protettivi.

 

Qillori: cristalli di colore azzurro chiaro, molto usati in oreficeria.

Achemairi: cristalli di colore dorato, anch’essi comuni per l’oreficeria.

 

Notte: entità primordiale da cui tutto il mondo ha avuto origine.

Achemay: dio del sole, entità più importante del pantheon Soqar.

Achesay: dea della terra.

Chicosi: dea dell’aria.

Tumbe: dio del mare, dei fiumi e dei laghi.

Sulema: dea del fuoco.

Pachtu: dio dei fulmini e della vita.

Qisna: dea della morte e delle paludi.

Supay: esseri più collegati al folklore che alla religione vera e propria, sono creature della Notte,

incaricati di torturare le anime dei peccatori che lì vengono gettate.

 

 

Ladies & Gentlemen,

e mentre Simay è aiutato e sostenuto da praticamente chiunque non sia Llyra, Corinna è nella merda in un senso molto più letterale di quello che le piacerebbe. Sperando che non abbiate letto l’ultima parte del capitolo subito dopo mangiato, mi piacerebbe di nuovo sapere cosa ne pensiate dei nuovi personaggi (Nuala in questo caso).

Ancora, grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a questo punto, e grazie a chi vorrà recensire!

 

  
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